Sproloqui prima di
partire: purtroppo a scuola andiamo a rilento con la
lettura della Divina Commedia; così io sono partita da sola
alla volta della selva dei suicidi. Ed ho letteralmente amato questo
canto. È così carico di amore e disperazione, e
di slash xD Lo ammetto *-* Pier della Vigna, secondo me, è
morto anche un po' per dei dolori d'amore, <_<", dopo
tutto si è visto essere considerato un traditore dalla
persona che più considerava cara.
Quindi la storia contiene degli accenni leggeri ad un amore omosessuale
tra due uomini; siete stati avvisati :)
Spero che anche a voi piaccia, come a me è piaciuta
scriverla (:
Rami
spezzati
Mentre le arpie affossavano gli artigli nei rami, Piero
gemette, chiudendo gli occhi dell'anima e chiedendosi, come sempre,
perché.
Ricordava, in quegli attimi di dolore, la dolce vita che aveva
lasciato, gettata via con ostinata determinazione.
Sentiva, se si concentrava molto, la pesantezza delle chiavi della
camera di Federico nelle tasche, di quei vestiti sfarzosi e morbidi;
ricordava ancora il rumore dello scatto della serratura rudimentale, la
penombra della stanza; quell'odore di notte calda, soffice; le tende
del letto tirata e chiuse.
Lui sorrideva sempre, in quei momenti, sia avvicinava alla finestra mal
tagliata, oscurata con delle travi di legno, le toglieva e faceva
sì che il sole della lucente Sicilia entrasse.
Spostava i tendaggi e si chinava leggermente, sfiorando la spalla nuda
del suo imperatore; lo scuoteva un poco, finché questi non
apriva gli occhi.
E in quei momenti la vedeva veramente, la vita.
La sentiva fluire nelle vene, fargli tremare i polsi, fremere di ebbra
gioia.
C'era fiducia, in quello sguardo assonnato.
E c'era vita.
Si risvegliava, tra gli ululati dei suoi compatrioti sciagurati, e
sentiva il bisogno di piangere. Ascoltando il gracchiare
delle losche fiere moriva, in ogni istante, mentre il vento ululava,
sfiorando le sue fronde contorte, rattrappite, che si diramavano come
ossa scheletriche nell'aria.
Riportava alla mente quel doloroso attimo.
Il volto contrito del suo augusto, il disgusto, lo sprezzo, la
delusione.
Le sue parole fredde, i suoi insulti, le maledizioni.
E quelle parole, che sembravano preghiere infrante, fatte su un altare
sconsacrato, poiché inutili, superflue.
E ricordava l'olezzo nauseabondo della prigione, l'umiliazione, il
dolore e ancora quel volto.
“Federico, mio
signore”
Lo ripeteva mentre guardava la minuscola feritoia, lo ripeté
quando iniziò a sfrangere la testa contro il muro lercio e
umido, lo ripeté mentre avvertiva il dolore il sangue
colargli giù per la fronte, fino al collo, al cuore,
passando per la camicia lurida.
Lo ripeté anche morendo.
Voleva scappare, allora, librarsi in aria, muovere, saltare. Esistere
nuovamente.
Ritornare da lui e dirglielo, sotto voce, nello stesso modo in cui gli
augurava il buon giorno “Le
sono fedele, mio Augusto” .
Eppure non poteva. Incatenato da delle radici a quel terreno arido,
marciva.
Sentì un dolore lancinante, aprì gli occhi e li
vide.
I due viandanti.
Un piccolo barlume di speranza, la redenzione attraverso quell'uomo
spaventato, che lo fissava titubante.
E parlò.
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