A Promise (pt.1)
N.d.A. in fondo alla pagina.
Buona lettura!
A PROMISE
(Prima parte)
1
You only saw the dark side of me
Bring me back to my
reality
I have lost my belief
A
Ryoken era bastato un solo attimo per comprendere che quel ragazzo
intento a fissarlo con sguardo terrorizzato fosse diverso da tutti gli
altri, proprio come lo era lui. Gli era bastato davvero poco e forse
anche per quel ragazzo era stato così: aveva spalancato gli
occhi, mettendo ancora più in risalto quelle bellissime
iridi verde chiaro, e nel giro di poco dei brividi affamati si erano
impossessati di ogni muscolo del suo corpo, prendendone il controllo
completo.
Si era alzato in piedi barcollando e, tentando di proferire delle
parole che si frantumavano in gola e uscivano spezzate e
incomprensibili dalla sua bocca
(“mi dispiace, non volevo, spero di non averti privato di
così tanto tempo”)
gli aveva dato le spalle e se ne era poi andato via di corsa, stando
comunque bene attento a non urtare o anche solo sfiorare qualcuno.
Ryoken era rimasto senza fiato. In quel tiepido primo pomeriggio di
metà marzo, per la prima volta in tutta la vita non si era
sentito solo. E, sempre per la prima volta, si era anche sentito
compreso nonostante, paradossalmente, il ragazzo col quale si era
scontrato per sbaglio non avesse capito nulla di lui, tanto la paura
che aveva provato aveva preso il sopravvento — e come dargli
torto? Con un potere del genere, chiunque sarebbe fuggito via.
Quello che ignorava, però, era che Ryoken, a differenza del
resto del mondo, non aveva motivo alcuno di mandarlo via; anzi, con
ogni probabilità erano destinati a questo: a incontrarsi e
diventare l'uno il sostegno dell'altro e viceversa.
Sapeva già dove avrebbe potuto trovarlo: la divisa
scolastica blu che indossava indicava la sua appartenenza alla scuola
superiore di Den City e Ryoken ne conosceva l'ubicazione.
Ora non gli restava che attendere che il calendario si alleggerisse di
un altro giorno.
(E
il tempo scorreva inesorabile).
2
Yusaku
si barricò in casa con uno scatto veloce della chiave nella
serratura della porta. Poggiò la schiena contro quella
superficie liscia e dura e poi si accasciò a terra, con lo
zaino malamente adagiato tra le sue braccia, oggetto fortunato
poiché non era vittima della sua maledizione.
Rendendosi conto di ciò, in un moto di rabbia
(no, era disperazione)
feroce che doveva assolutamente sfogare, Yusaku lo scagliò
con mala grazia lontano da lui, soffocando a stento un grido che aveva
tutta l'aria di essere una supplica.
Si coprì il volto con le mani e iniziò a piangere
sommessamente, con il cuore che ancora batteva celere nella cassa
toracica e ogni muscolo del corpo scosso da tremori beffardi e
annichilenti.
Quanto tempo gli aveva tolto? Due settimane? Un mese?
Si era scontrato con quel ragazzo e subito dopo, essendo caduto a
terra, il contatto fisico si era immediatamente annullato, quindi
forse, nel migliore dei casi, gli aveva sottratto solo qualche
giorno… ma era comunque troppo.
Era sempre
troppo se anche il semplice sfiorare qualcuno significava privarlo di
un frammento di vita.
Quel ragazzo non lo conosceva, quindi non poteva saperlo, ma aveva
comunque intuito che qualcosa non andava, perché i suoi
occhi azzurri
(così chiari, limpidi e belli)
si erano spalancati in un moto di sorpresa, lo stesso sguardo col quale
chiunque tendeva a osservarlo prima che il disgusto si impadronisse dei
lineamenti del volto.
Yusaku non aveva avuto modo di osservare quel cambiamento sul viso del
ragazzo, ma era certo che fosse andata esattamente così. Se
solo il professor Zaizen non si fosse trattenuto più del
solito con la sua lezione, tutto questo non sarebbe mai capitato:
Yusaku sarebbe uscito in orario da scuola e non avrebbe avuto a che
fare con la ressa del primo pomeriggio, un vero e proprio coacervo
infernale che tendeva sempre a evitare con tutte le proprie forze e,
così facendo, non avrebbe avuto la vita di un'altra persona
sulla coscienza e avrebbe fatto ritorno a casa in tutta
tranquillità.
E ora, invece, si ritrovava a rimuginare su quanto accaduto e a
incolparsi di ogni cosa.
Lasciò che le lacrime gli rigassero il volto per minuti che
parvero ore e chiuse istintivamente gli occhi nella tetra speranza di
essere inghiottito una volta per tutte dall'oscurità.
3
Yusaku
pareva essere l'unico umano vittima di quella inspiegabile maledizione:
nel corso degli anni non erano emersi altri casi analoghi al suo e non
ne erano mai stati registrati prima della sua nascita. Yusaku era unico
al mondo, ma la sua unicità se la sarebbe volentieri
strappata di dosso se in cambio avesse ottenuto
l'opportunità di condurre una vita normale e tranquilla.
L'isolamento sociale lo stava distruggendo sempre più, senza
contare che gli sguardi duri come pietre da parte dei suoi compagni di
scuola gli provocavano un dolore lancinante al petto, come se una
creatura malvagia si divertisse a gettare ogni volta del sale sulle sue
ferite ancora aperte.
Yusaku non sapeva più cosa fare; era completamente solo,
perso e privo di qualsiasi punto di riferimento. Per lui era
già un miracolo aver compiuto sedici anni ed esserci ancora…
perché, in fondo, cos'altro avrebbe potuto fare nel corso
della sua tormentata esistenza se non arrancare e cercare quantomeno di
sopravvivere?
Quella notte, come era solito fare quasi sempre, si
addormentò abbracciando un cuscino, tentando di immaginare
cosa si provasse a sprofondare tra le braccia di un essere umano. Un
gesto che, purtroppo, sapeva nessuno al mondo gli avrebbe mai riservato.
4
Doveva
essere uno scherzo. Per forza, non poteva essere altrimenti; era
sicuramente in preda alle allucinazioni, non vi era altra spiegazione.
In quella nuova giornata di metà marzo, tiepida come la
precedente e forse anche leggermente più calda
(o
forse era solo il suo cuore a essersi un poco agitato)
Yusaku incontrò ancora una volta il ragazzo dagli occhi
azzurri.
Indossava una maglietta chiara a maniche corte e sopra una giacca
grigia, dei pantaloni anch'essi grigi e delle scarpe bianche. Il
ritratto dell'eleganza.
Ma la cosa più incredibile fu che non lo incontrò
per caso e in un luogo qualsiasi come potevano essere la piazza della
città o il centro commerciale ristrutturato da poco,
bensì all'uscita della scuola, quella che varcava sempre da
solo e che mai, neanche per sbaglio, l'aveva visto in compagnia di
qualcuno. A rendere il tutto ancora più straordinario fu il
fatto che quel ragazzo stesse aspettando proprio lui, difatti quando i
loro sguardi si incrociarono, alzò una mano in segno di
saluto e cominciò ad avanzare nella sua direzione.
Si udirono dei mormorii concitati intorno a loro, come una decina di
picchi che battevano con insistenza il becco contro la dura corteccia
di un albero, e Yusaku per primo ne avrebbe preso parte se non fosse
stato il diretto interessato di quell'evento fuori dal comune.
Dopotutto, era la prima volta che qualcuno si approcciava a lui con
così tanta naturalezza, come se non ci fosse proprio niente
di sbagliato nel fare ciò.
Forse quel ragazzo voleva chiedergli spiegazioni circa quanto accaduto
il giorno prima, o magari l'aveva già capito e voleva solo
urlargli contro di stargli alla larga, come già avevano
fatto diverse persone nel corso degli anni una volta aver realizzato la
portata della maledizione che gravava sulle sue fragili spalle.
Yusaku era ormai pronto e abituato a tutto, difatti chiuse gli occhi,
seguendo il suo più atavico istinto, pronto alla sfuriata.
Nei suoi riguardi non esistevano mezze misure: o la gente lo ignorava
al punto tale da fargli dubitare di esistere o gli urlava contro le
peggio cattiverie che lo portavano ad abbracciare il
desiderio di volatilizzarsi nel nulla e sparire una volta per tutte.
Per questo, quando ogni sua più funesta previsione non si
realizzò, non poté fare a meno di riaprire gli
occhi di scatto, sgranandoli quasi volesse portarli oltre il limite
consentito. Quel ragazzo... l'aveva
davvero invitato a pranzare con lui?
Il brusio che li circondava si fece ancora più insistente e
fu solo quando Yusaku cominciò a guardarsi intorno spaesato
che la folla prese a diradarsi via via sempre più, come se
chiunque avesse sbloccato un nuovo tipo di terrore dentro di
sé, ovvero quello di essere maledetto solo perché
il proprio sguardo incontrava il suo. Tutti tranne quel ragazzo, a
quanto pareva, il quale non si era mosso di un millimetro e anzi, era
in trepidante attesa di ricevere una risposta positiva da parte sua.
Yusaku deglutì una, due, tre volte prima di prendere parola.
«Scusa...» disse quasi in un sussurro.
«Credo di non aver capito. Potresti ripetere?»
Non ci stava facendo una bella figura, assolutamente no. Ma con ogni
probabilità aveva capito male e...
«Volevo chiederti se ti andava
di pranzare con me» ripeté il ragazzo, e un
sorriso candido gli incurvò le labbra sottili, rendendolo
ancora più attraente di quanto già non fosse.
Yusaku avvertì il terreno sparire sotto la suola delle
scarpe e l'aria tardò ad arrivargli ai polmoni.
«Io...» balbettò, abbassando lo sguardo.
“Hai idea di
cosa mi hai appena chiesto?”, avrebbe voluto
dirgli, o peggio, urlargli in faccia, prima di allontanarsi da
lì senza dargli l'opportunità di replicare.
Questo però era ciò che la parte razionale gli
stava suggerendo con impeto, una esuberanza sfiancante che stava
iniziando a infastidirlo non poco. La parte irrazionale della sua
essenza, invece, era un lago piatto e tranquillo, una voce morbida che
lo invitava ad accettare quella strana richiesta.
(Non
ti farà del male).
(E tu come fai a saperlo?)
(Lo so e basta).
«Ehm... sicuro di non aver
sbagliato persona?» tentò un'ultima volta, ancora
frastornato e col cuore a mille.
Il sorriso del ragazzo si allargò.
«Sicurissimo» rispose.
Yusaku arrossì lievemente. «Allora…
allora va bene».
5
I have lost the will to fly
With broken wings I
can't even try
I have lost my belief
Il
tragitto verso la destinazione misteriosa fu avvolto da un manto di
mutismo strano e anche un po' agitato — questo solo da parte
di Yusaku, però.
Non sapeva dove quel ragazzo volesse portarlo, ma a un tratto si
ritrovò a sperare che non si trattasse di un ristorante o
luoghi simili, perché gli si era improvvisamente serrata la
bocca dello stomaco. Anche solo un sandwich o un onigiri acquistato al
konbini sarebbero andati bene…
Mentre proseguivano nella loro camminata, Yusaku non poté
fare a meno di domandarsi come mai quel ragazzo desiderasse tanto
pranzare con lui. Voleva forse bombardarlo di quesiti circa la sua
condizione? Doveva forse esporre un progetto alla classe — a
proposito, chissà quale scuola superiore frequentava, o
forse era già uno studente universitario? —,
oppure voleva proporgli di intimidire qualcuno col suo potere
— e magari pagarlo per questo?
Accantonò immediatamente l'ultima ipotesi: non gli sembrava
proprio il tipo da abbassarsi a compiere un gesto tanto meschino. Ma in
fondo, che cosa sapeva di lui? Ignorava perfino il suo nome.
Era talmente ingarbugliato nel ginepraio che erano diventati i suoi
pensieri che a stento riuscì a udire l'unica parola che il
giovane pronunciò, un “Attento”
deciso e, al contempo, velato da una nota di spensieratezza. Si accorse
appena in tempo della coppia di ragazze che camminava nella direzione
opposta alla loro ed era in procinto di scansarsi per evitare di
rovinare la giornata
(o la vita intera)
di un altro essere umano quando sì, si scansò, ma
non come avrebbe voluto.
Il ragazzo l'aveva attirato a sé, stringendogli il fianco
con garbo, e Yusaku per poco non urlò. Sordo ai gridolini
eccitati delle due ragazze che avevano assistito alla scena un attimo
prima di proseguire nella direzione opposta — e che stavano
frattanto aggiungendo commenti riguardo un tipo di galanteria che
credevano ormai estinto —, non poté fare altro se
non concentrarsi su ciò che il suo corpo stava percependo,
un subbuglio di emozioni indefinibili che si diramavano impazzite in
ogni dove.
Lo stava toccando. Quel ragazzo aveva deliberatamente
scelto di toccarlo, attirarlo a sé e persistere in quel
contatto fisico che si stava imbrattando sempre più di
panico e terrore.
La sentiva, era ormai in atto: la maledizione che gravava sulle sue
spalle si stava cibando con voracità della vita di quel
ragazzo, banchettando senza sosta e sbavando ovunque. Avvertiva il
tempo che gli stava sottraendo insinuarsi dentro di lui, nelle vene,
schizzando poi al cervello ed esplodendo in un concerto di fuochi
d'artificio vermigli.
«Lasciami andare»
sussurrò con voce spezzata e pregna di agitazione.
Tentò di divincolarsi e porre almeno qualche passo di
distanza tra loro, ma invano: la stretta di quel ragazzo si era
accentuata e ora le dita della mano affondavano con maggior decisione
nel suo fianco.
«No, non credo che ti
lascerò andare ora» disse con
tranquillità, senza alcuna inflessione particolare nel tono
di voce. Pareva infatti non provare il minimo terrore nei confronti di
ciò che stava succedendo e anzi, sembrava volerne sempre di
più.
Fu lì che Yusaku cadde in un abisso di panico senza fine:
possibile che quel ragazzo desiderasse morire e avesse trovato in lui
la soluzione più rapida e ottimale? Con ogni
probabilità non aveva il coraggio di suicidarsi e lo scontro
accidentale che avevano avuto il giorno prima gli aveva aperto le porte
a una nuova prospettiva alquanto allettante.
Doveva staccarsi immediatamente, ormai non c'era più tempo:
gli aveva già sottratto abbastanza, forse una decina d'anni,
e quel ragazzo gli stava soltanto stringendo un fianco; se avesse
approfondito il contatto fisico, presto Yusaku si sarebbe ritrovato
nell'orribile posizione di dover sorreggere un corpo inanimato ormai
privo di vita.
Ma una cosa del genere non avvenne mai. Anzi, accadde l'esatto opposto
poiché fu Yusaku a vedere una porta aprirsi dinanzi a
sé.
(Qualcosa
di assolutamente incredibile e inaspettato).
(Tremendo e meraviglioso al tempo stesso).
6
Quando,
disgraziatamente, il contatto fisico con qualcuno tendeva a
prolungarsi, Yusaku era in grado osservare per brevi attimi alcune
reminiscenze legate a quella che era stata la vita della persona
toccata fino a quel momento. Ricordava, per esempio, prima che una
maschera di disgusto ne tramutasse i lineamenti del volto, il primo
appuntamento che una giovane dai lunghi capelli corvini aveva avuto col
senpai del terzo anno delle superiori che tanto le piaceva, oppure,
andando un po' indietro, del suo primo giorno di scuola media, oppure
ancora, avanzando sempre più all'indietro, la prima volta
che da bambina era salita su una bicicletta senza le due ruotine di
sostegno — era caduta malamente sul duro asfalto,
sbucciandosi le ginocchia, e aveva iniziato a piangere a dirotto.
Di una anziana signora, che dopo aver realizzato quanto accaduto gli
aveva dato del demonio con asprezza, rammentava invece il giorno in cui
tenne per la prima volta in braccio il suo nipotino, poi quando
assistette al matrimonio del suo unico figlio, quando lo
accompagnò a scuola il primo giorno delle elementari e
quando lo allattò al seno per la prima volta, in ospedale,
quando era ancora una ragazza che forse era diventata madre troppo
presto.
Non sapeva come mai ma, a quanto pareva, era anche condannato ad
assistere a degli squarci di normalità che lui non avrebbe
mai assaporato oltre che privare le persone di preziosi secondi
(ore,
giorni, mesi, anni)
di vita al solo tocco.
Tutto questo l'aveva portato a rifuggire il contatto fisico allo stesso
modo in cui i ragni fuggono impauriti alla presenza del basilisco: non
poteva fare altro se non scappare dinanzi a quello che era diventato il
suo nemico per eccellenza, qualcosa che sapeva di non poter
sconfiggere, un duello perso in partenza sotto tutti i punti di vista.
Per questo, nel momento in cui iniziò ad affondare nella
vita di quel ragazzo, Yusaku non poté fare a meno di
sorprendersi di quanto stesse andando a ritroso, senza più
riuscire a fermarsi. Vide albe e tramonti in città situate
dall'altra parte del mondo — ma non era questa la cosa
strabiliante, bensì il fatto che si trattasse di una Londra
del 1970 o di una Parigi del 1950 o di una Stoccolma del 1890
— e un susseguirsi di persone sempre diverse che avevano in
comune solo la vecchiaia che diveniva via via giovinezza e il tempo
andava indietro, indietro, indietro e quel ragazzo però
rimaneva sempre uguale, uguale, uguale.
Yusaku assistette inerme a dolorosi addii che si tramutavano in buffi
primi incontri, a sguardi pregni di compassione, quella che nessuno gli
aveva mai riservato, e a lacrime versate in silenzio nel tentativo di
mantenere intatta una forza d'animo che vacillava e scricchiolava.
Iniziò a unire i tasselli di quell'intricato puzzle tra
loro, cercando di avvicinarsi sempre più alla triste
verità: possibile
che quel ragazzo fosse…?
Proprio nel momento in cui era in procinto di dare un nome a quel
concetto che tanto lo frastornava, il giovane spezzò il
contatto fisico tra loro, e Yusaku ripiombò bruscamente
nella realtà del presente. Impiegò qualche
istante a riprendersi e, nel momento in cui alzò lo sguardo
per incontrare gli occhi azzurri dello sconosciuto, per la prima volta
da quando aveva compreso di essere maledetto fu accolto da
un'espressione assolutamente tranquilla e cordiale, come se fino a
pochi istanti prima non fosse accaduto proprio nulla. Ancora
più incredibile fu il fatto che quel ragazzo pareva essergli
addirittura grato.
«Ti ringrazio» disse
infatti con un sorriso. «Ora va molto meglio».
E Yusaku, per la prima volta in tutta la vita, provò
qualcosa all'altezza del petto che non fossero dolore e rassegnazione;
qualcosa di impronunciabile al quale ancora non voleva dare una forma
per timore che svanisse nel nulla in un concerto di bolle di sapone.
7
«Prometti di non scappare mentre ti do le spalle?»
Yusaku si imbronciò appena, provando un vago senso di
imbarazzo che si riflesse sulle gote velatamente arrossate.
«Hai la mia parola»
borbottò, distogliendo lo sguardo.
«Ottimo, allora intanto puoi
prendere posto. Non ci metterò molto».
«D'accordo».
Si sedette a uno dei tavolini più distanti, in modo da
evitare di attirare l'attenzione — di certo non avrebbero
discusso di cose ordinarie come un film da vedere al cinema nel
week-end o quanto fossero belle le scarpe sportive in vendita nel nuovo
negozio che aveva recentemente aperto al centro commerciale —
e attese, con una punta di agitazione frammista a impazienza che gli
strisciava sottopelle.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e constatò
che generalmente a quell'ora — verso le due del pomeriggio
— fosse a casa già da un po', al riparo tra le sue
quattro mura, senza più correre il rischio di diventare un
pericolo per gli altri. E invece ora si trovava all'aperto, seduto a un
tavolino in attesa che un ragazzo del quale ignorava perfino il nome
arrivasse con il pranzo per entrambi.
(Roba da tutti i giorni, no?)
Si guardò intorno e si perse a osservare il
viavài di persone che volgevano in ogni direzione, il
chiacchiericcio insistente, profumi indistinti e al contempo invitanti
che giungevano da lontano e poi puntò irrimediabilmente lo
sguardo verso quel ragazzo che, in quel momento, stava attendendo con
pazienza che il vassoio si riempisse con tutto ciò che aveva
richiesto per poi prendere posto di fronte a lui.
Yusaku non era mai stato al Café Nagi, ma sapeva che quel
furgoncino dai colori caldi e chiari che si spostava per tutta la
città vendeva soprattutto hot dog e lui li mangiava
volentieri, quindi era anche felice di trovarsi
lì… ma come doveva interpretare quell'invito a
pranzo?
Era questo ciò che più lo impensieriva, e se da
una parte non vedeva l'ora di scoprirlo, dall'altra sperava che quel
ragazzo prendesse posto di fronte a lui il più tardi
possibile, in modo tale da concedergli un altro po' di tempo per
crogiolarsi nella fioca illusione che tutto sarebbe andato per il
meglio.
8
Sul
vassoio era accuratamente riposto il doppio di tutto: due confezioni di
cartone contenenti un hot dog a testa, due vaschette sempre di cartone
colme di patatine fritte, due lattine medie di soda e due taiyaki
riposti l'uno sopra l'altro nelle loro confezioni di plastica che
ricordavano vagamente la forma di un pesce. Era un pranzo semplice,
pregno di grassi e calorie, eppure era il più bello che
avesse mai visto e il più buono che avesse mai assaporato.
Fino a quel momento, Yusaku non aveva mai saputo cosa si provasse a
condividere parte del proprio tempo con qualcuno: era sempre stato un
muto spettatore delle vite altrui che, relegato a una distanza di
sicurezza, non poteva fare altro se non immaginare come sarebbe stata
la sua esistenza se non si fosse rivelato un pericolo per gli altri. E
fino a quell'istante non era mai riuscito a colmare il vuoto che
provava dentro di sé poiché le fantasie venivano
perennemente spazzate via da folate di vento che lo distruggevano ogni
giorno sempre più
(l'indifferenza
altrui nei suoi confronti, le occhiatacce, le parole che avevano lo
stesso effetto del morso di uno squalo)
e che gli ricordavano con morbosa insistenza che non c'era posto per
lui in un mondo in cui la vita bisognava toccarla con mano.
Sentì di aver ottenuto una piccola rivincita ed era
intenzionato più che mai a tenersela stretta.
«Come ti chiami?»
domandò, arrossendo subito dopo in quanto la sua voce si era
unita a quella del ragazzo che gli stava di fronte nel pronunciare la
stessa, identica frase.
«Prima tu» gli disse
questi con un sorriso candido, e Yusaku, mentre articolava il suo nome
quasi in un sussurro, si perse per qualche attimo nell'incurvatura di
quelle labbra sottili.
«E tu?» chiese poi,
come se si fosse appena ridestato da un bel sogno.
«Ryoken».
(E
in fondo, a essere onesto, quel nome suonava proprio come un bel sogno).
9
«Ciò che è successo prima…
cos'è stato?»
Aveva finalmente trovato il coraggio di porgli quella domanda, di
rendere concreta quella situazione e di uscire, anche se molto a
malincuore, dal bel sogno a occhi aperti che era stato l'intero pranzo.
Il sapore del cioccolato contenuto nel taiyaki permeava ancora sulla
sua lingua.
«Penso che tu l'abbia
già capito» rispose Ryoken con calma.
«Credo di
sì…» sussurrò Yusaku,
abbassando un poco lo sguardo. «Però è
davvero strano. Com'è possibile che…?»
«Sono secoli che me lo
domando e ancora non ho trovato una risposta».
Secoli. Era
assurdo pensare che Ryoken li avesse vissuti per davvero, ma
ciò che Yusaku aveva visto nel momento in cui si erano
toccati ne era una prova inconfutabile.
«Anche se»
proseguì Ryoken, allungando una mano nella sua direzione,
«forse oggi ho finalmente trovato un punto di
inizio».
Yusaku sussultò nel momento in cui la mano di Ryoken
sfiorò la sua e, d'istinto, la ritrasse velocemente. Ryoken
sorrise ancora una volta.
«Non aver paura,»
gli disse con un tono di voce che voleva essere rassicurante,
«lascia che si nutra. A differenza delle altre persone, a me
non fa del male».
«E se poi ne volesse sempre di
più?»
«E se invece dovesse saziarsi?»
Yusaku guardò Ryoken come se quest'ultimo avesse iniziato a
parlare in una lingua arcana e sconosciuta.
«In tutti questi anni non ha
mai dato segno di essere in grado di saziarsi» rispose con
una punta di disprezzo nel tono di voce.
«Questo perché hai
sempre fatto del tuo meglio per evitare il contatto fisico»
spiegò Ryoken. «Di conseguenza, più le
neghi il suo nutrimento, più lei diventa affamata. L'ho
percepito quando ci siamo toccati: pare davvero disperata. Per questo
non posso fare a meno di domandarmi: se provassi a darle ciò
che vuole… non credi che ti lascerebbe in pace?»
Yusaku non ci aveva mai pensato ma, a dirla tutta, se anche l'avesse
fatto, con ogni probabilità la parte pessimista della sua
persona avrebbe preso il sopravvento e non l'avrebbe considerata una
soluzione plausibile. Però
quelle parole le aveva pronunciate Ryoken. E dette da lui
non poterono che sortire un effetto distensivo sul suo intero corpo,
come se Yusaku le avesse attese una vita intera
(e
in realtà era proprio così).
Alla fine, sempre accompagnato da un pizzico di incertezza,
poggiò nuovamente la mano sul tavolo e Ryoken la
sfiorò un'altra volta ancora.
La sgradevole sensazione di star privando un altro essere umano di
giorni
(settimane,
mesi, anni)
importanti di vita persisteva ancora, ma Yusaku non si ritrasse,
decidendo invece di proseguire con quel contatto che si stava pian
piano aprendo un varco in quel coacervo informe di dolore, portando con
sé tanta benevolenza.
Lasciò che Ryoken gli carezzasse con garbo il dorso e che
poi gli voltasse la mano per cominciare a tracciare dei piccoli
sentieri sul palmo, come se si fosse improvvisato un chiromante alle
prime armi e avesse deciso di leggergli il futuro
(chissà
quale linea stava studiando silenziosamente in quel momento).
(Quella della saggezza? O forse era quella del destino?)
Non ebbe tempo per rifletterci su: più il contatto fisico
persisteva, più entrava nell'esistenza di Ryoken, come se si
trovasse al cinema e avesse scelto di vedere un film che mostrava tutto
ciò che il ragazzo aveva vissuto nel corso dei secoli. Si
sentì partecipe e coinvolto in qualcosa che non gli
apparteneva, assistette ancora una volta ad albe meravigliose e
tramonti mozzafiato in città che non aveva mai visitato e in
epoche in cui non era ancora nato. Provò il forte impulso di
rendere quella vita straordinaria la coperta con la quale si sarebbe
coricato a letto quella notte, come se in realtà non pesasse
tanto quanto mille macigni e fosse, invece, la sola cosa che gli
avrebbe permesso di andare avanti un altro giorno ancora.
Per la prima volta se ne fregò delle conseguenze che un
contatto fisico troppo prolungato con qualcuno portava con
sé e non badò alla maledizione che si ingozzava e
strozzava nella sua stessa ingordigia. Per la prima volta si
sentì così
bene che quando Ryoken pose fine a tutto ciò,
Yusaku provò qualcosa direttamente proporzionale a tutto
quel benessere che aveva accumulato: disperazione.
«Non… non credo che
sia ancora sazia» balbettò, cercando di non
lasciar trasparire l'imbarazzo che, beffardo, si era comunque
manifestato vistosamente sulle gote.
«Lo so»
concordò Ryoken, divertito. «Ma per il momento
credo sia meglio fermarci qui».
10
Ryoken
si era offerto di accompagnarlo a casa e Yusaku aveva accettato senza
farselo ripetere due volte. E fu proprio durante quella passeggiata,
mente erano intenti a parlare del più e del meno, che ci fu
un altro evento straordinario: un bambino delle elementari, con una
cartella tre volte più grande di lui issata sulle piccole
spalle, era intento a correre con fare goffo nella direzione opposta
alla loro e sarebbe rovinato malamente a terra se Yusaku non lo avesse
sorretto con prontezza.
Ryoken non disse nulla, lasciando a Yusaku il tempo di arrivarci da
solo. E quando ciò accadde, per poco non lasciò
andare il bambino quando ancora stava cercando di risollevarsi a dovere
— e in quel caso sì che sarebbe caduto a terra,
completamente affossato dal peso di quello zaino dall'aspetto di un
possente macigno nero come la pece.
Il cuore di Yusaku perse una decina di battiti, uno dietro l'altro.
Perché Ryoken non era intervenuto? Dopo tutto il bene che gli aveva
fatto era improvvisamente diventato sadico e aveva deciso di rovinargli
la giornata prendendo di mira quel bambino che non c'entrava nulla?
Pensava che fosse una cosa divertente da fare?
Yusaku era in procinto di dire qualcosa di molto cattivo quando il
bambino puntò lo sguardo su di lui e un dolce sorriso si
proiettò sul suo volto un poco arrossato.
«Ehm…
grazie!» esclamò, tornando ad assumere la
posizione eretta.
Ricominciò a sgambettare nella direzione opposta alla loro
e, subito dopo, Yusaku si voltò verso Ryoken.
Aprì bocca più e più volte, senza
però riuscire ad articolare alcun suono. Era esterrefatto.
Quando poi comprese che Ryoken sapeva
non sarebbe accaduto nulla con quel bambino — a quanto pareva
la sua vita aveva placato la maledizione, almeno per il momento
—, si vergognò talmente tanto di aver pensato male
di lui che iniziò a camminare con passo celere verso casa
senza prestare attenzione alla voce di Ryoken che lo chiamava con
insistenza.
Quando giunsero a destinazione — Ryoken era riuscito a
colmare la distanza che li separava in poche falcate nonostante Yusaku
camminasse spedito —, ci fu qualche attimo di esitazione da
parte di entrambi, come se nessuno dei due volesse compiere il primo
passo per porre fine a quell'incontro. Fu Ryoken a farsi avanti, anche
se a malincuore.
«Ti ringrazio per la
compagnia» disse, e non fece in tempo ad aggiungere altro
poiché Yusaku, colto da un impeto di coraggio che non
credeva di possedere, parlò a sua volta.
«Possiamo
rivederci?» chiese tutto d'un fiato, con le gote che avevano
improvvisamente preso fuoco.
Ryoken non poté fare a meno di sorridere. «Stavo
per chiedertelo io» ammise, e Yusaku arrossì
ancora di più. «Certo che possiamo rivederci.
Tutte le volte che vorrai».
E Yusaku, questa volta, riuscì a fermarsi in tempo,
perché qualcosa gli era esploso all'altezza del petto e se
non l'avesse domato avrebbe risposto con una sola parola dalla potenza
di mille soli: “Sempre”.
• Questa mini long (che
all'inizio doveva essere una One Shot) me la porto dietro ormai da un
anno.
Mi è venuta
in mente pensando a un prompt della Everybody
Needs A Hug Challenge
del mio forum, Siate
Curiosi Sempre,
anche se poi 1) come mio solito ho iniziato a scrivere troppo e quindi
essendo diventata una mini long è fuori gara e 2) il prompt
che avevo scelto è andato in una direzione e io in un'altra,
quindi diciamo che rimane poco e niente di quello che avevo in mente
all'inizio.
Ma va benissimo
così perché questa versione mi piace tantissimo e
spero possa piacere anche a voi.
• Non posso non citare A
Promise dei
Dead by April, perché se non fosse stato per questa
meravigliosa canzone, la storia sarebbe risultata incompleta, almeno
secondo me.
Tra l'altro, questa
canzone è la mia preferita in assoluto, del tipo che se mi
dovessero chiedere “qual è la tua canzone
preferita nella vita?” io direi proprio questa.
La amo con tutta me
stessa e non vedo l'ora di inserire il ritornello nella seconda parte
della storia.
• Cosa ne pensate delle
maledizioni che affliggono Ryoken e Yusaku?
All'apparenza sembra
solo Yusaku quello maledetto, ma anche Ryoken, costretto alla vita
eterna, non se la passa certo meglio.
Il loro incontro
è davvero frutto del caso, secondo voi?
Fatemi sapere, se vi
va.
• Dovrei aver detto tutto.
Vi ringrazio per
essere arrivati fino a qui.
M a
k o
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