Glamorous
Skin
-Le
serpent qui danse-
L'afa
di quel giorno di estate a Hong-Kong sembrava aver vinto la sua
personale scommessa con il nuovo e super tecnologicamente attrezzato
Quartier Generale dell'ormai ex Special Provision
for Kira.
Il
neonato gigante di vetro e acciaio, sorto in pochi mesi dalle
fondamenta di terra e argilla della zona collinare della penisola di
Kowloon, era stato inaugurato qualche giorno prima come la sede,
naturalmente fittizia, di una ONG benefica.
Stephen
Loud aveva assistito al battesimo di fuoco dalla finestra del
sedicesimo piano del golem di ferro, osservando assorto il turbinio
caleidoscopico dei coriandoli vomitati dal ventre metallico di alcuni
elicotteri, ai quali, per quella occasione, era stato permesso di
volare più basso del consentito.
Il
ronzio stridente della loro vicinanza era penetrato insistente
attraverso l'ossatura di cemento e specchi, e a lungo aveva sostato
nelle camere e nei corridoi deserti, simile ad un lamento
echeggiante nei dedali di una fortezza sguarnita.
Avvicinandosi
alle spesse e chiare vetrate che lo separavano dal vuoto del mondo,
l'uomo aveva potuto osservare con attenzione la folla ondeggiante che
sostava adorante ai piedi del gigante.
Una
marea che ad improvvise ondate sembrava aumentare di numero e forza.
Gente,
urla e colori che riempivano l'asfalto e l'aria delle loro presenze
forzate, riuniti intorno alle fondamenta di un altro edificio,
l'ennesimo in quella città e in quel mondo, rappresentante la
solida apparenza di un miraggio.
La
dolcezza rassicurante di una bugia sussurrata.
Forse
era stato in quel momento, mentre inspiegabilmente stizzito si
allontanava da quella vista e tornava a dedicare la sua attenzione al
nodo della cravatta blu, che aveva seriamente ricominciato a produrre
pensieri finalmente incoerenti e disgiunti.
Quando,bloccando
il movimento automatico di dita e polsi, aveva colto in fallo un
concetto molesto, per mesi, o più probabilmente anni, tenuto
strettamente rilegato nell'angolo più oscuro della sua mente,
anche questo con premura nascosto nell'abisso ancora più
profondo della memoria.
La
convinzione, più o meno esatta, che una volta, innumerevole
tempo prima, anche la sua voce fosse stata parte integrante di un
simile e distonico coro.
Un
organismo che ignorava, volutamente o meno, la realtà dei
fatti.
E
viveva felice in quella bolla di buonismo altrimenti conosciuta con
il nome di società moderna.
Poi
era arrivato Kira.
E
il coro si era schierato, dividendosi come un mare biblico.
E
nonostante fin dall'inizio lui stesso avesse deciso quale parte
prendere, e per tale libero proclama di giustizia fosse entrato
nell'Spk, solo in quel momento, mentre si chiudeva la porta della
camera alle spalle e si avviava con falcate sicure verso l'ascensore,
si era reso conto di quanto quegli anni di raggelante e divino
terrore lo avessero costretto a relegare il suo stesso essere dietro
un'ombra assai subdola.
La
paura.
Il
terrore di percepire l'ultimo battito del suo cuore risuonare come il
rintocco finale di una campana nella sua gabbia toracica, e cadere,
già inerte al suolo, simile al petalo raggrinzito di un fiore
morente.
Come
davanti ai suoi occhi aveva visto accadere, tempo prima, alla maggior
parte dell'organico dell'Spk, nei primi mesi in cui le pedine erano
state finalmente schierate su un campo minato a tre giocatori.
Rendere
Kira, onnipresente dio della morte, un'acefala statua da calpestare
il giorno della vittoria, era stata per anni la sola ed unica
priorità.
E
spazio per altri fluttuanti pensieri non poteva essere contemplato.
Lasciar
scorrere insieme idee insensate e tempo era come percepire il ritmico
ticchettio di una bomba innescata a pochi passi di distanza, senza
fare alcunché, né scappare via,né tentare di
disinnescarla, per rendere salva la vita.
Poi
un pensiero, non così semplice da esprimere come ci si sarebbe
aspettati, eppure più vero e tangibile persino delle pareti di
quell'ascensore che lo teneva sospeso su un baratro mortale.
Kira
era morto.
Ed
era stato allora, quando le lucide porte dorate della scatola di
ferro si erano aperte e lui aveva fatto un passo verso l'ampia stanza
circolare, il cuore del golem...solo allora lui...
Era
accaduto allora, solo ed esclusivamente allora, che Stephen Loud,
respirando a pieni polmoni l'ossigeno artificiale prodotto dai
respiri affannosi di condizionatori e computer, esseri vivi e morti
allo stesso tempo,a mesi di distanza dall'effettiva disfatta di Kira,
si era riappropriato improvvisamente di sé stesso.
Della
sua anima in apnea, del suo cuore pulsante e dei suoi pensieri
fluttuanti e senza senso alcuno.
Kira
era morto.
E
lui,finalmente, tornava a vivere.
Non
avrebbe mai saputo dire se fu proprio a causa di quella improvvisa
rivelazione di qualche giorno prima, accolta con un euforia
volutamente contenuta, che quello strano meccanismo scattò,
mettendosi in moto con un progressivo e sempre più assordante
cigolio.
Solo,
all'inizio gli sembrò di trovarsi proiettato sulla sedia di
pelle nera come se in quell'istante avesse aperto improvvisamente gli
occhi dopo un lungo sonno comatoso.
Probabilmente
si era davvero addormentato per qualche secondo, perché la
disgustosa sensazione di un risveglio umido, dell'aria asfissiante e
torrida che corroborava la pelle scoperta del collo, del viso e delle
braccia, lo colse con una intensità inaspettatamente più
irritante del previsto.
Le
pareti color carta da zucchero, tappezzate di enormi schermi al
plasma, furono i primi elementi che i suoi occhi riuscirono a mettere
a fuoco. Poi, la sensazione di pesante arsura che immobilizzò
la sua gola gli impedì di proseguire quel tentativo di
riconoscimento.
Unicamente
la sensazione piacevole di qualcosa di gelido che gli sfiorava in
una carezza la tempia ebbe il potere di risvegliarlo definitivamente.
Accanto
a lui, leggermente piegata in avanti e con un sorriso rosso e
comprensivo disegnato sul viso da modella, Halle gli porse un
bicchiere appannato di thé freddo.
“ Davvero
una stagione pessima perché l'impianto termico vada in tilt.”
Annuì
stancamente alla sua voce trillante, afferrando il bicchiere e
premendoselo sulla guancia rasata.
La
sua pelle percepì nel contatto una sensazione di gelido
bagnato che si trasmise subitanea alle sue terminazioni nervose
principali, ridiscendendo la colonna vertebrale e propagandosi lungo
gli arti sotto forma di piccoli brividi.
Nello
stesso istante, i suoi occhi scivolarono liquidi lungo il semicerchio
di computer e macchinari che costituivano il centro nevralgico del
golem.
O
almeno così l'aveva soprannominato Halle, da quando la sigla
SPK era scomparsa tra i fascicoli top-secrets di Lagley e il Governo
aveva deciso di dare alla loro cellula un nuovo nome.
Gholia.
“Jevanni?”
Osservò
Rester, fermo a pochi passi da lui...Halle dov'era?
L'uomo
gli sbandierò implacabile davanti al viso alcuni fogli bianchi
macchiati di grafici e numeri, che in quel momento per lui avrebbero
potuto benissimo avere il significato di geroglifici dipinti su
sabbia.
“
Cosa?”
“
Perché
non vai anche tu a prendere un po' di aria sul tetto e non ci porti
anche Near?”
“
Sto
bene così, Rester. Jevanni può andare senza di me, se
ne ha bisogno.”
Prima
ancora che la sua lingua potesse articolare suono, la voce incolore e
metallica del nuovo L tagliò l'aria cocente, uccidendo sul
nascere quella proposta di momentanea resa al caldo che
spadroneggiava sul Quartier Generale.
A
quel punto non poté necessariamente impedire al suo sguardo di
correre incontro a quel lieve bisbiglio controllato.
E
quando la figura virginale, accucciata sul pavimento scuro al centro
della stanza come un ragno predatore nel punto di convergenza dei
mille fili della sua tela, conquistò completamente il suo
campo visivo, il meccanismo riprese a tremare.
Erano
anni, quasi un infinita di tempo, che i suoi ingranaggi di pietra,
all'inizio così ben oliati, non accennavano a muoversi.
La
sagoma bianca però restava china su giocattoli e dadi di
carta,e l'ingranaggio ancora si riscuoteva a vuoto.
La
testa di platino lucente, china e intenta a dipingere alcuni
tarocchi, non si accorse affatto di quel moto infante e profondo.
Così, ad un nuovo richiamo si sollevò con flemmatico
decoro.
“
È
tutta la mattinata che sei chiuso qui dentro, Near. Hai bisogno di
una pausa.”
Occhi
di un grigio incolore, come vitree biglie di carne incastonate nel
volto di un fanciullesco erote, vagarono molle e snervanti,
incrociando per pochi attimi le sue.
Crak
{Negli
occhi tuoi non di dolcezze un velo
Né
asprezza che appaia:
son
come fredde gemme nel cui gelo
l'oro
al ferro s'appaia.}
Con
un ultimo, repentino scatto il meccanismo vinse ogni altra
resistenza, cominciando infine il suo atteso e infinito movimento,la
sua lenta ed estenuante caduta.
Come
spesso accadeva fu il suo corpo a registrare quel mutamento
improvviso, mentre la mente cieca di logica cercava di seguire le
tracce del risvegliato istinto.
Fu
un attimo in cui cupe iridi blu consumarono stoffa e carne, denudando
quella strana creatura immacolata e iridescente nella luce azzurra di
schermi e neon.
Un
bambino.
Ecco
cosa per la prima volta aveva pensato di Near, quando gli aveva
stretto la mano dopo aver atteso per alcuni momenti che egli la
liberasse dalla stretta di un robottino di plastica.
Un
moccioso.
Quando
gli era stato comunicato che sarebbe stato lui a dirigere tutte le
operazioni riguardanti il caso Kira.
Un
mostro.
Quando
aveva avuto occasione di scoprire che non esistevano limiti a ciò
che quella mente, apparentemente condannata ad essere imprigionata
nel corpo sempreverde di un adolescente, avrebbe potuto fare.
C'erano
state battute e discorsi su di lui, tra colleghi, quando ancora l'SPK
contava più di quattro organi a comporre il suo essere.
Ambiguità
e frasi spinte sull'identità sessuale di quel ragazzino
asettico e innaturalmente privo di emozioni manifeste.
Perfino
sguardi maliziosi che ne scrutavano i lineamenti infantili,
sussurrando con occhiate ciò che a parole sarebbe stato
impossibile esprimere.
Per
lui quei commenti erano morti sul nascere, affogati in risate di
circostanza e brindisi alla fine del regno di Kira,per cercare di
soffocarne i possibili effetti collaterali.
Come
il restare a lungo fisso a guardarlo innalzare torri precarie e
castelli intoccabili.
E
concentrarsi sul riverbero lucente di quell'epidermide dalla liscezza
marmorea.
{Quanto
mi piace, mia bella indolente,
del
tuo corpo osservare,
come
una stoffa cangiante e splendente
la
pelle del tuo corpo luccicare.}
Immagini
moleste, seppellite a lungo tra i pensieri incolti, iniziarono a
sgorgare inquiete nella sua mente come zampilli di fredda acqua
sorgiva.
Cercò
di ricacciarle nei recessi imperscrutabili dalle quali erano evase,
perdendo il filo del discorso che con continui inviti e negazioni,
seguitava a svolgersi davanti ai suoi occhi vitrei.
“Non
ho bisogno di aria, solo di una doccia. Tornerò tra mezz'ora.
Prendetevi una pausa, immagino siate spossati.”
Un
piccolo movimento, e la figura dal pallore distonico,incredibilmente
inadatta nel suo concettuale a quell'ufficio dai contorni spigolosi e
neri, si sollevò in piedi con ferma lentezza, scivolando poi
subito dopo verso l'uscita del cuore con un minimo dondolio incerto.
Stephen
Loud rimase incollato alla schiena vestita di seta bianca e lucida
fino a che essa non ebbe superato le porte bronzee dell'ascensore.
Quasi
immediatamente, il pensiero curioso di osservare ciò che
quella seconda pelle celava si trasmise come un leggere formicolio
sul collo e sulle mani.
Strofinò
le seconde tra loro, per eliminare quell'impulso sbagliato e
improvviso, e quasi senza rendersene conto si trovò in piedi,
con un vago senso di rintontimento a riempire di aria calda la testa
incredibilmente leggera.
Rester
sembrò lanciargli un'occhiata bieca e volergli rivolgere
qualche rimprovero.
Invece
si limitò a borbottare tra sé qualcosa a proposito di
sigarette e acqua.
Annuì
senza sapere il perché e con una strana sensazione di
ubriachezza si avvicinò all'ascensore. In quel momento, la
piccola spia giallognola che ne segnalava l'utilizzo morì sul
pannello dei comandi, e lui la rianimò immediatamente con la
pressione di due dita su un bottone triangolare.
Il
caldo insopportabile sembrò legarsi al suo collo e ai suoi
polsi nudi in spire e tentacoli opprimenti nel breve lasso di tempo
in cui la scatola arrivò per accoglierlo nel suo feto dorato.
Quasi
vi si lanciò dentro, premendo l'ultimo tasto più in
alto sulla griglia lucida e attendendo ad occhi chiusi di essere
vomitato sul tetto.
Lì
avrebbe potuto respirare aria nuova e vera, e liberare la testa di
immagini e pensieri incontrollati.
Se
riappropriarsi di sé stesso significava far vagare la mente su
lembi di pelle e occhi imperscrutabili di un bambino prodigio, per
gradi e intelletto nettamente superiore a lui, non era affatto sicuro
di volerlo.
Non
c'era niente in Near che avrebbe dovuto attrarre il suo sguardo,
soprattutto alla luce vivida e intensa del fatto che l'iniziale
stupore per il suo aspetto e i suoi modi di fare era già da
tempo stato sepolto.
Niente
giustificava quelle idee e quegli impulsi che poco prima la sua
vista, ormai astrattamente avvezza ad osservarlo, aveva procreato.
Le
imposte lucide dello scrigno si aprirono in quel momento,
rigettandolo in un corridoio illuminato dall'ombra di luce del sole
mattutino.
Sbatté
le palpebre stanche per abituarsi alla brezza luminosa che invadeva
nel suo tropicale tepore le pareti di caramello.
La
consapevolezza di aver seguito anche nel mondo fisico il filo
ingarbugliato dei suoi stessi pensieri, lo colse solo dopo pochi
attenti secondi di osservazione.
Non
era sul tetto, ma un piano più in basso.
Quello
dove il cervello del golem, centro nevralgico dell'intero sistema,
sostava.
Davanti
a lui un uscio socchiuso di legno chiarissimo che delimitava i
confini di quel regno, e quasi udibili nel sottofondo i movimenti del
principe che lo governava.
Incontrollato
il suo corpo si mosse verso l'ingresso dell'appartamento,
accostandosi alla porta dischiusa.
Dalla
sottile feritoia i suoi occhi poterono osservare vacui il profilo di
un ampio ingresso minimal, dominato da angoli e bordi bianchi e neri,
prima di scivolare irrimediabilmente sulla figura che al centro di
esso lasciava cadere a terra la camicia frusciante, scoprendo la fino
ad allora celata schiena d'avorio.
I
ricci dai riflessi metallici scintillarono debolmente nel bagliore
dei raggi solari che inondavano la stanza, mentre l'intero corpo ne
appariva bagnato, riflettendone gli impulsi luminosi.
L'aria
sembrò risucchiata verso quella rara visione, e con essa
qualsiasi traccia di razionale pudore.
{Sulla
tua capigliatura profonda,
densa
d'acri profumi,
in
quel mare odoroso e vagabondo
dai
flutti azzurri e bruni
come
un naviglio che al vento si desta
del
mattino errante,
verso
un confine lontano s'appresta,
l'anima
mia sognante.}
A
salvarlo fu solo il sibilo meccanico dell'ascensore che veniva
richiamato.
Con
uno scatto si allontanò dalla porta, conducendo una mano
tremante alla fronte sudata e chiudendo gli occhi per cercare di
eliminare il continuo riproporsi di quella immagine infausta.
Ascoltò
il meccanismo aumentare la portata del moto e la forza ad esso
impressa.
E
infine si allontanò veloce, con il cuore tremante dallo sforzo
per ridurre al silenzio lo stridio cigolante di quell'ordigno ormai
innescato.
Quando
più tardi, nell'apprestarsi della refrigerante brezza serale
si ritrovò in compagnia di Halle sul bordo del tetto
scarsamente illuminato, la consapevolezza che ciò che era
accaduto poche ore prima fosse probabilmente dovuto al caldo
invivibile, fece sì che la sua mente e la sua lingua
riuscissero a introdurre l'argomento con studiata leggerezza.
“ Secondo
te è mai stato a letto con qualcuno?”
Halle
si bloccò proprio a metà del gesto di avvicinare il
collo della bottiglia di birra alle labbra carnose. I contorni del
suo profilo scomparvero, sostituiti dalle linee marcate del suo
ovale.
“ Di
chi parli?”
“ Near.”
Dicendolo
reclinò il capo pesante all'indietro, per evitare di dover
osservare lo sgranarsi eccessivo degli occhi chiari di lei.
“ Come
ti vengono in testa cose del genere? Oh! Voi uomini siete tutti
uguali... Near è praticamente un bambino. Non vedi che non sa
prendere da solo nemmeno un aereo? Figurati avere una relazione. Sarà
anche l'adolescente più intelligente del pianeta,ma non ha
idea di cosa sia un rapporto sociale. Né tanto meno di come
viverlo.”
“ Avere
rapporti sociali non ha niente a che vedere con il fare sesso. Per
quel che ne sai, nell'orfanotrofio da cui proviene potrebbero aver
abusato di lui. Non sarebbe una storia poi così tanto strana.
E un trauma del genere spiegherebbe molti dei suoi comportamenti.”
In
realtà un pensiero simile non lo aveva mai sfiorato prima.
La
donna tossì la birra ingurgitata, portandosi istintivamente
una mano davanti alla bocca. Il suo viso sembrò divenire
rossastro sotto la luce lattiginosa dei fari sparsi sul pavimento
sporco del tetto.
Lasciò
che la bottiglia le scivolasse dalle dita per frantumarsi in cocci
bagnati a terra.
Stephen
Loud osservò preoccupato gli occhi di lei divenire un po'
lucidi a causa dei sussulti tremanti che le attraversavano il corpo
piegato in avanti, ma quando fece per avvicinarsi e aiutarla, essi si
interruppero.
Prendendo
grandi respiri, Halle si tirò in posizione eretta.
“ Tutto
bene?”
Lei
si limitò ad annuire con le palpebre chiuse e brillanti di
lacrime.
Quando
parlò la sua voce argentina era ridotta al graffiante stridore
di un archetto su di un violino non accordato.
“ Dio,
Steve, che mente malata. Mello ti sembrava il risultato di qualche
stupro infantile?”
L'evidente
sconcerto che accompagnò quella domanda, nata con intento
retorico, produsse in lui un istintivo sorriso tirato.
“ Devi
ammettere che tutta quell'aggressività repressa non è
che fosse normale.”
“ Il
fatto che siano tipi un po' particolari non è indice primario
di traumi.”
“ Sei
laureata in psicologia e io non lo sapevo?”
La
sferzata non sembrò colpirla eccessivamente, ma venne
inglobata e rigettata nella sua insinuante risposta.
“ Già,
adesso sai a chi rivolgerti per parlare dei tuoi pensieri
discutibili.”
“ Quali
pensieri discutibili?”
Riportò
nuovamente la testa all'indietro e gli occhi fissi sul cielo privo di
stelle, per evitare di mostrare sul viso il turbamento che il suo
stomaco aveva percepito, e per il quale sembrava essersi contratto.
“ Il
discorso su Near e il sesso lo hai iniziato tu.”
L'impulso
di attaccare, per nascondere il fantasma di una colpa aleggiante
nella sua coscienza, non si fece attendere a lungo.
“ E
di grazia, perché sarebbe discutibile? È un argomento
come un altro. Credo che ormai anche tu ne abbia abbastanza di
parlare di Kira.”
“ Appunto,
perché infilarsi in discorsi morbosi?”
“ Perché
deve essere morboso? È umano, dannazione. Anche lui può
avere delle pulsioni.”
“ Near?
Stiamo parlando della stessa persona?”
“ Perché
no? Tu che ne puoi sapere? L'hai visto che teneva sempre con sé
la foto di Mello? Tra loro non correva buon sangue. Perché
conservare una sua immagine?”
Il
ricordo inaspettato era giunto improvviso al suo conscio, risalendo
quasi strisciando le pareti della sua memoria.
“ Erano
orfani cresciuti insieme e destinati a succedere al seggio di L. Se
non hai famiglia ti affezioni a ciò che la sostituisce.
Probabilmente il loro rapporto era come quello di due fratelli, prima
che la rivalità per il futuro ruolo lo intaccasse.”
“ Non
capisco perché voi donne abbiate la tendenza a romanzare
qualsiasi cosa. Gli ormoni circolano anche nel corpo di Near: questa
è biologia, una scienza esatta. È statisticamente più
probabile che quei due avessero una specie di relazione di amore-odio
sfogata in incontri sessuali tenuti nascosti, che non un rapporto di
amicizia fraterna rimasto vivo sotto la cenere del fuoco della
competizione. Tra l'altro, non mi sembra che né Mello quando
ti ha visto nuda, né tanto meno Near quando in questi giorni
ti ha potuto ammirare decisamente più svestita a causa del
caldo, abbiano mai provato un minimo di turbamento davanti alla tua
evidente avvenenza.”
A
quello sbotto lucidamente ragionevole la donna rimase per un attimo
in silenzio, e se lui si fosse voltato a guardarla avrebbe notato
come un nuovo rossore, questa volta di vergogna, avesse catturato il
suo viso.
“ Se
è per questo- riprese dopo pochi secondi lei con un bisbiglio
vagamente imbarazzato- nemmeno tu mi guardi in quel modo. Devo
iniziare a pensare che ti piacciano gli uomini?”
Voltarsi
ad osservarla con un sopracciglio inarcato fu un gesto automatico
quanto quella risposta rifilata in tono incredibilmente gelido.
“ Se
non ti guardo in quel modo non significa necessariamente che io sia
gay. È più probabile voglia dire che non mi piaci
affatto in quel senso.”
La
consapevolezza di aver colpito qualche tasto dolente, il suo orgoglio
femminile o la sua lampante vanità personale, arrivò
nel momento in cui la vide sobbalzare grottescamente, quasi fosse
stata schiaffeggiata.
“Vado
a letto. Buonanotte.”
Eppure
l'espressione ferita e offesa dipinta sul suo viso da bambola di
porcellana non produsse su di lui nessun istinto di subitanea
negazione o richiesta di perdono.
Si
limitò a ricambiare fintamente distratto l'augurio,
concentrandosi sul ticchettio smorzato dei passi di lei fino a che
essi non scomparirono, ingurgitati dal golem.
Poi,
quando la sua presenza liberò finalmente la sua mente, si
avviò anche lui nel ventre del gigante di acciaio.
Non
fu sua intenzione giungere nuovamente davanti all'uscio dischiuso.
Gli
sembrò di esserci trasportato dalla sua mente come era
accaduto quella mattina.
Il
corridoio immerso nelle languide tenebre divoratrici di luce gli
apparve quella volta come un sonnacchioso animale dal respiro
silenzioso.
“Jevanni?”
Inizialmente
rimase immobile come una statua di sale quando quel mormorio echeggiò
nel vuoto alla sua destra. Poi l'istinto, o la mente, o forse il
corpo nel sentire quel richiamo, lo fece voltare con calma apparente.
In
piedi, a pochi metri da lui, una sagoma d'alabastro e luce avanzava
quieta e scalza, splendente di luci ed ombre rigettate dalle stesse
finestre che poche ore prima avevano lasciato penetrare in quel
cunicolo i raggi scottanti del sole.
In
quel momento era una rotonda moneta d'argento, alta nel cielo, che
spandeva la sua bianca luminosità riflessa sul mondo.
E
accarezzato da essa, l'essere avanzava oscillando verso di lui,
vestito di pura e lunare grazia.
“ Near?”
Forse
fu qualcosa nel suo sguardo sfuggente o nel tono della sua voce a
bloccare l'incanto.
Il
ragazzo rallentò bruscamente l'andatura, scivolando poi
nell'immobilità totale.
“ È
successo qualcosa?”
Le
parole incolori fuoriuscirono caute dalle labbra piccole e pallide,
incastrandosi quasi a fatica nella sua parte cosciente.
“ No.”
L'altro
non mutò affatto espressione, limitandosi a sollevare le dita
per afferrare alcune ciocche ondose nella probabile attesa di un suo
congedo.
Il
silenzio gravò nello spazio dei loro respiri tanto a lungo da
creare una sottile e latente tensione.
“ Volevi
dirmi qualcosa?”
Questa
volta l'uomo si limitò a negare col capo, senza staccare un
solo attimo gli occhi dall'orlo del pavimento di moquette grigia dove
li aveva costretti a posarsi e sostare per evitare di concentrarsi su
altro.
“ Allora...
Buonanotte.”
Non
rispose e non alzò le palpebre,continuando a tenerle dirette
sul terreno di stoffa artificiale e lasciandosi sfiorare e superare
dalla sagoma di Near, che già era giunta silenziosa vicino
alla porta e l'aveva aperta.
Fu
solo l'istinto a vincere il ritrarsi riottoso dello sguardo.
Al
percepire il profumo denso e invitante di quella esotica pelle
sconosciuta, gli occhi si sollevarono lesti a fissare la schiena di
nuovo coperta da seta bianchissima.
E
in quel panorama nevoso colsero attenti uno scorcio persino più
chiaro, nel punto in cui la dispettosa camicia era scivolata ad
accarezzare il braccio sottile, lasciando nuda la spalla rotonda.
Il
meccanismo urlò un ulteriore sforzo e il suo corpo senza
controllo venne spinto in avanti, imprigionando nella morsa delle
braccia il Ganimede ad un passo dallo scomparire.
Near
sussultò appena nel percepire la sensazione di quelle fauci
che strette andavano a legargli braccia e busto, cogliendo un brivido
correre a immobilizzargli la schiena quando il respiro pesante
dell'uomo toccò il suo collo scoperto.
Tutto
rimase immobile per secondi impossibilitati a finire.
Fu
solo il momentaneo svolgersi di una battaglia interiore tra logica e
istinto, che vide ben presto il secondo uscirne coronato vincitore.
L'impulso
incontrollato di quella mattina, che in realtà aveva
convissuto per tempo assai più lungo nei recessi oscuri della
sua mente, tornò più forte e pretenzioso che mai.
Le
mani tremanti strattonarono la stoffa scivolosa, strappandola ovunque
fosse più facile, per mostrare finalmente la pelle priva di
vestimenti.
Un
forte singulto sembrò smuovere il corpo dell'altro.
Ritrovandosi
non più costretto dalle mani del sottoposto, troppo intente a
scorrere veloci lungo la schiena denudata, Near tentò di
reagire alla violenza.
Non
chiamò il nome di lui per ricondurlo alla ragione,
semplicemente si voltò,ritrovandosi contro il suo petto, e
cercò di allontanare quelle dita e quei palmi sconosciuti che
toccavano bramosi ogni raggiungibile spazio di pelle.
Quella
ribellione non mosse niente nell'animo risucchiato dagli ingranaggi
del meccanismo.
Al
contrario, gli ansimi del nuovo L,volti a recuperare il respiro perso
a causa di quei gesti bruschi , ne aumentarono addirittura l'ardore.
I
movimenti divennero violente apnee, artigli che graffiavano stoffa
lucida e liberavano epidermide calda, incuranti del contorcersi
continuo e del rifiuto silenziosamente urlato da quel corpo di
porcellana.
Così
quando, ormai nudo e completamente esposto agli attacchi, venne
gettato sul pavimento e sovrastato dal volto di qualcuno che
conosceva, ma appariva in quell'istante troppo dissimile per poterlo
effettivamente accostare a chi lui credeva, gli spasmi sembrarono
moltiplicarsi.
Sotto
di lui il corpo di efebica bellezza prese a contorcersi con assai più
foga, simile ad un serpente sul punto di liberarsi di una scomoda
muta.
{E
il tuo corpo s'inarca, piega, inclina
come
nave sull'onda
che
rolla ai fianchi e i suoi pennoni china
sull'acqua
e li affonda}
Il
petto di marmo virgineo e il volto di un fanciullesco Antinoo furono
premuti contro il morbido abbraccio della moquette scura, mentre le
gambe guizzanti venivano immobilizzate sotto il peso gravoso di più
grandi arti gemelli.
Stephen
Loud, o ciò che di esso rimaneva, affondò il volto tra
i suoi capelli setosi e iridescenti respirando a pieni polmoni il
profumo che essi sprigionavano. Risvegliato da quella bruciante
passione, a lungo tenuta chetamente sedata, il suo essere reagì
spingendosi ancora più duramente contro la carne invitante di
glutei e schiena, fino ad incollarsi ad essa completamente.
La
stretta sui polsi di Nate River si fece ancora più salda
quando essi cercarono di sfuggire alla gabbia delle dita, ed un
affondo di labbra e denti sulla scapola lattea marcò
ulteriormente quel messaggio di prigionia.
Poi
d'un tratto la resistenza finì, e i movimenti convulsi vennero
sostituiti da intime scosse e tremolii, in forza ed intensità
sempre crescenti, mentre altri respiri e sbuffi abbandonavano esausti
la bocca dell'agnello sacrificale.
Ma
ancora una volta, nemmeno quei simboli di paura profonda riuscirono a
bloccare il meccanismo ormai in atto.
La
pressione su quel corpo sottile, che qualunque sua minima
sollecitazione avrebbe potuto frantumare, si fece ancora più
spinta e cruda, dondolando ritmicamente contro le natiche scoperte.
L'azione,
che svelava il reale fine di quella lotta di sottomissione, arrestò
ogni ulteriore spasmo. Come se il corpo desiderato si fosse
improvvisamente svuotato di forza e volontà proprie, esso si
rilassò in un irreale abbandono.
Solo
un suono sfuggì ai denti stretti ed echeggiò nelle sue
orecchie.
“No...”
Il
meccanismo sussultò appena.
La
sua presa si affievolì inconsciamente.
“...ti
prego...”
I
cingoli si bloccarono per la mancanza di quella corrente di impulsi.
In
un attimo la lucidità tornò a rischiarare il corridoio
buio.
“...Jevanni.”
Con
uno scatto repentino l'uomo si allontanò dal più
giovane, ritrovandosi in piedi contro le porte dorate dell'ascensore,
la nuca e i palmi premuti contro di essi.
La
mano corse incontrollata al pulsante di richiamo e gli occhi
evitarono con accuratezza studiata ogni contatto con la nivea macchia
ora ripudiata.
Senza
proferire parola, quando le porte si aprirono in un abbraccio,
illuminando di tepore dorato quel crepuscolo venefico, lui vi ci
scaraventò, indicando un piano a caso tra i molti, per fuggire
al più presto da sé stesso.
Per
terra, una bambola di pezza nuda rimase senza vita alcuna, con la
testa di riccioli scomposti abbandonata sul pavimento scuro, fino a
che il gorgoglio lontano della scatola in moto annunciò la
fine di quello strano sogno.
Con
pacata grazia e lentezza Nate River si sollevò in piedi, prima
puntando le ginocchia ossute sul morbido pavimento, poi i gomiti e i
palmi davanti ad esse.
Sollevando
il busto in posizione eretta, coi talloni incollati sotto il peso del
corpo puerile, attese ancora qualche secondo per innalzarsi sinuoso,
con una spinta leggera, all'argentea luce lunare
{A
veder l'ondulata tua movenza,
bella
che t'abbandoni,
vai
somigliando ad un serpente che danza
proprio
in cima ad un bastone.}
Con
passo certo e privo di remore si avvicinò alla porta
chiarissima, sospingendola cauta verso di sé. Lo sguardo dal
tono incolore, prima di essere risucchiato dal buio signore della
stanza, sostò ancora un momento sui larghi e informi brandelli
di stoffa coricati sulla moquette cupa e cinerea.
Una
pelle di rettile albino lasciata indietro su una falsa erba
d'inchiostro.
Spazio
Autrice
Sono
felicissima per la riuscita del contest, dato che mi sono piazzata
seconda a pari merito con eldeberry e che è il primo a cui io
abbia mai partecipato, e non finirò mai di ringraziare il
Pagliaccio di Dio, che ne ha creato uno così appassionante.
Prima
di inserire il giudizio però, mi rivolgo in particolare ai
miei “soliti” lettori.
Capisco
bene che questa shot possa apparire abbastanza sconvolgente per chi
mi conosce, sia per il quasi pairing, sia per lo stile e la
grammatica un po' diversi dal solito, ma spero vi piaccia comunque.
È
frutto di un mio tentativo di provare nuove vie di scrittura, per
vedere di cosa sono capace e come me la cavo in situazioni ( storie)
per me nuove. Credo che in futuro vi giocherò altri scherzetti
simili, perché questo mi ha davvero divertita :)
Ringrazio
in anticipo chi commenterà e leggerà^^
Secondo
classificato a parimerito:
Glamorous
Skin di Darseey
Aspetto grammaticale e lessicale:
Parto direttamente dal lessico, poichè è
l'elemento che più mi ha colpita. Sono rimasta davvero senza
parole nel constatare la tua bravura e la tua disinvoltura con un
lessico elevato ma comunque comprensibile, che dona alla fic la
musicalità e l'organizzazione di una prosa dell'Ottocento.
Grammaticalmente perfetta, non ho riscontrato nè errori di
sintassi ne di grammatica stessa; punteggiatura a posto e nessun
errore di battitura. Davvero complimenti.
Punteggio: 10 /
10
Stile:
Che posso dire del tuo stile, se non
che l'ho trovato davvero splendido? A partire dai pezzi della
citazione vergati in corsivo e messi tra parentesi graffe a destra
del testo, per finire alla divisione in blocchi che non rende la fic
frammentaria, anzi, le dona ritmo e vivacità dato che molte
scene, specialmente all'inizio, sono statiche. Non è
troppo ridondante, ma nemmeno troppo semplicistico, una perfetta via
di mezzo che rende gradevolissima la lettura.
Punteggio:
10 / 10
Originalità dell'opera e delle idee:
Ho
ritenuto questa fic davvero originale partendo da solo un elemento:
la coppia. Ebbene sì, perchè personalmente ritengo la
Jevanni x Near -che peraltro pare così canon...- una coppia
azzardata, ma appunto per questo davvero interessante. Ed ho trovato
originale persino lo svolgimento, e l'atto -specialmente nei pensieri
e nelle sensazioni di Jevanni-. Non ho molto da dire su questa
voce, se non che ti rinnovo i miei complimenti.
Punteggio:
10 / 10
IC dei personaggi:
E anche qui non ho
molto da dire. Near è assolutamente lui, con quell'apatia che
lo caratterizza anche in una situazione delicata come l'ultima
descritta; Jevanni anche, con la sua buona dose di pensieri che poi
riconducono sempre all'azione peggiore che possa fare. Davvero,
davvero perfetti, e mi congratulo soprattutto per Near. Davvero.
Punteggio: 10 / 10
Punteggio: 40 + 4.5 punti di
gradimento personale: 44.5 / 45 PUNTI
Premio
correttezza grammaticale: Glamorous Skin di Darseey
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