1.
Nella
Quattour siamo circa un milione di Angeli. Centinaia di bambini
letteralmente rubati alle loro famiglie d'origine a pochissimi giorni
dalla nascita: un giorno eri in ospedale che dormivi beato e il
giorno dopo un uomo incappucciato ti sta portando via, correndo sotto
la pioggia. Ecco, questa parte dell'essere un Angelo non mi è
mai piaciuta; certo, non sono una ragazza molto sensibile,
tutt'altro, però il fatto di sapere che ho una famiglia e che
questa famiglia mi cerca da ben 16 anni... beh, mi fa stare un po'
male.
Quel
giorno, il 24 Novembre, non lo scorderò mai: rimarrà
sempre qui, nella mia mente, fisso come un chiodo arrugginito che non
si toglie. Quel giorno mi cambiò radicalmente la vita...
Ero
nella Grande Armeria, ad allenarmi con tutti gli altri Giovani Angeli
(così veniamo chiamati noi adolescenti della Quattour) e la
lezione, quel giorno, era stata particolarmente faticosa, quindi
avevo solo due cose in mente: andare in camera e dormire. Senza
nemmeno lavarmi: volevo solo riposare. Il mio primo incarico da
Angelo Custode (L'incarico speciale) non passava nemmeno per
l'anticamera del cervello.
-Forza
ragazzi, alzatevi e andatevene! Per questa volta abbiamo finito.-
esordì Dux McCain, uno dei tanti Angeli Combattenti della
Quattour, con la sua solita voce dura e severa. Un “oh!”
di sollievo di alzò in tutta l'enorme stanza di pietra;
eravamo giovani e forti (molto più forti degli umani), ma
anche noi sentivamo la stanchezza. Mi alzai da terra come tutti gli
altri e riposi lo spadone che avevo usato per combattere sull'enorme
tavolo di legno che occupava quasi tutta la parete destra
dell'Armeria e sul quale Dux e gli altri Angeli Combattenti
sistemavano le varie armi (spade, lance, ect. ect.). Stavo seguendo
la massa di ragazzi per uscire dall'Armeria quando Dux mi prese per
la spalla destra e mi costrinse a girarmi.
-Tu
vieni con me.- affermò guardandomi negli occhi. Io andai nel
panico: cosa avevo fatto? A me risultava nulla, però il dubbio
in quel momento mi era sorto eccome!
-P-perchè?
C-cosa ho fatto?- chiesi balbettando spaventata. Sapevo come punivano
chi rigava dritto e, francamente, lividi e lacerazioni non le volevo.
Dux mi afferrò per il braccio sinistro e mi trascinò
senza dire una parola dall'altra parte della Grande Armeria, per
uscire dalla porta che dava sul cortile. Dal cortile attraversammo un
piccolo sterrato, che attraversava il cortile e sbucava nel corridoio
principale dell'enorme cattedrale gotica che ospitava tutta l'intera
Quattour. Continuavo a chiedere a Dux dove mi stava portando
(cominciavo seriamente a preoccuparmi) e alla terza-quarta volta che
facevo la stessa domanda con mio grandissimo stupore vidi che eravamo
pericolosamente vicini alla Sala. La sala con la S maiuscola. La sala
dove Dio stava e controllava tutta la Quattour. Chi è Dio? Il
capo, il condottiero, colui che dirige tutta l'intera agenzia. Dio
decide chi vive e chi muore, chi resta e chi se ne va... e anche chi
veniva protetto da chi.
-Questo
è il tuo primo incarico e Dio a deciso che comincerai la tua
carriera da Angelo Custode in grande stile.- disse Dux con un tono di
voce forse fin troppo entusiasta. Io lo guardai con sguardo
corrucciato: che intendeva dire con “in grande stile”?
-In
che senso, scusa?- chiesi per chiarirmi le idee. Dux sorrise
lasciando la presa sul mio braccio e prendendomi per le spalle, quasi
sollevandomi dal pavimento di pietra; sgranai gli occhi e pensai che
se avesse stretto un altro po' mi si sarebbero sfracellate le spalle.
Dux aveva delle braccia enormi, sembrava un armadio a sei ante ed era
estremamente forte; era forse il più forte tra gli Angeli
Combattenti e le mie povere ossa ora lo sapevano benissimo.
-Hai
un incarico in America, Limar!- esclamò con enfasi,
scuotendomi tre volte -Non è mai capitato nemmeno ai più
Anziani di andare in America, capisci? Devi esserne orgogliosa.-
spiegò poi. E lì capii che non era felice per me ma era
felice perché una sua allieva aveva un incarico così
speciale... beh, potevo capirlo benissimo.
Quando
le poderose braccia tatuate di Dux aprirono le grandi porte della
Sala una ventata di aria gelida mi gelò fin nelle viscere. La
Sala era il doppio, forse il triplo, della Grande Armeria... fate voi
le misure quindi; a destra torreggiavano quattro giganteschi
finestroni coperti da delle tende che assomigliavano più che
altro a teloni spessi chissà quanto, a sinistra la parete era
piena di quadri spaventosi persino per un tipo come me, al centro
della stanza, invece, si erigeva il trono di Dio: una grande poltrona
di mogano pregiato, imbottita e ricoperta del più delicato e
morbido velluto che possa esistere al mondo. Sì, Dio si
trattava fin troppo bene... Aveva un mantello, con annesso un
cappuccio, a coprirgli parte del corpo e il volto e non accennava
nemmeno lontanamente ad alzarsi. Dux s'inchinò e io lo imitai:
non sapevo cosa fare, non ero mai stata al cospetto del grande capo,
ma dato che se ci inchinavamo sembrava contento... e inchiniamoci!
-Comodi,
comodi.- disse con voce calma Dio, una voce che non fece che
spaventarmi: era gelata, non solo fredda, ed inquietante e tutto ciò
che esiste di negativo. Tanto spaventosa quanto affascinante, come
sensazione.
Io
e Dux ci alzammo e rimanemmo fermi immobili a pochi metri di distanza
dal Trono; da lì Dio ci guardava da sotto il cappuccio,
inquietandomi ancor di più.
-Dux,-
esordì il grande capo dopo una pausa -ti dispiacerebbe
lasciarci soli?- ecco, lì impazzii del tutto: io e Dio nella
stessa stanza? Da soli?! Salvatemi. Dux annuì animatamente e
se ne andò inchinandosi frettolosamente. Il portone di pietra
si chiuse con un tonfo sordo. Che strano vedere Dux così
allegro, pensai.
-Limar.
Mia cara Limar Nhepys.- esordì Dio alzandosi dal trono e
dirigendosi verso di me. Io drizzai la schiena ancor di più e
arrossii violentemente non sapendo cosa fare. Mi raggiunse con una
quarantina di passi volutamente lenti e cominciò a toccarmi i
boccoli scuri che mi ricadevano morbidi sulle spalle, scansandoli di
tanto in tanto; mi guardava compiaciuto, come fossi il suo premio. Lì
cominciai seriamente ad avere paura. Cosa voleva farmi?
Speravo niente... e speravo bene perché, dopo avermi girato
intorno un paio di volte, ritornò a sedersi sul suo bel trono
e cominciò a espormi il “grande incarico speciale”.
-Sai,
Limar, ho deciso che per la tua prima missione da Custode ti
assegnerò una persona speciale.- iniziò -Si chiama
Dylan Phoenix e vive a New York, nel Bronx, per essere più
precisi.- poi sbucò nella stanza un uomo allampanato che
portava in equilibrio su una sola mano un vassoio d'argento; come nei
film alzò il coperchio a forma di cupola, mostrando una serie
di fogli e documenti.
-Prendili,
ti serviranno.- mi disse Dio. Io allungai timidamente la mano e li
presi. Cominciai a sfogliarli e notai una foto; la presi e la
osservai: ritraeva un ragazzo a cui davo massimo massimo 18 anni, con
i capelli neri scompigliati ad opera d'arte, la pelle chiara, gli
occhi azzurri persi nel vuoto e una sigaretta tra le labbra. In
effetti non sembrava proprio un bravo ragazzo. Non lo era, o per lo
meno questo diceva la sua fedina penale: spaccio di droga, qualche
rapina e anche alcuni arresti per rissa; leggendo in silenzio scoprii
che i suoi scherzetti alla polizia new yorkese erano cominciati a 15
anni, quando suo padre era morto per incidente stradale; viveva solo
con sua madre, che lavorava a intermittenza: un giorno sì,
l'altro no, il terzo giorno chissà. La situazione non era
delle migliori e cominciai a chiedermi cosa dovessi fare con questo
tipo. Come se mi avesse letto nella mente, Dio rispose al mio dubbio.
-Dovrai
colmare il vuoto che la morte di suo padre gli ha lasciato nel cuore:
lo riporterai sulla giusta via.- esordì calmo -Dovrai far si
che lui sia talmente preso da te da non aver tempo per le sue
monellerie.-
Alzai
la testa stringendo le informazioni nella mano destra; annuii sicura
di me stessa. Potei scorgere le labbra di Dio che si tendevano in un
sorrisetto compiaciuto.
-Così
ti voglio: sicura e decisa.- affermò in un trillo -Ma,-
continuò con voce più severa -non ammetto complicazioni
di alcun genere, intesi?- chiese. Io annuii come prima. Il mio primo
incarico, pensai: la storia cominciava già a piacermi.
-Jhoanna
Koo ti accompagnerà, spianandoti meglio il cammino.- terminò.
Jhoanna era una donna asiatica (non sapevo bene da dove provenisse)
che mi aveva trattato sempre come una specie di figlia; tra tutti gli
Angeli della Quattour, Jhoanna era quella a cui mi ero legata di più
in tutti quei 16 anni.
Uscii
silenziosamente dalla Sala e mi inchinai, quasi automaticamente,
circa cinque volte. Nel corridoio silenzioso sospirai posandomi una
mano sul petto: ce l'avevo fatta contro ogni pronostico e,
soprattutto, la paura era passata. Buttai uno sguardo ai fogli che
ancora tenevo in mano e li guardai meglio: Dylan Phoenix, New York,
Bronx.
Il
giorno dopo, alle 22:00, Limar Nhepys (la sottoscritta) e Jhoanna Koo
(la mia accompagnatrice) erano già belle che imbarcate sul
volo Firenze-New York.
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