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Capitolo
I
The
private wound is deepest
Correva a perdifiato per le strade sgombre di
Konoha, cercando qualcuno che potesse dirgli che stava succedendo.
Il villaggio pareva
morto, come se nessun essere vivente ci vivesse più, o peggio – constatò
notando che tutto, dai piccoli chioschi alle case vere e proprie, anche quelle
che un tempo ricordava fatiscenti, erano linde e nuove – come se nessuno
vi avesse mai abitato.
Solo il martellante eco
dei suoi passi fungeva da compagnia, ben misera consolazione in mezzo al
silenzio più totale.
Proseguì per la strada
principale con quasi le lacrime agli occhi, mentre il senso di abbandono e
privazione prendeva il sopravvento sul suo solito essere positivo in qualunque
situazione.
Qualche goccia fredda
gli cadde sulla tempia, segno che probabilmente stava per piovere, ma non
voleva badarvi troppo o si sarebbe fermato, dando retta ad un impulso che
sembrava venire come dall’esterno di tutto ciò che lo circondava; come se non
facesse parte del mondo in cui si trovava.
Si morse il labbro
inferiore, imprimendosi bene nella mente di non cedere al panico e di
continuare a correre, quasi fosse la sua unica ancora di salvezza.
Deviò rapidamente in
uno svincolo laterale, dirigendosi verso l’unico luogo che, sperava, avesse
conservato il suo solito aspetto, dandogli la certezza che tutto era come
doveva essere, che la gente del villaggio, molto probabilmente, era ad una
riunione pubblica dell’Hokage e che lui, con la sua solita sbadataggine, se ne
era dimenticato.
Le gocce d’acqua, da
poche, divennero tante. Stava piovendo, eppure sentiva bagnate solo le tempie.
Il resto, era totalmente asciutto.
Non si fermò a
riflettere, nonostante un vago sentore di malessere lo invogliasse a farlo, ad
aprire gli occhi per capire che c’era veramente qualcosa di anomalo in tutta
quella situazione.
Scosse la testa,
cercando di non pensare ad altro se non alla sua meta.
Aveva un disperato
bisogno di poter dire: “sono un idiota, è tutto ok. Non c’è nulla di strano.” e
per farlo, doveva verificare con i suoi occhi.
Se fosse riuscito a
capirsi meglio, però, avrebbe anche saputo che in fin dei conti non gli
importava di dove fossero finite tutte le persone, ma che almeno quella
casa fosse rimasta così com’era, pronta a dirgli che non doveva recarsi lì per
vedere lei, ma correre dall’altra parte per cercare lui.
Si sentì
improvvisamente la bocca secca ed era normale, stava comunque correndo da più
di un’ora e l’aria si stava facendo gelida.
Schioccò la lingua,
cercando di racimolare saliva a sufficienza per togliersi quell’orrenda
sensazione, ma per qualche strano motivo non ci riusciva.
Non capiva cosa stava
succedendo, era tutto così… complicato e non c’era nessuno ad aiutarlo.
Alzò il volto sfidando
la pioggia, eppure di essa non vi era traccia, ma c’era la sua meta poco
lontano e tanto bastava a distrarlo.
Accelerò l’andatura
dando fondo alle sue energie, felice di riuscire finalmente a scorgere quella
casa.
Riusciva a vedere il
tetto spiovente dalle tegole scure, l’alto muretto grigio chiaro che recintava
la casa...
Un forte dolore
inaspettato, simile ad un Chidori che trapassava il corpo, partendo dalle
tempie fino a giungere sulla spina dorsale, lo fece cadere violentemente a
terra in preda agli spasmi.
Spalancò la bocca per
gridare, ma qualcosa gli bloccava la voce, come se qualcuno gli avesse messo un
bavaglio invisibile in previsione del suo gesto.
Il suo corpo si
contorse, ripiegandosi su se stesso fino al limite possibile, per poi
allontanarsi di colpo, portando le ossa della braccia e del bacino in punto di
rottura, acuendo il dolore che già provava.
Spostò all’indietro la
testa, sbattendola duramente contro il terriccio, macchiando i capelli biondi
di fango e terra.
In un ultimo spasmo,
con gli occhi azzurri sgranati dalla confusione e dalla paura, rivolti verso il
cielo sempre più nero, si contorse così tanto da piegare il braccio
all’indietro fino a causarne la rottura.
Questa volta la voce
uscì ed un grido ruppe il silenzio che aveva regnato fino ad allora,
infrangendo davanti ai suoi occhi il luogo in cui si trovava.
L’ultima cosa che vide,
prima che i suoi occhi azzurri diventassero opachi, fu un fascio di luce e
qualche voce che gridava.
Dalle sue labbra,
colava un piccolo rivolo di saliva, testimone di un dolore talmente forte che
persino il suo corpo, notevolmente coriaceo, non era riuscito a sopportare.
«Sapete benissimo che
questa non è una pratica lecita!»
«Sei in condizioni tali
da dirmi cosa posso e non posso fare?»
«No, ma ciò non toglie
che è illegale!»
«Non do retta a dei
buoni a nulla, ma se desideri andartene…» un sorriso lascivo e malizioso
serpeggiò sulle sue labbra «…sarò ben lieto di accompagnarti alla porta.»
Un lieve gemito di
dolore interruppe la discussione.
«Si sta svegliando,
portalo via.»
La porta della stanza
si chiuse con un leggero tonfo.
«…Maledetto bastardo.»
La nebbia che pareva
ricoprire i suoi pensieri, si dissolse lentamente, facendogli riprendere poco a
poco l’uso dei sensi.
La prima cosa che
percepì, fu l’odore asettico della stanza.
Aprì a stento gli
occhi, ritrovandosi con la vista annebbiata senza una motivazione plausibile.
Li richiuse, sperando
che servisse a qualcosa e quando li riaprì, riuscì solo a vedere una forte luce
bianca che lo infastidiva.
Voltò la testa di lato,
notando un uomo dai capelli castani, raccolti in una coda alta, che gli
fasciava il braccio destro. Gli stava parlando, vedeva le sue labbra muoversi,
eppure non sentiva. Aveva una specie di fischio nelle orecchie che gli
offuscava i suoni e lo infastidiva non poco.
Lo vide voltarsi e
guardarlo apprensivo, con una punta di dolore negli occhi.
Lo riconobbe
facilmente, anche se la vista dava ancora qualche problema, grazie alla grossa
cicatrice orizzontale che aveva sopra il naso.
«Iruka-sensei!»
Esclamò felice,
inconsapevole che la sua voce fosse gracchiante e flebile, ma sentiva di avere
la gola secca e fece schioccare un paio di volte la lingua, come a suggerirlo
al suo interlocutore.
Iruka sospirò,
portandogli alle labbra un bicchiere d’acqua fresca che aveva preparato in precedenza.
Lo bevve d’un fiato,
compiacendosi della sensazione di benessere che la sua gola stava provando.
Si domandò perché fosse
fasciato, ricordando improvvisamente il dolore lancinante che aveva provato
prima di perdere conoscenza.
Si accigliò, non capendo
bene la situazione, ma lo sguardo preoccupato di Iruka lo distolse dai suoi
pensieri.
Gli sorrise,
ringraziandolo dell’acqua e pronto a riprendere la sua missione, totalmente
dimentico dei quesiti lasciati senza risposta.
Provò ad alzarsi dal
lettino, ma la pesantezza agli arti – pesantezza che si accorse solo in quel
momento di avere – glielo impedirono, costringendolo a stare nella stessa
posizione in cui si era trovato.
Storse il naso tra
l’irritato ed il confuso, ma felice che almeno il fischio che gli martellava i
timpani andava diradandosi e la gola sembrava tornata come nuova. Stava
riprendendo il controllo dei suoi sensi, anche se non avvertiva il proprio
corpo. Era come se non ce lo avesse, o che fosse un macigno troppo pesante da
sollevare.
Assottigliò gli occhi
meditabondo, prima di rivolgersi all’uomo e tempestarlo di domande.
«Iruka-sensei, perché
non sento il mio corpo? Che è successo? E dove sono tutti? Lo sai che mi ero
quasi dimenticato che oltre ad insegnare facessi anche l’infermiere? E baachan?
Dov’è? Ah, ma sicuramente sta lavorando. Umh… penso sia ok, tanto ci metto poco
a guarire lo sa, così posso andare a cercare Sasuke! Ah, ma non lo dire a
Sakura e a Kakashi, che poi si preoccupano!»
Iruka gli scompigliò i
capelli, sorridendogli amorevolmente come farebbe un genitore.
«Non glielo dirò,
promesso, ma solo se rispondi ad una mia domanda, intesi, Naruto?»
Il ragazzo annuì.
«Perché continui a
cercare Sasuke? Sono anni che lo fai, te ne rendi conto?»
Naruto non pensò alla
risposta da dare, era una cosa abbastanza scontata, eppure la gente continuava
a domandarglielo.
«È ovvio, no? È perché
è un teme e senza di me non può combinare nulla di buono!»
Iruka sorrise. Ogni
volta che glielo domandava, rispondeva sempre in maniera diversa, ma di mezzo
c’era comunque quella piccola offesa: “teme”. Perché lo chiamasse così non lo
aveva mai capito.
«Iruka-sensei, entro
stasera devo ripartire. Devo ritrovarlo ad ogni costo e non mi farò più mettere
sotto, lo giuro!»
Iruka sgranò gli occhi,
guardandolo confuso.
«”Mettere sotto” in che
senso?»
Lo vide arrossire e
mettere su un piccolo broncio, facendo risaltare l’azzurro di quelle iridi
sempre un po’ offuscate ai suoi occhi.
«Tsk! Quel teme non è
più forte di me e glielo mostrerò!»
L’uomo rise, preferendo
non indagare oltre ed evitare di pensar male. Si alzò dal giaciglio di Naruto,
scompigliandogli nuovamente la folta capigliatura bionda.
«Bene. Naruto, ora devo
andare e stai attento a quel braccio! Fortunatamente non era una frattura
gravissima, ma non si sa mai. Riposati, ok? Verrò domani mattina a controllare
come stai. Buona notte.»
Naruto si girò
accigliato, riuscendo a muovere solo il viso nella sua direzione.
«Ma che dici
Iruka-sensei! È ancora mattina, mica sera! Si vede che stai invecchiando, eh?»
Iruka lo guardò
affranto, tentando di mascherare la preoccupazione con un sorrisino tirato
nella sua direzione.
Simulò una voce
allegra, nonostante tutto nel suo volto avrebbe potuto dire il contrario.
«Hai ragione Naruto, è
giorno…»
Mise un tesserino magnetico
su di un piccolo schermo bianco, lasciando che la porta blindata si aprisse al
riconoscimento dell’identità.
Era sull’uscio, quando
si sentì richiamare da Naruto.
«Ah, ma oggi non me le
dai le medicine?»
Iruka si voltò,
lievemente incredulo per via della sua dimenticanza e per le parole del
giovane. Poteva forse sperare che si era ripreso?
Lo guardò fiducioso,
trovandolo con gli occhi chiusi che mormorava parole senza senso, ma era
sveglio, lo poteva notare dal respiro costante e per nulla pesante.
Si avvicinò, mentre la
porta si richiudeva alle sue spalle.
Dal taschino del camice
che indossava, prese due confezioni di pasticche. Estrasse i medicinali,
premurandosi di riempire nuovamente il bicchiere d’acqua, prima di inserirgli
le pasticche tra le labbra socchiuse.
«Bevi Naruto, così
andranno giù meglio.»
Naruto socchiuse gli
occhi, guardandolo un po’ confuso.
«Cosa sono,
Iruka-sensei?»
L’uomo sospirò deluso.
Ancora una volta, ci aveva sperato.
«Caramelle, ti faranno
sentire meglio.»
Prese la testa di
Naruto con una mano, aiutandolo a sporgersi per bere.
Finito il procedimento,
uscì mesto dalla stanza, avvertendo per l’ultima volta della giornata, il nome
Sasuke.
Una volta fuori dalla
struttura medica, si strinse il cappotto addosso per combattere il freddo
pungente dell’aria, pronto per andarsene a casa, proprio mentre la luna si
stagliava alta nel cielo.
Note post-risultati: Non
sono molto soddisfatta, ci sono regole che non sono state tenute da conto e la
cosa mi fa imbestialire. Non per una questione di punteggio, sarebbe stata
praticamente identica la situazione, ma per una questione di correttezza. Per
il resto, vorrei davvero sapere cosa c’è di non originale nella storia °°.
Orochimaru è uno sterotipo? Non mi pare, ho ripreso il manga e tutto il suo
essere mellifluo che ci mostra nel catturare Sasuke. Andiamo, quella serpe
farebbe di tutto per accalappiarsi Sasuke! Mhà, comunque non m’importa neanche
troppo, la storia mi piace e la reputo bella, non perfetta, ma bella. Vedrò di
migliorarmi ù_ù.
Un’ultima cosa: “non per stomaci delicati” è perché,
trattando di argomenti delicati e facilmente impressionabili per alcuni, è un
avviso che andava inserito, a mio parere. Ci sono anche accenni alla pedofilia
e molti sulla violenza fisica/psicologica, motivo che mi ha spinto molto ad
alzare il rating. Non lo ritengo rosso, ma nemmeno sotto l’arancione. Il
“Chidori” è maiuscolo perché è una tecnica e, in quanto tale, andrebbe messo
così.
Spero di aver detto tutto.