Note: stranamente ‘sta cosa non è
slash. Lo so, sono stupita anch’io. XD
E’ nata
come sfogo l’altro giorno, mentre cadevano quintali di neve e il mio umore
diventava cinereo. Diciamo che Merlin incarna le mie convinzioni al riguardo.
U_U
Ah, un’altra cosa: se il titolo vi suona in qualche modo familiare… no, non
siete impazziti.^^
Prendendo spunto dall’altra mia fic ‘If on a winter’s night... (Il mio scaldasonno)’ ho deciso di raccontare i quattro momenti (notte,
pomeriggio, mattino e sera) di una giornata invernale dei nostri adorati Asini.
In pratica, ne uscirà una breve serie, ma le storie sono assolutamente slegate
tra loro.
Dedicata a ciascuno di
voi,
ma soprattutto a chi si prenderà la briga di recensirla.
In ogni caso, grazie.
Ely
If on a winter’s afternoon...
(Hunting under the snow)
Merlin
odiava la neve.
Era fredda, bagnata,
fastidiosa. Gelida.
Quando nevicava, lui ci metteva il doppio del tempo a
compiere i propri doveri, il che non aiutava né i suoi nervi né quelli del
principe.
Arthur, poi, era un Asino Reale più asino del solito, in
quei momenti.
Esigeva che i suoi cani fossero portati comunque a
passeggio, ma le bestiacce erano caparbiamente contrarie – del resto,
dimostravano molto più buonsenso del loro padrone, se non volevano bagnarsi le
zampe – e Merlin era costretto a trascinarsele appresso di peso.
Il nobile Babbeo non capiva che, se nevicava, non si
potevano stendere i panni al sole. No, lui continuava a sporcare quintali di
abiti, e Merlin faceva i salti mortali perché si asciugassero prima di
ammuffire.
Ed era inevitabile che il nevischio rovinasse la pelle degli
stivali dell’erede al trono, ma lui pretendeva che fossero lustrati ugualmente alla
perfezione. Era una fortuna che Merlin fosse un mago, altrimenti col cavolo che
si sarebbe riusciti a sistemarli.
Oltretutto, sotto ad una tormenta di neve, gli allenamenti e
i duelli venivano sempre interrotti.
I cavalieri ciondolavano per il castello in cerca di
un’occupazione e invece Arthur sfogava il suo tedio su di lui.
Era più impaziente, uggioso, irritante, insofferente del
solito.
Il culmine si raggiungeva quando – incurante del fatto che
il suo servo aveva talmente tanti lavori da portare a termine, fino al giorno della
morte e oltre, – lui piombava nei propri appartamenti imperando un “Merlin, a
caccia!”
E allora sì, che si
toccava il fondo.
Lui non ce l’aveva un paio di guanti foderati di pelliccia a
proteggergli le mani infreddolite, né un mantello imbottito e coperto di cerata
che l’avrebbe tenuto all’asciutto.
E nemmeno tutta questa dannata voglia di bagnarsi fino al
midollo, per il semplice sfizio di riportare al castello qualche malcapitata vittima,
che aveva avuto la malaugurata idea di cercare cibo all’aperto.
Meglio morire di fame
che nella pancia di qualche Asino Reale, pensava lui.
Ma la testardaggine di Arthur andava in pari solo con la sua
voglia di pavoneggiarsi di fronte a tutti.
Per il mondo intero era chiaro che una caccia sotto la neve
era una sfida ardua.
Gli animali – saggi, loro!
– se ne stavano ben nascosti, le orme delle prede svanite in fretta sotto la
coltre, gli odori del bosco e i richiami tra le bestie si confondevano col
sibilare del vento e con la danza vorticante dei fiocchi.
Il principe, però, ignorava sempre le giudiziose proteste
del suo valletto e anche quel giorno se l’era portato appresso.
Del resto, aveva promesso a re Uther una variazione sulla
cena e ora doveva mantenere la parola data.
Arrancando dietro al suo signore, nello strato gelido alto
sino al ginocchio, si erano ritrovati in una piccola radura deserta al limitare
del bosco.
Arthur era certo di aver scorto qualcosa muoversi nella tormenta; Merlin era certo che Arthur fosse semplicemente idiota. Un idiota reale, ovvio.
Ma effettivamente un qualcosa c’era. Una piccola lepre dal
pelo bianco, che era spuntata da chissà dove, e aveva avuto la sfortuna di
incrociare il loro cammino.
Arthur la scrutava con l’occhio esperto del cacciatore, mentre
silenziosamente faceva cenni al suo servo affinché gli passasse un’arma.
Ma Merlin non ne voleva proprio sapere di sacrificare
l’innocente bestiola per puro sadismo.
Lui era del parere che bisognasse uccidere solo per sfamarsi
e non per diletto.
E poi quel lungo inverno era stato rigido per tutti – per i contadini
e gli animali, non certo per i nobili – e, di privazioni, quelle povere
creature dovevano già averne patite abbastanza.
Il nobile ringhiò sottovoce la sua premura, gesticolando all’indirizzo
del valletto con mosse controllate, senza mai distogliere il contatto visivo per
non farla fuggire.
Essa ricambiava, muovendo le sue candide orecchie, nere solo
sulla punta.
Merlin sperava con tutto il cuore che la lepre si decidesse
a zampettare via, ma sembrava quasi sotto l’incantesimo dello sguardo del
principe.
“Ti muovi, idiota?” sibilò questi, a mezza voce, allungando
una mano.
Al mago non restava più modo d’indugiare, per quanto
cercasse di guadagnare tempo rallentando i movimenti. Sapeva che l’arma più
comoda sarebbe stata la balestra, per questo finse di sbagliare prendendo la
faretra – impigliatasi chissà come
nel suo mantello. Per un istante pensò quasi che rompere l’arco sarebbe stata
una soluzione definitiva, ma anche alquanto drastica, e in fondo non ci teneva particolarmente
a passare l’inverno incatenato alla gogna fino al disgelo.
Stupida, stupidissima
lepre!, aveva imprecato, mentre a malincuore passava l’attrezzo letale al
suo padrone.
Mentre l’erede al trono incoccava il dardo, Merlin assisteva
a quell’ingiustizia che si stava per consumare.
Ma poi, di punto in bianco, decise che no, non se ne sarebbe
rimasto lì con le mani in mano.
E se a volte il
Destino non si dava da fare, bisognava dargli una spintarella.
Nell’esatto istante in cui la corda vibrò per il tiro, egli
bisbigliò un “Forbearnan firgenholt!”
Tra il principe e la sua preda, un grosso ramo cadde al
suolo con un tonfo sordo, sfarinando neve tutto attorno a sé. La freccia era
stata deviata da esso e il trambusto aveva dato tempo e modo all’animale di
sfuggire alla cattura.
“Oh, maledizione!” inveì Arthur, incenerendo d’ira
l’ingombrante fronda. Si avvicinò e la prese a calci, per sfogare la propria
rabbia. “Come diamine è possibile?!”
Merlin nascose un sorriso soddisfatto, mentre cercava di
rabbonirlo.
“Il peso della neve deve averlo spezzato, Sire.”
“Questo lo vedo anche io, idiota!” sbraitò l’altro che, anziché calmarsi, si era adirato
ancor di più per la stupidità del suo servo.
Il mago, tuttavia, non si ritenne offeso e cercò di
sfruttare doppiamente l’occasione.
“Maestà, temo che sia stata una giornata infruttuosa per la
caccia. Sarebbe più saggio tornare al castello.”
“Assolutamente no.”
Rifiutò l’altro, spezzando l’asta del dardo per pura ripicca. “Andremo a casa
con la cena.”
“Non si dovrebbe vendere la pelle dell’orso prima di averlo
ucciso!” cantilenò lo stregone, infierendo su di lui.
“Merlin…” sibilò il principe, in un tono che metteva i
brividi.
“Sì, Sire?”
“Ti avverto,” lo minacciò “Potrei abbattere anche te.”
E il servo si ritrovò a deglutire, di riflesso, all’occhiata
assassina che accompagnava l’intimidazione.
Fu il tintinnio dei campanelli di una delle trappole
scattate a richiamare la loro attenzione.
Arthur riacquistò immediatamente il suo regale buonumore e
si diresse a grandi passi – quanto la neve alta gli consentiva – verso la fonte
del suono.
Merlin pregò che la stupida lepre di prima non avesse deciso
di immolarsi spontaneamente e seguì il suo signore.
Ciò che vide dopo era
anche peggio.
Un cucciolo di volpe era finito nella tagliola, la madre
cercava invano di liberarlo ringhiando contro la trappola, e un secondo volpino
assisteva terrorizzato alla scena.
Il primo pensiero del mago riguardava l’assurdità della
cosa.
Per le volpi, l’inverno era la stagione degli amori e degli
accoppiamenti, non dei cuccioli. E, benché quello fosse stato assurdamente
lungo e la primavera fosse alle porte, quella cucciolata era decisamente
precoce.
Accanto a lui, il principe assisteva silenziosamente alla
scena, poi si scambiarono uno sguardo grave. Sapeva cosa stava per accadere.
La pelliccia di volpe era una merce pregiata, come minimo avrebbe
fatto la felicità di Morgana, una bella stola da sfoggiare al prossimo
ricevimento.
E poi avrebbe evitato a loro due di tornare a mani vuote.
Lui non sapeva se la carne di volpe fosse saporita o meno,
ma temeva che presto l’avrebbe scoperto.
“Dammi il tuo mantello, Merlin.” Gli ordinò Arthur, spiccio,
guadagnandosi un’occhiata che chiedeva se per caso fosse impazzito.
“Sbrigati!” lo incalzò, sfilando i guanti che indossava, poi
prese dalla borsa a tracolla del servo un po’ di cordicella di scorta.
Merlin lo osservò senza capire e il principe gli si
appressò, per dargli istruzioni.
“Usalo come una coperta e lancialo sulla madre, devi
immobilizzarla.”
La volpe ringhiava ora anche contro di loro, ma non si
spostava assolutamente dalla prole, perciò fu facile, per Merlin, catturarla
con un agile balzo.
L’erede al trono fu lesto a fermare il sacco improvvisato
con un laccio.
La bestia, dall’interno, si muoveva convulsa e spaventata.
Il secondo cucciolo guaiva senza sapere cosa fare. Quando si
accorse che i due umani non gli badavano, si avvicinò alla madre e cercò col
musetto un contatto con la stoffa.
“Ora afferra quello ferito senza che ti morda,” gli comandò
il principe, passandogli il mantello che si era tolto e lui eseguì. Anche se il
piccolo si dibatteva, era abbastanza semplice trattenerlo, bastava una mano
sola per neutralizzare i dentini acuminati, chiudendogli le fauci.
Arthur si chinò su di loro e aprì con quanta più gentilezza
poté le estremità aguzze, sfilando la zampina intrappolata. La valutò con
attenzione, tastando la pelle sotto al soffice pelo.
Era quasi un miracolo, ma non c’erano né ferite né fratture.
Quella tagliola era fatta per bestie ben più grosse, il
lasco tra ferro e zampa probabilmente l’aveva salvata da un’inevitabile tritatura.
Guardandolo con sollievo, mentre ancora Merlin lo teneva in
braccio, gli accarezzò il mantello fra le orecchie con un gesto di rude
affetto, e poi ingiunse al servitore di liberarlo e fece altrettanto con la
mamma volpe.
La femmina li fissò stordita, ma subito sgattaiolò via,
trascinandosi appresso la prole.
“Beh, se non altro abbiamo fatto una buona azione!” considerò
il mago, sorridendo felice.
Era davvero contento che Arthur avesse avuto pietà di loro.
Si sentiva orgoglioso
di lui, realizzò, accingendosi a
raccogliere gli attrezzi di caccia.
La palla di neve che lo colpì in pieno volto gli piacque un
po’ meno.
“Togliti quell’espressione ebete dalla faccia, Merlin!” lo
sgridò, fingendosi burbero.
“La verità, Mio Signore, è che avete un nobile cuore troppo tenero!”
lo canzonò, simulando ossequio.
“La verità, servo screanzato,” gli fece il verso “è
che siamo senza cena!”
“Uh, già!”
“E sta per imbrunire, torniamocene al castello.”
“E cosa direte al re?”
Arthur ghignò in modo poco raccomandabile. “Ovviamente gli racconterò
che avevo ucciso uno splendido animale e che tu l’hai perso per strada!”
“Ma-ma… ma mi punirà!” frignò, immaginando i pomeriggi
gelati alla gogna.
Incamminandosi per primo, il principe gli diede
un’amichevole pacca sulla spalla.
“E’ tuo dovere proteggere l’onore del tuo padrone, no?”
L’onore sì, ma non la
boria!
“Dannato Asino!” borbottò il servo, seguendolo e
rassegnandosi.
Era una magra consolazione, ma almeno la lepre e le volpi
erano salve, per quel giorno.
Tuttavia, a discapito della sera incalzante, del freddo pungente
e della neve inclemente che continuava a cadere, la loro avventura non era
ancora finita…
Avevano camminato a lungo, fin quasi a raggiungere la fine
della foresta, quando, tra il vorticare del vento, risuonò un bramito.
“Lo hai sentito anche tu quel rumore?” gli chiese l’erede al
trono, voltandosi nella sua direzione.
“Era la mia pancia, Sire.” Confessò il servitore,
arrossendo.
“Merlin!” latrò, condensando
in quell’unica parola l’impazienza e la commiserazione che sentiva per
quell’ebete. “La tua pancia non può mugghiare!”
“Oh, beh…” farfugliò. “Allora, no, non l’ho sentito.”
Ammise, togliendosi un fiocco di neve che gli era finito in un occhio.
“Proviene da là!” considerò il principe, deviando il cammino
senza interpellarlo. Non che ci si aspettasse un suo parere, ovvio. Ma il
valletto non poté fare a meno di sbuffare e accodarsi a lui.
La sua testardaggine fu premiata quando trovarono un cervo
azzoppato agonizzante, ormai seminascosto dalla coltre bianca.
Se non fossero arrivati loro, presto ci avrebbero pensato i
lupi a raggiungerlo e a sfamarsene.
Morire, per lui, fu quasi una liberazione – non sarebbe mai
riuscito a guarire, con due zampe spezzate – ma questo non diminuiva il
dispiacere di Merlin.
Certo, quella bestia gli avrebbe evitato la gogna per ordine
del re, e Arthur avrebbe avuto la sua cena succulenta, ma a lui rimase solo il
conforto di aver posto fine alle sue sofferenze.
Oltretutto, se abbatterlo fu sin troppo semplice, non lo fu ugualmente
il trasposto della carcassa.
Lo trascinarono con fatica, fin quasi ai cancelli di
Camelot, quando le guardie all’entrata non accorsero ad aiutarli.
Stanchi e infreddoliti, conclusero così anche quella strana
caccia.
Ma una cosa restava.
Merlin odiava la neve.
-
Fine -
Disclaimer: I personaggi citati in questo racconto non sono miei;
appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Note: L’incantesimo
usato è preso dalla puntata 1x07 del telefilm (quella di Sophia, per capirci), quando
Merlin, nella lotta iniziale nel bosco, rompe un ramo e lo fa cadere contro un
nemico.
Per la trascrizione mi sono affidata ai
sottotitoli inglesi, quindi io l’ho stilato nel modo in cui si scrive, non come
si pronuncia.
La lepre bianca si trova tuttora in Inghilterra, soprattutto
in Scozia. Ha una dimensione un po’ più piccola della lepre comune. Ha il manto
completamente bianco, tranne per la punta delle orecchie, che rimangono nere.
Anche le informazioni sulle abitudini della volpe sono state
verificate. Sapete che sono pignola, no? XD
Confesso che è stata dura scrivere il pezzo del cucciolo
dentro la trappola, perché la volpe è il mio animale preferito, il mio avatar,
il mio simbolo, il mio soprannome nella vita reale. E sono parecchio sensibile
all’argomento.
Per fortuna, dal 2005 in Gran Bretagna la caccia alla volpe è
stata definitivamente abolita; e invece, purtroppo, da noi è ancora permessa.
Ç__ç
Va beh, smetto di lamentarmi… ^^’’
Per chi se la fosse persa, la mia ultima fic su Merlin è
questa: “The He in the She (l’Essenza dentro l’Apparenza)”
(capitolo III)
E ringrazio quanti l’hanno commentata e chi commenterà.
Campagna di Promozione
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Farai felice milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche.
Grazie (_ _)
elyxyz