29. Romeo is bleeding
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- Per cosa saresti disposto a morire? -
- Per salvare anche uno solo di voi. –
- Ho ancora qualcosa di sin troppo importante da fare prima di
lasciarmi uccidere da uno come te. – quella risposta
arrivò come un sibilo nell’aria.
Le labbra dello spadaccino si erano mosse in uno schiocco secco, quasi
severo, eppure il suo viso parve riuscire a mantenere invariata
l’espressione, quel ghigno feroce, come un taglio
indifferente. Sanji sorrise.
Sentiva l’eccitazione di quelli attimi pervaderlo in un
brivido inebriante e circondare l’arena in silenzio. Era un
battito invisibile destinato a soverchiare la pace di quelle mura.
La percepiva, la respirava. In passato avrebbe forse persino voluto
farne parte per quanto leggera.
- Ma davvero, spadaccino? – si portò una mano in
tasca, estraendovi un accendino. La fiamma si liberò in alto
con uno sbuffo annoiato ed incontrò la paglia stretta dalle
sue labbra.
Buffo quindi, si ritrovò a pensare, come di tutti quei buoni
sentimenti di cui tanto i suoi superiori amassero riempirsi la bocca
ben presto, in quell’arena, non ne sarebbe rimasto che un
cumulo indistinto di cenere.
- Allora vedo che abbiamo entrambi delle ottime motivazioni per restare
in vita. – si accese la sigaretta e dopo aver sospirato il
fumo sino a farlo entrare nella parte più profonda di se, lo
gettò fuori guardando fisso l’avversario.
In condizioni normali qualcuno avrebbe probabilmente prestato
attenzione a quel suono soffocato. Eppure, in tutto lo stadio, nessuno
parve quasi accorgersi del sottile mozzicone calcato malamente a terra,
intrappolato fra le suole dei due sfidanti.
Il loro movimento era stato così rapido che persino gli
occhi più esperti ed avvezzi a simili situazioni si erano
ritrovati in difficoltà. Nell’esatto momento in
cui la carta oramai in fiamme aveva sfiorato il suolo, il traditore,
perché era questo oramai ciò che Sanji ad occhi
di compagni e sottoposti sarebbe potuto apparire, inutile girarvi
attorno, aveva caricato l’intero peso del corpo sul
sinistro.
Lo slancio conferito a quella spinta era stato talmente potente che
quando lo spadaccino si era ritrovato a parare il colpo incrociando le
spade, entrambi erano avanzati per forza di inerzia per alcuni metri.
Ed adesso fermi, occhi negli occhi, continuavano a scrutarsi come due
cacciatori affamati, l’uno preda dell’altro.
Chiunque si fosse ritrovato a seguirli per la prima volta non avrebbe
esitato a mettere in dubbio l’odio reciproco che sembrasse
alimentare la loro furia.
Poco sembrava contare se poi, un tempo, quei due erano stati vicini
come fratelli. Poco contava se mentre l’uno facesse il
possibile per alleggerire i colpi, l’altro si trovasse quasi
eccitato al semplice pensiero di poter calcare i propri. Erano sfidanti
ed era questo ciò che contava.
- Sai, spadaccino… - la frase si spezzò
nell’attimo in cui il biondo balzò indietro,
riportandosi in posizione d’attacco - … per un
momento mi ero illuso che volessi salvarla. Evidentemente mi ero
sbagliato. - lui sapeva.
Sapeva che il demone li stava osservando da dentro quel ragazzo; sapeva
che stava risvegliando in lui l’antica rabbia. E non si
fermava, continuava, tutto in funzione di lui e di quella furia ben
presto destinata ad esplodere.
- Quella piccola illusa… - era sicuro che se
solamente si fosse voltato, l’avrebbe trovato ad un passo da
se con una lama puntata all’altezza del cuore.
- …destinata a morire per un vostro sbaglio. Per
l’ errore di uno di voi talmente debole da farsi catturare
come niente. – provò a sfidarlo, si
voltò per incrociare le iridi impenetrabili del suo
avversario e deriderle un’ultima volta. Farle divenire grigie
come quel fumo che lentamente aveva preso possesso di se e fargli
capire che era pronto a tutto pur di smuovere qualcosa dentro di lui.
Ma ciò che vide lo lasciò stupito.
Non stava reagendo, non stava facendo niente per impedirgli di vivere
al posto di quella ragazza ed inquinare ancora il loro mondo. Lui era
semplicemente immobile.
Continuava a fissarlo con quelli occhi sbarrati che più di
una volta in quei giorni gli avevano ricordato quelli di un bambino
spaurito. Ed allora si era ritrovato a chiedersi ancora ed ancora cosa
ne fosse stato del cacciatore di taglie, di quel demone
dell’est che tutti bene o male in quella base avevano finito
con il temere.
Avesse avuto coscienza di se, Trevor, avrebbe scorto il terrore in
quello sguardo, trovandovi probabilmente da solo la risposta. E
capendo, forse per la prima volta, che non era mai stato il timore di
perdere la propria vita a scuotere l’animo del compagno sino
a farlo vacillare.
- Meglio sacrificarla per il bene comune allora? Che gesto di nobile
carità, spadaccino… –
pronunciò quell’ultimo epiteto come se fosse
intriso di puro veleno.
Doveva per forza essere una questione di attimi, lui lo conosceva e
sapeva di cosa quel demonio potesse esser capace. Lui sapeva, come una
storia raccontata talmente tante di quelle volte da divenire una nenia
prolissa, che Zoro poteva diventare una delle persone più
pericolose che avesse mai visto in vita sua.
- Credevo che sapessi tirare fuori le palle al momento del
bisogno… evidentemente sei in grado di farlo solo quando
devi sbattertela, quella puttana. –
In un attimo lo vide ad un passo dal suo viso.
Erano talmente vicini che uno si rifletteva negli occhi
dell’altro. Sorrise soddisfatto.
Era riuscito nel suo intento.
Alla fine l’istinto aveva tirato fuori quella macchina per
uccidere che il compagno era sempre stato.
- Taci. – non era un’affermazione, non era una
richiesta. Solo un ordine.
Voce fredda e sguardo di ghiaccio.
- E non mi punti lo spadone contro? Avanti, idiota! Hai dimenticato
persino come si fa? -
- Vuoi la katana? Ti accontento subito. – in un attimo la
spada bianca, quella che in nome dell’amore Zoro non aveva
mai voluto stringere in mani che fossero intrise di sangue nemico, si
ritrovò a seguire la linea morbida del collo avversario.
Trevor la guardò con calma, troppa per uno che aveva una
lama puntata contro pronta ad ucciderlo.
- Adesso si che ti riconosco! – il suo tono si
sporcò di puro piacere nell’attimo in cui,
caricando il calcio, sentì la punta della Wado Ichimonji
sfiorare i lembi della sua pelle sollevandoli.
E quell’eccitazione, quei brividi di cui così
tanto si era voluto fare scudo nei secondi antecedenti allo scontro
parvero insozzarsi ancora una volta.
- Ben fatto, spadaccino! - provò ad incitarlo a parlare, ma
in quel momento non sarebbe stato capace di dire nulla.
Aveva lottato così tanto per liberare il demonio che
unicamente nel momento in cui lo sentì scalciare alle spalle
di quel ragazzo e scalpitare pur di prenderne il controllo, Trevor,
capì che oramai era troppo tardi.
L’aria gelida di Mihoy lo colpì in pieno in viso
mentre in una corsa sfrenata si lanciava contro le mura
dell’Iris. Gli sembrò quasi di vederla per la
prima volta e scosse la testa come se non fosse abituato ad anni ed
anni di quel freddo pungente.
Era strano come quella sensazione di nuova vita non l’avesse
ancora abbandonato…
- Soru. – le sue mani si strinsero con rabbia contro uno dei
tanti pilastri esterni dell’arena. Con un rapido movimento di
reni si portò in alto, sino a sfiorarne con il bacino la
cima.
La prima crepa si fece largo fra il marmo della torre, divellendolo ad
ogni centimetro guadagnato. La pietra si sgretolò
rapidamente, come un castello di carte al primo colpo di vento, e cadde
su se stessa accartocciandosi in un suono sofferto.
- Dannato, idiota! Stai distruggendo tutto! – una decina di
metri più in basso lo spadaccino scagliò un colpo
contro la seconda colonna portante.
Nulla di quel luogo sarebbe dovuto rimanere in piedi, non una sola
pietra sopravvivere ed osservare compiaciuta lo spettacolo del loro
massacro.
Il Governo aveva stabilito il proprio declino nello stesso momento in
cui li aveva schierati l’uno contro l’altro. E se
nella morte avrebbe trovato il proprio appagamento, lui
gliel’avrebbe fatta sputare a sangue, quella vittoria.
- Taglio della grande statua di Buddha! – un terzo ed un
quarto pilastro crollarono su se stessi, lasciando alle proprie spalle
unicamente una pallida nube di fumo. Zoro abbassò le spade e
rimase immobile, in attesa.
Sapeva che quei miseri colpi non sarebbero mai stati sufficienti anche
solo a rallentarlo. Lo sentiva nell’aria ancor prima che nel
fondo delle proprie memorie, così scarne ed atrofizzate
oramai da esser costretto a scavarvi con forza pur di riuscire ad
estrapolarne anche solo un ricordo piacevole.
Sorrise compiaciuto quando da quell’insieme di detriti e
polvere un’ombra parve levarsi maestosa.
I suoi passi erano lenti, calcolati. Le falcate, quasi impossibili da
scorgere aldilà di quella tempesta di sabbia, si scoprirono
ad aumentare impercettibilmente, in un movimento ignaro sebbene sempre
più veloce.
- Tutto questo casino… - lo scatto nervoso
dell’accendino si frappose fra il sussurro del biondo ed i
propri pensieri. La sua fiamma, unico lumino in quell’inferno
di terra, si impadronì senza alcun rispetto della paglia
accartocciata tenuta a stento dalle labbra tremanti di Trevor.
Lo spadaccino lo vide scuotersi ancora una volta, come un grosso cane,
e portarsi una mano alla spalla.
- …ed alla fine mi hai rotto solo il braccio. Che
scocciatura. - il suo sguardo cadde sulla mano del marine.
La testa di uno dei tanti metacarpali aveva perforato la pelle, dando
fieramente mostra di se da oltre quella coltre di sangue e polvere. La
carne era rovinata, tesa sino allo spasmo.
- Mi toccherà farmi la sgualdrina con una mano
sola a quanto sembra. – non lo vide neanche arrivare.
La velocità era sempre stata un suo marchio indistinguibile
del resto. Era il segno, il sigillo su quei corpi che abbandonavano la
vita in fretta. Uccideva sempre così, amava il suono che
produceva la katana quando penetrava nella carne di un avversario,
squarciandolo. Era un rumore privo di senso, ma a lui piaceva.
- Che bastardo… - eppure vi erano state volte in
cui quel suono aveva finito con l’esser stato soverchiato da
altro. Un sibilo soffocato scaturito dal dolore delle proprie vittime.
Erano state poche, forse unicamente due, le volte in cui Zoro non aveva
conferito alla potenza del suo primo colpo anche la forza
dell’ultimo dato. La prima era stata con il suo maestro,
quando in nome del ricordo di Kuina, non era riuscito a trovare la
forza di finirlo. Non l’aveva mai considerato un disonore.
La seconda era invece ancora immobile fra le sue mani, intrappolata fra
una parete lurida ed il suo corpo. Sentì un osso, forse una
costola, spezzarsi all’interno del torace del compagno e
piegarsi in un suono sofferto. Sanji urlò. Un urlo disumano,
disperato.
Cadde su se stesso quando la spada uscì da quel ventre
oramai sfregiato dai tagli, sibilando prepotente nell’aria.
Chiuse gli occhi rimanendo sospeso a mezz’aria, in bilico
unicamente grazie alla mano dello spadaccino.
- Non hai palle a sufficienza… pe… per fare tutto
in un unico colpo? - raramente aveva provato in tutta la sua
vita un dolore così atroce. Lo sentiva dentro di se, lo
sentiva suo mentre il respiro spezzato gli ricordava di essere ancora
lucido. Eppure a muoverlo ancora una volta, come un motore altisonante,
sentiva quell’odio sovrastare su ogni cosa e soverchiarla.
Farlo parlare e mettergli in bocca parole ancor più acide
del suo stesso sguardo.
- Smettila di dire stronzate. - le dita dello spadaccino
soppesarono con cura l’impugnatura della spada stretta
nell’altra mano. Con la coda dell’occhio scorse la
lama brillare di luce riflessa, al di sopra delle loro teste e
riflettere i cancelli dell’Iris.
Rimase immobile quando, oltre quella fitta coltre di algamatolite e
terra bruciata, riuscì a scorgere parte del molo, fuori
dagli scarni confini dell’arena.
- Sanji-kun!! -
Da lontano un grido parve riuscire a spezzare il cielo.
Il ghigno sulle labbra del biondo si spezzò lentamente
quando quella voce entrò prepotentemente dentro la sua
testa. Sentiva la sua presenza accanto a lui, la percepiva anche se
lontana, ma era difficile anche solo parlare. Cercò di
alzarsi, ma una nuova fitta lo costrinse ad inginocchiarsi su se stesso.
- Dovete andare… - mai una voce era stata cosi’
carica di disperazione, mai un dolore era stato urlato cosi’
forte.
- No. -
Poi silenzio, un silenzio denso e compatto. Tagliente.
- Non senza di te. - un silenzio rotto improvvisamente dal suono di
un’arma appena puntata.
Quella di Usopp.
Rimasero a scrutarsi, a guardarsi negli occhi per cercare di leggersi
dentro. Non era mai successo, non si erano mai guardati in quel
modo. Semplicemente loro non si guardavano affatto.
Ma quello che si chiama istinto fraterno alla fine aveva prevalso su di
loro, spingendoli a scrutarsi come mai avevano fatto in passato.
Sapevano che era tutto inutile, le loro intenzioni non sarebbero di
certo vacillate così facilmente. Ma si facevano ancora forti
di quei sentimenti, di quel dolore che sembrava averli spinti sino a
quel punto e condannati.
- Non lo ripeterò di nuovo: andatevene. – lo
scatto del grilletto marcò quelle ultime sillabe.
Era stato addestrato ad uccidere sempre e comunque, in qualsiasi
situazione senza nessuna differenza e nessuna possibilità di
sbagliare. Ed alla fine era cresciuto bene in quella culla di cinismo,
lo aveva indossato facendosene un vanto come una seconda pelle.
Capire quando le sue intenzioni sarebbero state veritiere e quando
invece semplici menzogne era una battaglia a cui i suoi compagni
avevano giocato spesso. E persino adesso, con un’arma di poco
più pericolosa di un giocattolo in mano, Sanji
capì che, alla fine, quella sfida ricorrente l’aveva
vinta ancora una volta lui.
Come sempre del resto.
- Non mi ucciderai. – sorrise come un bambino quando le
parole dello spadaccino lo raggiunsero in un unico sibilo, colpendolo
sino a sfiorargli le viscere.
Nonostante ne facesse la propria forza, non vi era sicurezza in quella
voce; nonostante i suoi occhi gridassero l’esatto contrario,
la presa attorno al suo collo si era scoperta ad aumentare, nel vano
tentativo di bloccarne qualsiasi movimento.
Nonostante avesse pronunciato ancora ed ancora il suo nome, nello
sguardo del biondo non aveva scorto nient’altro che mal
celato disinteresse. Un’ apatia sin troppo ben evidenziata
per pensare di poter anche solo appartenere al cuoco. Al loro
cuoco.
- Hai ragione, non ti ucciderò. – lo vide sbarrare
gli occhi confuso quando la canna della pistola cambiò
improvvisamente direzione.
- Una macchina per uccidere come te potrà sempre esser utile
a portare quella ragazza fuori di qui. Tuttavia… - le dita
si alzarono pigramente verso il grilletto in un movimento fluido - … mi chiedo se quell’idiota di un
cecchino potrà mai esservi d’intralcio durante la
fuga. - vide per attimo nello sguardo di Zoro il riflesso
della paura.
- Non sparerai. – la risata del biondo echeggiò il
tutta l’arena che in quel momento era immersa nel silenzio
più totale. Una risata, un ghigno indifferente, che
probabilmente serviva a nascondere lo stato d’animo che aveva
in quel momento.
- Non lo farò dici? Tutto ciò che voglio
è salvare quella ragazza, non mi importa in che modo. Non mi
importa al prezzo di quale vita. -
- Menti. Stai mentendo a te stesso, pezzo d’idiota!
– Urlò. Ma sapeva che le sue parole servivano solo
a farlo stare peggio, a sentirsi sempre più solo ed
incredibilmente vicino alla fine.
L’eco della sua voce si perse nell’ennesimo riso di
scherno del biondo, ridestandolo. Lasciò entrare quel suono
nella sua mente, quasi come se magicamente avesse potuto portare
assieme al rumore anche un po’ di ordine fra i suoi pensieri.
Ma nonostante tutto quel caos restava lì, fermo. In attesa di qualcosa che sembrasse non volere mai giungere.
- Paura, spadaccino? Tenerla nascosta non servirà di certo a
salvarli, lo sai… -
- Stai giocando con qualcosa più grande di te. –
- Tre… -
- Fermati! - ordinò con un tono duro e scostante. Voleva
sembrare forte, ma non ci riusciva. Aveva paura, troppa paura.
Per la prima volta ebbe paura della morte.
- Due… - lo guardò ancora una volta negli occhi.
Sperava ancora ingenuamente di riuscirvi a scorgere un bagliore di
lucidità fra così tanta follia. Forse voleva
trovare semplicemente il più piccolo particolare che gli
facesse rivedere anche per un solo attimo quel ragazzo che
così tanto si era divertito a denigrare in passato per le
proprie debolezze. Aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa, qualsiasi
cosa che gli impedisse di sprofondare nelle tenebre più nere.
Quelle stesse che così tanto gli aveva rimproverato e che
adesso sentiva tirarlo a se. Le sentiva, le poteva scorgere nitidamente
in quelli occhi neri come la pece e determinati, esattamente come i
suoi.
Se vi era qualcosa per cui si sarebbero potuti contraddistinguere era
il vuoto lasciato da una preghiera che altrimenti, in quelli dello
spadaccino, avrebbe urlato ancora ed ancora.
- Fermati… -
- Uno… - continuava a ripetergli che era sbagliato, che
nessuno di loro avrebbe meritato una cosa simile.
Neanche il cecchino che su una storia simile non avrebbe esitato un
solo attimo a ricamarsi un ruolo da eroe, per poi sminuirli nella prima
taverna di turno. Nessuno, nessuno di loro sarebbe dovuto morire.
Avesse avuto coscienza di se, Zoro, glielo avrebbe urlato sino allo
stremo. Lo avrebbe preso per quelle spalle sporche di sangue e
strattonato sino a fargli perdere i sensi. E neanche allora qualcuno
sarebbe riuscito a fermarlo ed impedire alle sue suole di sanguinare
tanta la forza con cui lo avrebbe colpito.
Neanche quel Dio che così tanto in passato aveva amato
diffamare e che adesso, dalla propria culla di pace, stava ridendo di
se.
- Hai fatto la tua scelta. -
Il colpo venne caricato in canna con uno scatto secco.
- Fermati! – ma nessun proiettile parve esser in grado di
partire.
Sanji non riuscì semplicemente a farlo perché il
suo ventre venne squarciato.
Le sue urla sembravano disumane e più urlava, più
Zoro affondava la lama. Non vi era esitazione nel suo affondo, non vi
era nient'altro che non fosse una rabbia talmente sorda da riuscire ad
ottenebrare persino il proprio animo. Uccidere il proprio fratello
è qualcosa destinata ad andare per principio contro natura.
E' una cosa piu' grande di te, semplicemente non ci riesci. La tua
mente forse potrebbe permettertelo, ma il cuore fermerebbe la tua mano
ancora prima che te ne rendessi conto.
Ma Zoro oramai era cosciente che di compagno, in quel ragazzo, non vi
era rimasto altro che un pallido riflesso. Talmente vacuo da non
permettergli quasi di riconoscerlo più.
Ed il suo spirito lo aveva accettato infine. Si era fatto forte di quel
peso sino a sentire le ossa spezzarsi ed ogni parte di, persino la
più esigua, tendersi sino allo stremo e maledirlo dal
profondo.
Lo aveva accettato nello stesso attimo in cui aveva deciso di ucciderlo.
- Spadaccino… - esattamente come per il suo
maestro sapeva di non dover avere rimpianti.
- Risparmia il fiato. –
Si allontanò con il suo solito passo mentre qualcosa dentro
di se aveva incominciato a gemere.
Lo poteva sentire indistintamente nonostante il caos
dell’arena; lo poteva sentire graffiare dentro il suo petto e
bruciarlo sin nel profondo.
Avesse potuto si sarebbe ben più che volentieri strappato
quel fottuto cuore e lanciatolo a chilometri lontano da se. Quello
stesso organo che batteva solo per ricordargli che era ancora vivo.
Di aver ucciso ed essere sopravvissuto.
- Marimo di merda… vuoi fermarti…? - i suoi passi
si arrestarono involontariamente.
Qualcosa di familiare aveva solleticato le sue orecchie. Qualcosa che
per troppo a lungo aveva voluto dimenticare per concentrarsi sul
proprio, di dolore.
- No… - eppure era sempre stato tutto così chiaro.
La verità l’aveva avuta in ogni singolo istante
sotto gli occhi, era stato solamente così cieco da non
volerla scorgere. Ad ogni insulto sussurrato a mezze labbra, ad ogni
offesa, ad ogni provocazione… vi era un abile burattinaio a
muovere i fili delle loro esistenze decidendo di volta in volta di
intrecciarli.
Vi era Sanji a condurre i passi incerti di Trevor ed il marine, a sua
volta, a dirigere i suoi in un balletto di guerra.
- Sanji! - lo chiamò, ma sapeva che sarebbe stato
inutile.
Ora sarebbe voluto tornare indietro e sistemare tutte le faccende
lasciate in sospeso, tornare indietro e non commettere gli stessi
errori.
Ma era troppo tardi, troppo tardi per tutto anche per pregare. Troppo
tardi anche soltanto per rivolgersi a quel dio, maledicendolo per non
aver osato fermare la sua mano.
- Hai fatto la tua scelta...- le sue ultime parole si persero in un vuoto troppo grande per poter
anche solo esser contenuto. Sfiorarono appena una pergamena stretta fra le dita del biondo, lasciandovi un simbolico alito di vita in memoria di se.
E mentre quel foglietto veniva stretto da mani rabbiose, mani assassine
perché ancora sporche di sangue fraterno, alle sue spalle i
bianchi cancelli dell’Iris erano oramai stati aperti…
- Per cosa saresti disposto a morire, Sanji? -
- Per salvare anche uno solo di voi. –
Il sangue non significa nulla, conta meno di niente in questo mondo.
Persino adesso che i miei vestiti ne sono intrisi ed il mio corpo
svuotato, riesco ancora a pensare a voi come una famiglia. Sto
sanguinando e vi ho salvati. Sto sanguinando e ti amo ancora.
Avevi ragione, Nami-san: in questa vita non potrebbe esistere niente di
più solido di questo.
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