Pandora CAP 1
Titolo: Quale Vita?
Rating:
Giallo
Capitolo: 1
di 9
Personaggi:
Pandora
Disclaimer:
I personaggi non sono miei ma appartengono a quel demon
genio di Masami Kurumada, anche se sto cercando di convincerlo a darmi
Milo. E Kanon. E un altro centinaio di personaggi. Questa fanfiction
non è stata scritta a scopo di lucro (magari) ma per puro
divertimento dell'autrice.
Note dell'Autrice:
Dunque. Alla fine ce l'ho fatta ad esordire su questo fandom *C*" Con
una certa incertezza, dato il numero incredibile di autori bravissimi
che vi girano, ma ci tengo molto a questa storia. E, per il momento, ne
sono anche piuttosto soddisfatta.
Pandora è un personaggio che mi piace moltissimo. Troppo
sottovalutato, secondo me.
Questa storia è nata mentre leggevo - per l'ennesima volta -
l'Hades chapter, chiedendomi come deve aver vissuto la guerra questa
Povera ragazza che, diciamocelo, non ha avuto una vita propriamente
allegra. Senza contare che trovo anche che sia un incredibile
contrasto, con il suo aspetto delicato e quasi etereo, in mezzo ad
un'armata di 108 specter grandi e grossi *O* Detto questo, buona
lettura!
Ah, le frasi in viola sono prese da "Le opere e i giorni" di
Esiodo.
Dedica: a
tutte quelle persone e autori straordinari che frequentano Gold Insanity.
In particolare a Milo, perché è grazie alle sue
drabble se mi sono riavvicinata a questo fandom. E perché mi
ha incoraggiata a pubblicare la fics! Vi amo, dal primo all'ultimo *O*
Il tempo del destino: ATTO I
«
così disse ed essi obbedirono a Zeus signore, figlio di
Crono.
E subito
l’inclito Ambidestro,
per volere di Zeus, plasmò dalla terra una figura simile a
una
vergine casta; Atena occhio di mare, le diede un cinto e
l’adornò; e le Grazie divine e Persuasione
veneranda
intorno al suo corpo condussero aurei monili; le Ore dalla splendida
chioma, l’incoronarono con fiori di primavera; e Pallade
Atena
adattò alle membra ornamenti di ogni genere. »
La notte in cui la bambina nacque pioveva.
Una spessa coltre di nubi oscurava completamente il cielo di Tubinga,
lasciando cadere sulla città una pioggerella fitta e
fastidiosa;
di quelle che non portano sollievo ai raccolti, ma soltanto disagi agli
uomini.
In quel momento, comunque, Maria Heinshtein non badava affatto al
tempo, né a nient’altro che non fosse la creatura
che
stringeva fra le braccia, che ancora piangeva tendendo le manine verso
l’alto, alla ricerca di un appiglio che trovò
presto nel
seno della madre.
“E’ bellissima.”
Mormorò il marito, commosso, con un tiepido sorriso di
ringraziamento alla levatrice e uno denso d’amore per la
donna
che giaceva, sudata, stanca, eppure mai così bella ai suoi
occhi, sulle coltri sfatte del letto.
“Hans.”
Maria ricambiò il sorriso, allungando una mano per stringere
quella che l’uomo le porgeva, mentre cullava dolcemente la
bambina.
“Guarda.” Gli indicò il ciuffo di
capelli scuri che
spuntava sul piccolo capo, con tono esausto eppur pregno di un vago
divertimento “Ha preso i colori di tuo padre!”
Lui rise, sedendosi sul letto e allungando la mano libera ad
accarezzare i capelli della moglie, scostandole una ciocca bagnata
dalla fronte.
Si piegò a sfiorarle quel punto con le labbra.
“Ma è bella quanto te.”
Lei, troppo stanca per ribattere come suo solito, si limitò
a sorridere.
“Hai cambiato idea sul nome?”
“No.” Hans scosse il capo, osservando con affetto
quel corpicino fragile.
Maria, felice, si chinò a sussurrare alla bambina:
“Benvenuta al mondo, Pandora.”
***
Fin da subito, quella bambina divenne il cuore della casa.
Cullata nell’amore incondizionato dei genitori, la piccola
Pandora conquistò ben presto anche l’intera
servitù
del castello, con la sua intelligenza e, soprattutto, con la sua
innata, inestinguibile curiosità, che la portava spesso a
infilarsi in luoghi impensabili.
Hans Heinshtein, ricco per eredità di famiglia ed archeologo
per
passione, esperto di mitologia greca, ne rideva insieme alla moglie.
“Abbiamo trovato il nome giusto, caro.” Gli disse
lei, una volta, mentre commentavano il comportamento della figlia.
“E’ proprio vero!” Rispose, ripensando
divertito a quel vecchio mito.
C’era un motivo, ovviamente, se i coniugi Heinshtein avevano
dato
alla figlia proprio quel nome, tradizionalmente associato alla sventura
e alla punizione degli uomini.
Era stata Maria, soprattutto, ad insistere.
Pandora.
Pandora come la prima donna creata da Efesto.
Una donna a cui erano stati dati tutti i doni, come lo stesso nome
affermava; lei stessa che, come dono, era stata recata ad Epimeteo,
colui-che-vede-dopo.
“Un dono ingannevole.” Le aveva fatto notare il
marito, all’inizio, più di una volta.
“Ma pur sempre un dono.” Aveva semplicemente
ribattuto,
dolce ma decisa. “Come lei lo è stata per
noi.”
Così, alla fine, fu deciso.
«
Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore menzogne, scaltre
lusinghe e indole astuta, per volere di Zeus cupitonante; e voce le
infuse l’araldo divino, e chiamò questa donna
Pandora,
perché tutti gli abitanti dell'Olimpo l’avevano
donata in
dono, sciagura agli uomini laboriosi. »
Pandora crebbe, nell’agio e colmata di regali e attenzioni
che il padre, generoso per natura, mai le negava.
Al suo secondo compleanno, Hans le regalò un cucciolo di
cane:
un alano di appena pochi mesi, dall’aspetto adorabile.
Sarebbe
cresciuto con lei, rappresentando con la sua assoluta
fedeltà
una costante, qualcosa a cui Pandora avrebbe potuto sorreggersi anche
nei momenti più bui – aggrappandosi a
quell’amore
istintuale che trascende le azioni compiute e, almeno Hans lo sperava,
aggrappandosi anche al ricordo dei giorni felici
dell’infanzia,
trascorsi con loro.
Questo era ciò che egli si augurava per la figlia, mentre la
osservava precipitarsi verso quella palla di pelo.
“Hündchen!
Hündchen!”
Trillò la bambina, felice, stringendo le braccia attorno al
collo del cucciolo e ricevendo per tutta risposta
un’entusiasta
leccata sulla guancia.
“Come si chiama, Papa?”
domandò, ridacchiando e rivolgendo un sorriso al padre.
“Adolf, tesoro.”
“Ed è tutto mio?”
“Tutto tuo.”
Ancora ridendo, Pandora stampò un bacio sulla guancia del
genitore, e corse subito in giardino a giocare col nuovo regalo.
Fu circa qualche mese dopo, che Hans iniziò a provare una
strana
inquietudine ogni volta che si parlava del nome della figlia; non
sapeva spiegarsene l’origine, ma era come un indefinito
presagio
che gli impediva di riposare serenamente.
Era come l’attesa di un qualcosa
– misterioso e impenetrabile - di latente, una forza sepolta
sotto l’immenso spessore della Terra stessa, in attesa di
venire
liberata.
Incapace di trovare una motivazione razionale, non ne fece parola con
nessuno, interpretando quelle sensazioni come le paranoie di un padre
troppo attaccato alla figlia.
Passarono giorni, poi settimane; eppure, quella paura non accennava a
svanire, anzi si acuiva di giorno in giorno, in una sorta di climax
perverso che lo logorava istante dopo istante.
Infine, quando arrivò al punto in cui il solo posare lo
sguardo
sul piccolo viso ovale della bambina gli provocava un senso di angoscia
quasi patologica, gli tornò in mente – quasi a
caso, o per
un beffardo scherzo del destino – un avvertimento che suo
nonno
gli aveva dato molti anni prima.
«
Poi, quando compì l’arduo inganno, senza rimedio,
il Padre
mandò a Epimeteo l’inclito Argifonte portatore del
dono,
veloce araldo degli dèi; né
Epimeteo pensò alle parole che Prometeo gli aveva rivolto:
mai accettare un dono da Zeus Olimpio, ma rimandalo indietro,
perché non divenga un male per i mortali »
C’era, nell’immenso giardino del Castello, una zona
più appartata, da dove scendeva il ruscello che andava ad
alimentare lo splendido lago dei cigni neri. Al di là del
corso
d’acqua si ergeva un tempietto circolare, di vaga forma
classica,
sprangato da un pesante portone chiuso a lucchetto.
Da più di duecento anni – così gli aveva detto
il nonno, anni prima
– quel portone non veniva aperto, né si sapeva
dove fosse
la chiave. Tuttavia, era proibito avvicinarsi, poiché luogo
di
sventura.
Quel ricordo, ritenuto evidentemente di poco valore, rimosso da molto
tempo, riaffiorò in modo così improvviso e
illogico che
Hans non dubitò neanche un istante che fosse collegato con
la
sua recente inquietudine.
Quando finalmente si decise a raccontarlo a Maria, tuttavia, lei si
limitò a sorridere con indulgenza.
“Caro, è solo la storia di un nonno anziano che
voleva
prendere un po’ in giro il nipotino. O..” e qui gli
rivolse
un’occhiata divertita “..impedirgli di giocare in
una zona
pericolosa del parco, ben conoscendo la sua attitudine
all’esplorazione. Ricordi quando eri così restio a
dare il
nome Pandora a nostra figlia? Eppure eccola qua, bella e vivace, senza
un’ombra davanti a lei. Sono soltanto miti.”
“E questa sensazione?”
Con un sospiro di amorevole sopportazione, scosse appena il capo,
guardandolo corrucciata. “Sono anni che ti dico che lavori
troppo, ma non hai mai voluto ascoltarmi.”
Lui rimase a osservarla per un po’, pensieroso, chiedendosi
se in
effetti non fosse tutto un parto di una mente stanca e troppo immersa
nei reperti di un’epoca remota.
Non ne era così convinto, ma annuì comunque,
seguendo con
lo sguardo la figura slanciata della moglie che si dirigeva in giardino.
“Ma ogni mito
ha un fondo di verità.”
Aggiunse poi, a mezza voce, rivolto a se stesso.
Col passare dei giorni, continuando a riflettere sulla questione giunse
alla conclusione che, in ogni caso, sarebbe stato meglio se Pandora non
si fosse mai avvicinata a quel luogo.
Dopotutto, non le avrebbe arrecato alcun danno un semplice avvertimento.
Glielo disse, quindi; ma, reso poco previdente dalla preoccupazione, lo
fece suonare come un’ imposizione.
Imposizione che ebbe soltanto l’effetto di stimolare la sua
innata curiosità.
“Va bene, Papa.
Se tu non vuoi, non ci andrò.”
“E’ una promessa?”
“Sì.”
«
Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore menzogne, scaltre
lusinghe e indole astuta »
Piccola, ingenua bambina, vittima di un destino più grande
di lei.
Un destino che, implacabile, si compie, incurante delle preghiere degli
uomini. Su di esso difatti presiede una forza più grande,
che
tutto trascende: non è data ai mortali la facoltà
di
cambiarlo con poche raccomandazioni, e persino Zeus onnipotente,
dominatore delle folgori, può soltanto rinviarlo.
Le Moire, nel loro giardino, tessono le vite degli uomini.
Un anno dopo, Chloto creò un altro filo.
Anni dopo, Atropo ne avrebbe recisi a decine.
«
né Epimeteo pensò alle parole che Prometeo gli
aveva
rivolto: mai accettare un dono da Zeus Olimpio, ma rimandalo indietro,
perché non divenga un male per i mortali.
Lui lo accolse e
possedeva il male, pria di riconoscerlo.
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