Spawn the crusader
E rieccomi! Mentre mi spremo quei pochi neuroni che mi restano per
tentare di mettere insieme un cap 30 per il Signore dei Kunai, mi sfogo con una
piccola one-shottina ^_^ E' tratta da Spawn, un
personaggio non molto conosciuto, uno dei pochi che si può arrogare il diritto
di essere un Supereroistico-Horror. E parlo per esperienza personale
<__<"
Il personaggio preso di mezzo quindi NON è uno facile, soprattutto
come contesto. C'è un motivo per cui questa storia è a rating Arancione. Ho
tentato infatti di riprendere il fumetto, di esserci quanto più possibile fedele
in termini di tratto, non di storia, perchè la storia del fumetto non ha nulla a
che fare con la mia, quindi mettetevi il cuore in pace che non spoilero
assolutamente nulla u__u
Altresì mi ritengo in dovere di avvertire che: 1- è una storia
estremamente sanguinosa, come lo è anche il fumetto, e 2- è anche irriverente,
tanto quanto lo è il fumetto, riguardo la religione. Chi ha mai letto Spawn sa
di che parlo <__<
Non ho altro da dire se non: buona lettura! ^^
Spawn: The
Crusader
Quel giorno il deserto dava il
meglio per rendere un vero inferno la traversata dei cavalieri che da Damasco
avevano intenzione di raggiungere i piccoli abitati che componevano la campagna
circostante della città.
Seconda o terza crociata, Harald non
ricordava. Ricordava ormai solo il sole e il vento bollente sul suo volto.
Sapeva solo che finalmente quel re inglese, Cuordileone come si faceva
arrogantemente chiamare, aveva conquistato Damasco.
La cotta di maglia era una tortura, così
come anche l’elmo e i gambali e i guanti d’arme, il sole li rendeva roventi,
suscitando subito un gran disagio. Ma Harald era un veterano e un esperto,
conosceva quel malessere e sapeva come combatterlo: foderando la zona fra
metallo e pelle di stoffa e cuoio, il dolore si riduceva di molto.
Ma quel giorno il clima di quei luoghi
stava dando il peggio di sé: la sua compagnia composta da dodici cavalieri,
trenta fanti, e un tot di arcieri si stava trascinando avanti a fatica, oppressa
dagli usberghi e dalle maglie di ferro. Lui stesso, oppresso da quel clima
implacabile aveva avuto un paio di allucinazioni in cui gli era parso di
rivedere le nevi della Norvegia, la sua terra, dove lo stavano aspettando un
podere, una bella moglie piacente e una cantina piena fino all’orlo di idromele
speziato.
Fermò all’improvviso il cavallo, tirando
le redini e alzando una mano –alt!- disse, ad alta voce –accampiamoci lì-
aggiunse, indicando poco lontano un’oasi. Da lì era possibile distinguere un
placido laghetto e un’ampia macchia d’ombra formata dalle palme.
-Sia lodato Gesù Cristo!- esclamò il
portabandiera, molto più sofferente di Harald. Diramò gli ordini e subito la
colonna di guerrieri si dispose lungo le rive del laghetto, correndo e
schiamazzando, entusiasti della fonte di refrigerio che il loro capitano gli
aveva appena fatto trovare.
Ma Harald provava solo disgusto: non era
giunto fin lì per fermarsi in un’oasi, aveva una missione da compiere, per
quanto insignificante che fosse.
Dal vescovo di Damasco e con la
benedizione di re Riccardo aveva ricevuto l’ordine di “ripulire” la campagna
circostante dei cosiddetti infedeli. Chiunque non credesse nel Signore e in Gesù
Cristo doveva subire una morte lenta e dolorosa per scontare il peccato della
sua assurda eresia.
E Harald giudicava tale missione una
perdita di tempo e risorse. Lui non doveva, non voleva essere lì, fra quei
peccatori di poco conto! Le vere eresie, i veri peccati si trovavano nei
potenti, non nei miserabili che non meritavano più attenzione del fango sui suoi
stivali.
Era stanco di essere sfruttato come
spazzino della Cristianità, lui sognava grandi battaglie e bagni di sangue in
mezzo a cavalieri corazzati, e picchieri, e fanti, e arcieri, non contadini,
donne e bambini. Le razzie e gli stupri, per quanto divertenti e svaganti, dopo
un po’ diventavano monotoni.
No, lui credeva davvero nel Signore.
Credeva davvero che ammazzando e massacrando infedeli, per quanto indifesi e
deboli fossero, avrebbe avuto un posto sicuro in Paradiso. Ne era sicuro, non ne
dubitava, la sua fede era di granito, e proprio per questo motivo si è unito ai
Templari, anche se dopo la disfatta di Gerusalemme accaduta anni fa, erano in
pauroso declino. Per tale motivo, pensava di essere uno degli ultimi Templari in
Terra Santa, ma portava ancora con orgoglio la sua bianca armatura rosso
crociata e i gradi che si era guadagnato col sangue versato di centinaia, anzi
migliaia di infedeli. Per i suoi uomini era quasi una leggenda.
Da questi pensieri lo riscosse un grido.
Stava legando soprappensiero il suo cavallo, quando lo sentì, ben conosciuto, il
grido di un uomo ferito a morte. Si voltò di scatto, e un gelo conosciuto,
quello della battaglia, gli si iniettò nelle vene.
Dalla riva opposta si erano schierate tre
file di arcieri moreschi, intabarrati nelle loro scure e lunghe vesti, fra le
mani i loro archi corti che stavano distribuendo morte fra i suoi uomini. Molti
infatti, presi dall’entusiasmo si erano spogliati e stavano facendo il bagno,
quei cretini figli di vacca.
-Alle armi! Ci attaccano!!- Harald sentì
urlare, mentre egli stesso stringeva le cinghie dell’elmo sul suo capo ed
estraeva la spada. Imbracciato lo scudo, si lanciò verso i mori seguito da uno
sparuto gruppetto di fanti che avevano avuto l’accortezza di non liberarsi
dell’armatura.
-Avanti, contro il nemico! Ammazzate quei
cani!- li incitò, alzando la spada verso l’alto –Dio lo vuole!- una freccia volò
verso di lui, ma la intercettò alzando il suo scudo rosso crociato, ove si
infisse. Tutto intorno a lui, cavalli e uomini morivano sotto il fuoco serrato
dei saraceni, in laghi di sangue, alcuni vestiti, alcuni ancora nudi, con gli
occhi vacui aperti per la sorpresa.
-Gli scudi sopra la testa, branco di
cretini!- urlò comandi verso i suoi, tentando di ostacolare i dardi mortali dei
suoi nemici. Tutto il suo contingente di arcieri era già stato annientato,
rimanevano solo lui e quel gruppetto di guerrieri che si portava appresso.
Poteva vedere i mori indicarlo, indicare il suo scudo, le sue vesti, additarlo
per bersagliare lui più di tutti gli altri. Altre tre frecce si infissero con
schiocchi sonori sul suo scudo levato.
-Tu!- urlò verso un ragazzetto di non più
di vent’anni –in qualità di Templare e Cavaliere di Norvegia al servizio di
Riccardo Cuordileone, ti nomino sergente!- il ragazzetto spalancò gli occhi
sconvolto e sorpreso –prendi questi uomini e portali via! Io li tratterrò!- gli
ordinò ancora, facendogli gesti eloquenti con la spada. Tre uomini ancora
caddero, sotto la pioggia serrata di dardi neri.
-Ma.. capitano.. noi..!- tentò di
protestare il ragazzo.
-Non discutere, sciocco idiota figlio di
cagna! La vita di trenta infedeli non vale quella di un solo cristiano! Quindi-
tenendo lo scudo dietro di sé, infisse la spada nel terreno morbido e con la
mano libera prese il colletto del ragazzo, ringhiandogli a tre centimetri dal
viso –porta subito via questi uomini! Sono un Templare e se non esegui subito
gli ordini potrei pensare che tu adori la sozza divinità di quei cani neri!-
mollò il colletto dell’usbergo di maglia del ragazzo, indicandogli con la mano
libera un sentiero –di là, adesso! Andate, rognosissimi bastardi!-
Con un gesto rabbioso, estrasse
nuovamente la spada dal terreno. Ormai il suo scudo era quasi totalmente coperto
di frecce, e faceva fatica a sostenerlo. Ogni altra freccia che si infiggeva
sulla sua protezione equivaleva a un doloroso brivido lungo il braccio.
Sul suo volto barbuto si dipinse un
sorriso soddisfatto mentre quel piccolo contingente di soldati che era riuscito
a salvare si allontanava lungo un sentiero coperto. Le maledette frecce nere di
quei cani moreschi non riuscivano a raggiungerli.
-Figli del Diavolo! Siete nati come
codardi, e da codardi mi ucciderete, sempre che ci riusciate!- li insultò Harald
da dietro il suo scudo. In risposta, una freccia valicò la sua difesa,
trapassandogli una gamba.
Il templare cadde in ginocchio, col
sangue che copioso scorreva fuori dalla ferita, insozzando la sua candida
veste.
-Maiali siete e maiali restate! Cento
frecce e una sola ferita! Fate schifo, lo sapete!?- li insultò ancora, mentre
tentava disperatamente di resistere dietro lo scudo, che per il peso ormai
insopportabile poggiò a terra. Il braccio con cui lo reggeva tremava dal dolore
e dallo sforzo.
Tenendolo in equilibrio, tentò di
rannicchiarvisi dietro, ma la sua speranza di sopravvivere era vana: dallo
stesso varco da cui i suoi uomini erano fuggiti, vide avanzare al galoppo un
gruppo di arcieri a cavallo, avvolti tutti in ampie vesti scure, puntando i loro
archi su Harald.
Prima che potesse fare qualunque cosa,
tre frecce gli trafissero le braccia e una quarta gli trapassò il torace
all’altezza del polmone destro.
Il fiato gli mancò all’improvviso, mentre
cadeva all’indietro come una bambola rotta, le sue armi che cadevano a terra
prive della sua ferma mano che le impugnava.
Per un attimo fu pace, niente frecce,
niente mussulmani, niente nemici, niente sangue.. ma il sangue c’era, dalle sue
numerose ferite ne scorreva parecchio che ormai aveva formato una larga macchia
sotto di lui.
Fu allora che lo vide.
Al limitare dell’oasi vi era un uomo
vestito con un ampio e lungo saio bianco, abbastanza lungo da non vederne i
piedi. Forse era un monaco di qualche ordine, fu per questo che con voce
impastata nel sangue esalò –vattene.. i mori..-
-Oh, non mi preoccuperei per loro- disse
il monaco bianco, con voce noncurante –ora stanno spogliando i cadaveri dei tuoi
ex-commilitoni-
Harald strizzò gli occhi: un attimo prima
quel bianco monaco era sul limitare della selva dell’oasi, ora era inginocchiato
al suo fianco.
-Ma.. ma.. cosa..?- non riusciva a
parlare bene, e l’emorragia continua gli stava togliendo pian piano le
forze.
-Eh già, sembrano proprio averti
dimenticato- continuò l’apparente monaco, con aria indifferente e divertita.
Harald vide che aveva la pelle bianca e pallida, come quella di un nobile,
capelli neri come l’ala di un corvo, e dei piccoli baffetti, come erano usi i
nobili francesi. E dagli occhi vedeva trasparire divertimento e noncuranza.
-Tu.. i mori.. tu.. scappa..- biascicò
Harald, tentando vanamente di rialzarsi.
-Ssh, fermo, amico mio, non sprecare
vanamente le tue forze- lo consolò con finta aria dispiaciuta. Anche nello stato
pietoso in cui si ritrovava, Harald avverti che il monaco era tutt’altro che
dispiaciuto della sua morte. E solo ora notava un’altra cosa: i mori non avevano
dato segno di averlo visto, per loro quel bianco sacerdote era invisibile.
-Sei.. sei la morte..?- biascicò ancora
il templare, guardando terrorizzato oltre il dolore quell’uomo bianco vestito.
In risposta, l’uomo rise, una risata
acuta e divertita, come se prendesse in giro l’uomo morente che aveva affianco
–no, non sono la morte, posso però affermare che quando appaio qualcuno muore-
un sorriso sadico e malevolo apparve sul suo volto. Molte volte Harald aveva
visto quel sorriso quando trattava con re, regine e mercanti. Un rivolo di
sudore scese lungo la tempia.
Stava mercanteggiando la sua anima.
-Beh, prima che tu muoia, vorrei
informarti: mi chiamo Mammon e rappresento il demone Malebolgia, signore
dell’ottavo cerchio- Harald trasalì. Nello stato in cui era, credere che aveva
davanti agli occhi un demone non era affatto difficile.
Senza aspettare una replica dal templare
morente, Mammon continuò –vedi, io recluto guerrieri per le armate infernali, e
tu, amico mio, saresti un Hellspawn perfetto..- il tono del bianco monaco era
lento, caldo, suadente, con una nota di indifferenza che lo rendeva quasi
ammaliante, irresistibile -..infatti sei feroce, brutale, spietato, una vera
macchina fabbrica morte- Mammon guardò l’uomo morente come un padre che osserva
il figlio dormire –insomma, per farla breve, tu giuri fedeltà eterna al mio
signore Malebolgia e in cambio esaudiremo il tuo desiderio. Semplice no?-
terminò di dire l’uomo in bianco.
Harald scosse il capo, alcune lacrime e
gocce di sudore scendevano dai suoi occhi e dalle tempie –mai.. non accetterò
mai..- mormorò appena. Sentiva che la morte lo stava reclamando –sei un demone,
un rifiuto del Nostro Signore.. mai..-
L’ampia risata acuta e divertita di
Mammon gli perforò i timpani –Nostro Signore! Eppure è proprio a causa di questo
tuo Signore che sei a terra, sanguinante, morente, è a causa di questo tuo
Signore che il tuo intero battaglione è stato massacrato fino all’ultimo
uomo!-
-No!- esplose in un impeto di grido. Un
getto di sangue gli uscì dalla bocca, alto, per ricadere sul suo volto. Dalla
riva del laghetto dell’oasi, un arciere mussulmano si alzò ed estrasse un
pugnale. A passi lenti, iniziò ad avvicinarsi.
-No..- disse ancora, la voce ridotta a un
sussurro inconsistente –si.. si sono salvati.. i più giovani.. i migliori..- lo
disse con un sorriso, come se fosse fiero della sua impresa.
-Davvero?- disse Mammon, con un mormorio
velenoso. Con delicatezza voltò la testa dell’uomo verso il gruppo di mori che
costeggiava il laghetto. Sulla sella di uno dei loro cavalli vide la testa del
ragazzo da lui promosso sergente qualche momento prima.
-Siamo sinceri, questo tuo “Signore”..-
l’uomo in bianco mise enfasi nella parola, come se fosse qualcosa di putrido e
insignificante -..pensi davvero che ti lascerà fare giustizia? No, ti accoglierà
e ti relegherà a qualche incarico d’ufficio, tipo spazzare il pavimento al cielo
di Saturno.. ma io invece ti offro potere e forza per perseguire i tuoi
obiettivi!- la voce del candido uomo si insinuò come un serpente nella mente già
vinta di Harald -..Dio, Satana.. che valore vuoi che abbiano? Non capisci che è
l’umanità a detenere il vero potere? Che sei tu la forza e non loro? Abbraccia
Malebolgia, diventa Hellspawn, e ti garantisco che farai scorrere ancora
moltissimo sangue mussulmano!-
Bastarono quella ultime parole a sancire
il destino di Harald.
-Si..- mormorò infine. L’arciere col
pugnale era infine arrivato sopra di lui. –si..- un sorriso sghembo, perverso,
si disegnò sulle labbra del templare. L’arciere sopra di lui, brandì il pugnale
e lo trafisse, una, due, tre volte. Il sorriso permase sul volto di Harald,
anche quando la vita abbandonò il suo corpo.
-GYAAAAARRRHH!!- un urlo spezzò il
silenzio della fredda notte del deserto. Il corpo dell’uomo che una volta era
Harald Osteinsson, templare di Terra Santa, si mosse, rotolò, gemendo di dolore,
stringendosi le braccia attorno al corpo.
Harald lo sentiva, fuoco vivo che
scorreva dentro ogni sua vena, che lo faceva contorcere, un dolore indicibile,
una spinta d’adrenalina che fece si che le maglie metalliche dell’usbergo della
sua bianca armatura si spezzassero e cadessero a terra. Solo allora vide.
Dalle ferite riportate, quelle dovute
alle frecce e al pugnale, l’uomo vide che usciva una sostanza nera, viscosa,
simile a una cosa chiamata petrolio che ha trovato spesso lì in Terra Santa. E
quella cosa orrenda scorreva lungo il suo corpo ricoprendolo e strappandogli
singulti di acuto dolore. Dove la cosa nera e viscosa non trova spazio per
uscire, perforava la pelle ancora pulsante dell’uomo come uno spuntone, per
uscire all’aperto.
E infine finì. Harald la sentiva sopra di
lui, come una seconda epidermide, ma era.. strana, era.. nera, era.. solo ora lo
comprendeva: era carne morta. Era diventato esattamente quello che gli promesso
l’uomo in bianco, lo sentiva. Aveva avuto potere e potenza. Aveva avuto la
possibilità di perseguire i suoi obiettivi.
-Bella vero?- sentì dire una voce alle
sue spalle. Harald si voltò di scatto, Mammon era dietro di lui, pigramente
appoggiato a un albero –necroplasma aderente ai tessuti morti della struttura
umana.. geniale, non trova, amico mio?-
-Non sperare nella mia obbedienza,
Mammon- Harald si stupì della sua voce, che era diventata un sussurro roco e
affilato –io appartengo soltanto al mio Signore, solo a lui obbedirò. La mia
anima e la mia fede sono intatte-
E un’altra, l’ennesima risata priva di
divertimento e velenosa dell’uomo in bianco spezzò l’aria –intatte?! Sciocco
umano, è stata la tua fede a dannarti! Da quando hai tolto la tua prima vita,
cristiana o mussulmana che fosse, da quando hai stuprato la tua prima donna, da
quando hai trafitto il tuo primo bambino la tua anima è stata marchiata e
dannata!- dice tutto ciò come se ne fosse fiero, come se elogiasse il figliol
prodigo che tanto lo rendeva orgoglioso –non capisci, Harald figlio di Ostein e
Hilda? La tua fede è stata la tua dannazione, per questo hai accettato la mia
proposta- sussurrò infine, serafico. Harald cadde in ginocchio. Non poteva
smentire nulla. –ormai i giochi sono fatti, Harald, ora fai pure ciò che vuoi
prima che il mio signore Malebolgia ti richiami- lo informò Mammon, voltandogli
le spalle e facendo cenno di andarsene –ormai è a lui che appartieni..- fu
l’ultima cosa che Harald sentì da Mammon prima che questi sparisse nel nulla,
come se non fosse mai esistito.
Ma la carne morta e putrefatta che ora lo
ricopriva c’era ancora. La sua fede nel giro di una notte era stata distrutta.
Che gli rimaneva se non uccidere, uccidere, e uccidere ancora? E avrebbe
iniziato ora, da coloro che considerava lo avessero condotto a quella
dannazione.
Ormai era notte inoltrata, e in quelle
ore il deserto si trasformava, rendendosi oltremodo freddo oltre ogni possibile
immaginazione. Le vesti dei beduini avevano infatti quella doppia azione di
proteggere di giorno dai raggi solari e di notte dal freddo opprimente.
Una truppa di arcieri a cavallo stava
lentamente dirigendosi a Damasco, lentamente, con molte soste, con l’intenzione
di ricongiungersi all’esercito del Saladino che in quel momento stava stringendo
d’assedio la città. Sapevano tramite dispacci che le trattative con il
Cuordileone erano andate male, e che ora si preparava la battaglia, e loro
volevano esserci, volevano spargere altro sangue cristiano.
-Basta così, per oggi- disse il capitano,
ordinando al gruppo di arcieri di fermarsi –proseguiremo domattina- e mentre
scendeva da cavallo, sentì un fruscio, impercettibile.
Si voltò di scatto, e sorrise: un topo
del deserto era appena uscito da un cespuglio e lo guardava con i suoi grandi occhi.
Il capitano ridacchiò, poi chiamò
–Sheera! Vieni qui a strigliare il cavallo!- ma non arrivò nessuno.
Si guardò attorno, sorpreso: il suo
scudiero, che durante gli attacchi era sempre in prima linea con gli altri
arcieri, mai aveva mancato ai suoi doveri nei confronti del suo signore.
-Sheera..?- provò a chiamare ancora, poi
si rivolse ad un altro arciere –Mustafar, dov’è Sheera?-
-L’ultima che l’ho visto era in
retroguardia, prima dell’alba- gli rispose quello, tirando poi dritto verso un
altro compagno che stava preparando la cena. Il capitano scrollò le spalle e si
affrettò a seguire l’altro verso il rancio.
Mentre si sedevano attorno al fuoco e
consumavano lo scarso pasto, un vago, leggero, impalpabile senso di timore
aleggiò nel gruppo. Qualcosa non andava.
Il primo a capirlo fu il capitano, che
lasciò cadere a terra la ciotola ed estrasse la scimitarra –dove sono Alì,
Jafet, e Aziz?!- domandò, con il timore che trapelava dalla voce. Ora tutti se
n’erano accorti. Erano pochi, molti meno di quando erano partiti.
Poi lo sentirono, prima i passi, lenti,
pesanti, ovattati dalla sabbia del deserto. Si poteva distinguere un suono
metallico che la sabbia non riusciva a soffocare.
Poi sentirono più chiaramente il suono di
una spada tratta fuori dal fodero.
E infine lo videro.
Era come se tutti gli incubi fatti dai
soldati di Saladino fatti sui cosiddetti europei si fossero concretizzati in un
unico, solo, tremendo e terrorizzante incubo.
Il Templare Nero, se così poteva essere
chiamato, aveva addosso un’armatura nera, con decorazioni e bardature rosse,
sull’ampio petto corazzato era evidente una croce rossa rovesciata, sormontata
da un simbolo bianco che era riconducibile alla lettera M dell’alfabeto
greco.
L’armatura della creatura, perché umano
non poteva essere, era inoltre sormontata da spuntoni, teschi e catene, così
come lo scudo, ornato nello stesso stile del petto, con croce rossa rovesciata e
una M, bianca e limpida. All’interno dell’elmo nero, sormontato da una cresta
apparentemente ossea, brillavano in corrispondenza degli occhi due malevole luci
verdi che mandavano sinistri bagliori. Sulle spalle un rosso e lacero mantello
frusciava e si muoveva, dotato di vita propria.
L’intera figura era accompagnata da ombre
più nere della notte che si muovevano alle sue spalle, sibilando, frusciando,
emettendo osceni rumori gutturali.
-Il Signore dà, il Signore
toglie- esordì con voce roca e tombale verso gli sconvolti e terrorizzati
arcieri moreschi. L’inferno si era appena aperto di fronte a loro.
Senza dire una parola, l’Hellspawn brandì
la spada, un’arma enorme, solcata di incisioni di draghi e teschi, e rune incise
lungo la lama. Tre teste caddero, dai colli spuntarono per un paio di secondi
macabre fontane di sangue. L’Hellspawn si beò di quella vista, gli arcieri
moreschi lo sentirono ridere, un suono orrendo, come di due rocce tombali che
grattano fra loro. Alcuni erano paralizzati dal terrore, le gambe non
rispondevano a quei poveri disgraziati. Dagli occhi verdi luminosi si dipanarono
due raggi che colpirono coloro che erano troppo terrorizzati per muoversi. Due
teste esplosero, con le cervella che si spargevano sul terreno e sull’armatura
dell’Hellspawn.
Gli altri corsero via. Corsero come se
avessero il Diavolo alle calcagna, e non era lontano da verità.
Harald li vide, tutti, correre via coloro
che mancavano alla sua lista di vendetta. Alzò lo scudo intarsiato, che brillò
per un istante di verde luce malvagia.
Mentre correvano, i dieci arcieri
sopravvissuti al massacro appena avvenuto si accorsero che una luminosa croce
verde rovesciata brillava sul loro avambraccio.
-Siete marchiati. Siete prede. Siete
morti- udirono distintamente la voce del demone, diabolicamente amplificata,
nonostante la distanza che li separava.
Il più grande guerriero di quella che i
cristiani chiamavano Terra Santa sedeva su uno scranno dorato, la testa
mollemente poggiata su un braccio, gli occhi serrati. Ma Salah al-Din, il
Saladino com’era chiamato dai cristiani, non dormiva, il suo pensiero andava
oltre.
Ormai da giorni stringeva d’assedio
Damasco, ma il Cuordileone, per quanto stupido, era un buon comandante e
respingeva ogni suo tentativo di attacco. Ma ciò non era suo unico motivo di
cruccio.
Nell’altra mano aveva infatti un
dispaccio, scritto frettolosamente, da parte di un piccolo distaccamento di
arcieri. E diceva che un demone stava attaccando le sue truppe.
Il Saladino inarcò un sopracciglio: era
troppo intelligente per ignorare e tacciare come fantasia una notizia simile.
Certo, non pensava fosse un demone, non nel senso stretto. Molti guerrieri negli
anni erano diventati tanto tremendi e temibili da essere etichettati come
demoni, le loro armature insanguinate come testimonianza di tale diceria.
Di questo ne era sicuro. Non era un
demone, era semplicemente apparso un guerriero molto forte che stava decimando
qualche idiota delle sue truppe che si ostinava ad andare in giro da solo.
Ma venne bruscamente risvegliato da
queste sue cupe riflessioni: nella sua tenda era appena entrato di corsa un
soldato, un fante, affannato, stanco, che si inchinò profondamente, dicendo –o
potente Salah al-Din, liberatore, c’è un messaggero che chiede urgentemente di
vederti!-
Il Saladino alzò gli occhi al cielo,
sospirando profondamente –Allah, dammi la forza..- rialzandosi sullo scranno per
darsi un’immagine, fece segno al fante di lasciar passare il messaggero.
Entrò quasi di corsa, un arciere da come
vestiva, con lo sguardo spaventato, gli occhi quasi fuori dalle orbite, tanto
era il suo terrore. Sul suo braccio era possibile notare una sorta di strana
voglia verde a forma di croce. Si buttò in ginocchio, disperato, in lacrime.
-Oh, potente Salah al-Din, proteggimi!-
piagnucolò urlando l’arciere –la maledizione di Allah ci è piovuta addosso! È
qui!-
Il Saladino lo guardò come se fosse
pazzo. E forse lo era, anche.
-Rialzati, e spiegati- ordinò secco
dall’alto del suo carisma e della sua posizione.
L’arciere era tanto terrorizzato da non
riuscire a parlare –è.. è qui..- sussurrò a malapena, tremando come una foglia
–il demone.. è qui.. ti prego..-
Ma la preghiera si perse nel vuoto: una
catena, veloce una vipera, rossa di sangue e incandescente, sbucò attraverso il
buco dell’entrata della tenda, inaspettata, attorcigliandosi attorno alla
caviglia dell’arciere, che urlò come una maialetto in procinto di essere
sgozzato. Poi con uno strattone della catena, l’arciere venne trascinato
all’esterno, sotto l’allibito sguardo del Saladino e del fante ancora
presente.
All’esterno sentirono tremendi suoni,
riconducibili agli strozzati rumori di gola di un uomo sventrato, strappato,
sgozzato. Una macchia di sangue si disegnò all’improvviso sull’esterno della
tenda, visibile dall’interno grazie alle luci visibili all’esterno.
E poi Salah al-Din lo vide. Il profilo
dell’ombra del demone si profilò sull’entrata della tenda, terribile, tremendo.
Anche se era solo un’ombra, Salah al-Din sentì un terrore inspiegabile
prendergli il cuore. E vide gli occhi, due lanterne verdi, brillanti di odio,
filtrare attraverso la stoffa della tenda. Il demone ristette lì un attimo,
cupo, inquietante. Saladino non osò muoversi. Poi, con uno svolazzo del mantello
se ne andò, allontanandosi dalla sua tenda a passi pesanti.
-Dici che qui siamo al sicuro..?- disse
una voce, spaventata, terrorizzata, non appena varcò la soglia che conduceva
nella stanza. Il locale in cui si trovavano, un malfamato ritrovo di
avventurieri di ogni genere e razza, era semivuoto, restava solo il barista
dietro il bancone, che con aria annoiata osservava i due avventori appena
entrati.
Guardinghi, osservando le mura attorno a
loro come se fossero cani in trappola, raggiunsero il bancone.
L’oste li squadrò, perplesso: erano due
arcieri saraceni, dai gradi riconobbe che uno dei due era un sergente e faceva
parte dell’esercito del Saladino. Che ci facevano lì quando il loro capitano era
a cinquanta miglia da quel luogo, e stava per iniziare l’assedio di Damasco?
E poi.. erano spaventati,
odoravano di paura, di fifa allo stato puro che si sentiva a cinquanta metri di
distanza.
-V-vorremmo qualcosa di forte..- disse il
sergente all’oste, con voce tremante.
Senza dire una parola, porse a entrambi
un bicchiere di whisky, sorpreso. Da quando i mussulmani bevono?!?
E poi vede anche un’altra cosa: entrambi
quei soldati hanno sul braccio una sorta di segno verde, una croce.
Con un sospiro esasperato, si alzò. Si
era già fatto un’idea –oh, diavolo- curiosamente, i due soldati davanti a lui, a
quell’imprecazione saltarono su come molle, con gli occhi sgranati –sentite, non
voglio avere grane con Templari, Ospitalieri, Domenicani, o chissà quali altri
cazzi-
I due lo guardarono un attimo sorpresi,
ma l’oste continuò, ignorandoli –ora non so cosa siate, disertori, eretici,
quello che volete, ma ora voglio che beviate i vostri whisky e ve ne usciate
subito-
Chiaramente i due arcieri mori non
avevano capito granché, e stavano anche per ribattere aspramente, quando
qualcosa li distrasse: entrambe le croci verdi sui solo bracci avevano iniziato
a pulsare dolorosamente, e una strana, vaga, leggera luminescenza stava ora
trapelando da essi.
L’oste rimase vivamente sorpreso come
quei due soldati, abituati a commettere le più tremende atrocità fossero
spaventati come bimbi. Si guardavano l’un l’altro con espressioni di terrore
pure sul volto, molto vicini alle lacrime addirittura.
E poi anche l’oste lo percepì: un calo di
temperatura incredibile, sudori freddi su tutto il corpo, brividi incontrollati.
Le lanterne si spensero all’improvviso, come se qualcuno avesse soffiato forte
su tutte contemporaneamente. Il buio calò nella stanza.
-E smettetela- borbottò verso i due
arcieri, che ora piagnucolavano piano, terrorizzati come femminucce –vado a
prendere delle candele e poi ve ne andate tutti e due- e detto ciò, si alzò dal
bancone, dirigendosi pesantemente nel retro, lasciando lì quei due
cacasotto.
-Davvero, ma dove andremo a finire, dico
io..- mormorava intanto l’oste, mentre frugava fra le merci in cerca di candele
-..ora mi arrivano in taverna pure saraceni rincitrulliti e completamente
andati.. tsk..-
E proprio quando riesce infine a
riesumare dalle sue merci un paio di ceri, ecco che sente dalla sala comune
provenire uno strano rumore. Come di qualcosa che si trascina, qualcosa di
metallico..
-Ehi, voi due, non fate troppi casini!-
urlò di rimando, supponendo che quei due saraceni stessero facendo chissà cosa.
In risposta sentì solo un suono soffocato, un piagnucolio seguito da un rumore
forte, intenso, di qualcosa che viene strappato via.
Di corsa, corre verso la porta che dà sul
locale, aprendola all’improvviso e trovandosi davanti a..
..l’orrore, non c’è altro modo per
descriverlo: il bancone i tavoli, le sedie, le bevande, era stato tutto spazzato
via da una forza aliena, rimaneva uno spazio vuoto solcato di graffi, tagli
profondi sulla pietra dura, e macchie, pieno di macchie rosse riconducibili
tutte a sangue, del fuoco poi ardeva inspiegabilmente in alcuni angoli della
stanza, uno fuoco ben strano, poiché agli occhi dell’oste pareva solcato di
riflessi verdi e dotato di vita propria.
E poi, crocifissi con punteruoli di ferro
su mani e piedi sul muro, vi erano i due arcieri, sanguinanti, urlanti,
singhiozzanti. Di fronte a loro, in piedi vi era il guerriero più sinistro che
l’oste avesse mai visto. Senza neppure voltarsi, il guerriero disse –non
immischiarti- poi alzò una mano: da essa un fuoco verde, malsano, inquietante,
si sprigionò, carbonizzando le gambe di entrambi gli uomini crocifissi. Le loro
urla riempirono la sala.
-Per pietà, vi prego, basta!- urlava uno,
mentre i suoi moncherini fumanti si muovevano inutilmente verso il basso.
L’oste era paralizzato, sconvolto,
terrorizzato –mio Dio..- riuscì solo a mormorare -..l’Inferno si è aperto nel
mio locale..-
E poi sentì un suono gutturale, ritmato.
Il guerriero stava ridendo –no, uomo, tutto ciò è molto umano invece- disse
mentre la mano veniva riabbassata sotto il rosso mantello che indossava. L’oste
poté notare come l’armatura del guerriero, così rossa, così nera, così
inquietante, a volte brillava come se all’improvviso diventasse rovente.
-Tu non hai idea di cosa sia l’Inferno,
piccolo uomo- disse ancora il guerriero, con la sua voce fredda, roca, come una
lama arrugginita che gratta su una roccia –l’Inferno è non poter agire, è
l’impotenza di fronte a eventi più grandi di te- un rumore di catene che si
muovono si sparse nell’aria –è l’impossibilità di ottenere giustizia quando sai
che è un tuo diritto- il rumore si fece più forte, poi all’improvviso dal corpo
del guerriero come serpi due grosse catene spuntarono, avvolgendosi in spire
sempre più strette nei due arcieri martoriati, stringendosi addosso a loro come
pitoni, mozzandogli il respiro, strizzandogli gli arti, soffocandoli mentre le
fredde spire metalliche si infilavano giù per le loro gole, e uscivano dalla
loro pancia, praticando un orrido foro che stillava sangue come una fontana.
-Tu stai solo vedendo l’opera umana,
uomo- disse ancora il guerriero, apparentemente indifferente a tale macabro
spettacolo, indifferente agli schizzi di sangue che si allungavano sulle sue
vesti –sono loro che ora stanno provando l’Inferno- terminò di dire, indicando i
due uomini mutilati appesi al muro con un gesto vago, mentre a passo lento si
dirigeva verso l’uscita.
Era l’ultimo. L’ultimo arciere di quella
combriccola scellerata era ora davanti a lui, in lacrime, un uomo distrutto a
cui Harald aveva appena inflitto tutte le torture a lui note.
L’arciere era infatti privo di gambe e
braccia, i moncherini non sanguinavano, erano stati cauterizzati probabilmente
da una lama incandescente, come testimoniavano i tagli netti.
Il busto era poi stato avvolto in catene,
anch’esse incandescenti, come si poteva notare dai fili di fumo che si alzavano
dalla carcassa morente dell’uomo, e sospeso in aria, le catene appese a un muro
di pietra.
Era buio, l’arciere non vedeva nulla,
tranne il suo aguzzino di fronte a sé, sempre avvolto nella sua nera armatura.
Nelle tenebre la croce rossa rovesciata e la bianca M rilucevano più vivide che
mai. Gli occhi erano due fari verdi, pieni di odio.
Da ore ormai non faceva più nulla. Non
gli infliggeva dolore. Non trapassava le sue carni. Non lo torturava, usando
metodi che la Santa Inquisizione stessa avrebbe trovato rivoltanti.
Non faceva nulla, attendeva,
semplicemente.
-Ora basta, Harald- sentì una voce, nella
sua semi-incoscienza, provenire da un angolo buio della stanza di pietra.
-Hai perseguito i tuoi obiettivi e la tua
vendetta- continuò la voce, che sembrava appartenere a un uomo –ammazzalo e
vieni con me. È giunta l’ora che ti riunisca agli eserciti infernali-
Il Templare Nero continuò a tacere, a
guardare l’arciere islamico torturato e vessato con.. era paura,
quella?!
Poi si alzò, un gesto lento, sofferente e
allungò la mano coperta dal nero guanto d’arme verso il mussulmano.
Una vampa di fuoco lo investì, poi non
sentì più niente.
Harald osservava gli ultimi spasmi di ciò
che rimaneva del corpo del moro, bruciato e fumante, con aria sconcertata.
Quando non si mosse più, Mammon, dall’ombra gli arrivò affianco.
-Ci hai messo un po’- fu il suo commento,
velatamente acido. Aveva addosso un vestito bianco, una tunica, tipica dei
nobili francesi di corte.
-Non avevo fretta- fu la risposta fredda,
secca, morta di colui che una volta era un Templare.
Mammon fece un gesto stizzito col capo:
improvvisamente dal pavimento di pietra sgorgarono fiamme, una scalinata si
aprì, lambita da fiamme e ombre.
-Malebolgia è vivamente incuriosito da
te- commentò Mammon, con una certa perfidia –tu hai impiegato più tempo di tutti
gli altri per i tuoi “obiettivi”- continuò, diabolico –diciamo che è un po’
contrariato per questo-
Un gesto involontario, quasi innaturale,
il capo che faceva un breve scatto verso il basso. L’Hellspawn provava timore,
appariva riluttante nello scendere gli scalini che conducevano verso il basso,
con le fiamme che non scaldavano la sua nera pelle morta.
-Lo sai, ormai è tardi- aggiunge Mammon,
falsamente consolatorio –almeno sii uomo e vai fino in fondo.. dopotutto non so
quanto mi crederai, ma il Paradiso non differisce molto dall’Inferno-
-Ho fatto ciò che credevo giusto- disse
ancora Harald, con le mani strette a pugno, tremanti. Vaghe scariche verdi di
potere si dipanavano dai tremori delle mani dell’Hellspawn.
-Oh, per carità, non giustificarti in un
modo così patetico!- rispose di rimando Mammon, deridendolo –è da quando tieni
in mano una spada che commetti scelleratezze- rincarò, in tono dolce.
-No, io ho combattuto per Dio! Per Nostro
Signore Gesù Cristo!- replicò con rabbia Harald.
L’uomo in bianco sbuffò,
spazientito –Gesù, cito testualmente, disse: “ama il prossimo tuo come te
stesso”- breve pausa, affinché quella confusa creatura che era un Hellspawn
assimilasse il concetto –tu hai mai amato, Harald? Qualcuno, qualcosa?- era un
domanda di cui Mammon conosceva già la risposta.
-Io.. credo di si..- rispose Harald,
incerto. Ma sapeva che era inutile. Come poteva confrontarsi con un demone su
questioni teologiche? Era ovvio che ne sapessero più loro di lui.
-Nessuno, Harald, amico mio- rispose per
lui Mammon, ignorando la sua risposta –tua moglie? È un oggetto di piacere per
te, lo sai. I tuoi soldati? Se non fossero stati cristiani li avresti subito
sventrati con le tue mani- un altro sorriso arrogante increspò le labbra
dell’uomo in bianco –torniamo quindi al discorso che ti feci all’inizio, quando
divenisti Hellspawn: la tua fede è stata la tua dannazione-
Harald non disse niente, non diede
nemmeno segno di aver sentito, e a capo chino si avviò lungo le scale che si
abbassavano sempre di più, sempre di più..
..camminava ormai da ore, mentre ai lati
si aprivano sempre più oscuri, sempre più vasti due enormi abissi dove
ribollivano ombre e fuoco. A volte gli sembrava di scorgere dei volti fra le
fiamme, facce orrende, deformate, ghigni demoniaci, occhi fiammeggianti che lo
scrutavano perfidi.
La scala finì e Harald si ritrovò in
un’ampia pianura, brulla, desertica, priva di vita, dove si aprivano neri
crepacci e si innalzavano sinistre colline. Sopra di lui un cielo rosso fuoco
rombava cupo.
E poi di fronte a lui, un trono di
pietra, alto, enorme, su cui era seduto la creatura più sozza e orripilante che
avesse mai visto: il corpo era enorme, deformato, grasso, trasbordante, la pelle
scagliosa di un lucido verde acido, il volto una maschera orrenda di denti e
aculei in cui si poteva leggere derisione e sadicità, i lunghi capelli bianchi
che svolazzano sospinti da venti infernali e gli occhi malevoli, grandi, enormi,
che squadravano la figura dell’Hellspawn come se fosse stato uno scarafaggio.
Appena Harald giunse al suo cospetto,
Malebolgia tese un artiglio. L’ex-templare cadde inspiegabilmente in
ginocchio.
-Ecco il nostro nuovo acquisto- pronunciò
il Signore Infernale, con voce stridente e acuta, derisoria, divertita. Il
ghigno di quel volto orrendo divenne molto più ampio.
-Cosa ti aspetti ora, Hellspawn?- domandò
ancora il demone, sporgendosi con aria di perfida curiosità verso Harald, che
rimase immobile inginocchiato di fronte a lui.
-Mammon ha detto.. che avrei guidato le
truppe infernali..- rispose con un’incertezza che non era sua. Ma ormai lui chi
era? Un uomo? Un demone? Nel giro di pochi giorni, Mammon aveva distrutto l’uomo
ed innalzato sulle sue ceneri il demone.
-Ma certo!- disse Malebolgia, come se
fosse ovvio –ma all’Armageddon manca ancora un sacco di tempo! E non hai idea
della noia che spira in questo posto..- finse concentrazione, pensiero. Da
sempre il Signore dell’Ottavo Cerchio amava istillare tensione nelle sue vittime
per i fati che riservava loro.
Poi sorrise, un sorriso ampio e sadico
–la tua anima sembra in conflitto. Lo sento, sai? Percepisco il tuo odio verso
quelli che chiami mussulmani, ma sento anche che qualcosa bilancia ora il tuo
odio. Risentimento, forse?- la sua orrida bocca si deformò in quella che era la
parodia di un sorriso –dovremo eliminare questo bilanciamento. L’odio è il
nutrimento di un Hellspawn, senza di esso, i suoi poteri svaniscono-
-Così sia allora, non ci tengo a questo
potere- ebbe la forza di rispondere Harald, inginocchiato ancora, incapace di
alzarsi, l’armatura nera che ora pesava come piombo.
A quelle parole, l’ira di Malebolgia fu
tremenda. Dai crepacci neri eruttarono alte fiamme ruggenti. Il cielo si scurì,
rombando potente, e Malebolgia urlò, gridò, ruggì, un’unica parola che animava
la sua rabbia –MAMMOOOOOON!!-
Dal nulla, affianco al trono, apparve la
figura dell’uomo in bianco, calma, tranquilla, apparentemente serena. Stavolta
aveva addosso le vesti di uno scrivano, sempre bianche, sempre candide.
-SCHIFOSO FIGLIO DI UNA VACCA CELESTE!!-
lo insultò Malebolgia, pazzo di rabbia e collera, con la bava che cadeva a terra
dalla sua orrida bocca –CHE RAZZA DI PISCIASOTTO MI HAI PORTATO?!?-
Mammon non rispose, si limitò a guardare
Harald, ancora inginocchiato. Fece un respiro, profondo, infastidito, come se
tutto ciò fosse solo un’interferenza, un fastidio che gli toccava risolvere.
-È per via di questo dannato lasso
temporale- disse, con aria palesemente stanca e altezzosa, distratta –tutti gli
uomini seguono il Paradiso, e quelli che non lo fanno vengono ammazzati-
ridacchiò, una risata derisoria, priva di ogni divertimento –parlano da santi e
si comportano da demoni, e una volta reclutati, una volta che capiscono, il
rimorso li prende e li rende inerti- parlava come se fosse una malattia. Malati
di fede che dovevano essere sottoposti alla cura dell’Inferno –una seccatura
invero. Suggerisco al mio Signore una pena terapeutica. Che ne dice di..- e poi
le restanti parole furono brusio nelle orecchie di Harald.
Parlavano come se lui non esistesse, non
fosse altro che un bambolotto con cui giocare e buttare via una volta che non
divertiva più.
Tentò di alzare la testa e vide che
Malebolgia sorrideva di nuovo. L’Inferno si era calmato, dai crepacci non
uscivano più fiamme e il cielo era nuovamente rosso fuoco e rombava cupamente
come sempre. “Come sempre..” pensò Harald “mi sto abituando a tutto ciò..
Signore, se puoi perdonami..” mai le sue preghiere gli apparvero insulse come
ora.
-Mammon, mi stupisco sempre delle tue
trovate. Molto bene, spenderò ancora un po’ di energie su questo Hellspawn-
proclamò il demone dal suo trono, ghignante –dopotutto sulla Terra ha fatto un
ottimo lavoro..-
-Lo sa, mio Signore, io non mi sbaglio
mai quando si tratta di Hellspawn- affermò con falsa modestia l’uomo in bianco
con un lieve inchino, quindi con uno svolazzo della tunica, sparì.
Malebolgia tornò a rivolgersi ad Harald,
che lo guardava con il suo vuoto sguardo verde.
-I dogmi della Terra Santa ti hanno
rovinato, mio Hellspawn, quindi..- e il ghigno si fece molto più largo -..ti
mando in terapia-
Attorno ad Harald vide aprirsi crepacci,
il terreno brullo si fece instabile sotto di lui. Sentì ancora la voce del
demone, magicamente amplificata parlare sopra il rombo della terra che sotto i
suoi piedi si spezzava.
-Per ogni giorno, per ogni notte da
questo momento in poi fino all’Armageddon, tu ucciderai mussulmani, cristiani,
ebrei, induisti, buddisti, ucciderai ogni religione finché non rimarrai senza
religione, finché l’eresia non ti entrerà nel cervello e nelle ossa, finché la
tua unica religione non sarà uccidere, uccidere, e uccidere ancora!-
Il terreno si ruppe e Harald cadde,
cadde, mentre attorno a lui si formavano tenebre che avevano le forme del viso
del Signore dell’Ottavo Cerchio, tutte sghignazzanti, tutte sadiche.
Cadde sul duro terreno con un tonfo, una
terra sempre brulla, sempre morta, e sopra di lui un cielo cupo pieno di nere
nubi si muoveva. Tutti intorno lui vedeva avanzare, lenti come zombie, cavalieri
cristiani, arcieri mussulmani, e monaci tibetani, e altre centinaia di genti,
tutti di diverse religioni che nemmeno conosceva.
-Uccidili, Hellspawn! Odiali, e solo
allora potrai ucciderli!- sentì dire la voce di Malebolgia, nell’aria, nel
cielo, nella terra, ovunque –uccidili, o saranno loro a uccidere te! Odiali!
Odiali finché l’odio non sarà la tua unica emozione! Finché i tuoi poteri non
crescano fino a distruggere il mondo!-
Aveva scelta? No. Aveva speranza?
Nemmeno.
-Io ucciderò, Malebolgia!- urlò
nell’aria, sopra di sé, alzando l’enorme spada demoniaca sopra la testa
–ucciderò fino a ricoprire questo deserto di cadaveri!- le catene che portava si
animarono dotate di vita propria e iniziarono e stringere e stritolare nella
loro stretta coloro che erano più vicini, fino a farli esplodere nel sangue. Ma
Harald continuò a parlare, incurante –ucciderò finché non avrò ucciso la fede
che anima queste persone! Ucciderò fino a cancellarle! E per tale motivo
ricordati che un giorno ucciderò anche te!!- e solo ora Harald si volse verso la
moltitudine che avanzava, ai suoi piedi già si allargavano le macchie di sangue
delle sue prime vittime.
Dall’alto del suo trono, Malebolgia
osservava compiaciuto, un ghigno più grande degli altri gli deformava l’orrida
bocca –non mi aspetto nulla di meno, mio Hellspawn- disse, facendo in modo che
anche Harald sentisse –se non provassi tale desiderio, saresti stato un
fallimento completo-
End
Finitaa! Ai coraggiosi che sono arrivati fino in fondo stringo
sentitamente la mano u__u complimenti davvero. E se magari mi lasciate pure
qualche recensioncina, POTREI e sottolineo POTREI pensare a un seguito, o
quantomeno ad un'altra storia inerente al personaggio..
Alla prossima, boyz! =D
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