Questa fanfiction è un po’ particolare. Potrei definirla
un missing moments più che una what…if ed infatti lo metterò XD.
È una centric di due personaggi che non svelerò
subito, anche perché saranno facilmente intuibili.
È un po’ (molto) angst e death; dolce e malinconica,
o almeno spero lo sia XD.
Non ho nulla da aggiungere per ora, spero che
piaccia e spero in qualche commento.
Ah, spero che il titolo, alla fine, si comprenda. Non
vorrei dover spiegare una sottigliezza così ovvia!
La dedico alla mia dolce metà: rekichan, tutta per
te. Anche se è triste, anche se mi hai dato della stronza perché non ti ho
detto che cosa ti stavo passando, ti amo lo stesso XD. E sì, sono stronza, ma
questo lo sai, no? XP.
Grazie,
Kei
How
to save a life…
La sera copre la città, nascondendo il marcio della
terra e della popolazione in una coltre oscura. La Luna non è ancora
perfettamente alta, ma brilla sinistra nel firmamento.
Una donna dai lunghi capelli neri osserva
attentamente il cielo, sorridendo malinconica nella sua direzione.
Le stelle brillano poco, probabilmente perché è
ancora presto per loro. La notte non è calata del tutto, è solo sera. Ancora
sera.
Non saluterà il Sole, ne è certa, ma le piacerebbe
vedere ancora una volta la luminosità dei corpi celesti.
Sospira, mentre il vento si alza leggermente,
smuovendole i capelli.
Socchiude gli occhi e con una mano sposta le ciocche
che le sfiorano il viso.
Cammina lentamente nel vialetto di casa, rimirando
per l’ultima volta il giardino che ha curato per tanti anni; il laghetto con le
carpe; ogni più piccolo sasso disposto con ordine sull’erba…
Si china in prossimità dell’acqua, sorridendo
all’indirizzo dei pesci.
«Chi vi darà da mangiare, ora?»
Sussurra sempre con il sorriso sulle labbra. Le
carpe, in risposta, nuotano tranquille.
Si rialza con tranquillità, riprendendo il proprio
cammino.
Testa alta; braccia rilassate; sorriso in volto.
Apre la porta scorrevole, non creando il minimo
rumore. Si muove leggera come una piuma.
Nessun suono.
La casa è avvolta dal silenzio e dall’oscurità. Non
c’è molto tempo, fra poco tornerà il figlio e non vuole che tutto avvenga sotto
ai suoi occhi.
Entra nel salone, rivolgendosi allegramente alla
figura nascosta nell’ombra.
«È un ordine di Konoha, vero?»
Dal punto più buio della sala, nonché il più lontano
dalla donna, qualcosa si muove.
Un passo leggero in avanti. La Luna lo segue,
rischiarando un punto ben preciso del salone, a metà fra lui e la donna.
Il ragazzo continua a muoversi, lei si volta,
aspettando che entri nel cono di luce. Sorride.
I passi si fermano.
Nessuno è nella luce.
Lei continua a sorridere, facendo un cenno con la
mano di avvicinarsi.
«Vieni pure avanti, non aver para tesoro.»
Tentenna. Solo per pochi secondi, ma la figura
ancora nascosta tentenna.
Si muove, decidendo di rispettare - probabilmente
per l’ultima volta - la volontà della donna.
La respirazione è leggermente più intensa del
solito, mentre un profumo di tulipano gli invade le narici.
Chiude gli occhi, assaporando quella dolce fragranza
che fra poco morirà.
Li riapre, puntando le sue iridi rosse in quelle
nere della donna. Sono dolci, tenere, apprensive… si domanda come appaiono le
sue in quel momento. Spietate? Vuote? Tristi? Disperate?
La donna fa un passo in avanti, protendendo nel contempo
una mano.
Gli accarezza il volto nascosto dalla maschera,
sfiorando delicatamente la pelle sotto le orecchie, una delle pochi parti
esposte.
Prosegue il movimento infilando dolcemente le dita
sotto la creta, scansandola così dal viso del giovane.
«Ora va meglio.»
Gli sussurra. Sorride ai tratti giovani e ancora un
po’ infantili; sorride a lui, a suo figlio.
«Tesoro, sono forse lacrime quelle che vedo nel
fondo dei tuoi occhi?»
Il ragazzo scuote il capo, ma sa di avere gli occhi
lucidi, sa che vorrebbe solo buttarsi nelle braccia calde della madre ed
accoccolarsi fino a morire, ma non può. Ha un compito da svolgere.
Rimette la maschera al suo posto, scansando –
comunque gentilmente – la mano dolce che lo coccolava.
«Lo faccio per Sasuke.»
Dice in un sussurro così fievole che è quasi
impossibile sentirlo, ma la casa è avvolta dal silenzio ed anche un sussurro è
forte come un grido.
«Sei crudele, lo sai?»
Il giovane annuisce.
«È solo un bambino, ha tutta la vita davanti…»
La donna lo fissa preoccupata ed angosciata.
«Ti odierà Itachi e quella che vivrà non sarà vita.»
Il diretto interessato annuisce ancora. Porta la
mano al fianco sinistro, estraendo con la mano destra una katana.
La luce della Luna illumina la lama, che brilla
sinistra.
La donna non fissa minimamente l’arma appena
estratta, ma continua a sondare gli occhi schivi del figlio.
Fa un passo in avanti, arrivando a toccare con il
collo niveo la lama lucente.
Attende pazientemente che tutto sia finito.
Sorride.
«Ti voglio bene, Itachi-chan.»
Sussurra per l’ultima volta.
Itachi la fissa, cessando finalmente di scappare dal
suo sguardo, ritrovando il coraggio – o la codardia? – e la forza di compiere
quel gesto estremo.
«Lui potrà vendicarvi, te lo prometto.»
Sussurra prima di affondare con un colpo netto la
lama nella gola della donna.
Il sangue esce copioso e ne è intriso anche lui.
Volta lo sguardo nel momento in cui il corpo della
madre, ormai esanime, si accascia a terra.
Una lacrima. È solo una, ma lo svuota di ogni
sentimento.
Fissa la Luna, aspettando l’arrivo del padre.
È rossa. Rossa come il sangue della mamma, rossa
come i suoi occhi, rossa come il suo cuore quasi del tutto atrofizzato…
Passi veloci sul tatami.
Un uomo fa la sua apparizione, guardando shockato il
corpo intriso di sangue della moglie e lui, suo figlio maggiore, quello che gli
aveva dato più soddisfazioni nella vita che, con ancora la lama sporca, gli si
avvicina tagliandogli la gola.
«Uguali anche nella morte, Tousan.»
Nessuna replica, non gliene ha dato modo. Non
avrebbe sopportato anche i suoi di occhi e deve ancora resistere, fino
all’arrivo di Sasuke.
«Vi voglio bene.»
Sussurra all’indirizzo dei cadaveri, qualche istante
prima che qualcun altro si faccia avanti, irrompendo nella sala insanguinata.
«Perché?»
Sospira debolmente, cercando di non farsi vedere.
«Per un mio capriccio.» Perché ti voglio bene.