Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa storia non
è stata scritta a scopo di lucro.
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Titolo:
Red Roses: Weed
Personaggi:
Pisces Aphrodite, Cancer DeathMask, Ancella random
Genere: Generale,
Erotico, Introspettivo
Avvertimenti:
One-shot, Yaoi
Altro:
Alcuni riferimenti alle altre fictione della serie. In ogni caso nulla
di incomprensibile se non le avete lette.
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Red Roses: Weed
Era un uomo in fin dei conti.
Non un Santo, anche se agli occhi degli altri poteva sembrarlo.
Occhi adoranti, quelli che avevano avuto l'onore di vederlo, quelle
rare volte che si allontanava dal Dodicesimo tempio. Di una bellezza
inenarrabile, con quei lunghi ricci biondi che accarezzavano come una
morbida cascata le spalle e la schiena.
Non era un Santo, non poteva esserlo con quel suo carattere scostante,
forgiato dal gelo delle terre in cui era cresciuto.
Era un uomo, e come tale anche lui aveva le sue debolezze.
Anche lui cadeva in tentazione.
La carne era debole,
e le ancelle in estate avevano il vizio di vestire tuniche corte e
svolazzanti. Praticamente trasparenti, quando erano in controluce.
Avevano molti divieti, le ragazze della servitù. Uno dei
più importanti era quello di non avvicinare il Cavaliere dei
Pesci.
Ma Aphrodite era così bello, così ammaliante, che
non era stato per nulla difficile convincere una delle ragazze a
seguirlo nelle sue stanze private. Non aveva prestato attenzione,
giovane sventurata e ingenua, al fragrante profumo di rosa che permeava
l'aria intorno a loro, e perfino le fresche lenzuola del letto del
sommo Aphrodite.
Era come un sogno, sentiva a malapena le sue mani toccarla: era come se
la sfiorasse solamente, con carezze inconsistenti.
Era tutto ovattato, morbidamente sospeso in una sorta di dormiveglia.
Socchiuse gli occhi, sventurata e stolta ragazza, la palpebre sempre
più pesanti e i sensi sempre più intorpiditi.
Si addormentò, pacata, tranquilla, sprofondata senza
accorgersene nel sonno eterno.
E Aphrodite che aveva ceduto alla carne si ritrovò con il
corpo senza vita di una giovane ancella nel suo letto, la pelle
accaldata, e un insoddisfatto desiderio bruciante che lo stava
torturando.
E poiché la sfortuna non ci pensa due volte a
voler rincarare la dose, con quel poco di cervello che ancora aveva
lucido Aphrodite percepì più che chiaramente il
cosmo di DeathMask avvicinarsi e i suoi passi pesanti riecheggiare nel pronao.
Ebbe giusto il tempo di infilarsi una tunica al volo e uscire dalla
stanza, chiudendo ben bene la porta.
“Ehi, ciao! Come va? Che stavi facendo?”
“Niente.”
DeathMask alzò un sopracciglio.
Quella risposta era stata
data troppo in fretta.
“Ma davvero…? Niente?!”
“Niente che ti debba interessare.”
“Capisco.”
Aphrodite conosceva DeathMask meglio di chiunque altro. Non che fosse
poi tanto difficile, perché quasi tutto quello che gli
passava per la testa poi gli usciva anche dalla bocca, ma Aphrodite
riusciva a capire quello che stava pensando solamente guardandolo in
faccia.
E quel sorriso storto, il lampo malizioso che gli era passato negli
occhi, e il rapido sguardo che aveva lanciato alla porta della stanza
non gli avevano lasciato dubbio alcuno che avrebbe dovuto passare la
successiva mezz'ora – come
minimo – a cercare di
controbattere a illazioni ed insinuazioni.
“E sentiamo… se non stavi facendo niente
perché quella faccia tutta arrossata?”
Ovviamente.
Ma ciò che Aphrodite non aveva previsto era stato lo scatto
fulmineo dell'amico.
In meno di un battito di ciglia era già con la mano sulla
maniglia della porta.
“Non ti azzardare!”
Si era mosso veloce quasi quanto lui, Aphrodite, bloccandogli un polso
e strattonandolo per i capelli per farlo allontanare.
“Ahiahiahia!
Molla la presa!”
“Prima tu!”
“Dannato ragazzino! Lasciami!”
“Non chiamarmi moccioso!”
“Ho detto ragazzino infatti!”
Cercando di ignorare il dolore al cuoio capelluto, nel punto in cui
probabilmente quel disgraziato gli aveva strappato una bella manciata
di capelli, DeathMask gli diede una gomitata sullo stomaco.
E nel mentre che lo sentì boccheggiare un attimo, non ci
pensò due volte ad afferrarlo per le spalle e spalmarlo
contro la prima colonna disponibile.
“Ma sei scemo?!” gli sputò in faccia,
tenendolo saldamente, prima che a quel dannato gli venisse la
malaugurata idea di fargli lo scalpo.
“Sei tu che ti devi fare i cazzi tuoi!”
DeathMask lo guardò, stupito.
“Perché te la prendi così? È
solo una servetta quella di là, no?”
Aphrodite lo fulminò con lo sguardo, ma non rispose.
“Non vedo perché lo dovresti nascondere, anche gli
altri…” ma non finì la frase, visto che
la sua attenzione era stata catturata da qualche cosa d'altro.
Stava cercando un brandello di cosmo, un bagliore di vita, nella stanza
accanto. Ma non sentiva nulla.
Tornò a fissare interrogativo Aphrodite.
“È…”
“Avvelenata.”
“'Phro!”
“Che c'è?! Dannazione, non è colpa mia
se non posso nemmeno toccare
le persone!”
Era arrabbiato, Aphrodite: aveva la mascella contratta, e le belle
sopracciglia talmente corrugate da disegnargli una riga verticale per
tutta la fronte.
Non gli importava per quella ragazza, né per tutte le altre
persone che sarebbero potute morire a causa della sua sola vicinanza.
Non era quello il problema: se ne fregava se la gente non era capace di
sopportare la sua presenza.
Quello che gli dava fastidio era non potersi avvicinare a
nessuno nemmeno volendo.
“Io ti tocco, 'Phro, e non mi hai mai avvelenato.”
Questo non era esattamente vero, ma DeathMask non lo sapeva. Avendo
aiutato Aphrodite i primi tempi del suo addestramento con le rose
venefiche, aveva esposto anche il suo corpo al veleno, e pian piano si
era abituato. Per questo era forse l'unica persona in tutto il
Santuario che riusciva a stare con lui senza accusare problemi.
“Tsk! Sai che me ne faccio…” l'aveva
detto più per irritazione del momento che per vero malanimo.
Ma l'occhio attento di DeathMask aveva captato il leggero, quasi
impercettibile rossore che aveva colorato le guance di Aphrodite.
Perché anche se era solo
DeathMask ad
Aphrodite faceva molto effetto il contatto fisico, visto quanto poco ci
era abituato. Ed essere tenuto imprigionato tra una colonna e il corpo
caldo dell'amico non lo aveva lasciato indifferente.
Tutt'altro.
E poi era irritato, aveva caldo, e con la voglia insoddisfatta che gli
vagava ancora bruciante sotto pelle.
Per questo non protestò – non troppo almeno, ma
comunque senza sprecarsi in parole inutili – quando DeathMask
lo afferrò per i fianchi, baciandolo prepotentemente. Se lo
tirò addosso, circondandolo con le forti braccia.
E Aphrodite si lasciò guidare sul pavimento di pietra,
così deliziosamente freddo contro la sua schiena, a
confronto con la pelle infuocata di DeathMask a contatto con la sua.
Non aveva mai pensato di poter provare un calore di simile
intensità.
E gioì, sentendo sotto le sue dita la pelle ruvida,
costellata di piccole cicatrici, segno dei duri allenamenti, della
fatica indoma che avevano compiuto tutti i giorni, per essere i
guerrieri che erano diventati. Si perse su quelle labbra che gli davano
d'assalto, fameliche e irrefrenabili.
Amò quei muscoli
guizzanti, così dannatamente diversi dalla morbida e
arrendevole pelle della ragazza che aveva cercato di possedere solo
pochi minuti prima. Uno di quei fiori delicati, i cui petali si
rovinano solo a carezzarli con le dita.
E dovette staccarsi un attimo, coprendosi la bocca per non ridere in
faccia a DeathMask.
Il quale lo guardò davvero
male, le iridi più rosse del solito. Ma Aphrodite
scacciò il fugace pensiero che l'aveva divertito, e non
perse tempo nell'andare ad allacciare le gambe attorno i fianchi di
DeathMask, baciandolo con foga.
“Che ti ridi?”
“Niente, niente.”
Si era sempre considerato al pari delle sue rose, Aphrodite.
Bello,
altero e letale.
E profondamente solitario.
Le sue rose crescevano in
un giardino tutto per loro, circondate solo da altre rose. Un qualsiasi
altro fiore non sarebbe stato in grado di sopravvivere, in quel
giardino.
Questo aveva sempre pensato Aphrodite.
Quello di cui si era accorto solo in quel momento era che in
realtà, ai piedi delle rose, c'era sempre qualche erbaccia.
Quei verdi ciuffi scomposti, ostici da levare quanto testarde nel loro
continuare, imperterriti, a spuntare dal terreno.
Resistenti erbacce che non volevano saperne di lasciare il pace le sue
rose.
Caparbie e irritanti almeno quanto il ragazzo sopra di lui, che
da quando lo aveva conosciuto non l'aveva mollato un solo istante.
Quello stesso ragazzo che in quel momento si stava spingendo con foga
dentro di lui, le cui mani avevano di nuovi artigliato i suoi fianchi,
possessive, e le cui labbra non volevano in alcun modo allontanarsi
dalla sua pelle.
Sorrise, Aphrodite, mentre i sensi acuiti dal piacere gli stavano
portando via l'ultima stilla di pensiero razionale.
Si sarebbe dovuto accontentare di quell'erbaccia.
Non poteva chiedere di meglio.
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Angolo dell'Autrice:
Aphrodite si fa le
servette! [cit. Ayay]
O almeno ci prova.
Con risultati decisamente poco incoraggianti.
Motivo per cui ha deciso di rivolgere le sue attenzione verso lidi
migliori! (?)
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche.
Grazie a chi vorrà recensire e a quanti leggeranno e basta!
Beat
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