Prologo
- E’ rosso?-
Constatazione
ufficiale: il mio cervello era andato letteralmente in tilt. Non
riuscivo a muovere un muscolo, parlare, poi, era un’impresa
assurda. Tutto ciò che ero ancora in grado di fare era
tenere lo stick schiacciato nella mano che nascondevo dietro la
schiena. Ero diventata una sfinge egizia.
-
E’
rosso?
-
Tono esitante,
dall’irritazione crescente. Alice Brandon, la piccoletta
energica, più piccola che più piccola non si
poteva, stava in piedi di fronte a me, l’espressione di una
sopravvissuta al trauma post rischio di stupro, le mani giunte in
preghiera, dondolando impazientemente i piedi sul posto.
Ricollegai la
presa di corrente invisibile dei miei neuroni alla mia materia grigia.
La verità mi colpì come un pugno allo stomaco. Il
mio corpo fu scosso da un tremito.
Lasciai
ricadere la mano sinistra che stavo tenendo premuta sulla fronte lungo
i fianchi. Non mi ero mai accorta di quanto fosse ridicolo avere un
braccio che penzolava attaccato a una spalla.
-
Cazzo
… -
Trattenei un
singulto e le labbra mi tremarono violentemente. Dio, se ci fosse stato
uno specchio attaccato al muro di fronte a me, sarei morta sul colpo
nel vedere la mia espressione scioccata riflessa nel vetro.
-
Cazzo… Cazzo… Cazzo…
Oh cazzo…
-
Sì,
la mia finezza era decisamente andata a farsi benedire.
-
E’…
rosso …
- mormorò Alice con voce mortificata.
C’era
arrivata da sola, per mia fortuna, perché non sarei stata
capace di confermare la sua supposizione.
La pazza mi
assaltò imprigionando la mia mano incollata alla schiena con
le sue, e mi rubò lo stick senza che io potessi rendermene
conto o opporle resistenza.
-
Cazzo!- strillò, facendo un balzo come
se una tigre avesse appena cercato di morsicarle le dita.
-
Fatela finita! – grugnì la ragazza che
stava dormendo nella stanza adiacente alla nostra.
Né
io né Alice ci degnammo di risponderle a tono. Anzi, io non
mi ero nemmeno accorta che quella voce scocciata e impastata dal sonno
si fosse rivolta a noi.
-
Oh… cazzo… - continuavo a ripetere
attonita e stordita.
Alice
gettò il test di gravidanza con la striscia rossa-davvero
troppo rossa, così rossa che faceva male agli occhi e
avrebbe rovinato la vista a un daltonico- a terra, e mi si
avvicinò scrollandomi le spalle con violenza.
-
Sei
incinta!
–
Ma io non ero
capace di reagire. Sì,
Alice, scrollami ancora, aiutami ad ingranare le rotelle di questa mia
testa fottutamente idiota, pensai.
Non era
possibile ciò che stava accadendo. Non. Poteva. Essere.
Punto.
Quello stronzo
aveva usato il preservativo, ne ero sicura.
Mi portai una
mano alla bocca, sconvolta.
-
Cazzo… sei incinta! – ripeteva Alice
disperata. Che consolazione avere al proprio fianco un’amica
che vedeva i bambini come una minaccia, una che dichiarava di voler
figli a quarant’anni, se in lei fosse mai nata la remota
possibilità di desiderarne uno.
-
Sì,
grazie. L’ho
notato anch’io… - la rimbrottai con il tono di
voce basso quanto un ultrasuono.
La mia prima
volta… con uno di cui non ricordavo neppure il nome. La mia
prima volta… ci ero rimasta fregata. Io, Isabella Swan,
studentessa della più prestigiosa accademia universitaria
degli Stati Uniti d’America, l’Harvard, eterna
timida e riflessiva pensatrice, avevo donato una parte di
me… buttandola, macchiando la mia dignità e
distruggendo le fantasticherie che mi ero creata su un avvenimento
così importante della mia vita durante
l’adolescenza.
Aveva usato il
preservativo, vero? Forse ero stata troppo impegnata a fare altro per
potermene accorgere…
-
E adesso come fai? Bella! –
Alice mi
afferrò il viso e me lo girò in modo che i miei
occhi si trovassero a fissare dritto nei suoi come se avesse voluto
svitarmi la testa dal collo. – Abbiamo un problema, signorina
Swan. – annunciò con tono grave.
-
Ma dai… -
Sì
che aveva usato il preservativo…
Qualcuno
bussò alla porta. Solo allora mi accorsi che dal corridoio
proveniva il tipico brusio degli studenti che, usciti dalle loro
camere, si ammassavano lungo il corridoio diretti alla mensa
chiacchierando tra di loro.
-
Ragazze? Quanto ci mettete? –
La voce
musicale e tranquillizzante del mio migliore amico mi
riscaldò lievemente. Ma in quel momento non fu sufficiente
per confortarmi del tutto.
- E-
ehm… sì! Sì, sì! Cinque
minuti e arriviamo! Tu intanto vai! – rispose Alice.
-
Va tutto bene? – insistette lui, la voce
sospettosa.
Era tipico di
lui farsi delle premure nei nostri riguardi: per noi, le donne
più importanti della sua vita, come ci ricordava spesso che
fossimo.
-
Edward, va tutto alla grande! Ora vai, ti raggiungiamo tra
cinque minuti! – strillò Alice, cercando di
trattenere l’agitazione e lo sgomento.
-
Bella è lì? –
Incrocio di
sguardi disperati tra me ed Alice. Denegai col capo.
-
E’ in bagno. – rispose Alice.
-
D’accordo. Allora ci vediamo tra poco. E muovetevi!
-
Solo quando
fui certa che Edward si era allontanato dalla porta della nostra
camera, mi trascinai sul letto e mi ci lasciai cadere a peso morto,
distesa supina.
Che
giornata fantastica, pensai, erano le
sette e mezzo di mattina ed ero in camera con indosso una canottiera
dalle spalline cedute- a causa della violenza di qualcuno a cui non
volevo assolutamente pensare- e degli slip, dovevo prepararmi
psicologicamente ad affrontare un’estenuante giornata di
lezione e studio, mentre un test di gravidanza colorato di rosso- di un
rosso troppo rosso per i miei gusti- gettato sul pavimento mi fissava
perfidamente; il mio migliore amico era appena venuto a chiamare me ed
Alice per informarci che eravamo in ritardo ed io avevo appena scoperto
che un fottuto spermatozoo stava allegramente nuotando dentro di me
per farmi rimanere incinta a diciannove anni.
Doveva aver
usato il preservativo. Ma, in ogni caso, cosa importava allora?
Un
momento… Non lo aveva usato.
Yuppie!
La scoperta del secolo.
Mi coprii il
volto con le mani. – Io non vengo a lezione oggi. –
annunciai.
-
Cosa? Senti Bella, adesso muovi quel deretano dal letto, ti
lavi, ti vesti, e porti il tuo qui presente signor deretano dritto in
mensa! Hai una giornata da affrontare, sveglia! – mi
rimproverò Alice.
Ma
perché si comportava da bambina solo quando le pareva a lei?
Perché doveva comportarsi da madre quando a me non andava a
genio che lo facesse?
-
Alice… sono… ti rendi conto che sono
incinta? –
Scattai in
piedi e in un impeto di rabbia afferrai il test di gravidanza e lo
scagliali nel cestino. Se l’era voluta lui, dopotutto,
continuava a fissarmi sfacciatamente ridendosela di gusto.
Okay,
fermati un momento, Bella, qui la situazione inizia a diventare grave
se ti sembra che un test di gravidanza ti stia prendendo per il
deretano.
-
L’ho visto! Ma troveremo una soluzione, te lo
prometto! Riuscirò a portarti dal dottore e lui ti
darà la pillola. Non disperare, non è ancora
tutto perduto. –
Ma
com’è potuta succedermi una cosa simile? Io sono
Isabella Marie Swan, la ragazza pura e casta che non farebbe mai
l’amore con uno qualunque!
-
Sono nella merda - dichiarai, agitando le braccia e scuotendo
la testa.
Camminai
avanti e indietro lungo il perimetro quadrato di quel buco di stanza.
-
Sono nella merda! – ripetei enfatizzando il
concetto.
-
Bella, ora fai quello che ti dico: punto primo, ti calmi;
punto secondo, ti lavi e ti vesti; punto terzo, io e te andiamo a
lezione. – ordinò Alice con tono perentorio,
l’espressione del viso che iniziava a farsi davvero
minacciosa.
In fondo cosa
potevo fare chiusa in camera tutto il giorno? Alice aveva ragione,
dovevo affrontare la giornata e in qualche modo sarei riuscita ad
andare dal medico per prendere la pillola.
-
Va bene, mi preparo. – decisi smettendo di fare
avanti e indietro.
Alice mi si
avvicinò e mi abbracciò. – Stai
tranquilla, amica mia. Vedrai, quel bastardo non la passerà
liscia. –
Ma in quel
momento non m’importava di lui. Ricambiai
l’abbraccio della mia migliore amica e presi un grosso
respiro.
Quel giorno mi
ero svegliata senza verginità, avevo fatto l’amore
per la prima volta a diciannove anni con uno di cui non ricordavo
nemmeno il nome, ed ero fottutamente incinta.
Isabella
Marie Swan, in bocca al lupo se sopravvivi!
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