Ok, ehm… da dove comincio? Ah, sì! Beh, l’altro giorno
stavo cucinando e mentre impazzivo in cucina tra pentole e mestoli mi è venuta
in mente questa storia… Ok, adesso vi metterete a ridere, lo so…
Comunque,
taglio corto… L’unica cosa che devo dire è che ho cercato di rifarmi il più
possibile al libro del grande Professor Tolkien. Spero che non me ne voglia né
lui né nessun altro, se farò dei cambiamenti, che però saranno necessari alla
mia fan fiction.
Bene,
ora vi lascio alla storia, sperando che vi piaccia e che troviate il tempo di
lasciarmi un commento…
Eowyn
p.s.
Mi
vergogno troppo di questo prologo… siate clementi…
p.p.s.
Il titolo, Stella Cieca, è il titolo di una canzone dei Nomadi.
Chiedo scusa per averlo preso in prestito, ma mi sembrava il più adatto alla
storia.
Prologo
« Non sembra anche a voi, che in questi ultimi giorni i
piatti che ci vengono serviti abbiano qualcosa di nuovo? Un tocco in più che
prima non avevano. » stava dicendo Denethor, Sovrintendente di Gondor, ai figli
Boromir e Faramir, mentre pranzavano insieme.
« In effetti, ultimamente hanno un gusto diverso. » commentò
vago Boromir lanciando poi uno sguardo al fratello, che stava zitto.
« Cosa c’è, Faramir? » domandò il padre, con il solito tono
di sofferenza che usava quando si rivolgeva al suo secondogenito.
« Niente, padre. È solo che… » si bloccò.
« Avanti, parla. » lo incoraggiò Denethor sempre con lo
stesso tono, appoggiando i gomiti sul tavolo e incrociando le dita, come se
volesse mostrare che si stava preparando ad ascoltare un’ennesima sciocchezza.
« Stare qui seduto a questi banchetti sontuosi, mi sembra un
insulto alla povertà che dilaga a Minas Tirith in questo momento. »
Denethor rimase zitto per alcuni secondi. Il viso rivolto
verso il tavolo, coperto dalle mani incrociate tra loro. Faceva lunghi e sordi
respiri, quasi a voler scacciare una profonda collera. Dopo questo lungo
istante, sollevò lo sguardo gelido verso il figlio, per rispondere con una più
profonda freddezza mista a disprezzo:
« Non credi dunque giusto preservarci da questo momento di
difficoltà, almeno noi che possiamo permettercelo? »
« Non è questo che intendevo dire, padre. Dico solo che
dovremmo cercare di aiutare maggiormente il nostro popolo. »
« Lo stiamo già facendo combattendo contro Mordor! » sibilò
Denethor.
« Lo so, non ho detto che non lo stiamo già facendo. Credo
solo che potremmo aiutare i cittadini anche con provviste di cibo e acqua, dato
che iniziano a scarseggiare. »
« Faramir ha ragione, padre! Non possiamo combattere Mordor
e permettere che la popolazione di Minas Tirith nel frattempo muoia di fame, né
possiamo permetterci di creare malcontenti tra i cittadini. » intervenne
Boromir.
« Lo sapevo! » scoppiò infine Denethor con un urlo «
Faramir, con la tua falsa bontà stai cercando di portare anche Boromir dalla
tua parte, contro di me! Ma non te lo permetterò, su questo ci puoi contare! »
« Padre! » cercò di intervenire Boromir in difesa del
fratello, ma il Sovrintendente lo bloccò:
« La discussione finisce qui, Boromir! » concluse « Non
voglio sentire una parola di più su questo argomento! »
Tutti rimasero zitti: Boromir e Faramir, il padre e i
servitori che si trovavano nella sala da pranzo e avevano avuto la malaugurata
occasione di prender parte all’ennesima discussione tra Denethor e il suo
secondogenito. Il Sovrintendente aveva sempre mal sopportato le idee del figlio
minore, ma ultimamente capitava sempre più spesso che i due si ritrovassero a
discutere a causa del difficile carattere del padre, il quale non accettava
nessuna idea che fosse differente dalle sue, a maggior ragione poi se le idee
erano di Faramir.
Quindi, Denethor si rivolse ad Earine, la ragazza che serviva
le pietanze durante i pasti:
« Invita i cuochi a raggiungerci nella Sala del Trono. Io e
i miei figli vorremmo complimentarci con loro per l’ottimo lavoro che stanno
svolgendo ultimamente. »
Detto questo, il Sovrintendente si alzò e, senza guardare in
faccia nessuno, si diresse verso la Sala del Trono seguito dai due figli,
mentre Earine si recava in cucina.
Boromir e Faramir si erano sempre domandati come facesse il
padre a passare così velocemente da una calma profonda ad un’altrettanto
profonda ira, per poi tornare improvvisamente calmo.
« Mi dispiace che per colpa mia ci sei andato di mezzo anche
tu. » sussurrò Faramir al fratello maggiore.
« Non dire stupidaggini, se la penso come te non avevo
ragione di stare zitto non credi? » gli rispose Boromir.
Faramir era sempre stato grato a Boromir per non aver mai
sfruttato la preferenza che il padre nutriva nei suoi confronti, il fratello
maggiore avrebbe potuto approfittarne per mettere anche lui in cattiva luce
Faramir, proprio come cercava sempre di fare il padre, ma non lo aveva mai
fatto. I due erano anzi legati da un sentimento profondo che, ne erano certi,
non li avrebbe mai divisi.
« Grazie! » sussurrò ancora al fratello.
« E di che? » esclamò Boromir dandogli una gomitata
complice.
Faramir gli sorrise, poi abbassò lo sguardo e, fianco a
fianco, continuarono a camminare dietro a Denethor, che si dirigeva con passo
fiero e deciso verso la Sala del Trono.