Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa
fiction
non è stata scritta a scopo di lucro.
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Titolo:
Red Roses Resistance
Personaggio:
Pisces Aphrodite
Personaggi
random: Cancer DeathMask, Capricorn Shura, Aiolos
Sagitter, Aries Shion, Maestro OC di 'Phro
Genere:
Generale, Introspettivo
Avvertimenti:
One-shot
Controindicazioni:
Gold Saint bambini.
Altro:
Questa fiction è un esperimento. Rivalutazione completa di
un personaggio che non ho mai apprezzato.
Ulteriori commenti e precisazioni li troverete a fine
storia.
Dedica: ayay.
E' colpa sua e delle meravigliose fic che scrive.
Ed è anche colpa di LeFleurDuMal
e del suo toto-Aphrodite. A me 'Phro prima manco piaceva!
éOè
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Red Roses
Resistance
La prima volta che aveva messo piede in terra
greca era stato per la sua investitura a Cavaliere d'Oro dei Pesci.
Era un bambino, otto anni appena compiuti, uno scricciolo con le mani
rosse per il freddo e i corti capelli pallidi arruffati dai gelidi
venti del nord. A fianco del suo Maestro salì tutte le
scale.
Mano a mano che procedevano, il paesaggio sotto di lui era sempre
più meraviglioso: per lui, abituato solo a neve, iceberg e
ghiaccio, vedere tutta quella vita
era qualche cosa di assolutamente straordinario.
Gemette appena, quando il sorriso che gli era affiorato spontaneo non
gli allargò ancora di più i tagli netti che aveva
sulle
labbra.
Il suo Maestro si era voltato un attimo nel sentirlo lamentarsi. Ma non
sprecò parole con lui – non l'aveva mai fatto
– si
limitò solo a squadrarlo con cipiglio severo.
Il piccolo si passò silenziosamente la lingua sulle ferite.
I due continuarono a salire le scale per quelle che al piccolo
sembrarono delle ore. Infiniti scalini si stagliavano ancora di fronte
a lui. Non che fosse stanco, ma stavano cominciando a venirgli a noia.
“Lennart” la voce dell'uomo al suo fianco lo
riscosse dai pensieri in cui si era immerso.
“Maestro”.
Erano arrivati sulla soglia della Dodicesima Casa. Quella che da quel
giorno sarebbe stata la sua nuova dimora.
“Vedi di non fallire”.
Il piccolo annuì appena.
Ermetico fino all'ultimo, il suo maestro non si sprecò in
parole
superflue. Aveva seguito il suo addestramento per due anni, ma le sole
volte in cui avevano parlato era stato quando aveva dovuto insegnargli
la lingua greca. O per dargli ordini secchi e precisi riguardo
allenamenti massacranti. Per il resto non parlava mai. Compariva solo
quando Lennart doveva allenarsi, e svaniva subito dopo aver concluso il
suo dovere. Una figura sfuggente, tuttavia implacabile.
Di certo Lennart non ne avrebbe sentito la mancanza.
Attraversarono anche la casa dei Pesci, e l'ultima scalinata prima del
Tredicesimo tempio.
Infine, con passi lievi e veloci, entrarono. Il Sacerdote si era alzato
ad accogliere gli ospiti. Lennart si era fatto avanti senza timore. Era
solo vagamente curioso dal fatto di vedere tante persona tutte assieme:
oltre la figura imponente del Sacerdote e di alcune guardie dietro di
lui, c'erano anche due bambini più o meno della sua
età,
e due ragazzi decisamente più grandi. Tutti i quattro
vestivano
le armature d'Oro.
Li guardò di sfuggita, prima di calamitare la propria
attenzione sull'uomo ammantato di fronte a lui.
Parlò a lungo, quell'uomo, un fiume di parole che sembrava
non
avere mai fine. Lennart cercò di prestare attenzione, ma il
discorso era davvero troppo lungo e difficile per lui, che conosceva
solo un greco stentato, ed era inoltre abituato ai lunghi silenzi
dell'inverno artico.
Non capiva il perché fossero necessarie tutte quella parole,
ma
non disse nulla. Si limitò a rimanere immobile, un ginocchio
a
terra in segno di rispetto, mentre giurava fedeltà ad
Athena.
Poi ci fu la luce, quella luce abbagliante che lo circondò
di
calore e potere.
*°*°*°*°*°*
Lennart fissò il giardino di fronte a lui.
Era una distesa infinita di rose.
Rose.
Fiori.
Quelle piccole cosine delicate che l'inverno stronca senza
pietà.
“Che cosa dovrei fare esattamente, io?”
Voleva avere la conferma.
Aiolos, cavaliere del Sagittario, sorrise benevolo e si
premurò
di ripetere di nuovo quello che gli aveva appena spiegato.
Lennart ascoltò con cura e, alla fine del discorso, si rese
conto che non c'erano stati fraintendimenti nemmeno la prima volta.
“Io dovrei prendermi cura... di questi fiori?!”
Aveva cercato di usare un tono pacato, vista la persona cui si stava
rivolgendo, ma non era riuscito a mascherare il disappunto che la
richiesta gli aveva provocato.
In tutta la sua vita non aveva mai, mai avuto a che
fare con dei fiori. Erano la cosa più inutile al mondo,
deboli e privi di qualsivoglia utilità.
“Perché?” chiese fuori dai denti. Era il
suo primo
incarico ufficiale e già non gli piaceva. Non gli piaceva
nulla
di quel posto in verità.
Troppo caldo, troppo sole e troppa gente.
E fiori.
Bah!
“Devi sapere, Lennart, che le rose del Dodicesimo tempio sono
qui
sin dai tempi del mito, e non sono dei fiori normali. Sono molto
velenosi, e servono per proteggere il Sacerdote e la Dea.”
“Non dovremmo farlo noi cavalieri, questo?”
Aiolos rise e scompigliò affettuosamente i capelli al
bambino.
Cosa che Lennart non gradì molto, ma evitò di
farlo notare.
Sagitter pareva essere una persona molto aperta e disponibile, ma aveva
imparato che non era il caso di svegliare l'orso che dorme.
“Chi tenta di invadere il tempio della dea Athena deve
vedersela
con i suoi Cavalieri. Però, nel malaugurato caso in cui
nemmeno
noi siamo in grado di contrastare i nemici, c'è sempre il
giardino di rose come ultima difesa. In tutti questi secoli non ha mai
lasciato scampo a nessuno.”
“Nessuno?” gli occhi del piccolo Lennart si erano
sgranati.
“Nessuno.” confermo Aiolos con un altro sorriso.
“I
nemici sono ingannati dal loro aspetto innocuo e inevitabilmente ne
vengono sopraffatti.”
Lennart aprì la bocca per ribattere, ma non trovò
nulla da dire.
Serrò le labbra e si accucciò, fissando
meditabondo la rosa più vicina a lui.
La sua conoscenza dei colori era piuttosto limitata – bianco,
blu, nero e di nuovo bianco – ma quello, il rosso vivo, lo
conosceva. Era come il colore scarlatto del sangue.
Lennart allungò una mano per sentire com'era la rosa al
tatto,
ma Aiolos fu più svelto e gli afferrò il polso
prima che
anche solo sfiorasse il fiore.
“Attento! Sono velenose!” gli ricordò,
con veemenza quasi.
Lennart lo fissò corrucciato.
Come faceva a prendersi cura di quelle rose se non poteva nemmeno
toccarle?
Aiolos sembrò leggerli in faccia la domanda inespressa.
“Prima di tutto, devi imparare a resistere al
veleno” sentenziò.
Pisces si limitò ad uno sguardo neutro.
Non gli aveva dato nessun consiglio utile.
Anzi, non gli aveva dato proprio nessun consiglio.
Ma non se ne lamentò troppo. In fondo era stato cresciuto
dal
suo Maestro, il tipo d'uomo che per insegnargli a nuotare lo aveva
buttato senza troppe cerimonie nel mare gelido.
Aiolos lo lasciò al suo problema.
Lennart rimase accucciato a fissare le rose per molto tempo.
Aveva sempre considerato fiori e affini come cose inutili. Per lui, che
era cresciuto in mezzo al ghiaccio, tutto quello che era debole e
inadatto a sopportare il freddo era qualche cosa che non valeva nemmeno
la pena di considerare. Gli sembrava profondamente sciocco che un fiore
sbocciasse se non era in grado di sopravvivere all'inverno.
Non aveva mai pensato però che ci potessero essere dei fiori
come quelli, fiori capaci di uccidere un uomo.
D'improvviso sentì nascere uno strano e sottile interesse
per
quegli intricati arbusti dal colore così vivido. Aiolos
aveva
detto che per prima cosa doveva imparare a resistere al veleno.
Resistere.
Lennart sorrise.
Era la cosa che gli riusciva meglio.
*°*°*°*°*
Tre giorni dopo Lennart si svegliò con un mal di testa
epico.
Però riuscì ad aprire gli occhi e mettersi seduto.
Aiolos si era dimenticato di dirgli che bastava anche solo annusare
le rose perché il veleno cominciasse ad avere effetto. Aveva
passato due giorni terribili, semiparalizzato e con tutti gli altri
sensi offuscati.
Lentamente il ragazzino si alzò da terra, spolverandosi
meccanicamente la tunica macchiata di terra. Era riuscito a strisciare
lontano da quel giardino malefico, ma non aveva avuto la forza di
rialzarsi se non in quel momento. Non avrebbe mai pensato di poter
essere messo fuori combattimento solo con un po' di profumo. Quei fiori
erano davvero terribili.
Ma erano una sfida che lo solleticava parecchio. Era riuscito a
sopravvivere al freddo perenne, ma quei boccioli erano qualche cosa che
non aveva mai affrontato.
Erano... intriganti.
Moriva dalla voglia di provare quella nuova sfida.
Se solo fosse stato in grado di resistere al loro veleno.
Il bimbo non ebbe il tempo di mettere su il broncio che una voce
sconosciuta richiamò la sua attenzione.
“Ehiii! Sei in casa?!”
Lennart barcollò fino all'ingresso.
Sulla soglia c'erano i due coetanei che avevano presenziato alla sua
investitura.
“Ah, ma allora ci sei. Sono due giorni che non ti fai vedere!
Pensavamo che fossi scappato!”
Lennart fissò gli occhi rossi del bambino di fronte a lui.
Era inquietante, con quello sguardo scarlatto – come le sue rose –
e i capelli grigi nonostante la sua tenera età.
“Che vuoi?” domandò secco, incrociando
le braccia al
petto e poggiandosi ad una colonna. Sentiva che le gambe erano ancora
un po' instabili.
“Ehi, quanto ospitalità! E io che volevo fare la
tua conoscenza.”
Lennart lo fissò imbronciato.
Non sapeva bene come comportarsi in quella situazione. Non aveva mai
dovuto fare la conoscenza di nessuno. L'unica persona con cui aveva mai
avuto un qualche rapporto – esclusa sua madre di cui aveva
solo
un vago ricordo – era stato il suo Maestro. Non il massimo
dell'espansività.
Poi erano arrivati il Sacerdote, Aiolos e Saga. Ma loro erano di
un'altra categoria. Non gli era nemmeno passato in testa di poterli
avvicinare.
Per cui se ne rimase zitto, continuando a fissare il ragazzino di
fronte a lui.
Il quale lo fissava di rimando, anche lui senza parlare, ma sempre
più impaziente per quella situazione di stallo.
L'altro bambino nel frattempo si limitava ad osservarli entrambi,
silenziosamente divertito dalla situazione.
Alla fine il ragazzino inquietante perse la pazienza e
allungò una mano verso il nuovo arrivato.
“DeathMask, Cavaliere del Cancro. E lui è Shura,
Cavaliere del Capricorno.”
Lennart fissò la mano tesa di Cancer. Poi lentamente
alzò gli occhi su di lui.
“DeathMask?!” chiese, perplesso.
“Figo, vero?!” chiese, visibilmente compiaciuto per
l'effetto che aveva fatto.
“Ti chiami davvero Maschera
di Morte?”
“Veramente...” Shura si intromise, anticipando
l'amico
“... si chiama Angelo. DeathMask è un
soprannome.”
Lennart non fece in tempo a recepire l'informazione che DeathMask
cominciò a strepitare all'indirizzo di Shura, starnazzando
in
quella che doveva essere la sua lingua madre.
Pisces non capì pressoché nulla di quello che
Cancer
stava urlando, ma dal tono di voce era indubbiamente arrabbiato.
Ma non doveva essere nulla di così serio, visto che Shura
non
aveva fatto una piega: anzi, se la stava ridendo sotto i baffi.
“Mi è solo sembrato educato fargli sapere il tuo
vero
nome.” disse dopo un po', ritornando a parlare greco, per far
rientrare anche Lennart nella conversazione.
“Nessuno te l'ha chiesto! Lo sai che mi fa schifo! Come
minchia
pensi che la gente mi prenda sul serio se vado in giro a dire “Sono Angelo,
Cavaliere di Athena”!”
“È un nome rassicurante.”
“Staminchia!
Deve far paura, altro che rassicurare!”
E prima che Shura potesse rispondergli, DeathMask si voltò
di nuovo verso Lennart.
“E tu come ti chiami?” domandò brusco.
“Lennart”
“Lennart..? Fa schifo anche il tuo nome.”
decretò, dopo nemmeno un attimo di riflessione.
Pisces aggrottò le sopracciglia: e dire che il suo nome non
era poi così malaccio.
“Lennart di Pisces. No, proprio non va. Dobbiamo trovarti un
soprannome che faccia la sua figura.”
Le sopracciglia del bambino si aggrottarono sempre di più.
Ma
prima che potesse rispondere per le rime a quell'esaltato di
Death ask, Shura gli posò una mano sulla spalla.
“Lascia perdere. Ormai non lo puoi più dissuadere.
Non
avrà pace finché non ti avrà trovato
un soprannome
che gli piace.”
“Ha fatto così anche con te?”
“Sì.”
“Come ti chiamavi prima?”
“Luis.”
“Fa schifo anche Luis. Luis
di Capricorn. Non farebbe paura nemmeno ad un
poppante.” berciò DeathMask, mentre Shura
sospirava rassegnato.
Lennart si permise di sorridere.
Era la prima volta che aveva a che fare con dei ragazzi come lui.
E anche se trovava quel DeathMask insopportabilmente rumoroso e Shura
fin troppo calmo a confronto, non avrebbe avuto dubbi in futuro a dire
che quelli erano stati i suoi migliori amici da sempre.
*°*°*°*°*
Gli ci erano voluti molti, molti mesi, ma alla fine era diventato
capace di non risentire più degli effetti nocivi provocati
dal
profumo delle rose. Certo, aveva ancora qualche problemino quando si
pungeva con le spine, ma il più era ormai fatto.
Era stato un allenamento lungo e difficile, esporsi continuamente la
veleno, rischiare ogni volta di addormentarsi e non svegliarsi
più. Ma la sua determinazione, e la sua profonda
capacità
di resistenza, erano state la sua carta vincente. E l'aiuto dei suoi
amici era stato altrettanto fondamentale.
Lennart non usciva quasi mai di casa, e non si andava mai ad allenare
nell'arena. Faceva troppo caldo per i suoi gusti, e oltretutto quel
tipo di allenamento non faceva per lui.
DeathMask l'aveva preso in giro per questa sua apparente mancanza di
spirito combattivo e per la sua passione per il giardinaggio,
anche se si era dovuto ricredere quando lui e Shura l'avevano trovato
mezzo morto, febbricitante e in preda al delirio, per essersi bevuto un
decotto fatto con le rose rosse. Roba da pazzi suicidi, come avrebbe
poi commentato DeathMask. Ma questo gli fece capire quanto quel
ragazzino rachitico fosse determinato e sicuro di sé. Da
quel
giorno non lo prese più in giro per le sue rose.
Anche se si trovò costretto ad andare a trovare Lennart
più spesso di quanto non avesse pensato: il fatto che quello
scriteriato passasse metà del suo tempo libero a cercare di
avvelenarsi – in maniere poi sempre più complicate
con il
passare degli anni – rendeva quanto mai necessario che
qualcuno
lo tenesse d'occhio, per evitare che crepasse senza dire niente a
nessuno. E visto che lui era più grande, sentiva che quella
responsabilità era sua. Ormai, se non era ad allenarsi,
DeathMask era alla Dodicesima casa, ad accudire Lennart e i suoi
postumi da avvelenamento. Aveva perso il conto di quante volte aveva
dovuto metterlo a letto, e preparargli qualche cosa da mangiare
perché non deperisse troppo, visto che già era
magro da
far spavento.
“Mangia!” gli intimò, una di quelle
volte appunto, allungandogli il cucchiaio con la minestra.
Lennart mugugnò qualche cosa di indistinto, e a fatica si
girò dall'altro lato. Aveva sonno, non fame.
DeathMask sbuffò irritato. Poggiò il piatto sul
mobiletto
di fianco il letto, e prese per le spalle il ragazzo, girandolo e
mettendolo seduto.
“Non fare i capricci e mangia.”
“Ho sonno!” protestò debolmente l'altro.
“Non rompere e mangia qualche cosa o morirai.”
“Io non muoio..!”
DeathMask scoppiò a ridere, mentre riprendeva in mano il
piatto.
“Questa è buona! Se non fosse per me saresti morto
già da un pezzo.”
“...nonèvveroh...”
biascicò Lennart, mentre cercava di stare sveglio. Il veleno
lo
aveva rimbambito proprio a dovere questa volta. Non riusciva nemmeno a
tenere in mano il cucchiaio da solo. Fosse stato un po' più
lucido si sarebbe preso a calci da solo per la figura ignobile che
stava facendo in quel momento. Imboccato da DeathMask!
Ma fortunatamente era abbastanza intontito da non notare che Cancer si
stava divertendo – e non poco – a trattarlo come un
bambino.
“Forza, apri la bocca! Aaaahm! Manda giù
tutto!”
Lennart ubbidì docile.
DeathMask era quasi intenerito.
Quasi.
“Sei davvero un caso disperato. Possibile che tu ti debba
ridurre in questo stato tutte le volte?”
La minestra era finita, e DeathMask non poté esimersi dal
fargli
la ramanzina. Lennart sbuffò: con la pancia piena si sentiva
un
po' meglio, addirittura più lucido.
“È l'unico modo.”
“Staminchia! Trovane uno meno rischioso. Non posso stare a
farti da balia tutto il tempo.”
“Grazie.”
DeathMask fece un cenno infastidito con la mano, come per dirgli di
lasciare perdere. Ormai si era affezionato a quel disgraziato, e non
l'avrebbe certo lasciato crepare in quel modo. Anche se era suo dovere
fare la scenata, di tanto in tanto. Giusto per ricordargli che gli
stava facendo un enorme favore.
“Piuttosto, che ne dici di Polinice?” erano passati
mesi,
ma ancora non demordeva dal suo intento di trovargli un soprannome
decente.
Lennart però arricciò il naso.
“Non se ne parla, porta male.”
“Fai troppo il difficile tu. Sto esaurendo le idee!”
“Perché non la smetti di arrovellarti e mi lasci
in pace con il mio nome?”
“Giammai. Ho detto che ti troverò un nome da
battaglia
figo, e stai certo che lo farò! Piuttosto, è da
un po'
che volevo dirtelo. Va bene che ti faccio da balia ma non pensare
nemmeno che mi occupi anche della tua persona.”
“Eh?” domandò confusamente Lennart.
“Quel cespuglio che hai in testa.” e
indicò i
capelli di Lennart. In effetti sembravano un cespuglio incolto da tanto
erano arricciati e scomposti. “Forse è il caso che
vai da
Shura e ti ci fai dare un taglio.” DeathMask
ridacchiò per
la sua battuta.
Lennart invece si passò una mano tra i capelli, e le dita
rimasero impigliate nei nodi. In effetti non aveva mai dato troppa
importanza al suo aspetto. Non ci era abituato. Durante l'addestramento
l'importante era stato sopravvivere, e l'aspetto esteriore era davvero
l'ultimo dei suoi problemi. Se si ricordava ogni tanto di tagliarsi i
capelli era solo perché quando diventavano troppo lunghi
diventavano scomodi per combattere, e inoltre avevano il brutto vizio
di annodarsi a causa del vento. E sciogliere quei nodi era praticamente
impossibile.
Da quando era al Santuario, però, non si era più
tagliato
i capelli. Li aveva lasciati crescere senza preoccuparsene, visto che
non gli creavano più problemi come un tempo.
“Sul serio” riprese DeathMask “Sembri...
non so
nemmeno bene a che cosa paragonarti. Sistemali che è
meglio.”
“Come li dovrei sistemare?”
“Pettinarli per prima cosa aiuterebbe.”
“Non ho un pettine.”
“Come? E come ti sistemi di solito?”
“...”
“E dire che con quel bel faccino e le tue cavolo di rose uno
si aspetterebbe una persona ben più curata.”
“Non penso che in battaglia sia importante se il tuo
avversario è pettinato o meno.”
DeathMask gli tirò uno scappellotto.
“Ahia! Che cavolo fai?!”
“Si vede che tu non ne sai niente di battaglie. È
come la storia del nome, ciuriddu.”
“Non mi chiamare così!”
“Finché non ti trovo il nome ti chiamo
così.”
“No.”
“Che stavo dicendo? Ah sì. Pensi davvero che
l'aspetto non
conti nulla in battaglia? La prima impressione è quella che
conta. Pensa anche solo alle armature. Il tuo avversario magari si fa
quattro risate se ha di fronte un bronze Saint... ma se gli piazzi
davanti uno con una gold cloth, vedi che quella mezza sega se la fila a
gambe levate!”
“Quindi è per spaventare i tuoi avversari che hai
sempre quelle occhiaie paurose?”
“Ovvio, per spaventare... eh?! Occhiaie a chi?!”
sbottò indispettito DeathMask, quando si accorse del
dispetto
verbale di cui era appena stato vittima.
Provò a tirare un altro scappellotto a quella lingua
velenosa,
ma il ridacchiante ragazzino di fronte a lui si contorse nel letto
peggio di un'anguilla e riuscì a sfuggire alla punizione.
“E quindi?” Lennart smise di ridere e riprese il
discorso.
DeathMask sembrava una persona poco seria e per nulla affidabile, ma
gli aveva insegnato più lui in quei pochi mesi che il suo
maestro in più di due anni.
“E quindi, sciocco, se ti presenti in battaglia con i capelli
in
quelli stato penseranno tutti che sei un cretino che non si sa nemmeno
pettinare.”
“Non lo penseranno dopo che li avrò
sconfitti.”
“Sì, potrai essere forte quanto vuoi, ma per il
mondo
sarai sempre quello con i capelli a cespuglio. Ehi, che ne dici di
Cespuglio come nome? Cespuglio
dei Pesci!”
“Non hai altra gente da infastidire?!”
“Nah.”
“Come sono fortunato.”
“Vero? Ahahah!”
*°*°*°*°*°*
Fu dal giorno dopo, quando DeathMask passò da lui con una
fetta
di torta e un pettine in regalo, che Lennart prese a curarsi davvero
della sua persona.
All'inizio gli sembrava una cosa strana, e sciocca quasi quanto il
doversi occupare di un giardino di fiori.
Ma le parole dell'amico continuavano a ronzargli in testa. Ci aveva
riflettuto un bel po', ma alla fine non aveva potuto che trovarsi
d'accordo con quanto aveva detto DeathMask.
La questione dell'aspetto era importante.
Lennart si mise di fronte all'unico specchio che aveva trovato in casa.
Per la prima volta in tutta la sua vita si mise a studiare il suo
corpo, la sua faccia, il suo aspetto in ogni singolo particolare.
Si corrucciò non poco nel rendersi conto che i rimproveri di
Cancer riguardo la sua magrezza erano fondati. Aveva braccia
inconcepibilmente esili, se confrontate con quelle dei suoi compagni.
Ed era davvero magro da far spavento. Forse non avevano tutti i torti
quando gli dicevano che non doveva starsene rintanato in casa tutto il
tempo. Forse, soppesò il pensiero con cautela, forse sarebbe
stato bene andare anche lui nell'arena, qualche volta.
Inoltre, DeathMask gli aveva detto che aveva un bel viso. In effetti il
taglio degli occhi – grandi e luminosi, di un azzurro intenso
-,
i lineamenti dolci e le guance rotonde, gli conferivano un aspetto
delicato.
Lennart si stupì quando si rese veramente conto che quella
figura aggraziata che vedeva riflessa nello specchio era effettivamente
la sua immagine. Se ne rammaricò sinceramente. L'immagine
che
fino a quel momento aveva avuto di se stesso era tutt'altra cosa. Ben
più possente e virile. Molto più vicina a quella
di Shura
o di Saga. Non di certo così simile a quella delle ancelle
che
intravedeva ogni tanto affaccendate per i templi.
Lennart rimase a fissarsi nello specchio per lungo tempo.
Non sapeva bene che cosa farsene, di quell'immagine.
Non sembrava un guerriero.
Non lo sembrava proprio per niente.
Era solo un cosino magro e carino.
Un fiorellino pronto ad essere spazzato via al primo vento prepotente.
Ma Lennart aveva imparato sulla sua pelle che essere un fiore non
voleva necessariamente dire essere debole. Lo sapeva bene lui, di non
essere debole. Non lo era, e non lo erano nemmeno le sue rose.
Sorrise, anche se fu più un ghigno che un sorriso quello che
gli si dipinse in viso.
Quelle rose, quelle delicate quanto fatali rose rosse non si sarebbero
mai dette l'arma più adatta per un guerriero, ma il loro
essere
così inaspettatamente letali aveva sortito un effetto
sorprendente su una persona come Lennart, che nella sua vita aveva
imparato a considerare cose di valore solo quelle che possedevano una
straordinaria forza e resistenza.
Il vento. Il mare. Il freddo. Il ghiaccio eterno. Tutte cose capaci di
far tremare i polsi anche al più temerario degli uomini.
Le rose non erano spaventose.
Non incutevano timore.
A loro non veniva associato il concetto di morte.
Per questo Lennart aveva imparato ad amare dal profondo quelle rose
letali. Perché loro avevano in più anche
l'inganno. La
sorpresa dell'inatteso.
Lennart non ebbe più dubbi. Erano armi perfette. Spietate.
Erano le sue armi.
Afferrò con decisione il pettine che DeathMask gli aveva
regalato, e se lo passò tra i capelli più e
più
volte. Sciogliendo a forza tutti i nodi che incontrava.
Passò il pettine tra i capelli un'ultima volta. I morbidi
ricci
biondi gli caddero scompostamente sulla fronte, poggiandosi sulle
spalle.
Lennart poteva rinforzare il suo corpo quanto voleva, ma sarebbe sempre
apparso un essere carino e delicato. Tanto valeva allora diventare
bello. Bello oltre ogni dire.
Doveva crearsi un'immagine di bellezza tale da abbagliare i suoi
nemici. Confonderli con l'apparenza.
Sarebbe diventato lui stesso come una rosa. Bello, dal profumo
ammaliante. Ma pronto a colpire con letali spine avvelenate.
Guardò ancora la propria immagine riflessa: i capelli dorati
gli
incorniciavano il bel viso come ad un'aggraziata fanciulla, una
principessa delle fiabe. O una dea del mito.
Lennart inclinò la testa di lato, come a soppesare l'idea
fulminea che gli aveva attraversato la mente.
Piegò le labbra in quel suo ghigno che voleva essere un
sorriso.
DeathMask probabilmente non avrebbe approvato. Ma se Cancer era
testardo, Pisces lo era di più.
Aveva imparato a resistere al freddo, al tremendo gelo del nord.
Aveva imparato a resistere alle rose, al veleno mortifero
più letale la mondo.
Non si sarebbe certo piegato alle proteste di DeathMask.
Bisbigliò piano il suo nuovo nome.
Lo soffiò fuori dalle labbra lentamente, per vedere che
effetto faceva.
Lasciò che fluttuasse nell'aria e prima che svanisse lo
ripeté.
Suonava bene.
Lo ripeté una terza volta, guardandosi allo specchio.
Il volto angelico nel riflesso sembrava essere stato creato per quel
nome.
*°*°*°*°*
Quando Pisces aveva detto loro di aver finalmente trovato il suo nome
di battaglia, DeathMask gli aveva tirato una forte pacca sulla schiena.
Shura si era complimentato in maniera più educata e compita.
Ma quando venne il momento di rivelare il tanto agognato nome, Lennart
non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere nel
vedere le
facce sconvolte dei suoi due amici.
Shura aveva gli occhi sgranati come non glieli aveva mai visti.
E per la prima volta da che lo conosceva, DeathMask si era ammutolito.
E poiché che il ragazzo non parlava, fu Shura a fare la
prime rimostranze.
“Ma lo sai che è il nome di una
divinità?”
“Di una divinità molto vendicativa.”
“Di una divinità donna!”
Pisces ascoltò con attenzione le argomentazioni di Shura,
solo che non aveva smesso di sorridere, tranquillo.
E visto che il ragazzino non sembrava minimamente turbato, Capricorn fu
costretto a voltarsi verso DeathMask, implorando con lo sguardo il suo
supporto.
Cancer, dal canto suo, stava ancora fissando con attenzione il ragazzo
più piccolo.
Stava ragionando febbrilmente.
In effetti non poteva dare nessun torto a Shura. Un nome da donna! Ma
come gli era venuto in mente?!
Ma quando vide quello strano ragazzino sorridere al suo indirizzo
– quel suo maledetto sorriso ghignante dipinto su quel visino
di
porcellana – non poté non capire come mai aveva
scelto
proprio quel nome.
Gli restituì il sorriso storto, tirandogli poi un'altra
pacca affettuosa.
“E sia. Felice di fare la tua conoscenza, Aphrodite dei
Pesci.”
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Angolo dell'Autrice:
Grazie per essere arrivati in fondo a questa
fiction.
Come detto sopra, è un esperimento: non mi ero mai
soffermata
troppo sul personaggio Aphrodite, e devo dire che fino a prima di
mettermi a scrivere questa storia gli avevo sempre affibbiato le
caratteristiche stereotipate che il fandom gli ha affibbiato. Checca,
isterico, che sta solo a farsi bello. E poi...le rose. XD
Beh, come potete vedere, ho cambiato radicalmente opinione su di lui.
Mi sono riletta con attenzione il manga, lo scontro tra lui e Shun (ci
sarà una fic anche su quell'argomento! *O*) e mi sono
accorta
che è una persona molto più tranquilla e posata
di quanto
non sembri. E' quasi più isterico DM quando deve affrontare
Shiryu! XD
Miei sproloqui a parte, partendo da questo episodio e raccattando qua e
là le opinioni che altri scrittori avevano su 'Phro, ho
cercato
di creare un passato che spiegasse come mai è diventato il
cavaliere che è.
A me sinceramente così piace. Piace un sacco.
E sono aperta a qualsiasi parere in merito! *O*
Passo ora alle
precisazioni:
- Che Aphrodite, DeathMask e Shura, siano un soprannome
penso
che sia assodato. Per scegliere il nome di battesimo di Pisces ho
invero usato un metodo parecchio sciocco. A quanto pare "Angelo"
è il nome più quotato per DeathMask. E cercando
per
internet, ho scoperto che Angelo è il settimo nome
più
diffuso in Italia. Quindi, per 'Phro ho scelto il settimo nome
più diffuso in Svezia. Idem per Shura. *O*
[EDIT] Mi
è poi stato fatto giustamente notare che la scena
in cui Cancer si lamenta dei veri nomi di 'Phro e Shura, è
spaventosametne simile alla stessa scena che c'è nella fic
di LeFleurDuMal Il
Malefico Trio. Ovviamente mi
sono ispirata a quella fic per questo pezzo, ma non mi ero accorta di
quanto io l'abba riscritta in maniera così spaventosamente
simili. Chiedo scusa, ma quella scena era così perfetta che
non ci ho pensato. Non mi linciate per questoH!
ç0ç
E' un omaggio al genio di Fleur. *annuisce
convinta*
- Il fatto di dover imparare a resistere al veleno delle rose era stato
specificato da Albafica in Lost
Canvas. Suppongo che anche per Aphrodite valesse la stessa
questione.
- Non me lo sono inventato: basta vedere le schede dei personaggi per
rendersi conto che 'Phro è davvero rachitico in
confronto a tutti gli altri Golds! (Shaka escluso, ma lui è
un
caso patologico! XD)
- ...mmh, basta, credo di non avere più altre cose da
spiegare! XD
Grazie per avermi sopportata fin qui. *sparge affetto a tutti*
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o
critiche!
Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti
leggeranno e basta.
Beat
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