Titolo:
L’ultima (fottuta) notte.
R: Arancione
(più che altro per il linguaggio
colorito)
Personaggi: Sgt.
Donnie Donowitz
Pairing:
Sorpresona
Disclaimer:
I Bastardi e Donnie
Donowitz (disgraziatamente)
non mi
appartengono, ma lo vorrei tanto, se Quentin Tarantino me li vuole
cedere anche
per qualche giorno sono pronta ad assicurare che ne farei buon uso. Non
scrivo
a scopo di lucro anche se mi piacerebbe tanto fare anche questo.
Riassunto della storia:
Donnie Donowitz e la sua
ultima fottuta notte prima di farsi saltare in aria dentro un cazzo di
cinema
francese.
L’ultima
(fottuta)
notte
Al sergente Donnie Donowitz non
piaceva aspettare.
Ai più era cosa ormai nota
e, ai meno, lo sarebbe stato
presto: la pazienza, almeno nella sua accezione più comune,
non faceva parte
dell’infinito repertorio delle sue qualità.
Ma è bene non essere
fraintesi: Donnie Donowitz non era un
cattivo ragazzo, era solo, come tutti i giovanotti della sua
età, pieno di
energia. E tutta questa energia, quando non poteva essere canalizzata
attraverso la sua mazza da baseball e rilasciata sul cranio di qualche
dannato
Nazista , lui proprio, non riusciva a gestirla.
La schiena percorsa da strani
brividi, le mani che cominciano
a prudere, la testa a pulsare e qualcosa gli si blocca
all’altezza dello
stomaco… anche se no, non ha mangiato proprio un cazzo di
niente, non oggi
almeno.
Sbuffa, Donnie Donowitz sbuffa, e si
chiede quanto cazzo
ancora ci vorrà perché arrivi il suo turno.
Non riusciva nemmeno a credere di
trovarsi lì! Come diavolo
aveva potuto prendere in considerazione quella possibilità
con tutto il cazzo
di casino che c’era stato?
Risposta: Avevano fatto saltare in
aria il cervello a metà
del suo gruppo poche ora prima, e il giorno dopo sarebbe saltato in
aria anche
lui.
Ecco perché cazzo stava
lì.
Non era andato, come molti potrebbero
erroneamente pensare,
per distrarsi. L’ultima cosa che voleva era scaricare la
tensione, ai fini
della loro impresa la cazzo di tensione era fondamentale.
Ma quella notte non c’erano
Nazi da pestare, e non c’erano
altri piani da formulare. Quella notte non c’erano pub in cui
andare a bere e
far baccano, con belle cameriere da sculacciare.
No, quella cazzo di notte non
c’era proprio un cazzo niente.
Ed era l’ultima,
fottutissima, notte.
“E nell’ultima
fottutissima notte” proferisce Donnie
Donowitz a se stesso “..è giusto
fottere!”
Il tizio seduto di fronte a lui lo
fissa per un attimo
interdetto, pensando parlasse con lui, ma scorgendo la mazza
insanguinata distoglie
rapidamente lo sguardo.
Che si fotta, pure lui.
Donnie Donowitz lo squadra alla
ricerca di segni sospetti, svastiche
nascoste …santini del Porco-macellaio-di-ebrei .. ma un
cazzo di niente! Meglio
così pensa, il giorno dopo avrebbe avuto tutto il sangue
che voleva. Rovinare
un capolavoro di piano spaccando la testa ad una mezzatacca
del cazzo come quella era come sputare sulla Gioconda.
Ma a Donnie Donowitz, come ho già
detto, non piace aspettare.
Così , prende la sua
fedele mazza –fremito della mezzatacca-
in mano, si alza in piedi e
comincia a percorrere
a falcate su e giù
l’angusto corridoio. Il suo passo è pesante e
regolare, gli anfibi chiodati si
incastrano tra le fessure del parquet già roso dai tarli,
della latrina
adiacente agli alloggi si diffondeva un olezzo nauseante, perfino per
lui.
Quella cazzo di stasi era snervante.
Non ricordava quando
fosse l’ultima volta che aveva provato noia, da quando stava
con i Bastardi –o
con quello che ne era rimasto- la noia era uno stato di grazia che non
si era
più potuto permettere. E tutto considerato, per lui, era
solo una cazzo di
considerazione positiva: Odiava annoiarsi.
L’unica cosa che odiava di
più erano i Nazisti.
Sai che bello se tutta
l’attesa del caso gli stesse
riservando un incontro alla fine poco gradito?
Il problema dei bordelli, soprattutto
quando sovraffollati
di clienti, è che non sai mai che puttana ti capita! E
magari , diciamo
“magari” , qualcuno
di quei bei tipetti
impomatati che stavano li seduti e lo fissavano con quei cazzo di occhi
fuori
dalle cazzo di orbite si riservavano a suon di franchi le tette
migliori.
Era sempre così.
Donnie Donowitz si ferma, punta a
terra la fedele amica
leggermente scheggiata e ci si appoggia. Era da tempo che non pensava
alle
donne. Non in modo serio almeno.
Da quando si era unito ad Aldo con il
preciso intento di
ammazzare quanti più tedeschi possibili, nascosti e
mimetizzati nella merda,
nemmeno fossero Robin Hood e la sua cazzo di gang del bosco, le femmine
erano
diventate un fatto occasionale e soprattutto casuale.
A differenza di quello che si
potrebbe pensare di lui ,
almeno a prima vista, Donnie Donowitz era un vero signore.
Almeno lo era con le donne.
Perfino con le tedesche non aveva mai
alzato un dito –ci
avevano pensato gli altri veramente- ma per quanto lo riguardava, di
prendere a
mazzate una donna in testa non se ne parlava proprio! E tanto meno,
l’avrebbe
costretta a fare altro contro la sua intenzione.
Sua madre gli aveva insegnato bene a
portare rispetto: una
donna quindi, secondo il galateo di Donnie Donowitz veniva ammazzata
si, ma in
modo rapido e indolore.
Vanno trattate con riguardo, le
donne.
Quindi, per soddisfare certi
“appetiti”quando se ne sentiva
la necessita –e ultimamente era avvenuto meno del solito- ci
si infilava in un
qualche locale buio e poco noto, dove le cameriere erano generalmente
bendisposte verso bei ragazzi prestanti, e le si metteva
all’angolo con un paio
di paroline gentili e molti drink. Era questione di pochi minuti e
raramente ci
si diceva il nome.
Ma quella sera voleva qualcosa
più di due minuti: voleva una
donna e la voleva bella.
Da qui l’idea del bordello.
Parigi era la patria del sesso a
pagamento, siano ringraziati i francesi!
C’erano più
bordelli che banchi al mercato del pesce e tutti
promettevano le stessa cosa: molte donne e pochi vestiti. Uno slogan
destinato
a fare successo.
Le puttane di quel bordello le aveva
già viste qualche
volta, in giro per i locali a cercare clienti, e un paio se le era pure
fatte
forse. Ma un letto comodo e le tende di pizzo sono un’altra
cosa, che diamine.
Il cazzo di tempo passa e sembra che
i bambocci quella sera
ci mettano più del solito a farselo venir duro. Un altro
minuto così e si
sarebbe infilato in un camera e fatto un sega da solo, per la patria e
per il
re!
Niente scopata d’addio,
Donnie Donowitz ormai era giunto a
questa ferma conclusione.
Riafferrò saldamente la
sua compagna d’azione e se la mise
in spalla.
Fece per fare dietrofront e
rimboccare il corridoio verso
l’uscita quando sentì delle lamentale provenire da
una delle camere.
Come abbiamo già detto:
Donnie Donowitz era un vero signore,
ma stava in un cazzo di bordello e le femmine, è noto, si
lamentano sempre per
ogni cazzo di cosa! Magari uno c’era andato un po’
pensate dopo un giornata di
lavoro e quella subito si lamenta. Ma cazzo femmina è il tuo
lavoro!
Quindi tira dritto , testa alta e
mazza in vista, che
nessuno gli si pari in fronte reclamando alcunché..
è arrivato alla fine del
corridoio quando sente ancora un grido, questa volta, una vera e
propria richiesta
d’aiuto.
Eh no Donnie Donowitz, eh no, col
cazzo! Tu non sei un cazzo
di paladino! tu sfondi il cranio a uomini di ogni dimensione e grado
ogni
giorno, sacchi di escrementi certo, ma non sei il principe azzurro di
nessuna
cazzo di puttana.
“Aiuto! Vi prego
..aiuto…” gemiti, urla, chiasso, vetri che
si rompono.
Se non sei il cazzo di principe
azzurro della situazione
Donnie Donowitz… perché cazzo stai camminando
speditamente in direzione opposta
all’uscita?
Donnie Donowitz, sei davanti alla
porta, ora i rumori
violenti si sentono distintamente. Ma ancora non ti muovi. Non sono
fatti tuoi,
non lo sono e vorresti che lo fossero.
Non puoi permetterti che la cazzo di
Gioconda vada in merda
solo per le lamentele di una cazzo di puttana delicata.
E non ti muovi. E non si muove
nessuno. Perché non si muove
nessuno?
A parte lui e gli altri Bastardi non
gli risultava che altri
persone si sarebbero immolate per alcunché la sera
successiva. Potevano
immolarsi ora, avevano la grande occasione.
Colletti inamidati del cazzo.
“Maledetto……
nazista maledetto!”
E’ un lampo.
La porta è spalancata. Le
cervella dell’uomo sparpagliate
per la moquette pulciosa, la femmina in piedi, con i vestiti in
brandelli e gli
occhi neri spalancati, ha smesso di urlare soffocando tutto con una
mano
stretta sulla gola.
Donnie Donowitz è in piedi
sopra quel che resta del soldato
nazista a cui ha appena sfondato il cranio e distrutto la fisionomia.
Come cazzo è arrivato fin
li?
Sta ricordando: Era davanti alla
porta, la femmina urla, urla
contro i soprusi perpetrati da un cazzo di Nazista. Lui sfonda la porta
con un
calcio, come fosse fatta di cracker, non vede altro che la spilla a
svastica
appuntata sulla divisa dell’uomo che ora gli è di
fronte.
E parte il massacro. Come un toro
quando vede il rosso,
Donnie Donowitz si è avventato sui simboli della sua
sofferenza, della
sofferenza sua e del suo popolo, e compie la missione che gli
è stata affidata:
Uccidere tutti i cazzo di Nazisti.
Nessuno ha mosso un dito, come se
fosse stato possibile. Si
volta e lancia una rapida occhiata fuori dal corridoio.
I cazzo di damerini trattengono il
fiato. Donnie li fissa
uno ad uno negli occhi, solo una cosa è leggibile: paura.
Tanta paura.
“Sparite” dice
semplicemente Donnie Donowitz e quelli non se
le fanno ripetere. Sgattaiolano via come topi quando il gatto sazio ha
abbassato la guardia.
Uno scricchiolio, la mazza
è già sollevata e l’Orso Ebreo
è
in posizione di difesa, l’attacco è appunto, la
miglior difesa. La femmina lo
guarda sconvolta, i denti non troppo candidi affondati sul labbro
inferiore a
bloccare un’altro cazzo di grido, aveva mosso un passo.
Ha paura, è normale.
Donnie Donowitz si dice che è anche
troppo brava per la situazione. Posa l’arma su un fianco e in
un gesto
assolutamente fuori dalla sua comprensione le allunga una mano per
aiutarla a
scavalcare l’intestino dell’ex patriota.
È stupito più
di lei quando la vede afferrare la mano, anche
se titubante, e assecondarlo.
“Vattene” le dice.
Ma lei non se ne va e continua a
fissarlo. Che cazzo vuole?
Un brivido, non capisce se per la
sorpresa o per cosa, sente
la mano della donna sfiorargli il braccio e il suo sguardo scivolare
dalla sua
spalla lungo il gomito.. il polso, gli prende la mano. Ne percorre
tutta la
superficie con i polpastrelli, carezzandogli il dorso e le nocche
gonfie.
Donnie Donowitz in quel momento non
riusciva, stranamente, a
non pensare.
La sensazione piacevole era
contrastata dall’assurdità del
contesto. Cazzo! Cosa stava facendo? Aveva appena massacrato a botte un
uomo
con una mazza da baseball e quella stava lì e trattava la
sua mano destra come
una santa reliquia del cazzo.
Donnie Donowitz ritrasse la mano in
fretta, mentre lei lo
fissava con gli occhi spalancati, senza capire.
“Vattene” ripete
fissandola dritta negli occhi , e questa
volta, seppur titubante la donna si allontana lentamente, lasciandogli
la mano:
prima da lui e poi dalla camera.
Se fosse rimasta altri due minuti, se
la sarebbe scopata li
sopra tutta quella merda e l’odore rivoltante che emanava. Ma
non sarebbe stato
il suo cazzo di principe azzurro dell’occasione , e i
principi azzurri -lo
sanno tutti- non scopano.
Cazzo però, Donnie
Donowitz, quella aveva proprio un gran
bel paio di tette!
Riattacca la porta della stanza ai
cardini alla meno peggio,
e si volta verso quel che resta di un uomo.
Come dicevamo fin
dall’inizio a Donnie Donowitz non piace
aspettare, ma l’attesa a volte, riserva piacevoli sorprese
inaspettate.
Afferra di nuovo la sua arma, la sua
compagna, l’amica
fidata di lunghe notti di appostamento solitarie, si porta trascinando
i piedi
sopra la carcassa menomata. Lei non l’ha mai tradito, non
l’ha mai fatto aspettare,
prende bene la mira e la solleva, -quando ne ha bisogno è
sempre li per lui,
con lei ha provato sensazioni incredibili- l’ebbrezza,
l’adrenalina …sul volto,
un sorriso sadico.
Le tendine di pizzo diventavano di
minuto in minuto più
rosse.
L’ultima fottuta notte era
giusto fottere e, Donnie
Donowitz, stava fottendo alla grande.
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