Rating: Per tutti
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 1622 parole, due pagine e
mezza
Avvertimenti: Character Death, Femslash, Het
Genere: Romantico, Malinconico,
Introspettivo
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e
tutti gli elementi che questa storia contiene sono una mia creazione e
appartengono solo a me.
Credits: uhm, due canzoni del Trio
Lescano e una di Bertini, una citazione dalla Norma e una poesia di
Ungaretti del '32. Dovrebbe essere tutto.
La
definizione del termine nostalgia, riportata centralmente, è
tratta da Wikipedia.
Note
dell'Autore:
la citazione che ho deciso di usare (e che ho evidenziato con il
corsivo) è la seguente: la nostalgia è
rendersi conto che le cose non erano insopportabili come sembravano
allora. (Legge di Grimes).
Fin dal
primo momento ho voluto scrivere di un amore saffico mai realizzato, ma
certamente non pensavo di arrivare a questo.
Mi piace
il linguaggio che ho usato nella prima parte e mi piace l'aria
romantica che ispira, questo è quanto.
Per il
resto delle note ci vediamo alla fine della storia.
Introduzione
alla Storia:
Una notte insonne per me, l'ultima lettera per te, amore mio, e la
nostalgia di un'estate per noi.
30.marzo.2000
Teresa cara,
Un'altra notte insonne per
questa vecchia maestra e l'ennesima lettera, mai recapitata, per te.
Fuori la luna risplende nel suo pienore, coperta solo da una rarefatta
cortina di nebbia, esattamente come quella sera di molti anni fa.
Chissà, Teresa, se anche tu ricordi quei giorni lieti della
nostra giovinezza, o semplicemente sei ancora su questa terra.
Sai, io non ho mai dimenticato
i nostri giorni al paese, abbandonato a vent'anni per studiare e vivere
con una vecchia zia amante del melodramma. Oh, quanto amava il
melodramma la cara zia Carla e quante volte ho occupato il suo palco
alla Fenice, magari al braccio di qualche giovane avvocato.
E' strano, nonostante
detestassi quelle serate di abiti eleganti e calici di champagne, ho
sempre accolto con gioia la compagnia delle più note arie
liriche nei lunghi pomeriggi di pioggia di questi miei sessant'anni,
preferendole perfino agli swing e alle canzoni della nostra giovinezza.
Troppi ricordi, mi dicevo spesso, o semplicemente devo ammettere che
l'attacco di “Ultime foglie” montava in me una
nostalgia in lento crescendo che danzava su quelle note, insinuandosi
fra le fibre del mio cuore e portando con sé i colori e gli
odori di quell'ultima estate sulle rive del Po.
Io, mia cara Teresa, in tutti
questi lunghi anni ho portato per noi un lutto stretto, mentre
lentamente i ricordi di te, di noi, sparivano nelle pieghe della
vecchiaia. Dopo il nostro adorato Maramao, purtroppo lentamente
arrivò il tempo di perire per il profumo della tua pelle, il
nero profondo dei tuoi occhi e per il bruno dei tuoi capelli, le cui
memorie pian piano si persero nella sacralità della
“Casta diva”1, interpretata splendidamente
da Gina Cigna e da me ascoltata ogni terzo giovedì del mese,
in suffragio alle serate della nostra gioventù.
La ascolto, e ad ogni suo
gorgheggio penso che vita a volte è strana, Teresa mia. Ma
noi, che l'assecondiamo e disquisiamo sul suo significato e sul suo
incedere claudicante, non siamo certo migliori.
Amica mia, di tutti quegli anni
passati a tessere progetti, labili e irreali come le parole di un poeta
Romantico, cosa ti è rimasto? Cosa è rimasto ad
una vecchia maestra, famosa per la severità e la durezza di
cuore, la cui mano ormai fatica a reggere persino il pennino e che
macchia indecorosamente il proprio foglio?
Mia Teresa, sei poi diventata
la madre che sognavi? Hai infine incontrato l'uomo col potere di far
battere il tuo grande cuore?
Io, nell'egoismo proprio
dell'uomo, prego ogni mattino di essere rimasta la sola a farti provare
l'inebriante vertigine del volo; perché noi abbiamo volato,
Teresa, anche se per poco tempo e con baci troppo timidi per voler
essere ricordati.
Agogno per questo e per questa
notte di luna, mia dolce amica, spiegarti quello che sei stata per me e
il nuovo senso che tu e il tuo ricordo date alle parole, incontrate in
questa casa colma di libri e pizzi nei tristi giorni coperti dalla
nebbia padana.
La
nostalgia (parola composta dal greco
νόστος (ritorno) e
άλγος (dolore): "dolore del
ritorno") è uno stato psicologico di tristezza e di
rimpianto per la lontananza da persone o luoghi cari o per un evento
collocato nel passato che si vorrebbe rivivere, spesso ricordato in
modo idealizzato.
Noi due, sedute sotto un albero
di pesco a mangiare nocciole, mentre le mamme a passeggio la domenica
ci guardano e sorridono, inconsapevoli della superiore innocenza di
quella visione. Di tutte le belle cose che ho vissuto e per cui
ringrazio il buon Dio, questo è il mio primo pensiero
quando, costretta su una poltrona ormai troppo vecchia perfino per me,
leggo di questo sentimento.
Oh, e mi sovviene alla mente la
nostra ultima serata in balera. Ricordi? Era il primo settembre del
1939 e le radio nelle case celebravano l'invasione della Polonia,
mentre sotto il capannone si ballava “La gelosia non
è più di moda”2.
Stavamo sempre insieme, per non
fare arrabbiare il babbo, o almeno così dicevamo alle
camicie nere che ci chiedevano di ballare. “Non è
per ragazze da bene ballare il liscio col soldato.”,
così dicevi prima che l'ennesimo pretendente si allontanasse
verso il suo gruppo, sempre esclusivamente maschile
Ti ho mai detto quanto
apprezzassi il tuo allontanarli impudente? Io, che aspiravo ad una
carriera di maestra, non avevo la necessità di un uomo: il
mio tempo, sosteneva mio padre, sarebbe stato consacrato all'istruzione
e i gli alunni sarebbero stati i miei figli. Ma tu, Teresa, rigettavi
ogni offerta, pur sognando l'abito candido, solo per non lasciar andare
la mia mano.
Ancora ti devo chiedere
perdono, amica mia, per il tempo che ho rubato ai tuoi corteggiatori,
ma non riesco a pentirmene. Sono passati molti anni da quelle serate di
innocente spensieratezza, eppure quelle note mi sono rimaste nel cuore,
tanto a fondo da non poterle riascoltare se non per fortuita decisione
della sorte. Anche se all'epoca dicevamo che, dopo la noia di
“Maramao perché sei morto”, avremmo
potuto ballare qualsiasi swing, oggi darei tutto perché
ritrasmettessero quel vecchio ed insensato pezzo.
La
nostalgia,
in fondo,
è rendersi conto che le cose non erano insopportabili come
sembravano allora,
che perfino la morte di Maramao poteva essere una dolce e poetica scusa
per due ragazze che volevano solamente ballare sulla terra battuta,
protette solo da un telone rosso e concentrate sulle loro mani strette.
Già, tutto quello
che chiedevamo era un ballo in quello spazio improvvisato, magari al
suono di una vecchia radio come quella di mamma; una ballo, una carezza
e un bacio, magari rubato sulla riva di un fosso mentre portavamo le
biciclette a mano nel tornare a casa.
Il peccato di averti, Teresa,
lo avrei scontato con somma gioia, purtroppo ora non mi rimane che un
addio mai detto sulle labbra. Pregherò sempre Iddio di
conservarti in salute e spero che un giorno ci sia permesso di
riabbracciarci, ma tu perdona la stanchezza di questa vecchia signora,
ma ancora di più perdona la patetica nostalgia di una
vecchia amante, sempre passata sotto il nome di amica.
Arrivederci amica mia.
La chiesa
era gremita e gli altari erano adorni di splendide calle e margherite
gialle. Era un caldo pomeriggio di maggio, e dal loggione del coro
l'organo suonava il salmo di commiato, mentre la bara veniva
trasportata lungo la navata centrale.
I giornali
locali ne avevano parlato profusamente in quei due giorni: Agnese
Malaguti, maestra in pensione del paese, conosciuta e rispettata da
tutti, si era spenta alla veneranda età di ottant'anni e
oggi, nel giorno del suo ottantunesimo compleanno, i suoi vecchi alunni
e tutti i paesani erano venuti a darle l'estremo saluto.
Ed
effettivamente c'erano proprio tutti su quei banchi: il sindaco, che
ancora ricordava le tirate d'orecchi per gli esercizi di matematica mai
risolti; il farmacista e la salumiera coi loro quattro figli; il medico
e l'avvocato che tante volte l'avevano maledetta per le bacchettate
sulle mani e i pomeriggi passati dietro alla alla lavagna e molti altri
ancora.
Si erano
presentati pochi minuti prima della funzione, accalcandosi nelle file
posteriori, tutti con qualche ricordo non propriamente lieto di quella
donna dal carattere burbero.
Sì,
c'erano proprio tutti, eppure l'unica ad attirare l'attenzione era
un'anziana forestiera al braccio di un distinto signore. Era vestita
completamente di nero e sul suo volto era calato un velo dello stesso
colore; tra le dita stringeva con troppa forza per l'avanzata
età lo stelo di una rosa rossa e un rosario dai grani rosati.
Tutti
l'avevano osservata a lungo al loro arrivò in chiesa,
intenti a cogliere ogni minimo indizio sulla sua identità.
Stando a
quanto aveva raccontato la perpetua, quella signora tanto distinta era
entrata nella piccola chiesa la mattina presto, quasi un'ora prima
dell'arrivo della salma, e da allora non aveva lasciato il suo posto
nell'ultimo bancale, solitamente occupato dalle poco di buono in cerca
di redenzione o dai confessanti il sabato pomeriggio.
Nessuno
l'aveva mai vista per le vie del paese, eppure eccola lì, a
seguire il corteo funebre di una sconosciuta maestra di provincia,
tenendosi in disparte mentre il sacerdote benediva la tomba e i paesani
rendevano omaggio a colei che aveva insegnato a leggere e scrivere a
quasi tre generazioni di operai e professionisti.
Solo
quando il piccolo cimitero fu deserto, la donna abbandonò il
braccio del suo accompagnatore per avvicinarsi alla tomba. Forse era
solamente un caso, ma il corpo riposava esattamente sotto il vecchio
ciliegio, esattamente come avrebbe voluto Agnese; per l'epitaffio era
stata scelta una delle sue poesie preferite.
“Quando
ogni luce è spenta
e non vedo
che i miei pensieri
un'Eva mi
mette sugli occhi
la tela dei
paradisi perduti.” 3
Oh, quante
volte le aveva dedicato quei versi nei loro pomeriggi trascorsi sulle
rive del Po, mentre le mani si immergevano nell'acqua gelida per
sciacquare i panni.
Una
leggera brezza le scostò leggermente il velo, sfiorandole il
volto in una dolce carezza. Agnese...
“Hai
visto, Agnese? La tua Teresa è venuta a trovarti”,
avrebbe voluto dire, sicura che l'amica da qualche parte l'avrebbe
ascoltata, magari con quel sorriso saputo che le aveva sempre fatto
battere il cuore dipinto sul volto.
Nemmeno
suo marito le aveva dato tanta felicità con un solo sorriso,
eppure non stava bene rivelare la loro intimità in un luogo
pubblico.
Era ancora
immersa nei propri ricordi, quando a pochi passi da lei il suo
accompagnatore si schiarì la voce. “Signora,
è ora di andare. Vostro figlio vi attende per
cena.” disse sottovoce, porgendo il braccio alla donna.
Teresa
annuì, gettando la rosa sulla terra appena smossa. Nel
piccolo cimitero si attardavano solamente alcune donne, troppo prese
dai propri doveri per curarsi di un'anziana scortata in lacrime verso
l'uscita.
Avevano
appena varcato i cancelli, quanto Teresa si voltò verso
l'uomo. “Sai, Riccardo,” iniziò,
stringendogli il braccio per non cadere, “una volta a casa
vorrei ascoltare quel disco del Trio Lescano che ho acquistato un mese
fa.”
1.
La Casta diva è la più famosa aria contenuta nel
primo atto della Norma, opera di Vincenzo Bellini. Qui si fa
riferimento all'interpretazione di Gina Cigna del '37, ma la
più famosa esecuzione è di Maria Callas e risale
al '54.
2.
Noto brano del 1939 interpretato dal Trio Lescano, esattamente come
“Maramao perché sei morto”.
3.
Poesia senza titolo del 1932 di Giuseppe Ungaretti da Il sentimento del
tempo - da L'amore.
Fine
delle note dell'autore: spero abbiate notato che la
prima lettera di ogni periodo della lettera è scritta in
grassetto, e che lette insieme formano una frase.
La scelta
del grassetto non è casuale, ma vorrebbe simboleggiare una
maggior pressione della mano nello scrivere il grafema. Era un trucco
abbastanza comune in tempi andati per veicolare messaggi riservati e
tutt'oggi è abbastanza usato dai bambini con questo scopo.
Prima qualificata al "Contest di inizio
anno" su Writers
Arena
La tela dei
paradisi perduti, di kaos3003
Punteggio: 8.6
Grammatica e
sintassi: 8.9
Capacità
espressiva: 9.5
Rispetto
parametri e traccia: 8.5
Originalità
e creatività: 8
La
particolarità di questo racconto è che si
tratta in realtà di una lunga poesia d'amore in versi
sciolti, dolcissima e commovente. Una donna al termine della sua vita
scrive una splendida lettera ad una vecchia amica che in
realtà è sempre stata molto di più di
un'amica, era l'amore della sua vita e, data la mentalità
ristretta di allora, il costume e la situazione storica, questo
sentimento è stato costretto a rimanere nascosto per ben
sessant'anni. Ognuna ha preso la propria strada, o meglio, quella che
era prevista per la donna dell'epoca: il matrimonio e il lavoro di
madre, o una vita quasi monacale come insegnante.
La parte
più interessante del racconto è,
tuttavia, lo stile usato: innanzitutto, l'acrostico che costituisce la
frase "sei la mia nostalgia" rende la storia più realistica.
Agnese, che è ora un'anziana di ottant'anni, è
molto legata al passato e, pur essendo la lettera scritta nel 2000,
pare quasi che lei tema che il suo segreto venga scoperto; d'altro
canto, lei è anche molto gelosa della sua innamorata (come
afferma quando ricorda le avances delle camicie nere) e dunque vuole
continuare a proteggere il suo amore (non che la sua lettera sia molto
"innocua"!). Il linguaggio è raffinatissimo, ci riporta
anch'esso ad un tempo passato e da esso traspare tutta la nostalgia
della protagonista; stessa cosa per i frequenti richiami al paese
natìo, alle campagne padane, le musiche e le usanze dei
giovani di allora, che danno un tocco in più ri realismo al
racconto.
Unico
errore grammaticale è "camice" invece di "camicie".
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