Settimo Canto ~ La
crudeltà di esser prescelti
“Che cosa è nata
prima: la musica o la sofferenza?”
Nick Hornby
Gli allenamenti nel Meikai facevano sembrare i giorni tutti uguali.
Non c’erano mai cambiamenti significativi, soprattutto per
me che avevo l’onore e l’onere di avere un Master privato –i Generali avevano
svolto la funzione di Maestri già per i loro Ufficiali, e mantenevano il ruolo
di supervisori nell’addestramento degli altri aspiranti Spectre; raramente
prendevano altri allievi. Io ero uno di quelli, come ben sapete.
Gli allenamenti nel Meikai facevano sembrare i giorni tutti
uguali, dicevo, ma quel giorno –dopo ormai quasi tredici mesi di addestramento-
Lord Rhadamanthys decise che avevo imparato abbastanza per farmi,
sporadicamente, allenare in gruppo con altri miei compagni.
Altri non si trattava se non di veri e propri scontri, a
dirla tutta: i Maestri si mettevano da parte e l’unico obiettivo tuo e del tuo
avversario era di sopravvivere durante i minuti –una manciata come una serie
interminabile, a seconda dell’inclinazione dei supervisori- dello scontro; non
amavo particolarmente battermi, soprattutto perché in quei momenti si riusciva
a scorgere il lato più oscuro degli animi –chi mirava ad ucciderti per togliere
di mezzo un potenziale rivale per una Surplice o chi
si accaniva su una gamba ferita fino a spezzartela- o quelli più fragili e
patetici –chi ti guardava con terrore come se fossi un mostro, chi non aveva il
coraggio di alzare la mano su di te perché solo il giorno prima l’avevi aiutato
a rialzarsi dopo una brutta caduta.
I sentimenti si mischiavano, nel Regno dei Morti. Ognuno di
noi provava per l’altro un misto di paura, affezione, odio, solidarietà, tutte
mischiate in un’unica tonalità; ma se si mischiano tutti i colori, ciò che si
ottiene è il nero. Le amicizie autentiche erano rare, perché era pericoloso
mostrare il proprio cuore, già reso troppo greve dalla fatica e dalla paura.
Potevo dirmi fortunato ad avere un amico come Hajidah: mi supportava in ogni
occasione, dandomi consigli o semplicemente sostenendomi, la sera, quando
l’addestramento finiva.
Sembrava sempre fresco e riposato, non mi sono mai
capacitato di ciò: sembrava quasi che non stesse addestrandosi, solo lo
sviluppo della muscolatura e l’affinarsi della sua tecnica mi suggeriva il
contrario.
Era fresco e riposato anche quando si offrì di accompagnarmi
al mio primo scontro:
-Non preoccuparti eccessivamente, ma stai sempre
concentrato, va bene?- si profondeva in
consigli, sistemandomi il salvacuore di cuoio sul
petto. –Uh, e ricorda che l’obiettivo principale è sopravvivere, non uccidere.
Ma se dovesse succedere, evidentemente non erano destinati, quindi non dovrai
angosciarti. Va bene?-
Poteva anche essere un discorso sensato, ma a me sembrava
orribile: scossi la testa per scacciare quel pensiero.
Quel giorno era stato deciso che ci sarebbero stati degli
scontri di allenamento tra gli esponenti del gruppo di Lord Rhadamanthys e
quelli del gruppo di Lord Minos, Generale del Grifone. Mi era capitato di vederlo,
sebbene non spesso, e ogni volta mi pareva più spaventoso. C’era qualcosa nel
suo perenne sorriso, nelle sue movenze, nel suo tono, che dava i brividi.
Si diceva fosse incline alla noia, e che quando si annoiasse
si svagasse sulla pelle del primo malcapitato: più un Uomo Nero che una persona
in carne ed ossa.
E l’Uomo Nero era presente, quel giorno. Per nessuna ragione
apparente, era seduto su una roccia, le gambe accavallate come se fosse in
poltrona. Il gruppo di allievi selezionati per lo scontro era piegato in un
profondo inchino –chissà da quanto: sembravano delle marionette spaventate dal
burattinaio.
Il nostro gruppo era condotto da Lord Valentine,
luogotenente del nostro Generale: evidentemente non aveva ritenuto opportuno
essere presente.
Lo Spectre dell’Arpia fece un saluto marziale al Generale,
per poi –con il suo consenso- iniziare a dividere in gruppi di due gli allievi.
Parlava poco, parlava seccamente e parlava il giusto, Valentine dell’Arpia:
ostentava con fierezza il suo ruolo e si premurava di dimostrare a Lord
Rhadamanthys che la fiducia in lui riposta fosse più che giustificata. Per
qualche motivo, non gli andavo molto a genio, e la cosa era talmente palese che
alcuni miei compagni mi avevano suggerito di tingermi i capelli di rosa, per
cercare di compiacerlo. My God, e poi
insultano l’humour inglese.
Fatto sta che venni accoppiato con tale Mathias, un ragazzo
di due anni più grande di me; anche su di lui giravano delle strane voci, che ritengo
non sia il caso di riferire in questa sede. Non so se corrispondessero a realtà,
ma credo fossero nate semplicemente per il suo aspetto femmineo, la pelle resa
ancora più chiara dai capelli rossi –ondulati e di media lunghezza, per i suoi
occhi azzurri maliziosi e attenti. Snocciolava battute sarcastiche che potevano
umiliare anche il più fiero degli uomini, e lanciava delle occhiate che
avrebbero fatto arrossire un capitello.
Forse, ora che ci penso, le voci su di lui erano vere.
-Allora, venite qui voi due. Voglio uno scontro rapido ed
efficace, va bene? Darò io il segnale di fine, e ciò vuol dire che nessuno si ferma finché non lo dico io, per nessun motivo. Chiaro?-
Il Luogotenente spiegò, con rapidi scatti delle mani, per
poi uscire dall’ampio cerchio adibito a perimetro di scontro.
Per quanto non fossi particolarmente entusiasta, tutto
sommato pensavo mi fosse andata bene: il mio avversario dal punto di vista
fisico non mi sovrastava, quindi sarebbe bastata un po’ di accortezza per
concludere l’incontro, teoricamente.
Eppure, lui sorrideva come se trovasse la cosa molto
divertente.
-Dy-lan-bel-lo,
giusto?- scandì, dolcemente. –Stai attento, non sarò gentile per niente.-
-Non ho bisogno di gentilezza, ti ringrazio.-
Appena l’ultima sillaba uscì dalla mia bocca, il ragazzo si
scagliò contro di me, sferrando un calcio diretto alla mia mascella. Riuscii a
pararlo appena in tempo, preso in contropiede: appresi col tempo che la
sportività non rientrava nell’elenco delle doti di Mathias.
Era rapido ad
attaccare, ma io ero rapido a parare. Continuammo in questo modo per un tempo
indefinito, scandito solo dai commenti del ragazzo.
-Ah, attento sulla destra, eh, Dylanbello.-
e un pugno saettava sulla sinistra. –Oh, pensavo che uno allenato dal grande
Lord Rhadamanthys fosse più bravo! -e un calcio sibilava a un millimetro dal
mio orecchio.
Mi stava innervosendo, ed innervosendomi incassai i primi
colpi. Per quanto poco incline alla lotta, ero stufo di subire: fui io ad
attaccare successivamente, mirando proprio a quel sorriso sardonico.
Ma qualcosa non andava. Sentivo il mio corpo come se fosse
intorpidito, rallentato.
Il mio pugno non saettava come avrebbe dovuto, e Mathias
parava i miei colpi senza alcun problema, sbeffeggiandomi.
Non avevo particolare concezione della mia forza, ma pensavo
che in quell’anno qualche risultato l’avessi ottenuto: era davvero strano, e
non me ne capacitavo, continuando ad attaccare, sentendomi sempre più
indebolito.
-Che noia, che noia, Dylanbello.
Mi sa che la finiamo qui.-
E con un calcio mi fece fare una discreta parabola nell’aria, facendomi
schiantare fuori dal cerchio. Lord Valentine decise che era sufficiente per
ritenere concluso l’incontro: il gruppo di Lord Minos schiamazzò, allegro, alla
vittoria del proprio compagno, che si inchinò graziosamente al suo pubblico;
borbottii di varia natura invece accompagnarono il mio ritorno tra le file di
Lord Rhadamanthys.
Io ero più confuso che altro.
-Uh, tutto bene?-
Due braccia robuste mi cinsero le spalle, per aiutarmi ad
alzarmi in piedi. Hajidah mi guardava, gli occhi scuri socchiusi.
-Credo di sì… ma non capisco. Sento tutti gli arti
intorpiditi, non rispondono come dovrebbero…-
-La cosa non mi stupisce.- inarcò appena le sopracciglia,
guardando il mio avversario. –Mathias ha già sviluppato, almeno in parte, il
Cosmo. E so per esperienza personale che il suo Cosmo si manifesta sotto forma
di veleno. Probabilmente ti ha intossicato senza che tu te ne potessi
accorgere.-
Spalancai gli occhi, massaggiandomi una spalla dolorante.
–Ma è sleale!-
Il mio amico fece uno dei suoi sorrisi enigmatici, di quelli
che fanno i profeti che hanno già visto cosa succederà in futuro.
-No, semplicemente era più forte di te, al momento. Non
temere, svilupperai anche tu le tue abilità: sei andato bene.-
Poco più in là, Lord Minos si congratulava con Mathias,
ruotando appena un polso in un gesto vago: Mathias pendeva letteralmente dalle
sue labbra, crogiolandosi nella soddisfazione; di sicuro l’inizio del nostro
rapporto non era stato dei migliori.
Dopo me e Mathias, vennero chiamati altri due ragazzi: li
conoscevo abbastanza bene, e sebbene fossero di due gruppi differenti era
risaputo che fossero fratelli –un caso raro, nel Meikai.
Si guardarono un attimo, interdetti. Parevano incerti sul da
farsi; anzi, parevano non avere alcuna intenzione di combattere.
-Allora, cosa aspettate?-
L’invito dal tono annoiato era provenuto da Lord Minos, che
pareva ansioso incominciassero; probabilmente per lui era come uno spettacolo
teatrale.
Il maggiore dei due aggrottò le sopracciglia, teso. Si girò
verso il Generale, si inchinò e chiese, scandendo le parole per non tradire il
suo nervosismo:
-Sommo Minos, la prego, le chiedo di poter cambiare il mio
avversario.-
Il Generale inclinò leggermente il capo, chiedendo
spiegazioni; il ragazzo sudava freddo in maniera visibile, mentre il minore
cercava di dargli man forte.
-È mio fratello maggiore, Sommo Minos, la prego…-
L’uomo in armatura schiuse appena le labbra, flautando con indifferenza:
-Oh, ma questo non è importante. Combattete, avanti. Ora.-
Il maggiore trattenne il respiro. Sbatté gli occhi, fissando
a lungo il fratellino.
Poi, con un coraggio che raramente vidi altre volte durante
il mio addestramento, dichiarò:
-No, Sommo Minos. Non lo farò mai.-
Commenti sorpresi rimbalzarono di bocca in bocca, tra i
presenti: una vera e propria ribellione, era qualcosa di storico; qualcosa che
sarebbe finita male, malissimo.
Infatti Lord Minos si alzò, sgranchendosi la mano destra con
noncuranza; sorrise appena, e pronunciò la loro condanna a morte.
-Non è stata una buona risposta, no. Cosmic Marionation.-
E così, semplicemente, espanse il Cosmo –era enorme, e nero,
e spaventoso, al pari di quello del Master- e fili splendenti sgorgarono dalle
sue dita, come il burattinaio dei morti che era. Ghermirono i due terrorizzati
malcapitati, la cui unica colpa era quella di essere stati umani, e con un unico movimento del polso li stritolò, facendo
scricchiolare orribilmente le loro ossa fino a che non si spezzarono. Un urlo
sordo, uno strillo acuto, e poi più niente.
-Valentine, porta via questi due,
per favore. Rovinano il panorama.-
E basta. Nient’altro.
Accadde tutto in pochi secondi, ma me li ricordo ancora
adesso. Due ragazzi morti per svago. Due ragazzi morti per niente.
Spalancai gli occhi, inorridito dalla scena come molti
altri; ma tutti rimasero in silenzio, i più senza neanche guardare quei poveri
corpi martoriati –forse orribilmente abituati a scene del genere. Io no. Io non
riuscivo a non guardarli. E non riuscivo a non guardare quell’Uomo Nero che
dopo essersi mangiato la sua preda si risedeva sulla roccia come se niente
fosse, e il luogotenente del mio Maestro che –seppur rigidamente, potevo
vederlo- obbediva all’ordine, allontanandosi con i due corpi.
Credo che le volte in cui ho alzato la voce si possano
contare sulle dita di una mano. Non sono incline alle urla e agli schiamazzi,
ma quel giorno qualcosa dentro di me scattò. Forse avevo visto troppi ragazzi
morire per accettare una cosa del genere, forse erano solo i mesi di stanchezza
e di paura che si condensavano ed esplodevano tutti insieme. Alla fine, ero
soltanto un ragazzino di quindici anni che non aveva avuto neanche
l’opportunità di avere un fratello al suo fianco. E vedere un sentimento così bello, così forte da sopravvivere anche
alle ombre dell’Ade, svanire per una futilità simile, mi smosse profondamente:
c’era un limite tra il rigore, anche quello più estremo, e la crudeltà cieca, e
Lord Minos spesso l’aveva varcato. Ma non lo sapevo, all’epoca, volevo solo
rigettare quello che avevo visto, con tutte le mie forze. Ancora adesso non
saprei spiegare appieno cosa mi fece agire come ho agito. So solo che urlai,
senza pensare:
-Come può aver fatto una cosa del genere?! Non avevano fatto
niente, niente!-
Non ci fu una persona che non smise di respirare, in quel
momento –io compreso.
Lord Minos voltò il capo lentamente, una ciocca argentata a
ricadergli sulla spalla inguainata nella Surplice.
-Prego?-
Disse semplicemente, con tono quasi dolce.
Io, probabilmente fuori di senno – e troppo ciecamente inorridito
per capire la situazione in cui mi stavo cacciando-, non pago continuai:
-Che senso ha avuto ucciderli? È mostruoso! Mostruoso!-
-Oh.-
Commentò, semplicemente, alzandosi con studiata calma e
avvicinandosi a me tanto da sovrastarmi con la sua semplice presenza –e le ali,
quelle ali scure che avrebbero coperto il Sole, se ci fosse stato.
-Quindi tu pensi che i miei metodi di insegnamento non siano
ortodossi. Sbaglio?-
Io ero immobile. I miei compagni erano immobili. L’aria era immobile. Il tempo era immobile.
-Coraggio, ti ho fatto una domanda, è maleducazione non
rispondere.-
Continuava a sorridere, l’Uomo Nero. I suoi occhi erano
celati dalla lunga frangia, ma sapevo
che erano puntati dritti su di me; sapevo
che erano occhi di demone, li sentivo.
-…No, Lord Minos. Non sbaglia.-
Sapevo che sarei morto. Ne avevo la certezza matematica, era
cristallino: in un moto di lucidità, almeno provai a lasciare questo mondo con
dignità.
-Oh. Capisco. Mi dispiace che la
pensiamo in maniera diversa, sai. Ma credo che debba imparare un po’ di
educazione, sì? Sono sicuro che dopo la penserai come me.-
Lord Minos sorrise, e il suo sorriso sapeva di morte.
La Cosmic Marionation si
strinse su di me.
Fili, fili taglienti da ogni dove: mi avvolgevano le
braccia, le gambe, le cosce, il torso. Stringevano, stringevano per fare del
male –sollevavano, scuotevano. E stringevano.
Solo in quel momento capii realmente. La Cosmic
Marionation era così potente non solo per la mera
forza dei fili. Non era l’incisione della carne, il soffocamento l’elemento
principale di quella tecnica.
Era la paura.
Ti rendeva impotente, ti annichiliva. Una trappola rivestita
di sangue, annunciata da un sorriso sardonico. E come ogni trappola, chiamava
l’animale che è in ogni uomo. Il terrore cieco, che è in ogni uomo.
Proprio quando la morte stava per afferrarmi per una spalla
–ben poca strada avrebbe fatto, eravamo già nel suo regno- sentii nuovamente
l’aria fluire in me, i polmoni tendersi, espandersi.
Qualcuno aveva tagliato i fili, facendomi ruzzolare a terra.
-Non penso sia tuo il dovere di punire i miei sottoposti, Minos.-
Lord Rhadamanthys si stagliava nella tetra luce del Meikai, le ali della Surplice aperte e leggermente frementi, come a manifestare
disappunto.
Mai come in quel momento mi sentii al sicuro, sotto le ali della Viverna.
-Master…- sussurrai, il fiato che ancora usciva a fatica
dalla gola.
-Taci.-
Un sibilo perentorio mi zittì. Non era contento, per niente.
-Rhadamanthys, mio caro. Il tuo
sottoposto non si è comportato molto bene, però.-
Flautò, il sorriso che non
abbandonava mai le sue labbra. Non sapevo se mi stesse guardando davvero, ma
sentivo i suoi occhi dappertutto.
-Non ho mai affermato il contrario. Sarò io stesso a
punirlo, infatti.-
Due tra gli uomini più forti di tutto il Regno dei Morti si
scambiarono uno sguardo, a lungo, senza aggiungere altro. Fronteggiandosi, o
forse semplicemente valutando le parole dell’altro.
Poi Lord Minos sospirò, voltandosi per andarsene.
-Ah, che noia, che noia. Va bene, torniamo indietro,
voialtri.-
E se ne andò, semplicemente, con i suoi sottoposti al
seguito, silenziosi.
Alcuni si voltarono a guardarmi, un misto di pietà e di
ammirazione, ma i più, semplicemente, se ne andarono a capo chino, con la paura
negli occhi e nel cuore.
-Dylan.-
Mi pietrificai letteralmente, chinando ancora di più il
capo.
-Guardami. E, di grazia, dammi una buona ragione per non
spedirti nelle prigioni con le mie stesse mani.-
Alzai lo sguardo, terrorizzato come non mai; forse il
rischio di morire non si era ancora dissipato, come avevo invece pensato.
I suoi occhi dorati lampeggiavano, nella fioca luce che ci
circondava, ma la sua espressione non tradiva alcuna emozione.
-Mi dispiace, Master. Ma Lord Minos ha… ha ucciso due miei
compagni di addestramento, senza alcun motivo, non gli avevano mancato di
rispetto, ma lui…-
La gola mi si chiuse, rendendomi incapace di continuare;
sentivo ancora il rumore delle ossa.
-La parola di un Generale è legge, e non deve essere messa
in discussione. Se sono morti, non erano destinati a diventare Spectre. Se tu
sei ancora vivo, il tuo destino sarà diverso: non hai il diritto, di gettare via questa opportunità.-
Si mosse, fulmineo, sollevandomi per il bavero della tuta,
senza smettere di guardarmi negli occhi.
Gli occhi. Quegli
occhi.
Stese il braccio ad indicare, nella lontananza, l’ingresso
del Regno dei Morti, continuando:
-Non ricordi cosa vi è inciso, su quell’entrata? Non hai
ancora capito cosa significhi? Nessun sentimento può attraversare quella porta.
Essi devono essere lasciati aldilà di essa, perché tutto ciò che sei stato
prima di varcare quella soglia è irrilevante: solo da Spectre potrai
riacquistarli, solo da Spectre potrai essere servitore del Sire Hades e contemporaneamente padrone di te stesso. Non prima.
E per questo che sei qui, Dylan. Non dimenticarlo mai.-
Io non potevo capire. Era troppo chiedere a dei giovani di
spogliarsi della propria identità, per ritrovarla in un percorso di sangue e
ombre. Non potevo neanche concepirlo chiaramente, né tantomeno discernere il
giusto dallo sbagliato.
Ma lui poteva farlo.
Lui era un Giudice.
Mi sarei fatto bastare la sua parola?
-Va bene, Master. Chiedo perdono.-
Mi sentivo meglio. Mi sentivo peggio.
Ma sapevo una cosa: era davvero crudele essere costretti a
guardare tutto ciò. A vivere, tutto
ciò, per poter capire che il mondo è anche peggio, ché il Meikai ne era solo
una scala ridotta, un riflesso oscuro appositamente costruito per punirne gli
abitanti, di quel mondo.
Era così crudele essere prescelti.
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CHEPPAURAMINOS.
…Gh. Ok. Scusate.
Dicevo.
In un modo o nell’altro ce l’ho fatta a pubblicare in tempo.
*C*;; *ha un mese di tempo e si riduce all’ultimo
minuto*
Una menzione di merito a Ren_chan, che questa volta ha
superato sé stessa betandomi all’ultimo istante.
Grazie mille tesoro! *heart*
Ringrazio anche Ruri dato che anche lei ha aggiunto il Canto tra le preferite e le seguite.
*un bacione*
Poi, una precisazione ancora, prima di concludere.
Sì, sembra che effettivamente Dylan non faccia altro che
rischiare di morire. Beh, da un lato posso dire che effettivamente non sia al
parco giochi, e dall’altro voglio evidenziare come questi capitoli siano
separati cronologicamente da salti abbastanza consistenti, e soprattutto
irregolari. Questo perché Dylan rievoca gli episodi che più lo hanno segnato
durante l’addestramento, e quindi il suo è un flusso di coscienza (dis)continuo. I
capitoli in flashback acquisteranno una continuità temporale più avanti, quando
si arriverà al fulcro della storia. Probabilmente, infine, l’ultimo capitolo o
gli ultimi due –dipende da come si svilupperà la trama- saranno, appunto,
narrati al presente, per concludere la storia.
Infine, doverosa nota prima di passare ai commenti.
Questo capitolo lo dedico ad Arkadio, che in una lunga
giornata a Milano ha fangirlato su Mathias,
beccandosi degli spoiler mica da ridere. Mathias ti ama come tu ami lui,
tesoro. Ma effettivamente Mathias ama qualsiasi cosa abbia un pene, quindi. Gh.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto, e attendo tante recensioncine *O* su, dai *O* come potete resistere a
questi occhioni? *O*
lenna: Ti ringrazio infinitamente per i
complimenti! Il merito va molto anche al racconto in sé, devo ammetterlo, è
molto pregnante. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Un abbraccio!
*luv*
Tsukuyomi: *BLUSH* non merito tutta questa
considerazione, grazie mille çOOOç *spuccia* e non insudici, anzi, mi rendi felice come non
mai! Benedetta sia la mitologia nordica, sì. Olim è un personaggio che mi piace
da mattih, ma io sono di parte. *spuccia
tedesco* al prossimo mese, attendo con ansia i tuoi commenti! *O* P.S.:
Bellissima, quella frase! Mi ricorda qualcosa, forse l’ho letta anche io da
qualche parte. Cercherò!
shiinait: Ma prego, tesoro, e infatti te lo
becchi anche qui il tuo caro arabo! Hai colto alla perfezione il significato
che ho cercato di dare al capitolo, e ciò mi riempie di soddisfazione. Ti ringrazio
per il tuo commento, mi fa sempre piacere leggerti! *luv*
e Olim lo amerai. Tutti amano Olim di Fafnir. *C* *è
un fanboy*
Arkadio: Fratellino lo dici al tuo gatto. Io
sono il tuo Seme. *BWAHAHAHAHAH* …idiozie a parte. Sono contento che tu abbia apprezzato
il capitolo, e anche tu hai colto appieno ciò che era mia intenzione
rappresentare, sono così contento di avere dei lettori così fantastici çOç *heart* Hajidah è un bravo
ragazzo, sì, è facile adorarlo in fondo. Attendo con ansia il tuo commento sugli
sviluppi! Un bacione, e grazie mille!
***AVVISO IMPORTANTE:*** Causa periodo di esami all'Università, e successive vacanze di Natale,
gli aggiornamenti si interromperanno per Dicembre, e forse anche per
Gennaio. Ma non temete, il Bansheeino tornerà. Intanto vi auguro un Buon Natale e un felice anno nuovo, e ci vediamo presto! Fate i bravi Spectre! *heart*