Il mistero dell'angoscia
Buio.
Non che fosse un problema per lui, ma quella sera l’oscurità lo
turbava. C’era qualcosa di greve in quella stanza. Qualcosa di
stranamente angoscioso.
Si muoveva rapido, silenzioso come un gatto, sicuro dei propri
movimenti, calcolati al millimetro. Conosceva quella stanza alla
perfezione, come sempre, quando pianificava uno dei suoi colpi.
Inoltre, era perfettamente in grado di vedere al buio, proprio come i
felini.
Eppure, qualcosa lo inquietava.
Raggiunse velocemente l’armadio, in fondo alla camera. In pochi minuti
individuò la borchia d’ottone che apriva la stanza segreta dove lord
Fester raccoglieva le sue immense ricchezze.
La porta si aprì facilmente. Era nascosta benissimo ma non abbastanza
da mettere in difficoltà un ladro meticoloso ed esperto come Blackwind.
Con lui le porte segrete e le serrature più intricate non servivano ad
altro che a esaltarne l’abilità e a moltiplicare il suo impegno.
Entrando nella stanza del tesoro, la sensazione di disagio si fece più
intensa. Blackwind individuò immediatamente i tre grandi forzieri dove
erano ammassate le ricchezze.
La sensazione di angoscia crebbe.
Perché quella sensazione?
C’era qualcosa di strano ma l’esperto ladro non riusciva a comprendere
cosa. Il furto poteva dirsi riuscito eppure Blackwind esitava.
Cosa c’era in quella stanza?
Aveva tempo, tutta la notte certamente, visto che i padroni di casa non
sarebbero rientrati fino al mezzogiorno dell’indomani, dunque cominciò
a esaminare l’ambiente palmo a palmo. Ci vollero pochi minuti perché si
rendesse conto che le dimensioni di quel locale non tornavano.
Raggiunse la parete di fondo e cominciò a studiarla con attenzione.
Dovette fare un terribile sforzo su se stesso per vincere la sensazione
di inquietudine che si era fatta sempre più forte. Febbrilmente si mise
a cercare il pannello mobile che, evidentemente, celava la parte
mancante di quella stanza.
Un locale segreto dentro un locale
segreto.
Assolutamente illogico.
Ma perché tanto angosciante?
Finalmente trovò la porta segreta e il meccanismo di apertura. Provò a
usarlo ma nulla si mosse. Esasperato, provò a forzarlo ma senza esito.
Cosa lo stava bloccando?
Tornò nella camera da letto, prese una lampada a olio e, alla luce
tremolante di questa, riprese a studiare quel misterioso tratto di
parete. Fu un’ombra fuggevole, comparsa spostando la lampada, che gli
fece comprendere come un banale cuneo di legno fosse stato inserito a
forza nel meccanismo fino a scomparire nel pannello stesso, bloccandolo
completamente.
L’agitazione crebbe ancora.
Cominciò a lavorare pazientemente col pugnale, vincendo l’angoscia che
gli attanagliava il cuore.
Un tempo che a lui parve infinito trascorse in quel modo ma, alla fine,
il cuneo saltò via.
Esitò.
L’ansia era ormai quasi insostenibile.
Fu tentato di fuggire via, di lasciare quel locale cupo, di abbandonare
tutto. Avrebbe potuto cancellare ogni traccia del suo passaggio.
Nessuno avrebbe saputo del suo fallimento.
Esitò.
Il cuore gli batteva all’impazzata ma aprì quel pannello.
E l’orrore emerse davanti ai suoi occhi.
Lady Fester era una delle donne più belle di Elosbrand[1], pur se già
ben oltre i quarant’anni. Alta, maestosa nel portamento e nella chioma
fulva, dal viso stupendo sul quale risaltavano gli occhi azzurro-mare,
capaci di far fremere qualsiasi maschio degno di tal nome che capitasse
nel loro raggio d’azione. Le forme sinuose eruttavano sensualità e
calore, fascino e magnetismo. La voce, perfettamente educata al canto e
alla conversazione era capace di far sciogliere i cuori più algidi e di
far crollare miseramente l’onestà di qualsiasi uomo. Bella da far
invidia a Yavië[2], si diceva che avesse spezzato più cuori lei del
pugnale di Dhela[3]. Ricca di nascita, ultima erede di una famiglia di
antica nobiltà, era diventata ancora più ricca grazie ai doni dei suoi
innumerevoli amanti e alle sostanze del suo augusto consorte, lord
Adrian Fester. Uomo, questo, di considerevoli fortune, materiali e non.
Armatore, socio influente della compagnia mercantile più florida della
costa, erede di un piccolo feudo di campagna, si era fatto largo
nell’alta società di Elosbrand e, soprattutto, nel mondo
imprenditoriale del grande porto. Il come era oggetto di commenti
sussurrati a mezza voce. A spallate, certamente. Con l’uso disinvolto
del denaro proprio e altrui. Con alleanze discutibili con certi
capitani di mare più avvezzi ad abbordare mercantili che a trasportare
merci. E con l’uso spregiudicato della bellezza di sua moglie.
“Gli dei li fanno e poi li accoppiano”. Un detto popolare che ben si
adattava a quei due. Sposi, amanti, soci e complici. Avevano costituito
un legame che andava oltre il sentimento, la lussuria o gli affari.
Erano una micidiale macchina per il successo.
Pure, un atroce dolore aveva colpito quella coppia. La loro unica
figlia, dolce e bella - mai quanto la madre, ma di bellezza rara e
umile - era scomparsa nel fiore della gioventù, rapita e trascinata
chissà dove da un avventuriero al servizio di Lord Adrian, un mezzorco
proveniente da Krünhand[4] che, evidentemente, aveva tradito i suoi
obblighi di fedeltà trascinato dall’abietta passione per quella
celestiale creatura. Un infame traditore, ricercato ovunque per un anno
e poi catturato, lungamente torturato affinché rivelasse cosa era stato
della fanciulla e infine impiccato e squartato, nonostante si
professasse innocente.
Una storia crudele che aveva sconvolto i buoni cittadini di Elosbrand
che, in occasione dell’esecuzione di quel mostro, si erano accalcati in
piazza per non perdersi nulla di quell’atto di profonda giustizia.
Lord e lady Fester si godevano il sole di primavera, comodamente assisi
sul loro calesse magistralmente condotto da Molder, ex campione di
corse al trotto del circo di Aglargond[5] e scortato da Jim Barnett, un
giovane avventuriero che aveva messo la sua abile spada al servizio di
lord Adrian nel ruolo che era stato del mezzorco traditore. Era un uomo
di altezza media, dalle spalle larghe e possenti, elegantemente
vestito, che sfoggiava spavaldamente uno splendido stocco e cavalcava
silenziosamente dietro il calesse, con gli occhi vigili che
controllavano ogni movimento nei dintorni, pronti a individuare e
rintuzzare qualsiasi minaccia.
«Mi dispiace che il vecchio Wilson ci abbia lasciato le penne ma questo
è stato veramente un ottimo affare». Lord Fester gongolava
letteralmente, mentre lanciava qua e là occhiate condiscendenti ai
concittadini che riverivano il ricchissimo calesse dell’aristocratica
coppia.
Lady Fester guardò di sottecchi il suo pingue consorte.
«Adrian, lo sai che quella gente non mi piace. Sanno troppo dei nostri
affari con Tolbelg[6]. E se ci tradissero?».
«Dolcezza mia, ti fai intimidire troppo da quei bricconi. E li
sottovaluti. Sanno benissimo che, finché saranno in affari con noi, i
loro guadagni saranno sempre i più alti di tutti gli equipaggi dei
nostri mari. Inoltre, chi oserebbe prendere in considerazione la parola
di un pirata contro la nostra? E poi… guarda che meraviglia!».
Il nobiluomo aprì lo scrigno che teneva in grembo, cullandolo come un
neonato, rivelandone il contenuto che sfavillò al sole primaverile.
Diamanti di varie dimensioni ma tutti di straordinaria purezza. Un
tesoro che costituiva solo l’infinitesima parte dell’inestimabile
patrimonio della coppia ma che lord Adrian pareva tenere nella medesima
considerazione di tutte le altre sue ricchezze.
«Certe volte, Adrian, mi viene da pensare che tu possa amare le tue
ricchezze ben più di quanto ami me».
«Amore!». Protestò ridendo lord Fester, «Ma come ti vengono certi
pensieri?».
La risata argentina della moglie gli rispose immediatamente.
Giunsero alla loro splendida residenza cittadina, un sontuoso palazzo
fortificato posto nella zona più ricercata della città. Superato il
portone, sorvegliato da una guardia, entrarono nell’ampio cortile
lastricato dove il maggiordomo accorse a dare il bentornato alla
coppia, aprendo lo sportello dell’elegante calesse e aiutando la dama a
scendere.
Lord Fester scese con insospettabile agilità, si tolse l’ampio cappello
piumato, lasciando il cranio glabro a risplendere al sole e si rivolse
all’anziano servitore.
«C’è il signor Paul Seernin?». Si riferiva al giovane contabile che, da
alcuni mesi, prestava servizio in luogo del vecchio Julius, ormai
troppo avanti con l’età per poter svolgere quel delicato lavoro.
«Sì, milord. È nel suo studio, volete che lo faccia chiamare?».
«Oh, no, Gill. Ci vado io!». Lord Adrian aveva molta simpatia per quel
giovane colto e zelante, tanto abile e discreto nel gestire i conti
dell’imponente giro d’affari della famiglia Fester. Lavorava sodo e
senza far domande inopportune, per quanto il nobiluomo avesse la netta
impressione che avesse capito qualcosa anche della parte meno lecita
dei suoi affari. Ma era un ragazzo intelligente e sufficientemente
avido da capire che, servendo bene il suo signore avrebbe avuto solo da
guadagnarci, forse fino a diventare più di un semplice ingranaggio di
quella formidabile macchina per far soldi.
«Barnett, vedete di controllare che il servizio di guardia sia in
efficienza».
«Immediatamente, milord».
Lo spadaccino scese dal cavallo e, dopo averlo affidato alle cure di un
palafreniere, si diresse con passo elegante verso il portone interno,
badando a non superare il suo meno agile (ma assai suscettibile) datore
di lavoro. Lasciò che il nobile entrasse per primo e lo seguì fino al
primo piano, salutandolo rispettosamente prima di allontanarsi verso
l’appartamento nobiliare per verificare che la guardia fosse al suo
posto. Allegramente, Lord Fester salì i gradini che conducevano al
secondo piano del palazzo, e percorse lo stretto corridoio che
conduceva allo studiolo del contabile.
«Buongiorno signor Seernin!».
L’impiegato sollevò il naso dal documento che stava studiando, si tolse
gli occhiali e strizzò gli occhi per mettere a fuoco la sagoma del
visitatore. Era un omino smilzo, già leggermente curvo sebbene dovesse
essere ancora lontano dalla trentina, dai folti capelli color carota.
«Buongiorno milord. In che posso servirvi?».
«Vi ho portato del nuovo lavoro, spero vorrete perdonarmi». Nel dir
questo, Lord Fester aprì lo scrigno pieno di splendidi diamanti. Gli
occhi del contabile si spalancarono per un attimo, poi l’omino recuperò
il solito atteggiamento distaccato e ricominciò a parlare con la sua
voce nasale e monotona.
«Quando i vostri affari vanno bene, anche il mio lavoro ne guadagna,
milord».
«Bravo Seernin! Mi piace molto questo vostro atteggiamento! Sono certo
che andrete lontano, se resterete accanto a me. Avete tante buone
qualità e io so apprezzare i collaboratori in gamba».
«Siete molto gentile, milord. Io sono buono solo a fare i conti ma, per
quel che valgo, sono a vostra completa disposizione».
«Benissimo! Intanto, potreste inventariarmi questi venti diamanti, così
li vado a mettere in cassaforte?».
Il giovanotto guardò il nobiluomo con una curiosa espressione.
«Ma certo, milord… Siete sicuro che siano venti?».
«Ovviamente! Li ho contati io stesso! Perché me lo chiedete?».
«Ma… strano, a me sembrano diciannove, ma forse mi sbaglio io,
permettete?».
«Ma certamente!». Il ricco affarista, un po’ preoccupato, porse lo
scrigno al contabile.
«…diciassette, diciotto, diciannove. Purtroppo non mi sbagliavo,
milord. Ne manca uno».
Lord Fester, pallido in viso, prese bruscamente lo scrigno e ricontò i
diamanti. Erano davvero diciannove. Guardò con espressione avvilita il
suo collaboratore.
«Ma come può essere?».
«Possibile che vi abbiano imbrogliato? Siete sempre così attento…».
«Quel pirata! Ma no… non ha senso. Li ho contati io prima di chiudere
lo scrigno… poi non li ho mai persi di vista…».
«Milord, se erano venti quando avete preso lo scrigno e ora sono
diciannove, qualcuno ne ha sottratto uno nel tragitto fino qui, mi
sembra evidente».
«Avete ragione ma mi sembra impossibile… c’era mia moglie, con me… e
Barnett… figurarsi se qualcuno oserebbe rubare qualcosa sotto gli occhi
di Barnett… la sua spada è la più letale di tutta Elosbrand».
«Eppure, qualcuno c’è riuscito. Però, milord, datemi retta: portate lo
scrigno in uno dei vostri forzieri. Lì sarà al sicuro. Poi cercheremo
di capirci qualcosa».
Le mani sudate di lord Fester si strinsero spasmodicamente sul piccolo
contenitore.
«Avete ragione. Meglio mettere al sicuro questi».
Si alzò tremante, stringendosi al cuore lo scrigno, come per
proteggerlo da altre aggressioni, poi si diresse verso la porta. Giunto
sulla soglia si voltò.
«Sareste così gentile da accompagnarmi, signor Seernin? Ho bisogno di
una persona fidata».
«Ma certo, milord».
L’untuoso contabile si alzò dalla scrivania, prese il suo bastone da
passeggio e si avviò dietro il nobiluomo con passo malfermo,
dimostrando un’evidente zoppia. La causa di quella menomazione non era
evidente ma l’omino pareva non gradire molte domande sulla sua
infermità, che, comunque, doveva datare da parecchio tempo. Paul
Seernin non era decisamente un uomo in grado di entrare nelle grazie di
Lady Fester, cosa che aveva pesato non poco, al momento dell’assunzione.
Scesero a piano nobile e percorsero il lungo corridoio che portava alle
stanze padronali, davanti alla porta delle quali stazionava un giovane
armato che stava parlando con Barnett. Nel vedere sopraggiungere Lord
Fester, entrambi si voltarono e lo salutarono con deferenza.
«Barnett! Sono lieto che siate qui. Mi hanno rubato un diamante!».
«Scusate?».
«Ma sì, un diamante! Dallo scrigno che abbiamo portato qui dalla nave!».
L’avventuriero guardò perplesso il suo signore, poi gli si rivolse con
tono sicuro.
«Allora, il furto è avvenuto sulla nave, milord. Vi ho seguito a
cavallo da vicino, senza mai perdere d’occhio il calesse e nessuno si è
mai avvicinato».
«Siete sicuro?».
«Certamente, milord».
«Ma, allora, come diavolo può essere accaduto?».
«Probabilmente, qualcuno di quei pirati l’ha sottratto all’ultimo
momento, come fanno certi illusionisti da strada… o i borsaioli».
«Ma… Va bene! Ci penseremo. Seernin ha ragione, dobbiamo mettere al
sicuro questi altri diamanti».
Entrarono nell’appartamento e attraversarono numerose stanze riccamente
arredate, fino a giungere nella camera da letto di lord e lady Fester.
Qui Barnett, Seernin e la guardia si fermarono, voltando
rispettosamente le spalle al loro signore che si accingeva a spalancare
la sala del tesoro. Il contabile e il giovane armato guardarono fissi
dinanzi a loro, disinteressandosi di quanto accadeva nella stanza,
mentre Jim Barnett non seppe trattenersi dallo sbirciare dietro la
propria spalla.
Lord Fester armeggiò un poco nei pressi dell’armadio, poi si udì uno
scatto e il pannello si aprì.
«Potete voltarvi».
La vicinanza dei suoi tesori doveva rincuorare molto lord Fester che
aveva ripreso a sorridere. Attese che i tre uomini si fossero
avvicinati, poi si diresse verso il forziere centrale, che era anche il
più grosso. Barnett osservava incuriosito il suo signore. Questi
sembrava un topo nel formaggio e pareva aver dimenticato l’ansia
cagionatagli dalla scomparsa della gemma. Rimase un attimo a osservare
pensieroso il comportamento del nobiluomo, poi si riscosse e si voltò
verso la guardia.
«Resta qui e che nessuno si avvicini senza l’autorizzazione del
signore».
«Sì, capo».
Lord Adrian e Seernin si erano accostati al forziere e il nobile stava
già armeggiando intorno alla serratura, con lo sguardo eccitato di un
innamorato che si appresta ad incontrare la sua bella. Barnett provò un
vago senso di fastidio. Era un uomo d’armi, amante della sua
professione e interessato alla ricchezza come chiunque ma non era avido
né capiva l’atteggiamento di chi fa della ricchezza l’unico scopo e
interesse della propria vita. Comunque, non era pagato per approvare
incondizionatamente tutto ciò che faceva il suo datore di lavoro, né
criticarlo rientrava nelle sue competenze. Rimase a osservarlo con il
blando interesse che si può provare di fronte a una creatura insolita
e, quando lo vide sbiancare e vacillare all’indietro, non fu pronto
come avrebbe voluto nel sorreggerlo. Lord Adrian Fester rovinò al
suolo, emettendo un suono gorgogliante dalla bocca spalancata.
«Signore! Che succede? Seernin aiutatemi!».
Ma il contabile aveva fatto un salto all’indietro e ora era appoggiato
alla parete di fondo con le spalle e le braccia dietro la schiena, come
per sorreggersi ed evitare di cadere. Gli occhi erano fissi sul
forziere e la bocca era rimasta spalancata in un’espressione di
assoluto stupore.
«Milord!». Rapidamente, Barnett sdraiò sul pavimento lord Adrian che
pareva paralizzato. Spostare da solo un uomo della mole del suo signore
era impresa decisamente superiore alle sue forze, sicché lanciò uno
sguardo esasperato all’impiegato, ancora appoggiato alla parete.
«Signor Seernin! Se avete deciso di non svenire, cercate di darmi una
mano. Milord si sente male».
«A… arrivo, signor Barnett».
Il giovane si avvicinò timidamente al nobiluomo ma, prima che potesse
toccarlo, questi si rizzò a sedere, gridando.
«Aiuto! I ladri! Le mie ricchezze!».
«Calmatevi, milord. Le ritroveremo, vedrete».
«Gli altri forzieri… fatemi vedere gli altri forzieri».
Lo aiutarono a rialzarsi e lo accompagnarono nella triste rassegna
degli altri contenitori che apparvero desolatamente vuoti.
«Aiuto! Barnett, aiutatemi! Seernin, aiuto!».
Lo spadaccino trattenne a stento un sorriso ma si rivolse al disperato
nobile con voce sufficientemente rassicurante.
«Sdraiatevi sul letto, milord. Cercheremo subito di ritrovare le vostre
ricchezze».
«Chiamate mia moglie! Chiamate le guardie! Chiamate i senatori!».
«Calmatevi, milord. Vado subito. Signor Seernin, sareste così gentile
da restare con lord Fester?».
«Sarà un piacere, signor Barnett. Andate pure».
Lady Fester stava entrando nei suoi appartamenti, quando vide Barnett
correrle incontro. Apprezzava molto quel giovane spadaccino, col quale
aveva avuto modo di sollazzarsi più volte, dunque sorrise sensualmente
nel vederlo avvicinarsi ma comprese immediatamente che qualcosa di
grave doveva essere accaduto. Barnett non sorrideva e il suo bel viso
era evidentemente irrigidito dalla tensione.
«Jim? È accaduto qualcosa?».
«Siete stata derubata, milady. Lord Fester si è sentito male ma sta già
riprendendosi».
«Come, derubata?».
«I vostri forzieri sono vuoti, milady. Qualcuno è penetrato nella
stanza segreta, stanotte».
«I… forzieri? E…». La nobildonna esitò. «Cos’altro è successo?».
«Vostro marito ha avuto un malore. Seernin e io lo abbiamo messo a
letto e ora stavo per andare a chiamare le guardie».
«Aspettate. Accompagnatemi, voglio vedere di persona».
Barnett la guardò pensoso, poi scosse la testa e chiamò il giovane di
guardia.
«Vai a cercare un ufficiale della Guardia di Elos[7] e portalo qui. È
una faccenda seria».
Girò sui tacchi e scortò lady Fester nell’appartamento. Paul Seernin
stava parlando quietamente con lord Fester, quando la coppia entrò
nella stanza. Il contabile fece un inchino e si allontanò dal letto.
«Adrian! Cos’è successo?». La splendida donna si avvicinò al letto dove
il marito giaceva, pallido ed esausto. Nel vederla, questi parve
rianimarsi.
«Il mio oro! Il mio oro!».
«Semmai, il nostro, amor mio. Ora tranquillizzati. Lascia fare a me».
La sua voce suonò ferma ma un’ombra di turbamento passò sul suo bel
viso. Guardò un attimo il marito, poi si voltò e si diresse verso la
stanza segreta, seguita da Seernin che portava una lampada. La
nobildonna esitò un attimo nell’entrare, osservando attentamente la
stanza alla luce tremolante proiettata dalla lampada, prima di
avvicinarsi ai forzieri. Innervosita da quel tremolio, si voltò a
osservare il giovane impiegato, accorgendosi, con disprezzo, che
tremava tutto. Guardò con espressione triste e assorta i contenitori
svuotati di ogni ricchezza, poi si rivolse al contabile.
«La stanza era aperta o chiusa, quando siete arrivati?».
«Era chiusa, milady. L’ha aperta lord Adrian. Ovviamente ci siamo
voltati mentre lo faceva».
«Ovviamente. Anche i forzieri erano chiusi?». La voce della donna era
piatta, atona.
«Sì, milady».
Lady Fester esaminò ancora la stanza, poi si voltò e uscì, sempre
seguita a rispettosa distanza da Seernin che pareva incapace di
proiettare la luce più in alto dei suoi piedi. La sua espressione, pur
accigliata, sembrava meno ansiosa mentre si avvicinava nuovamente al
letto del marito.
«Adrian, vuoi raccontarmi per filo e per segno tutto quel che è
accaduto?».
La voce di Seernin, sempre monotona e nasale intervenne prima che lord
Fester iniziasse a parlare.
«Milady, se la mia presenza non è più necessaria, dovrei finire il
lavoro sul quale ero impegnato prima che succedesse tutto questo».
La donna replicò con voce vagamente infastidita, senza neppure voltarsi.
«Potete andare, Seernin. Grazie». L’impiegato fece un inchino, si voltò
e uscì in silenzio dalla stanza.
«Non ti è mai piaciuto quel ragazzo, vero cara? È una cosa insolita,
devo dire». Un pallido sorriso aleggiò sulle labbra del nobiluomo.
«Non so cosa dirti. È troppo… grigio. Mi fa innervosire solo a
guardarlo. Ora raccontami tutto».
Lord Adrian non si fece pregare e raccontò tutto quel che era accaduto
dal momento in cui era sceso dalla carrozza. La moglie lo ascoltò
attentamente, poi rimase in silenzio, con espressione meditabonda.
«Raccontami tutto di nuovo».
Il marito la guardò con aria stupita.
«Come? Ma perché?».
«Racconta tutto. C’è qualcosa che non capisco. La sparizione di quel
diamante. Non capisco».
«Ma che vuoi che sia un diamante, ormai? L’avranno quei pirati ma non
me ne importa nulla.
Io rivoglio i miei tesori!». La voce di lord Fester aveva un che di
petulante. La moglie lo guardò con un misto di commiserazione e
impazienza ma, quando parlò, lo fece con la massima dolcezza di cui fu
capace.
«Ripetimi tutto. È importante».
«Va bene, cara…».
Lord Adrian ripeté tutto il racconto, cercando di essere il più preciso
possibile. Alla fine lady Fester sorrideva di un sorriso crudele.
La porta si spalancò e lord Fester entrò nella stanza, scuro in volto,
seguito dalla moglie i cui splendidi occhi lampeggiavano terribili
minacce e da Barnett, impassibile, come sempre. Lo spadaccino chiuse a
chiave la porta e, quando si voltò, l’arma gli brillava in pugno. La
finestra dava sul cortile, con un salto di oltre dieci metri su un
fondo lastricato che difficilmente avrebbe concesso scampo a chi vi
fosse caduto. Nessuno sarebbe uscito da quella stanza senza il permesso
dei Fester.
«Signor Seernin, credo ci dobbiate delle spiegazioni».
Il contabile alzò il naso dalla pergamena che stava leggendo e sorrise.
«Davvero, milord? E, di grazia, cosa dovrei spiegarvi?».
Lady Fester si fece avanti con un sorriso sarcastico.
«Per esempio, come avete fatto a sottrarre il diamante dallo scrigno
sotto il naso di mio marito».
Se la domanda aveva impressionato il giovane non ci fu modo di capirlo.
Non un muscolo del suo volto si contrasse e la voce risuonò nasale e
monotona, come sempre.
«Solo questo? Volete dire che mi accusate di aver sottratto il
diamante?».
La bellissima donna lo guardò con aria di superiorità.
«Chi altri avrebbe potuto?».
«Per esempio, chi ha svuotato i vostri forzieri, milady».
«Davvero? E voi sapete chi è stato?». La voce della donna si era fatta
beffarda.
«Ma mi pare evidente: Blackwind. È di una semplicità lampante. A
proposito, avete chiamato le guardie?».
La nobildonna apparve interdetta.
«Certo… Stanno ispezionando la stanza dei forzieri… ma che c’entra
Blackwind? Non cercate di confondere le acque!».
Il contabile si tolse gli occhiali dal naso e sorrise.
«In questo caso, avranno già trovato il diamante, dunque, non datevi
pensiero per quello».
«Cosa? Perché dite questo? Dov’è il diamante?».
«Nel piccolo spazio del muro di fondo, proprio dove un cuneo ficcato a
forza bloccava il pannello che chiude lo scomparto segreto dove
giacciono i cadaveri di vostra figlia e di vostro nipote che avete
condannato a una morte orribile, sepolti vivi. A quest’ora le guardie
sanno già tutto». La voce del giovane aveva perso la sua monotonia e
risuonava dura e limpida, non più nasale.
«Cosa? Di cosa state parlando?».
«Permettetemi di rinfrescarvi la memoria». Lo sguardo che dardeggiò sui
coniugi era colmo di minaccia e disprezzo. «Vostra figlia si era
innamorata di uno dei vostri guardaspalle, un mezzorco, forse non un
esempio di virtù ma forte e coraggioso. Quest’unione vi era sgradita,
dunque, avete proibito a vostra figlia di frequentarlo ulteriormente.
Al suo rifiuto l’avete segregata in quella cella, accusando il mezzorco
di averla rapita e condotta chissà dove».
«L’aveva rapita!».
«Sì, nel cuore. Ma voi l’avevate rinchiusa in quello sgabuzzino. Avete
fatto arrestare e condannare ingiustamente quel poveretto per separarlo
definitivamente da vostra figlia. Ma lei portava in grembo il frutto
del loro amore. Quando dette alla luce il bimbo, dai tratti evidenti
del mezzosangue, avete condannato entrambi a una morte orribile. Temo
che sarete voi a dover dare molte spiegazioni, milady».
La donna era impallidita, guardava l’uomo che aveva davanti con timore
e stupore di fronte alla sua calma glaciale. Lord Fester indietreggiò
fino alla porta, guardando la moglie e quel sorprendente individuo che
aveva ritenuto un innocuo impiegato.
«Era un mezzorco! Non avrei mai permesso a un simile mostro di entrare
in casa mia!».
«Perché, milady? Eravate già troppi?». La voce del giovane era
diventata tagliente e dura come l’acciaio. La donna lo guardò con gli
occhi spalancati per il furore.
«Chi siete voi?».
«Non l’avete ancora indovinato, milady?».
La nobildonna, rossa in viso per la rabbia, gridò con voce stridula.
«Barnett, uccidilo!».
Lord Adrian sfoggiò un sorriso feroce, mentre Barnett si avventava
sull’omino dietro la scrivania.
«Avete osato troppo Seernin. E pagherete con la vita. Jim è la miglior
lama di Elosbrand…».
Non terminò la frase perché la scrivania si ribaltò improvvisamente,
spinta da un robusto calcio del giovane che la spedì sulla traiettoria
dello spadaccino, costringendolo a interrompere l’assalto. Un attimo
dopo, il bastone da passeggio si trovava in pugno al contabile che ne
estrasse fulmineamente una lunga lama nascosta all’interno, trovandosi
così con uno stocco simile a quello del suo avversario. Seernin aveva
perso l’aspetto curvo e dimesso, per apparire spavaldo e sorridente,
senza più un’ombra di zoppia.
«State sottovalutando troppo il vostro avversario, milord. Barnett,
siete certo che ne valga la pena?».
«Non sono pagato per giudicare il mio principale. Sono pagato per
uccidere chi lo minaccia».
L’assalto di Barnett fu brutale ma il giovane avventuriero non fece una
piega, parando le stoccate dell’avversario con estrema eleganza e
ricacciandolo indietro con contrattacchi fulminei. Era certamente meno
forte ed esperto del suo avversario ma la sua agilità fuori dal comune
e la sua precisione nei colpi pareggiavano le differenze fisiche. Gli
assalti della migliore lama di Elosbrand vennero rintuzzati
dall’avversario che non cedeva di un passo, costringendo, anzi, Barnett
a continui cambi di posizione, per evitare gli improvvisi affondi di
Blackwind. La guardia del celebre ladro pareva invalicabile. Il sorriso
di lord e lady Fester si andava sempre più spegnendo.
A un tratto, l’esasperato spadaccino tentò il tutto per tutto,
approfittando di un passo indietro dell’avversario, che si era
avvicinato alla finestra. Barnett caricò, portando tutto il suo peso in
un affondo che sarebbe stato letale, se avesse colto il bersaglio.
Blackwind, invece, si abbassò improvvisamente, spostando indietro la
gamba sinistra e poggiando al suolo il braccio mancino, opponendo un
terribile affondo di contrattacco. Barnett si schiantò, trascinato dal
suo stesso impeto, contro il parapetto della finestra, mentre il suo
braccio destro, trapassato dalla lama avversaria, pendeva lungo il suo
corpo, privo di ogni capacità di movimento.
«Temo che siate, al massimo, la seconda lama di Elosbrand, Barnett». La
voce del celebre bandito, solo lievemente affannata, era priva di
qualsiasi traccia di animosità. Divenne, invece, glaciale quando si
rivolse ai due spietati consorti.
«Addio, signori. Dubito assai che riuscirete a cavarvela, stavolta».
Qualcuno bussò violentemente.
«Aprite alla Guardia di Elos! Aprite o abbatteremo la porta».
Lord e Lady Fester si guardarono sconvolti. Erano in trappola. Si
voltarono verso Blackwind ma il ladro era già scappato dalla finestra.
Sporgendosi dal davanzale, lo videro mentre spariva sul tetto. Per lui
era una cosa semplice ma loro non sarebbero mai stati in grado di
seguirlo.
L’alternativa era l’ignominia e probabilmente il carnefice oppure un
salto senza scampo.
Non osarono scegliere.
Poi la porta si spalancò di schianto.
--------------------------------------------------------------------------------
[1] Grande città portuale, capitale della Repubblica di Elos
[2] Dea dea dell'Amore terreno
[3] Dea della vendetta
[4] Città portuale del nord, capitale del regno di Kaardir
[5] La capitale dell'Impero di Ardor, la più grande e ricca di Ainamar
[6] Isola settentrionale nota per ospitare numerose comunità di pirati
[7] La forza militare che assicura l’ordine a Elosbrand e nel
territorio della Repubblica
|