Nick Autrice:
A_DaRk_FeNnEr
Titolo: Not
A Usual Birthday
Fandom:
Axis Powers-Hetalia
Genere: Introspettivo,
sentimentale, comico.
Protagonisti:
America (Alfred F. Jones), Inghilterra (Arthur Kirkland), breve
apparizione di altri stati.
Rating:
giallo
Pairing:
UsUk (AmericaxInghilterra)
Avvertimenti:
shonen-ai, long-fic (two-shot+ epilogo/omake)
Note dell'autrice:In
fondo alla storia (non voglio fare spoiler XD)
Trama:
Quattro luglio 2009. Oggi è il compleanno di America, come
tutti sanno. E lui adora il suo compleanno. Ma è davvero
soddisfatto delle cose così come stanno? Forse non
sarà il solito
compleanno.
[Terza
classificata al contest "Multifandom: Birthday's contest" indetto da
Himechan84 sul forum di EFP]
Not A Usual Birthday
Capitolo I:
“Speech and memories”
“Good
Morning, America!”
Ridacchiò
contro il cuscino. Era tentato di rispondere, come se quel saluto fosse
effettivamente rivolto a lui.
“The
Independence’s sun is shining up there, so get out of that
freakin’ beds!”
Allora, una mano
emerse dal caos appallottolato delle lenzuola a stelle e strisce.
Invece di spegnere la sveglia con un colpo secco e qualche borbottio,
come avrebbe fatto in qualunque altro giorno dell’anno, il
proprietario di suddetta mano portò le dita alla rotellina
che regolava il volume, alzandolo al massimo.
“HAPPY
BIRTHDAY, AMERICA!”
Sorrise e, stavolta,
non seppe trattenersi.
“Thank you.”
Rispose, prima di spegnere la sveglia.
***
America stringeva tra
le mani la gigantesca tazza di caffè esageratamente
zuccherato e ne beveva il contenuto, deglutendo rumorosamente. Una
vocina nella sua testa, con un accento sospettosamente britannico, gli
stava ricordando che “quell’orrenda
mistura di caffeina, panna e zucchero che hai il coraggio di
chiamare caffè” non gli avrebbe fatto
per niente bene, ma America optò per l’ignorare
anzidetta voce, e procedette nella sua occupazione; voleva essere al
massimo della sua forma e sicuramente quella bevanda sarebbe servita
allo scopo. In più, era dannatamente buona.
Quando vi diresse lo
sguardo, il braccio muscoloso di Superman sull’orologio
appeso in salotto lo informò che era quasi in ritardo.
Normalmente, la sua cognizione di tempo era molto elastica; uno, due, o
venti minuti
di ritardo non potevano poi essere un grande problema.
Ma il quattro di
luglio, all’improvviso, diventava l’uomo
più puntuale del mondo: alla festa non poteva mancare il
festeggiato, no?
Anche se
quell’anno la tradizionale, enorme festa con le altre Nazioni
non ci sarebbe stata.
Il suo boss aveva
progetti più importanti ed urgenti sui quali
puntare.
Il presidente aveva
fatto notare alla Nazione che una festa non avrebbe mandato in
bancarotta le finanze dello stato, ma America aveva fermamente
insistito.
Non voleva pesare
sulla sua gente, non quest’anno.
Poteva ancora scorgere
sul suo stesso corpo i segni della recessione: i vestiti gli cadevano
troppo larghi sulle spalle e la pelle era innaturalmente pallida per
l’anemia. Sapeva sin troppo bene che la sua gente aveva
sofferto anche di peggio.
Poteva sentirlo.
Per una volta, allora,
aveva messo da parte il suo egocentrismo e le sue onnipresenti manie di
protagonismo e aveva rinunciato a qualcosa, per il bene della sua gente.
Dopotutto,
pensò ispirato, lui era l’eroe,
ed un eroe si vedeva nel momento del sacrificio e della
responsabilità.
Di nuovo la vocina di
prima borbottò qualcosa che suonava come “Bloody hell…Se
tu sei diventato una persona responsabile, allora posso capire
perché tutti siano so bloody
concerned riguardo una probabile prossima fine
del mondo.”.
Per un momento, uno
solo, America si chiese perché mai apparentemente la sua
coscienza quel giorno avesse adottato la voce, l’accento ed
il tic verbale di Inghilterra; poi decise semplicemente di ignorarla,
come dopotutto faceva spesso anche con la Nazione proprietaria di
quella voce.
Infilò in
bocca un’ enorme ciambella grondante di panna ed
uscì dalla cucina come un ciclone, seminando pezzi di dolce
ovunque.
Corse in camera,
avventandosi sul suo armadio a quattro ante, che scricchiolò
pericolosamente a causa della forza dell’impatto. Dopo una
rapida occhiata al suo interno ed una ancor più rapida
decisione, afferrò i vestiti che gli sembravano
più adatti e, dopo aver lanciato con assoluta noncuranza il
suo pigiama sopra il letto ancora sfatto, li indossò ad una
velocità allarmante.
Si lanciò
per il corridoio, ed afferrò il suo fidato bomber, prima di
precipitarsi fuori dalla sua villa, direzione Casa Bianca.
Mentre correva per le
strade di DC, America si guardò intorno eccitato.
Da quasi ogni finestra
pendeva la bandiera americana, e l’inconfondibile melodia del
suo inno nazionale echeggiava da qualche stereo particolarmente
patriottico. La gente attorno a lui aveva le guance dipinte a stelle e
strisce, e nell’aria riusciva già a respirare
l’inconfondibile profumo dei suoi adorati hamburger,
nonostante fosse ancora mattina presto.
Dopotutto,
considerò, era sempre
un buon momento per un hamburger. Sorrise, e si sentì
gonfiare il petto di orgoglio.
La sua gente stava
facendo tutto questo per lui.
Beh, loro tecnicamente
non sapevano nulla della sua esistenza, ma questo non contava davvero,
no?
Finalmente, raggiunse
il grande edificio neoclassico sede del suo governo e si
lanciò verso South Lawn, l’enorme giardino dove
sapeva presto si sarebbero aperti i festeggiamenti. Arrivato ai
cancelli sud della Casa Bianca, si avvicinò esaltato alle
guardie dell’ingresso.
“Salve! Buon
quattro luglio!”
Le guardie lo
fissarono impassibili da sotto i loro occhiali scuri.
“Buon
quattro luglio anche a lei, Mr. Jones. Prego, entri. Il presidente la
aspetta nel suo ufficio.” Rispose una di loro, digitando
alcuni numeri su di un display.
Un piccolo cancello
laterale si aprì dopo la conferma del codice, ed America si
lanciò per uno dei sentieri che salivano verso
l’immenso prato presidenziale, salutando le guardie con un
gesto della mano.
Corse attraverso tutta
la lunghezza della tenuta, passando accanto a barbecue, tavoli da
campeggio, campi da gioco e piccoli banchetti di souvenir.
Presto, il prato si
sarebbe riempito di famiglie, milleduecento per essere precisi. America
sorrise al pensiero di tutta quella gente che si sarebbe riunita per
festeggiare il suo compleanno.
Il giorno della Libertà.
Il giorno
dell’Indipendenza.
L’enorme
sorriso morì un po’ sulle sue labbra quando un
pensiero si fece largo nella sua mente, insistente, nonostante i
tentativi di ricacciarlo indietro.
Inghilterra.
Non che gli importasse
cosa il suo ex-tutore facesse il giorno del suo compleanno; se stesse
male come sosteneva o se fosse solo uno dei tanti modi che trovava per
lamentarsi di lui; se lo avrebbe chiamato per fargli gli auguri, se pensasse a lui quel
particolare giorno dell’anno.
No, assolutamente non
gli importava.
Un eroe incredibile
come lui non aveva bisogno dell’approvazione di nessuno.
…Vero?
Sospirò, ma
poi alzò orgoglioso il mento verso l’alto. Era il
suo compleanno, e voleva goderselo fino in fondo, nonostante la
Recessione, nonostante tutto quello che stava succedendo.
Con o senza
Inghilterra.
Tutto ciò
di cui aveva bisogno era di concentrarsi su sé stesso.
Una cosa che, tra
l’altro, gli riusciva piuttosto bene.
Sì, ne era
convinto: poteva passare la giornata tranquillamente senza pensare a
quel noioso old man.
La sua convinzione
durò circa trenta secondi.
“Chissà
perché poi odia così tanto il mio
compleanno.” Pensò ingenuamente.
Onestamente,
Inghilterra aveva perso una guerra, ed una colonia, ma stava facendo un
po’ troppe storie, considerato tutto il tempo che era
passato.
“Beh,
di sicuro è abbastanza naturale che non sia così
incline a voler festeggiare il giorno in cui è stato
rimandato nella sua terra a calci in culo dalla sua maledetta
colonia preferita,
no?”
Ottimo, oltre alla
voce e all’accento, la sua coscienza pareva avere adottato
anche il linguaggio colorito di Inghilterra.
Ed ovviamente il suo
sarcasmo made in
England.
Stava per ribattere a
quella velenosa affermazione, quando realizzò di essere
arrivato di fronte all’imponente entrata sud della Casa
Bianca.
“Alright, America.
Ora smettila di fare il bambino. Sorridi, è il tuo
compleanno! Fai vedere a tutti come un vero eroe festeggia la sua
nascita!” Pensò deciso.
Scrollò un
po’ la testa, come se in questo modo potesse farne uscire la
miniatura di Inghilterra che, ormai ne era sicuro, aveva preso in
ostaggio la sua coscienza.
Probabilmente era un
esperimento alieno, avrebbe dovuto chiedere chiarimenti a Tony,
più tardi.
A grandi passi,
salì la scalinata d’ingresso, ed entrò
nell’edificio.
Percorse i corridoi
che conosceva a memoria (aveva aiutato a costruirli, ai tempi) e si
ritrovò di fronte alla Sala Ovale.
Di nuovo, alcune
guardie lo riconobbero, gli augurarono un buon quattro luglio ed
aprirono la porta per lui.
Entrato nella grande
stanza, vide che il suo boss era già seduto davanti alla
telecamera, la schiena rivolta alla grande bandiera americana del suo
studio.
Incrociò il
suo sguardo, mentre alcuni tecnici sistemavano il microfono davanti a
lui. Il boss sorrise cordialmente ad America, e sillabò le
parole “Happy
birthday”, mentre gli faceva cenno di sedersi
accanto alla sua scrivania, fuori dal raggio visivo della telecamera.
America sorrise in
risposta e si sedette. Il presidente era uno dei pochi a conoscenza
della sua effettiva natura di Nazione ed era felice di aver ricevuto i
primi auguri di tutta la giornata effettivamente rivolti a lui, ad Alfred F. Jones.
“In onda tra
tre minuti, signore.” Informò uno dei tecnici.
America gli
mostrò I pollici alzati e sorrise incoraggiante.
Era il suo primo
discorso per il Giorno dell’Indipendenza, dopotutto.
Ridacchiò
divertito. Era quasi strano pensare di essere più vecchio di
quell’uomo che dimostrava almeno vent’anni in
più di lui.
“E non solo
fisicamente.” Commentò la
Iggyscienza.
Sì, aveva
dato un nome alla sua coscienza.
Un nome molto
calzante, a suo parere.
“Devi per forza essere
così irritante?” chiese infastidito.
“Sono
un prodotto della tua immaginazione, che ti aspettavi?”
Insomma, da un certo
punto di vista si stava rimproverando da solo.
Con la voce di
Inghilterra.
“Great.”
O forse era una di
quelle maledizioni che Inghilterra proclamava di saper eseguire.
Sì, una
maledizione per farlo stare male il giorno del suo compleanno, ecco
cos’era.
“Bloody
idiot…”
America aveva aperto
la bocca per rispondere, quando sentì le telecamere
accendersi e qualcuno urlare:
“Three,
two, one…You’re on air, sir!”
Allora chiuse la
bocca, e si concentrò sulle parole del suo boss.
“Hello
and Happy Fourth of July, everybody.”
“Salve,
e buon quattro luglio a tutti!”
America sorrise al
saluto informale del suo boss. Amava il modo in cui parlava alla gente,
alla sua
gente. In modo così rilassato e cordiale.
“This
weekend is a time to get together with family and friends, kick back,
and enjoy a little time off. And I hope that’s exactly what
all of you do. But I also want to take a moment today to reflect on
what I believe is the meaning of this distinctly American
holiday.”
“Questo
weekend è un momento per stare insieme alla famiglia ed agli
amici, lasciarsi andare e godersi un pò di tempo libero. E
spero sia esattamente quello che tutti voi fate. Ma voglio prendere un
momento oggi per riflettere su quello che io credo sia il significato
di questa particolare festa americana.”
Passare del tempo con
la propria famiglia..
America ne aveva una?
Aveva Canada, il suo
gemello. Certo, America aveva la tendenza di dimenticarsi facilmente
della sua esistenza, tendenza che, tra l’altro, sembravano
avere anche tutte le altre Nazioni; ma ciò non toglieva che
volesse bene al suo fratellino del nord.
E poi
c’era… C’era stato…
No, non era sicuro di
avere qualcun altro.
Non più
almeno.
“Today,
we are called to remember not only the day our country was born
– we are also called to remember the indomitable spirit of
the first American citizens who made that day possible.”
“Oggi
siamo chiamati a ricordare non solo il giorno in cui la nostra nazione
è nata- siamo anche chiamati a ricordare l'indomabile
spirito dei primi cittadini americani che hanno reso questo giorno
possibile.”
Allora, dopo quelle
parole, il petto di America di gonfiò di orgoglio, come
quando stava camminando per le strade di Washington poco tempo prima.
Già, il suo
compleanno era anche questo.
Era celebrare se
stesso per ciò che era, per il suo sangue libero, per la sua
anima ribelle e coraggiosa.
Era ricordare a se
stesso di essere forte, il
più forte, o per lo meno di esserlo stato; per
non cadere a pezzi e per non lasciare che tutto ciò che
stava accadendo lo trascinasse giù, spezzando i suoi grandi,
enormi sogni e le sue speranze.
Non poteva permettere
che accadesse: per sé e per la sua gente.
I suoi indomiti cittadini americani.
Essere una Nazione era
difficile.
Doveva fare i conti
con il fatto di essere praticamente immortale, di dover veder cambiare
il mondo, il suo
mondo, e di dover accettare questo cambiamento, anche se faceva male.
Qualunque cosa
facesse, creava la storia.
Nel vero senso della
parola.
“We
are called to remember how unlikely it was that our American experiment
would succeed at all; that a small band of patriots would declare
independence from a powerful empire; and that they would form, in the
new world, what the old world had never known – a government
of, by, and for the people.”
“Siamo
chiamati a ricordare come fosse poco possibile che il nostro
“esperimento americano” avesse successo; che
un piccolo gruppo di patrioti dichiaravano indipendenza da un
impero potente; e che avrebbero formato, nel nuovo mondo, quello che il
vecchio mondo non aveva mai conosciuto- un governo di, da e per il
popolo.”
Quel giorno, ormai,
risultava abbastanza chiaro come fosse totalmente senza senso tentare
di non pensare ad Inghilterra.
Quell’
“Impero Potente” di cui parlava il suo boss, quello
che tassava il the sino a farlo costare più del sale e che
gli impediva di commerciare con Francia e con gli altri Europei.
Quello stesso impero
che gli leggeva le favole prima di andare a dormire, che lo faceva
rimanere nel suo letto durante i temporali e che gli cantava ninne
nanne in Gaelico per farlo addormentare.
Ricordava come la sua
rivoluzione era iniziata.
Quando a Boston aveva
versato il the di Inghilterra nell’acqua pallida del porto,
rendendola torbida; il the che aveva
dovuto comprare ancora da Cina.
Eppure Inghilterra
sapeva che lui preferiva il caffè.
Ricordava anche come
dopo si erano ritrovati a combattere per anni, nel fango e nelle
lacrime.
Ricordava come
Inghilterra gli avesse puntato contro il fucile e come si fosse poi
lasciato cadere, senza sparare.
Allora lo aveva
guardato, aveva guardato l’impero dall’alto in
basso.
Per la prima volta da
quando lo conosceva, non era più “Big Brother
England” o “Big
Brother Arthur”.
Era solo Arthur
Kirkland. E lui era solo Alfred F. Jones.
Quel giorno era nato.
Era nato come “United
States of America”, e non aveva la minima idea
di come sarebbe andata a finire.
Ma ce
l’aveva fatta.
Ed era felice, era
orgoglioso, era stupito.
Era felice di poter
festeggiare il suo compleanno come Nazione vera e propria, era
orgoglioso della sua gente e della sua forza, ed era stupito di essere
riuscito ad arrivare dov’era arrivato.
Pero’, in
tutto questo, mancava qualcosa.
E quel qualcosa, era
più un qualcuno.
Qualcuno con dei capelli biondi perennemente in disordine, delle
sopracciglia fuori dal comune ed un accento dannatamente sexy.
Sì, mancava
lui.
E, in un certo senso,
mancava ancora.
Anche se non si
sarebbe mai potuto pentire della sua scelta.
Mai.
Era talmente immerso
nelle sue riflessioni, che non ascoltò gran parte del
restante testo del discorso. Riuscì ad afferrare qualcosa
riguardo lo spirito di iniziativa che li aveva tratti in salvo dal
tracollo economico degli anni trenta, le energie rinnovabili
(probabilmente un suggerimento di Germania e Giappone) e
l’assicurazione sanitaria.
La sua attenzione
venne nuovamente attratta dal discorso quando il suo boss giunse alla
fine.
“We
are not a people who fear the future. We are a people who make it. And
on this July 4th, we need to summon that spirit once more. We need to
summon the same spirit that inhabited Independence Hall two hundred and
thirty-three years ago today.”
“Non
siamo persone spaventate dal futuro. Noi siamo persone che lo fanno. E
in questo quattro di luglio, abbiamo bisogno di convocare ancora una
volta quello spirito. Abbiamo bisogno di convocare lo stesso spirito
che abitò l’Indipendence Hall duecento
trentatré anni fa.”
Quando la sua mente
registrò le parole, gli occhi di America si dilatarono, e la
bocca si aprì, formando una piccola ‘o’
di stupore.
“That
is how this generation of Americans will make its mark on history. That
is how we will make the most of this extraordinary moment. And that is
how we will write the next chapter in the great American story. Thank
you, and Happy Fourth of July.”
“Questo
è il modo in cui questa generazione di americani
lascerà il suo segno nella storia. Questo è il
modo in cui trarremo il massimo di questo momento straordinario. E
questo è il modo in cui scriveremo il prossimo capitolo
nella grande storia americana. Grazie, e Felice Quattro
Luglio.”
Il discorso
finì, e le telecamere si spensero.
Scrivere il nuovo
capitolo…Della storia Americana?
Lentamente, la sua
bocca si chiuse, e la ‘o’, divenne un sorriso
sicuro.
Sapeva cosa doveva
fare.
“Alfred!”
lo chiamò sorridendo il Presidente.
“Scusi, devo
fare una cosa importante! Ne va della salute del
paese…” si fermò un attimo, riflettendo
sulle sue parole “… Che poi sarei io, ma non
sottilizziamo! A dopo, boss!” e detto questo,
sfrecciò via, salutando il boss con una mano.
Il presidente
ridacchiò tra sé e sé, si sedette
dietro la sua scrivania e guardò fuori dalle grandi finestre
che davano sul giardino.
Sorrise.
Doveva pensare come
fare degli auguri originali all’altra sua piccola America.
Fine
Capitolo uno
NOTE
DELL’AUTRICE:
Okay,
eccomi qui a pubblicare la mia prima fic su Hetalia! Onestamente, sono
stata molto sorpresa del risultato che ho ottenuto al contest (che per
inciso richiedeva di scrivere riguardo al compleanno di un personaggio
a scelta), e spero che anche voi lettori apprezzerete la mia fic come
ha fatto la giudice!^^
Che dire su questo capitolo? Ebbene sì, sono una fan di
Obama e volevo includerlo nella fic, quindi quale modo migliore se non
quello di utilizzare il suo discorso alla nazione il quattro luglio? E
poi, calzava a pennello con quello che avevo intenzione di scrivere.
Ve lo giuro, mentre scrivevo mi sentivo veramente una indomita
cittadina americana. Sì, sono patriotta di paesi che non
sono il mio, ma penso sia abbastanza comune quando si segue Hetalia, no?
Detto ciò, ecco le
referenze storiche/culturali/varie ed eventuali in questo primo
capitolo:
·
Links alla descrizione dei festeggiamenti del quattro
luglio: http://www.whitehouse.gov/video/4th-of-July-at-the-White-House
e http://america24.it/content/festa-alla-casa-bianca-barbecue-1200-famiglie-di-soldati
·
Link
al discorso integrale di Obama
·
Tony è l’amico alieno di America, per
chi non lo sapesse.
·
Quando America parla di quando gettò il the di
Inghilterra in mare si riferisce al Boston
Tea Party, quando i coloni americani versarono per protesta
il the inglese nell’acqua del porto di Boston, travestiti da
nativi americani.
·
Quando Obama parla della sua piccola America, si riferisce ad
una delle figlie, nata anche lei il quattro luglio.
Mi sembra di aver
scritto tutto. Se vi resta qualche perplessità fatemelo
semplicemente sapere nelle recensioni.
* Recensite =D *
Kissu^^
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