Spazio dell'autrice:
Questa non è la mia prima shounen su Slam Dunk, ma è la prima che posto, per un
motivo semplicissimo: le altre o sono orribili o mi fa fatica copiarle al
computer! Ottima motivazione no? Comunque questa ficci è in ogni caso diversa
dalle mie altre perché è nata in seguito a una riflessione: la maggior parte
delle ficci che ho letto - e scritto- su SD riguardava sempre un sentimento che
sia Hana che Ru provavano ma che non avevano il coraggio di dichiararsi; poi
veniva a galla in seguito a molte avventure... Questo non toglie bellezza alla
fic, ma mi sono accorta che rischia di diventare un soggetto non banale, ma
quanto meno sfruttato... e poi ho pensato: la maggior parte delle coppie -
coppie reali- che conosco non si mette insieme così, ma inizia con l'uscire, col
conoscersi e poi col vedere come va a finire...
Insomma volevo provare a fare qualcosa che, almeno
a me, risultasse nuovo. Non so come sia venuta, l'ho scritta in varie ore tra
ieri sera e stamattina, mi ha anche tolto il sonno credo, quindi la posto
per sapere che ne pensate. Mi scuso in anticipo se ci saranno errori di
qualsiasi genere, questa è una serie che seguivo anni fa (alle elementari^^) e
quindi la mia memoria può far cilecca...
Bene, dichiarando che i personaggi non mi
appartengono e che questa fic non ha scopo di lucro né vuole offendere alcuno vi
lascio alla storia, spero che vogliate lasciare un parere!
Buona lettura^^
Un naso da clown
Quando mi è arrivato il messaggio, non sapevo cosa
pensare.
Sono anzi rimasto lì a lungo, a fissarlo e a
rileggermelo, per esser sicuro di aver capito bene.
C’era scritto: “Vuoi uscire con me? Mi sono fatto dare
il tuo numero. Prendila come una nuova esperienza. Sakuragi.”
Immediatamente ho riposto il cellulare nella tasca della
giacca e ho cercato di non pensarci. Ci sono riuscito per due intere ore, poi
non ce l’ho fatta più: l’ho ritirato fuori e l’ho riletto un’altra volta.
Che mi piacciono i ragazzi lo so da un bel po’ e mi sono
abituato all’idea.
Ma davvero Sakuragi non l’ho mai guardato.
E adesso sono qui seduto su una panchina e mi rileggo il
messaggio per la millesima volta o poco meno.
Non c’è solo che io non l’ho mai guardato: c’è anche che
io non pensavo che lui guardasse me. Non so se devo sorprendermi: d’altro canto
non è il primo ragazzo che mi mostra interesse.
Va bene, il problema è uno solo: è Sakuragi e io non so
come prenderlo.
Mi mordicchio un po’ il labbro mentre scorro con gli
occhi il messaggio e mi soffermo sull’ultimissima parola: quel “Sakuragi” che ha
un sapore d’incertezza e d’imbarazzo. Quasi me lo figuro mentre scrive. Penso
che l’abbia spedito tutto d’un botto, premendo il pulsante senza guardare,
magari con gli occhi chiusi oppure voltati, per non pensarci. Qualcosa del tipo
“lo faccio ora prima che mi venga meno il coraggio” “via il dente via il dolore”
o simili.
Sì, penso che abbia impiegato un sacco a scriverlo,
magari cancellando quattrocento volte e rileggendoselo altrettante, per essere
sicuro di aver usato le parole giuste, ma che poi l’abbia inviato in fretta,
prima di ripensarci.
Mi sembra proprio il tipo da farlo.
Forse l’ha persino scritto il giorno prima per
rileggerselo più avanti, in modo da ricontrollarlo a mente fredda: dà un’altra
impressione.
Ma cosa sto dicendo?
Sbatto le palpebre per riscuotermi e rileggo un’altra
volta il messaggio: ma ormai lo so a memoria e così bene che la mia mente
anticipa i miei occhi nel leggere.
Sospiro, mi rimetto il cellulare in tasca, mi alzo e
m’incammino. Ho freddo alle mani e me le infilo nelle tasche della giacca.
Sarà un brutto inverno, e credo che mi si stia
arrossando il naso per il freddo.
È bruttissimo avere freddo al naso. Camminando mi viene
la voglia di comprarmi un naso da clown, almeno terrei il mio al caldo.
Mi sto figurando me stesso con un naso da clown e mi
chiedo che ne penserebbe il do’hao…insomma Sakuragi. Forse non gli piacerei più
così tanto…perché immagino di piacergli veramente tanto se ha trovato il
coraggio di chiedermi di uscire.
Insomma…io per lui non so se l’avrei fatto. Di trovare
il coraggio, intendo.
Intanto bisogna che ci pensi. Devo rispondergli entro
stasera. Non voglio arrivare all’allenamento di domani e- aspetta, ma domani non
c’è allenamento. Domani è domenica, già.
Domenica. Posso dormire fino a tardi la domenica.
Studiare un po’ e andare al campetto ad allenarmi. A metà giornata magari, così
c’è un po’ di sole ed evito questo freddo tremendo. A correre ci si riscalda, ma
c’è un limite a tutto.
E anche se corro, il naso
non mi si scalda mai.
Credo che diventerà un’ossessione la storia del naso,
quest’inverno.
Ora non devo distrarmi però, devo pensare a cosa
rispondere a Sakuragi.
Uscire, sì: e poi? Non sono mai uscito con nessuno in
verità. Almeno non ch’io ricordi. Che faremmo io e lui? Ci picchieremmo?
Ah ah. Molto divertente. Non credo che abbia consumato i
tasti del suo cellulare a furia di riscrivere il messaggio solo per venire a
picchiarsi con me. E non credo neppure che io perderei tutto questo tempo a
pensarci se avessi intenzione di fare a botte.
No, penso che cammineremmo. Sì cammineremmo, cercheremmo
argomenti di cui parlare…
Basta, ammettiamolo: non so cosa si fa a un
appuntamento.
È una lacuna bella grossa, gente.
Cammino per il centro in silenzio e continuo a
scervellarmi. Ma siamo sicuri che non sia tutto uno scherzo?
Che poi in fondo, non capisco neppure come mai io ci
stia pensando tanto. Cioè, è Sakuragi, no? Dovrei dire di no e basta.
Però non posso dire di no e basta: devo avere un motivo.
Da presentare a me stesso se non a lui.
Siamo cresciuti adesso, diavolo, non siamo più quei
bambini che al primo anno facevano a botte ogni piè sospinto. Adesso ci
ignoriamo: basta. È molto più semplice.
Devo decidere prima di arrivare a casa, altrimenti avrò
preso freddo per niente. Ecco: conto fino a dodici e se prima del dodici vedo
una bambina piccola, gli dico di sì.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove...dieci…ecco,
quella sembra una bambina. Sì, è una bambina. Fantastico.
Tiro fuori il cellulare e mordendomi le labbra inizio a
scrivere. Non basta scrivere va bene, bisogna metterci un po’ di enfasi.
“Va bene. Domani davanti al centro commerciale alle
quattro. Non fare tardi.”
Come Sakuragi ha fatto prima di me, rileggo il messaggio
e lo invio senza guardare. Solo quando mi arriva l’avviso di avvenuta consegna
ricomincio a respirare.
Riprendo a camminare, dandomi di tanto in tanto una
strofinata al naso gelato. Fa proprio freddo questo pomeriggio: e sono appena le
sei.
Mi arriva un nuovo messaggio. Estraggo di nuovo il
telefono e lo leggo. C’è scritto solo “Va bene. A domani. Ciao.”
Spero solo di non essermi infilato in un bel guaio.
Kaede Rukawa non è mai in anticipo o in ritardo a un
appuntamento dato: è puntuale. Sono le quattro e io sono davanti al centro
commerciale.
Ho rinunciato ad allenarmi per lui, perciò spero che si
faccia vivo. Sto iniziando ad avere freddo al naso. Non so quanto sia di buon
auspicio.
Alla fine arriva anche lui, comunque, e in lieve
ritardo: quattro e due.
- Ciao.
- Ciao…
- Beh…dove possiamo andare?
Silenzio.
- Andiamo in centro?
È lui a proporlo. Alzo le spalle e ci muoviamo: tutto
pur di non stare fermi.
Non so come debba iniziare una conversazione a un
appuntamento, ma credo di saperne abbastanza da poter dire che non mi sembra
esattamente calorosa la nostra.
Fantastico.
Mi nascondo le mani sotto le braccia: Sakuragi lo nota.
- Hai freddo?
- Perché, tu no?
- Un po’…ma non tanto. Difficilmente ho molto freddo.
Entriamo da qualche parte?
Annuisco. Perché no? Potremmo prendere qualcosa.
Qualcosa che sia possibilmente bollente.
Alla fine entriamo in un bar e prendiamo due cioccolate.
Ci sediamo a un tavolo ad aspettare che il barista ci faccia cenno che sono
pronte.
Di nuovo questo accogliente, direi quasi rilassante
silenzio imbarazzato.
- Ti ha stupito il mio messaggio?
Mi guarda con gli occhi diretti, né li allontana dai
miei. Vuole saperlo e cavolo, non ha fatto questa domanda così per parlare.
- Sì.
- In bene o in male?
- In nessuno dei due. Mi ha stupito e basta.
- Non sapevi cosa rispondermi, vero?
- Infatti.- Non mi pare elegante dirgli della bambina.
Si appoggia al tavolo. – Non pensavo che Kaede Rukawa
potesse avere freddo, sai?
- Perché, tu sì e io no?
- Non mi sembravi il tipo. Non mi ti figuro con i
guanti.
- Non mi metto i guanti.- Un attimo di silenzio. – Ho
smesso di comprarli in realtà. Li perdo sempre.
Un sopracciglio inarcato. Ha le sopracciglia da vero
uomo Sakuragi. Non sopporto un ragazzo con le sopracciglia fatte dall’estetista.
- Ma sono andati a prendere il cacao in Equador?
- Staranno mungendo la mucca.
- Può darsi.
Incredibile a dirsi, arrivano anche le cioccolate. Ci
sono persino i biscotti. Che carini. Considerando che ci hanno fatto aspettare
un quarto d’ora, era il minimo che potessero fare.
Prendo un biscotto dal mio piattino: è di quelli con le
gocce di cioccolato. Vedo Sakuragi aprire una bustina di zucchero e versarne
mezza nella propria tazza. Al primo cucchiaio fa una faccia strana: - Che
schifo, è amara!
È il mio turno d’inarcare le sopracciglia. – Mettici
l’altra mezza bustina.
Sakuragi segue il consiglio e riprova. – E’ ancora
amara…
Finisco il mio biscotto e svuoto due bustine di zucchero
nella mia cioccolata. Niente da fare: è ancora amarissima.
Allora arriviamo alla terza bustina, poi alla quarta; io
mi ritiro alla quinta, ma Sakuragi svuota anche la sesta. Inutile: fa schifo.
- E che facciamo? La lasciamo qui?
- Tappiamoci il naso e ingoiamo.
Così facciamo: è tremenda. Ha un sapore amaro, un po’
anche aspro. Mi viene il dubbio che il latte non fosse proprio freschissimo, ma
ormai è troppo tardi.
A questo punto paghiamo e usciamo. Ricominciamo a
camminare e di nuovo c’è silenzio.
Dopo un po’: - Hai il naso rosso.- Ridacchia.
- Ancora?!
- Perché ancora?
- Uhm…niente.
Abbiamo di nuovo freddo. Conviene trovarci un altro
negozio: c’è una libreria a pochi passi. Ha un’aria calda e illuminata.
Entriamo.
- Guarda…Il Rosso e il Nero. Di Stendhal. Voglio
leggerlo…
- Di chi?
- Stendhal, Sakuragi.
- Bello?
- Credo di sì- Non so se è una risposta. Comunque mi si
sta scaldando il naso, il che è un bene. Tamburello colle dita sul libro. – Come
mai hai voluto uscire con me?
- Sai…era un po’ che ti guardavo.
- Ah.
Continuiamo a guardare i libri, così, tanto per
scaldarci. Alla fine è solo questo quello che compro però.
E’ un pomeriggio che siamo in giro, eppure non riusciamo
a tenere in piedi una conversazione decente. Sembriamo due bambini.
Maciniamo chilometri su chilometri, molto romantico
(vero?).
Se io fossi una ragazza, e fossi in tacchi alti, penso
che a questo punto farei hara-kiri.
Passano le sei.
- Mi sa che è ora che vada.
- Già…anch’io.
- Bene, allora ci vediamo domani a scuola.
- Va bene. Ciao…
- Ciao…
Passano due giorni. Di nuovo un messaggio. “ Ti va di
rivederci? Fammi sapere.”
Stavolta non faccio alcun gioco per decidere se uscire o
no. Ci penso un po’ su però.
La conversazione non è stata un granché, ma non sono
stato male: dopotutto, quella scena della cioccolata mi ha divertito, poi era
rassicurante parlare con Hanamichi…oh, fantastico. Adesso ho preso pure a
chiamarlo Hanamichi. Quanto mi conviene?
Sono a pancia in giù sul letto col cellulare alla
distanza del mio braccio steso. Gli dico di sì o di no?
Magari ci riesco solo questa volta, per vedere come va.
Non posso giudicare dalla prima uscita. Credo che fossimo entrambi un po’ in
imbarazzo – un po’?-.
Va bene, gli dico di sì. Domani dopo gli allenamenti.
Così andiamo anche a mangiare un boccone.
Stavolta mi sono portato l’armamento pesante: cappotto,
cappello e sciarpa dove affondo mezza faccia. Certo, se voglio parlare, il naso
lo devo esporre per forza: ma considerata la velocità della nostra
conversazione, e soprattutto la scorrevolezza…
Solo i guanti non ho, per quanto li abbia cercati per
tutta la casa. Beh, ce n’era un paio spaiato, ma non mi pareva il caso.
Anche Sakuragi ha un piumino. Ha persino i guanti lui.
Devo prendere in considerazione l’idea di comprarmene un paio anch’io. Dopotutto
sono abbastanza grande da non perderli un’altra volta.
Credo.
- Ciao…che freddo. Allora, dove si va?
- Nello stesso bar dell’altra volta.- Mi è venuto
spontaneo dirlo.
Mi guarda stranito. – Stai scherzando?
- Sì.
- Ah…
- Andiamo a mangiare qualcosa invece. Hai fame?
- Da morire…dopo gli allenamenti, sempre.
- Va bene. Andiamo allora.
Stavolta c’è un clima più rilassato, mi sembra. Credo
sia una cosa buona. Camminando c’imbattiamo in un banchetto di beneficenza: ci
sono i clown che fanno un numero. Ho la faccia mezza avvolta nella sciarpa, ma
uno dei loro nasi non mi starebbe male comunque, penso. Mi viene il dubbio.
- Come mi vedresti con un naso da clown?
- Con un naso da clown? Tu?
- Sì, io.
- Sembreresti un cretino.
- Ah, grazie, molto carino da parte tua.
- Ma perché vorresti un naso da clown?
- Vuoi saperlo davvero?
- Le domande a caso ancora non le faccio.
- Perché ho freddo al naso.
Un attimo di silenzio.
- Solo per questo?
- Per quello che ti ho detto, Hanamichi. Solo per quello
che ti ho detto.
Cala un silenzio più grave. L’ho chiamato per nome.
Riprendiamo a camminare, lentamente. Il cielo è già
scuro, eppure non è molto tardi. Sollevando lo sguardo, vedo già la prima
stella.
- Qualche mese fa a quest’ora c’era ancora il sole…
- Manca un mese a Natale.
Mi sorprende che gli sia venuto in mente adesso. Ma ora
che guardo, per strada ci sono già le luminarie. Sono tutte blu e gialle.
- Un mese.
- Già.
Mi soffio sulle mani, che si stanno arrossando per il
freddo. Decisamente so cosa devo comprare.
Mi guarda divertito.
- Kitsune…fatti regalare un paio di guanti per Natale!
- Credo che sarebbero utili- riconosco a malincuore,
rimettendo le mani nelle tasche del cappotto.
- Vuoi i miei?
- No, grazie.- E’ un grazie detto freddamente, così, pro
forma, perché si dice e basta. Non sono contento che me l’abbia chiesto, perché
penso che anche quello sia pro forma: è una cosa che di chiede e basta, senza
che venga così, spontanea, perché lo vuoi fare. Solo una di quelle cose che
senti di dover fare perché chiunque lo farebbe e perché non vuoi essere l’unica
persona che non lo farebbe.
- Hai già incominciato a leggere quel libro?
- Quale?
- Quello che hai comprato.
- L’ho iniziato ieri sera. Per ora è molto bello.
Di nuovo quel silenzio. È tremendo. È una di quelle cose
che ti fa domandare perché sei voluto uscire. Non è il freddo, è il silenzio.
Per le strade ci sono i bambini che piangono per farsi comprare qualcosa e le
madri che li sgridano, solo noi siamo in silenzio.
- Al primo anno non saremmo mai usciti insieme, vero?
- No. Credo di no.
- Da quanto ti piacciono i ragazzi?
È una domanda personale questa, ma non mi dà fastidio.
Se me lo domandasse qualunque altra persona probabilmente si beccherebbe un
pugno, ma mi limito a gettargli un’occhiata aggrottando leggermente le
sopracciglia.
E lo vedo che mi guarda con aria interessata, gli occhi
franchi e diretti, schietti senza imbarazzo, né malizia.
Vuole solo saperlo.
- Non lo so.- Anch’io sono franco e diretto: non so cosa
dirgli. Ma sono sincero, comunque, o credo di esserlo, che è la stessa cosa. – E
tu?
Anch’io voglio solo saperlo e so che, se mi guardasse
negli occhi, vedrebbe lo stesso sguardo che io ho visto prima nei suoi.
Non mi guarda perché ha gli occhi fissi davanti a sé;
non per imbarazzo, però, perché è tranquillo e non arrossisce.
- Neanch’io lo so più. L’ho dimenticato, forse.
Dimenticare. Sono cose che si dimenticano queste? Ma
forse non è dimenticare come si dimenticano le chiavi; forse è una cosa così
naturale e lenta che non ti accorgi neanche che sta accadendo.
- Mi ricordo di chi mi sono innamorato per primo, però.
Non so se è la stessa cosa.
Suona come una scusa, una giustificazione. È un po’
strano. Alzo le spalle.
Anche stasera maciniamo chilometri come farebbe un
autobus di linea, e in silenzio anche stavolta: ma stavolta è diverso, anche il
silenzio è più tranquillo, è naturale: non c’è imbarazzo in questo silenzio, c’è
una strana calma. È quasi rassicurante.
- Hai ancora freddo al naso?
Annuisco. Ho mezzo viso affondato nella sciarpa, ma
questo maledetto naso non accenna a scaldarsi.
- Forse ti ci vorrebbe davvero un naso da clown…una
specie di scalda naso. Di lana.
- Credo di sì.
- Se si potesse prendere un naso come si prendono le
mani per scaldarle, ti darei una mano…
Mi viene da ridere. È un pensiero carino, anche se non è
il massimo del romanticismo, magari.
- Sono riuscito a farti ridere…
C’è una specie di soddisfazione nelle sue parole: come
se silenziosamente avesse mirato per tutta la sera soltanto a questo, e ora ci
fosse finalmente riuscito.
- E’ così strano?
- Beh, visto che tu non ridi mai…
Ha ragione, non rido mai. Proprio mai, e di certo non in
pubblico.
- E’ una specie di maschera vero?
Di nuovo quello sguardo. Diretto e sincero. Schietto,
senza secondi fini. Vuole soltanto sapere quello che ha chiesto. – Quella di non
ridere mai, dico.
Sorrido. – Forse una volta lo è stata, ma tanto tempo
fa. Adesso sono io. Sono solo io.
È la prima persona a cui lo dico, ma sono anni che lo
so. Annuisce. Anche stavolta non mi guarda. Però sento che stavolta qualcosa si
è rotto.
È una bella sensazione.
- Guarda… un fast food. Andiamo a mangiare lì?
Oh, fast food, la corretta traduzione di “mangiar sano”.
Ma va bene, per una volta non credo che mi ucciderà.
Ma se trovo un topo morto nell’hamburger, chiamo la
polizia.
Entriamo e dentro c’è un sacco di luce e calore e tutto
è molto colorato. A quest’ora c’è ancora poca gente. Ci accodiamo al bancone e
ordiniamo due hamburger, due patatine e due bibite.
Ci sediamo a un tavolino a mangiare. Fantastico. Forse
sembriamo una coppietta, ma adesso non mi dà più così tanto fastidio.
Non è come l’altra volta stasera, anche se stiamo
entrambi zitti non sono a disagio. Ho appoggiato il cappotto e la sciarpa e il
cappello sulla sedia rimasta libera accanto alla mia. Alla stessa altezza di
questo tavolino, dall’altra parte, c’è una mamma che sta cercando di far
mangiare la bambina. Potrebbe essere la stessa bambina dell’altra volta? No,
forse no. Si volta sulla seggiola colorata, ci vede e ci dice: - Ciao.
- Ciao- la risaluta Hanamichi.
Lo osservo mentre sorride alla bambina e vedo luminosi i
suoi occhi e le sue labbra piegate in un sorriso rassicurante. Non l’ho mai
visto così.
Ha una bella bocca – ma che discorsi faccio? Però è
vero. Sì ma adesso non dovrei mettermi a pensare a queste cose. La bambina ci
volta le spalle e, girandosi verso di me, Hanamichi si mette a ridere.
È più bello quando ride – ma che cosa sto dicendo? Devo
smetterla di pensare a queste cose. Mi concentro sul panino che sto mangiando.
- Pensi che i miei capelli attraggano l’attenzione?
Mi guardo attorno. Sì, a volte qualcuno ci guarda: due
ragazzi alti un metro e ottanta, uno dei quali coi capelli che sono un pugno in
un occhio.
- Forse…un pochino.- Quella dei bambini, sicuramente.
- E a te come sembrano?
- Sono…particolari.
- Particolari? E poi?
Eccoli, due occhi onesti e intelligenti che ti fissano.
- Belli.
- Davvero?
Non rispondo più e sbatto le palpebre. Sorride. Ha
ottenuto ciò che voleva e, se non m’inganno, questo gli fa un piacere immenso.
Finiamo di mangiare e usciamo. Dopo mangiato ho un po’
meno freddo, e poi, ci siamo riscaldati a lungo.
- Ecco…credo che tra un po’ si debba rientrare. Prima
che sia tardi.
- Prima che si crepi dal freddo- aggiungo, ed entrambi
ridiamo un po’.
Lo accompagno alla stazione dei treni. Ecco, adesso deve
salire.
- Bene, allora ciao.
- Ciao. Grazie della serata.
Ecco, questa è una cosa che non dico a malincuore,
perché va detta; la dico perché voglio dirla, perché bisogna che sappia che
stasera è andata meglio dell’altra volta.
È sorpreso nel sentirmela dire. Resta interdetto per un
attimo, poi sorride.
- Grazie a te. Allora a domani.
E prima di salire sul treno, si sporge e mi dà un bacio
sulla guancia.
È la terza volta che usciamo. Stavolta cinema, così si
sta al caldo. Inutile dire che ho scelto io pensando al mio povero naso.
Lo aspetto davanti al cinema in armamento pesante ed
eccezionalmente, guanti. Li ho comprati ieri sera tornando a casa
dall’allenamento. Quando Hanamichi me li vede addosso, si mette a ridere.
- Kaede, ma quelli…sono guanti!
- Ma dai?
- Credevo non ti piacessero i guanti.
- Non ho detto che non mi piacevano, ho detto che li
perdo sempre.
- Sono curioso di vedere quanto ti dureranno.
- Ah ah…molto spiritoso.
Entriamo e paghiamo il biglietto. Il film è Nemico
Pubblico, con Johnny Depp. È un bel film, e anche se sono stato io a decidere di
venire al cinema, devo ringraziare lui per aver scelto lo spettacolo. Perciò
sono contento quando usciamo, anche se ormai abbiamo perso le ore di luce e mi
devo stringere nel cappotto.
- Non è ancora troppo tardi…facciamo una passeggiata?
- Sì, così ci scaldiamo.
A camminare ci si scalda un pochino, ma insomma non mi
pare il caso di lamentarmi. Sono di buon umore questo pomeriggio, e questo non
credevo che potesse succedere in sua compagnia.
- Non credevo che fosse il tuo genere di film questo,
sai?
- Ah no?
- No…ti figuravo più il tipo da film romantico.
Lo guardo. Perplesso. – Film romantico? Io?
E mentre lo guardo mi accorgo che mi sta prendendo in
giro e sbuffo, ma di divertimento.
- Sei tremendo…
- Davvero?
- Davvero. – E neppure io so se sto scherzando, o se sto
dicendo sul serio.
Passiamo tutto il pomeriggio fuori, ma siccome c’è un
ventaccio freddo, praticamente usciamo da un bar ed entriamo in un negozio. Alle
sette, per scaldarci siamo arrivati a una cioccolata, un caffè e un libro a
testa.
Sì, perché nella prima libreria io ho comprato un libro
di André Gide, e nella seconda lui, chissà perché, un libro di Hesse.
- Come mai, Hanamichi?- gli chiedo mentre paga.
- Lo sai che so leggere anch’io, kitsune?
- Cosa? Ma stai scherzando?
- Poi sono io quello tremendo?
E mi metto a ridere, perché sembra indispettito.
Alle sette insomma bisogna andare a casa. È brutto
salutarsi, un po’. Mi sono divertito questo pomeriggio.
- Sono contento di essere stato con te- gli dico mentre
aspettiamo il suo treno.
Lo sa che sono onesto. Mi sorride. – Anch’io. Ma…tu non
avevi i guanti?
Mi guardo le mani. E’ vero, ho dimenticato di
rimetterli. Quando faccio per cercarli però me ne accorgo.
- Cavolo, ne ho perso uno!
Si mette a ridere. – Lo dicevo io che non ti sarebbero
durati!
Mi offenderei, ma in fondo ha ragione e rido anch’io. In
fondo avrei dovuto saperlo.
Ci rilassiamo e stiamo zitti per un minuto intero. Mi
rendo conto di quanto sono stanco. Senza sapere perché, mi appoggio con la testa
alla sua spalla. Avverto la sua confusione e mi metto a ridere.
- Ma che fai kitsune?
- Niente…non si vede?
- Mah…contento te…
Resto ancora un po’ così, poi sentiamo annunciare il suo
treno. Ci alziamo e ci avviciniamo ai binari.
- Magari ci possiamo risentire tra qualche giorno, per
uscire…
- Certo.
Ecco, il treno sferraglia sui binari accanto a noi. Mi
protendo e gli do un bacio, non sulla guancia, sulla bocca.
E non so chi di noi due è più stupito, né adesso né
quando è lui a baciarmi.
È la vigilia di Natale, tra un po’ sarà un mese che
stiamo insieme.
Natale in famiglia, okay, ma la vigilia voglio passarla
con lui.
Così adesso sono qui ad aspettarlo davanti al centro
commerciale, col suo regalo in una busta bianca appesa al polso. Al polso,
perché le mani sono in tasca: i guanti ho – di nuovo- rinunciato a comprarli.
Non ci siamo promessi amore eterno, non ci sposeremo e
non andremo a vivere insieme: stiamo insieme perché insieme stiamo bene. Punto.
Se poi ci innamoreremo, lo vedremo col tempo. Intanto, stiamo a vedere.
Alla fine arriva anche lui, col suo lieve ritardo di
cinque minuti. Ho smesso di arrabbiarmi ormai. Va bene anche così.
Ci salutiamo con un bacio. Staccandomi, mi accorgo che
ha una busta in mano.
- Ma non ci eravamo detti di non farci regali?
- Però mi sembra che anche tu non abbia tenuto fede alla
parola- osserva sorridendo vedendo la mia busta.
- Uhm…questo non è un regalo. È una sfida.
- Una sfida? Ma davvero? Sono curioso.
Sorrido. – Credo che lo scoprirai domani…
- Domani è così lontano! Io sono curioso adesso!
Sospiro, stavolta. Non mi sbagliavo: è proprio tremendo…
- Va bene allora. Apriamoli adesso. Così non saranno dei
veri regali di Natale e potremo anche dire di aver tenuto fede alla parola.
È una soluzione che gli piace. E che piace anche a me,
lo ammetto, perché anch’io sono curioso.
Ci sediamo su una panchina. È lui il primo ad aprire il
suo regalo: e che faccia strana fa quando scarta Cime Tempestose di Emily Bronte!
Strana, ma non delusa: è solo perplesso.
- Kitsune, grazie, ma non capisco…perché sarebbe una
sfida?
- Perché una volta mi dicesti che sapevi leggere…ed è
arrivato il momento di scoprire se è vero!
Si mette a ridere, contento, e mi dà un bacio. – Apri il
mio, adesso.
Non c’è il pacchetto, c’è solo la busta, chiusa con vari
punti di spillatrice. La apro con cura e dentro ci sono più cose. La prima che
tiro fuori è un paio di guanti. Sono belli, grigi, morbidissimi, molto eleganti.
- Belli…questi cercherò di non perderli!
- Guarda meglio… c’è un’altra cosa.
Frugando in fondo alla busta, trovo qualcosa di sottile
e morbido. Lo tiro fuori. È una corda sottile, grigia, elastica, della stessa
stoffa dei guanti: alle estremità ci sono due specie di mollette…
- Cos’è?
- E’ per legare i guanti uno all’altro! Così se proprio
li perdi li perdi entrambi e non uno solo! Ma sta’ attento, perché se li perdi
ti ucciderò- aggiunge molto seriamente. – Comunque, guarda ancora…c’è un’ultima
cosa.
- Ancora?- Guardo nuovamente dentro la busta. Vedo
qualcosa di piccolo e rosso. Infilo la mano e quando lo tiro fuori non riesco a
trattenermi dal ridere.
- Non ci posso credere…
- Bello eh?
- Ma non dicevi che sembravo un cretino?- E’ un naso da
clown.
- Infatti lo sembrerai…ma non ne posso più di sentirti
dire che hai freddo al naso!
- Come sei romantico certe volte, Hana…
- Ah, molto romantico sentirti dire in continuazione “Mi
fa freddo al naso”!
- Uhm…comunque grazie per essertene ricordato.
È vero, sono contento che se ne sia ricordato. Penso che
sia carino da parte sua, no? Forse non romantico, ma sicuramente carino.
- Bene…- Gli do un bacio. – Allora una volta finiti di
scartare i nostri non-regali di Natale, andiamo da qualche parte?
- Okay…cioccolata?
- Non ne staremo prendendo un po’ troppe questo mese?
- No…male non farà- sorride attirandomi a sé e ci
incamminiamo per le strade della città.
Owari.