Grazie per le splendide
recensioni.
@Pheeny:
Grazie mille!
@MadWorld: sì,
mi sono divertita a scriverla anche io! Grazie!
@Nicky_Iron:
Ahaha, beh qui spero di averti fatta divertire un po’ di
più. Questi capitoli
purtroppo sono un po’ noiosetti perché devo tirare
le fila dei 40 capitoli
prima. ;) Grazie per i complimenti comunque e per continuare a seguirmi!
@Altovoltaggio:
Ehi, bentornata! ;D Rose e Sy sono stati un po’ eclissati
dalle vicissitudini
dei fratelli Potter, ma prometto che nella seconda parte avranno
più spazio,
adolescenzialmente parlando. Gli alchimisti (o meglio la Thule) pensano
che per
‘sconfiggere’ e ‘impossessarsi della
bacchetta’ si debba ucciderne il
posessore. Un errore che del resto ha fatto anche Voldemort, facendo
fuori sia
Silente (per mano di Piton) sia Piton stesso e ancor prima Grindenwald.
Un errore
tipico da megalomani. Pochi infatti sanno che basta
‘disarmare’ l’avversario,
anche non con quella bacchetta.
@Aga: Ahaha,
grazie per i complimenti, e sì, la nuova famiglia Dursley
piace anche a me. ^^
@Simomart:
Grazie, grazie, grazie! Le tue recensioni sono sempre dettagliate,
belle e
puntuali. Mi fa piacere anche che piano piano anche i lettori imparino
ad amare
i personaggi come li amo io. In realtà, siete un
po’ i loro padroni onorari, perché
vivono anche grazie a voi^^ Dudley è un personaggio che ha
cominciato ad
interessarmi quando la Row gli ha fatto avere un cambiamento di rotta.
Adoro quando
un personaggio evolve e matura, lo trovo da parte di
un’autrice un tocco in più
alla sua storia. E sì, penso che crescendo Big D abbia
capito che essere amati
non è così scontato, se non si tratta dei tuoi
genitori. Il rapporto di Tom e
Dudley aspettavo un bel po’ a farlo, e mi fa piacere che sia
stato apprezzato. Del
resto il vero padre di Tom è Dudley, non Harry. Purtroppo
per Rosie e Sy, non
ho tempo… ma avranno più spazio nella seconda
parte ^^
@Trixina: Ho
recapitato i tuoi complimenti alle fan-artist! E sì,
l’avete notato tutti, Harry
ha spesso frainteso Thomas, vedendolo come un suo clone per molti
versi, quando
in realtà Tom è diverso da lui, sia per
esperienze che per altro. Anche se in
effetti i punti di contatto ci sono. ^^ Grazie mille per la recensione!
E Lily
avrà il ruolo di ‘quasi’ protagonista
nella prossima parte. Vedrai!
****
Capitolo XLIV
Let’s
grow old
together/ And die at the
same time.
(To lose my life, White Lies)
10
Novembre 2022
Hogsmeade,
Tre Manici di scopa.
Mattina.
Harry varcò la
soglia dei Tre
Manici di scopa senza neanche controllare di essersi asciugato le
scarpe dal
fango che infestava la strada principale – nonché
l’unica - di Hogsmeade.
“Harry!” Lo accolse Hannah Paciock, con un sorriso
che gli riscaldò le ossa
infreddolite. “Che tempaccio, eh? Si preannuncia un inverno
tremendo, neve
sicura per Natale. Forza, forza… dammi il tuo mantello, lo
metto nel
guardaroba!”
“Grazie Hannah.” Le sorrise, guardandosi attorno.
Aveva un appuntamento con
Zacharias Smith e a giudicare dal locale privo della sua presenza,
l’uomo era
in ritardo.
“Cosa ti
porto?”
“Whiskey incendiario. Niente ghiaccio.”
Recitò distratto. “Scusami …”
Aveva avvistato Smith. Se ne stava ad uno dei due bovindi della
locanda,
sorseggiando quello che sembrava proprio whiskey incendiario Ogden
stravecchio.
Beh,
almeno abbiamo un punto comune.
Si
avvicinò, sedendosi davanti a lui.
“Potter.”
Recitò l’uomo,
alzando a malapena lo sguardo dalla propria Gazzetta. “Sai
che riescono a
citarti anche quando l’indagine non è
tua?”
“Prova a dirmi qualcosa di nuovo, Smith.”
Replicò irritato. “Non ho opposto
resistenza, mi sembra, al passaggio di mano.”
“Come avresti potuto? Il Ministero si sarebbe trovato in una
posizione
sfavorevole, a doverti sbattere in cella per ostacolo ad
un’indagine.”
“Ostacolo?”
Serrò le labbra. Si
impose di calmarsi. “Se hai risposto, significa che sei
disposto a parlare
civilmente, suppongo.” Cambiò discorso.
Smith alzò gli occhi dal giornale, finalmente. Lo
squadrò diffidente. “Diciamo
di sì.” Bevve un sorso dal proprio bicchiere,
schioccando la lingua. Harry notò
che aveva la pelle tirata, grosse occhiaie attorno agli occhi e la
barba non
perfettamente rasata.
Incantesimo
di rasatura riuscito male…
A
quanto pare aveva ragione Herm. Questa gatta da
pelare è troppo grassa per lui.
“Diciamo che mi
dici ciò che
sai.” Aggiunse.
“È tutto nel rapporto che l’agente
Weasley ti ha fatto recapitare…”
“Stronzate.”
Sputò Smith. Si schiarì
la voce quando vide che Hannah, si era avvicinata con
l’ordinazione. “C’è
scritto il minimo indispensabile, non prendermi per il culo.”
“Il resto del lavoro l’abbiamo svolto come privati
cittadini, Zacharias.”
Obbiettò pacatamente, e con una certa soddisfazione.
“Posso essere arrestato
per aver fatto visita ad un amico in India?”
“In
India?” Serrò le labbra.
“Certo, i Naga… Ancora con quella teoria secondo
cui l’aggressione di Duil è
collegata al rapimento del ragazzo?”
“Non una teoria. È la realtà dei
fatti.” Replicò, facendo un lieve sorriso ad
Hannah, prendendo il bicchiere. Quando la vide allontanarsi
continuò. “Ho
incontrato il capotrib … ho incontrato uno dei guerrieri
della delegazione. Ci
ho parlato.”
“Perché, parlano?” Sbuffò
sospettoso.
“Nella loro lingua
sì. Ho
avuto… un traduttore.”
Una cicatrice traduttrice.
“E
cos’hanno detto?”
“Che sono stati venduti da Duil ad un altro mago, che li ha
messi sotto la
maledizione imperio, facendogli
compiere quello che sai.”
“Facile a dirsi. Ti ricordo che quei…
cosi… erano piuttosto resistenti agli
incantesimi.”
“Ti ricordo che qui stiamo parlando di una maledizione senza
perdono, non di
uno stupeficium,
Zacharias.”
Obbiettò, bevendo un sorso del proprio drink per evitare di
aggiungere ‘immenso
cretino incompetente’. Ma almeno lo stava ascoltando.
Più
di quanto mi aspettassi… Se è arrivato a
considerare le mie deliranti teorie
vuol dire che è decisamente disperato.
Smith fece un cenno
distratto
con la mano. “Questo può anche essere vero, ma
dimmi, pensi che avrebbero detto
la verità a te?”
“Penso che in ogni caso non avrebbero avuto molto da perdere.
Ero un mago
inglese in suolo straniero, e secondo la loro mentalità nel
loro territorio.
Potevano sbattermi fuori, e non l’hanno fatto. Mi hanno detto
la verità.”
“Quindi questo
mago li ha
messi sotto imperio…
perché?”
“Per creare un diversivo. Farci credere che agissero sotto
gli ordini di Duil,
che voleva vendicarsi di Hogwarts, quando in realtà li aveva
usati per trovare
degli oggetti. Percepiscono il campo magico degli oggetti.”
“Che oggetto?”
“La Pietra della Risurrezione, uno dei Doni della
Morte.”
L’uomo ebbe il buonsenso di deglutire. Vide il pomo di Adamo
fare su e giù in
quella gola detestabile e capì di avere finalmente la sua
attenzione.
La storia dei Doni della
Morte
era trapelata dopo la sconfitta di Voldemort e delle sue armate.
Più che
trapelata, era irrotta nei principali quotidiani nazionali, e aveva
tenuto
campo a lungo.
Fortunatamente era riuscito
a
frenare le interviste, e tutt’ora nessuno era a conoscenza di
quali fossero
esattamente i Doni e dove si trovassero.
“È
questo quello a cui
puntava? E cosa c’entra il ragazzo?”
Harry inspirò. “Questo non lo so…
Thomas è stato adottato, ma della sua
famiglia non si sa nulla. È stato rapito da bambino da un
mangiamorte, Artemius
Coleridge.”
“Voldemort…” Era il collegamento
conseguente, ma Harry si sentì comunque a
disagio.
“Sì, ci
ho pensato anche io
all’epoca. Ma Thomas non può avere nulla a che
fare con lui. Cronologicamente è
impossibile, è nato quasi dieci anni dopo.”
“Un Dono… quanti sono?”
“Tre.”
“E quanti ne ha in suo possesso?”
Harry si passò una mano sulla guancia, trattenendo appena il
respiro.
Ci siamo fatti ingannare come
cretini…
Pensavo che nessuno fosse a conoscenza del fatto che uno dei mantelli
invernali
di Jamie era Il Mantello, e invece…
“Due su
tre.”
Smith serrò la presa attorno al bicchiere. Ebbe la presenza
di spirito di
inghiottire un’imprecazione. Salvo poi lasciarla uscire
comunque. “Merda.”
“L’ultimo Dono è al sicuro.”
Lo precedette Harry. “In ogni caso, anche se
tentassero di riunirli, non funzionerebbero a dovere. L’unico
modo per
possederli è sconfiggere il precedente possessore.”
“Cioè Harry Potter.” Ironizzò
l’uomo. “In ogni caso, si torna sempre a
te.”
Harry fece una smorfia. “Per quanto i miei detrattori pensino
il contrario, non
mi piace essere al centro dell’attenzione di squilibrati
assetati di potere.”
Smith tese le labbra in un
sorriso sgradevole: non gli credeva, e non si piacevano. Ma dovevano
collaborare. Si guardarono negli occhi, forse per la prima volta in
quella
manciata di lunghi minuti.
A Harry ricordò
il genere di
sguardo che vedeva in quei film babbani, con i cowboys e le pistole,
che tanto
piacevano al defunto Vernon Dursley.
“Per quanto mi
costi
ammetterlo… Le indagini non stanno procedendo.”
Ammise dopo un breve silenzio
l’ex tassorosso. “Ma ho un’altra domanda.
Se questo John Doe vuole i Doni…
perché rapire quel ragazzo? Non avrebbe avuto più
senso rapire uno dei tuoi
figli?”
“Thomas è come un figlio per me, ma non
è questo il punto.” Replicò, sentendo
un brivido freddo scendergli lungo la nuca. Solo la certezza che Ted e
Neville
stavano vegliando sulla sicurezza dei suoi ragazzi gli dava la
possibilità di
non andarli a prendere e
nasconderli in
un luogo sicuro. “Il punto è che in qualche modo
credo sia implicato in questa
faccenda.”
“Certo, è venuto a patti con
quell’uomo.”
“L’ha ingannato.”
Calcò la parola,
finendo in un sorso il whisky. Gli bruciava nelle vene, effetto magico,
ma non
spiacevole: gli permetteva di mantenere la lucidità e la
calma. “Tom ha solo
sedici anni, Zacharias. Non è ancora abbastanza maturo per
non essere
influenzabile.”
“Avresti detto lo stesso di te, alla sua
età?”
“La situazione era diversa. I ruoli nella nostra guerra erano
definiti. Non
avevamo scelta. Quell’uomo l’ha illuso, gli ha
promesso di dargli delle
risposte sul suo passato, sulla sua famiglia. Promesse che per Tom
avevano un
peso inestimabile… e tendenzialmente, non si è
dimostrato chi era se non alla
fine, uccidendo la professoressa Prynn.”
Zacharias non
replicò,
muovendo il ghiaccio, ormai quasi sciolto, all’interno del
proprio bicchiere.
“A questo proposito…” Ebbe una lieve
esitazione, poi storse la bocca e
continuò. “Ho fatto ricerche su quella donna. Per
capire chi fosse e quanto fosse
implicata in questa storia.”
“E?” Non aveva
pensato alla Prynn.
Harry se ne rese conto in quel momento: erano tanti i fronti aperti, su
cui
esaurire energie, sonno e pensieri. E non aveva pensato a trovare
risposte
sulla professoressa di Trasfigurazione. Vitious tempo prima, quando
c’era stato
il problema dei Naga, gli aveva assicurato che le sue referenze fossero
ineccepibili.
Non aveva approfondito.
“Ho fatto un buco
nell’acqua.
Quella donna sembra non essere mai esistita. Le referenze che ha dato
al
preside erano false.”
“Ma Vitious…”
“Il preside ha chiesto all’Accademia, ma io ho
fatto un controllo incrociato.
Ho un amico che manda suo figlio a Salem. Non c’è
mai stata un’insegnante di
trasfigurazione all’Accademia Magica di Salem di nome Ainsel
Prynn.”
“Come?”
“Quello che ho detto.” Si passò una mano
trai capelli radi, serrando la presa
sul bicchiere. “Inoltre ho trovato solo porte chiuse quando
ho chiesto al
Ministero Americano. Non ho avuto un solo gufo di risposta.”
“Non ha
senso… era solo un
insegnante.”
“Solo…”
“Non era un insegnante?” Spiò Harry.
Smith si strinse nelle
spalle,
nervosamente. “Un insegnante è una civile.
Informazioni ce ne sono. Ce ne
dovrebbero essere, e dovrebbero essere fruibili. E se non ce ne
sono…”
“Il Governo non
vuole
fornirle.” Concluse per lui Harry, sentendo un dolore sordo
dietro la nuca. Era
sfinito, frustrato. “Che diavolo significa?”
“Che ci siamo infilati in qualcosa di estremamente grosso e
internazionale,
auror.” Ribatté il Tiratore, schioccando la
lingua. “Quella donna è morta e si
è portata i suoi segreti nella tomba. Ma di certo, non era
ad Hogwarts per
insegnare… Dursley è stato visto spesso in sua
compagnia. Si diceva che
avessero persino un affaire…”
Harry lo guardò incredulo. “Con Tom?”
“Inizialmente ho pensato che fosse un delitto
passionale.” Sbuffò, notando la
sua faccia esterrefatta. “Non guardarmi come un idiota, stavo
solo seguendo
delle piste, e c’era ben poco su cui lavorare, se non il
rapporto pieno di
falle del tuo braccio-destro. Ma poi… c’erano
troppi punti oscuri, troppe
lacune. È come se qualcuno stesse tirando le fila e non dal
nostro lato.”
“Hai interrogato…”
“Ho interrogato il corpo insegnante. Desolante, sembra che
lì dentro nessuno
sappia un accidenti di quello che gli succede sotto il naso. I tempi di
Silente
sono finiti da un pezzo…” Ironizzò. In
uno strano modo, Harry sentì che poteva
dargli ragione. “Poi ho interrogato gli amici del
ragazzo… i tuoi figli.
Davvero niente male… si erano preparati una versione
piuttosto avvincente e
convincente di quello che era successo secondo loro.”
“Non ne sono a conoscenza Smith.”
L’uomo lo squadrò diffidente poi
scrollò le spalle. “Sostanzialmente, hanno
detto le stesse cose che hai detto tu. Che Dursley era stato ingannato,
che
quell’uomo si era mosso all’interno di Hogwarts
occultando i suoi reali intenti
fino all’ultimo. Che aveva orchestrato l’attacco
dei Naga e l’aggressione a
Lupin. Tutto si riduce, alla fine, a due sole domande. Chi è
John Doe, e per
chi lavora.”
“Forse gli stessi della professoressa Prynn.”
Suggerì. Era come un maledetto
gioco di scatole cinesi. Ognuno aveva un informazione, ma non
c’era possibilità
di metterle assieme per avere un quadro completo. Era una strategia
sottile, e
c’era un solo master-plan ad orchestrare il tutto, solo una
persona che sapeva
tutto e aveva messo le persone le une contro le altre.
John
Doe. Chi sei?
“In ogni caso, la
priorità al momento
è ritrovare il ragazzo.” Lo riscosse Smith.
“Anche se sembra svanito nel nulla…
e poi c’è la questione della bacchetta.”
“La bacchetta di Tom, certo. Non la ha con sé,
è stata ritrovata vicino al
corpo della…” Non finì la frase,
perché realizzò l’implicazione.
Serrò le
labbra. “Non crederete…”
“La bacchetta di Dursley ha lanciato la maledizione,
Potter.” Sbottò l’uomo.
“Su questo non c’è dubbio. Ora, pensavo
che fosse stato il ragazzo, ma ci sono
dubbi anche su questo…”
“Tom non userebbe mai
quella maledizione.
Ne conosce le implicazioni, le conosce bene.” Eruppe con
forza, sentendosi la
cicatrice formicolare lievemente, quasi ricordasse come era nata.
“È solo un
ragazzo… Può essere stato disarmato.
Può essere un ennesima diversione di John
Doe.”
“Può essere, come può non
essere.” Replicò Smith, senza lasciarsi
intimidire.
“Potter, sto solo facendo il mio lavoro. Devo prendere in
considerazione tutte
le opzioni.”
Harry si tolse gli occhiali, in un gesto nervoso, salvo rimetterseli.
“E qual è
quella che ritieni più plausibile?”
“Mio malgrado…” Prese tempo, cosa che
Harry giudicò piuttosto odiosa. “Mio
malgrado neppure io penso che sia stato lui. È un
incantesimo potente,
difficile da eseguire. Basta una lieve esitazione e non sprizzi che una
manciata di scintille verdi. Ho provato a capire se il
ragazzo avesse quel genere di determinazione…
e ammetto di aver giocato sporco con tuo figlio minore.”
“Albus?” Si dominò a stento.
L’istinto di protezione a volte era una brutta
bestia. “Perché l’hai messo sotto
pressione? Cosa speravi di ottenere?”
Smith storse la bocca, irritato. “Per chi mi hai preso? Puoi
non piacermi, e
sinceramente penso che tu sia un arrogante pezzo di idiota.”
Reciproco –
Pensò Harry.
“… ma voglio chiudere questo caso quanto te. Non
provo piacere a torchiare
minorenni spaventati…” Tese le labbra in un
sorrisetto divertito. “Comunque
sarai felice di sapere che ha tenuto fede al vostro cognome. Mi ha
urlato
addosso piuttosto arrogantemente…”
“Al?” Ripeté confuso. Conosceva il suo
ragazzo, e sapeva quanto fosse raro che
alzasse la voce, e per giunta davanti all’autorità
costituita. Un exploit se lo
sarebbe aspettato da James, non da lui.
Smith si passò
una mano dietro
il collo. “Ho dislocato cinque pattuglie tra Hogsmeade, i
cancelli di Hogwarts
e la scuola. Ho battuto palmo a palmo la Foresta, per quanto ci
è stato
possibile prima di incappare nei centauri… Dursley non
è ad Hogwarts.”
“Ne sei certo?” Smith serrò le labbra,
ma Harry lo precedette. “Zacharias, non
sto mettendo in dubbio i tuoi metodi di indagine, ma questo
è più di un
semplice caso di rapimento.
Ormai te ne sarai reso conto.”
“Ma rimane un rapimento, e seguirà l’iter.”
Replicò. “Il rapitore ti contatterà.
Del resto, se cerca i Doni… è di te che
avrà bisogno.”
Harry tirò un
lungo sospiro.
I Doni della Morte…
Non ci pensava da quasi
vent’anni. Per quanto lo riguardavano erano qualcosa a cui
Voldemort aveva
aspirato, senza mai capirne la vera natura. Non erano oggetti fatti per
accrescere il potere di un mago. Non erano neppure così
potenti, sebbene
fossero indubbiamente straordinari.
Erano un monito.
Un
monito a non temere la morte, ma accettarla come
inevitabile e parte di te stesso.
Solo chi non la teme, può esserne il vero padrone.
E Thomas, in tutto quello,
che
ruolo ricopriva?
Chi
sei davvero, Tom?
Hannah si
avvicinò ai due,
titubante, quasi temendo di disturbare il loro silenzio.
“Zacharias…
è arrivato un Gufo
dal Ministero.” Gli tese la lettera, umida di pioggia.
L’uomo la prese, facendole un cenno distratto, e
aprì la ceralacca, grattandone
via la superficie con l’unghia.
Harry si sporse leggermente per guardare. “Viene dal
Dipartimento?”
Riconosceva lo stemma che campeggiava a lato del foglio.
Smith serrò le labbra in una linea sottile. “Viene
dall’ufficio del Direttore.”
Harry corrugò le sopracciglia: il Direttore,
nel gergo ufficioso del Dipartimento di Applicazione della Legge Magica
era il
Direttore del Dipartimento intero.
Non ebbe bisogno di
chiedere,
fu Smith stesso a continuare. “… Sono convocato.
Anzi, siamo convocati.”
Schioccò le labbra, senza nascondere
l’insoddisfazione. “Pare che sappiano che sei qui
con me, Potter.”
Harry non rispose. “E cosa vogliono?”
Smith si alzò, richiamando con un cenno Hannah.
“Non ne ho idea. Ma vogliono
che andiamo adesso.”
****
Hogwarts,
Sotterranei. Aula di Pozioni.
Mattina inoltrata.
Albus era stufo.
Questo per eufemizzare. Non era mai stato tipo da riversare la propria
frustrazione sull’altrui persona. Anzi, tendenzialmente
cercava in ogni modo di
tenersi le cose per sé, e al massimo esporle pacatamente in
privata sede.
Certo aveva trascorso sedici
anni di vita lisci, piatti, senza la minima asperità. Il
figlio di mezzo di
Harry Potter il Salvatore, quello meno appariscente, anzi, quello meno
notato
perché finito in una casa che l’aveva inglobato a
sé per non dargli troppo
spazio.
A Serpeverde
l’ambizione e
l’arrivismo si concentravano in una sorta di egoismo
auto-generante, per cui
nessuno ti idolatrava, sempre che tu non ti fossi auto-eletto Signore Del Globo Terraqueo,
schiacciando possibili rivali.
E non era il suo caso.
Ciò
però l’aveva
inevitabilmente portato a non
sopportare le occhiate piene di compassione della sua famiglia,
né tantomeno a
tollerare le occhiate curiose di chi non
sapeva, ma gli sarebbe piaciuto, non è che per
caso…
“Al, come
stai?” Gli ripeté
per forse la milionesima volta Rose, quando la lezione di Pozioni fu
finalmente
conclusa.
Voleva bene alla cugina, nutriva per lei un affetto incondizionato e
totale.
Ma in quei quattro giorni
aveva avuto più volte la tentazione di morderla con il
sarcasmo che sentiva
raschiargli il fondo della gola.
‘Come
vuoi che stia Rose? Adoro
essere
compatito’ – Avrebbe voluto dirle, e per
un attimo immaginò la
soddisfazione di vederla finalmente chiudere la bocca.
Poi naturalmente si
sentì
malissimo. Ma neanche poi molto.
“Sto
bene.” Ripeté, come un
disco rotto di Celestina Wackbeck. Infilò il proprio manuale
di Pozioni dentro
la tracolla, stringendo le cinghie fino a quasi farle gemere. Non che
Rose se
ne accorse. Era troppo occupata a preoccuparsi.
Lanciò uno
sguardo a Michel,
un muto sguardo, che fu immediatamente ricambiato.
Apprezzava la compagnia di
ben
poche persone adesso. Mike era una di quelle: non gli aveva fatto
domande, non gli
aveva sciorinato un ‘però te l’avevo
detto che era schizzato’… Niente.
Semplicemente lo tirava via
e
lo allietava con silenzi studiosi o al massimo con qualche
pettegolezzo.
Michel si spostò accanto a lui. “Andiamo Al, ci
aspetta il nostro gruppo di studio.”
Disse anodino, con un lieve sorrisetto di superiorità a
decorargli le labbra.
Rose assottigliò le proprie in una linea indignata.
“Stavo parlando con mio
cugino, Zabini. Se non l’avessi notato…”
“Certo che
l’ho notato,
Weasley. E la cosa non mi disturba, non dartene cruccio.”
Replicò passandogli
un braccio attorno alle spalle. “Andiamo Al. Loki ci sta
aspettando…”
Al si lasciò portare via, ignorando anche la presa non
desiderata sulla sua
spalla. Se Michel si stava approfittando della situazione, non gli
importava.
In fondo, egoisticamente,
non
gli importava fintantoché si dimostrava amichevole e gli
teneva lontane le
domande altrui.
Anche
se…
Da una parte non si stava
piacendo affatto. Perdeva il controllo con
l’autorità costituita come un matto,
scappava da Rose e ignorava la sua famiglia. Non aveva neanche risposto
al Gufo
di sua madre.
L’unica che
sembrava solidale,
o se non altro capiva era Lily. Lo aveva solo abbracciato, dopo che
aveva avuto
quell’orribile interrogatorio, sussurrandogli ‘noi siamo i buoni’.
Sì,
ma non mi sto comportando da buono, Lils…
O semplicemente, non sto avendo una reazione grifondoro al rapimento
del
ragazzo che amo.
Sottili
differenze…
Michel gli diede un colpetto
sulla nuca, sciogliendolo dalla presa. “Tua cugina
finirà per rapirti, cheri.
Crede che ti stia allontanando
dal vostro clan di peldicarota.”
“Stai parlando della mia famiglia…”
Mormorò, con un lieve sospiro. “Rosie è
solo preoccupata per me. E lo apprezzo, veramente. Se non mi guardasse
come se
dovessi scoppiare a piangere da un momento
all’altro.”
“Ma non ha tutti i torti. Hai un faccino
così…”
“Mike! Ho sedici anni,
per Nimue. E
sono un ragazzo.”
“Un ragazzo delizioso.”
Al, suo malgrado, fece un mezzo sorriso. “Potrei prenderla
come una molestia
sessuale, lo sai?”
“Beh, era intesa in effetti.” Lo
stuzzicò arruffandogli i capelli.
Al se li
riaggiustò con una risatina,
mentre svoltavano l’ennesimo corridoio di pietra umida dei
sotterranei. Non
avevano certo bisogno di affidarsi alla clemenza della memoria, loro.
Michel si fermò
davanti al
muro che nascondeva l’ingresso del loro dormitorio.
“Veni, vidi et vici.”
Recitò prima di lanciargli un’occhiata.
“Come
stanno andando le indagini?”
Al serrò appena le labbra. “Non ne ho idea. Sai,
c’è il fatto che sono un mago
minorenne e semplicemente uno di famiglia.
Credo che mio padre ne sappia più di me, ma non risponde ai
miei Gufi. C’è da
dire che ne riceve così tanti al giorno che non sempre nota
le mie lettere…”
“Perché
non hai detto a Smith
che Tom era il tuo ragazzo?”
“Per rafforzargli la convinzione che siamo una sorta di setta
incestuosa, dedita
a coprirci l’un l’altro? No grazie.”
Scrollò le spalle. Poi vide qualcosa che
attirò la sua attenzione, poco prima che il muro si aprisse
lasciando
intravedere la Sala Comune.
Era uno Tiratore. Sembrava sinceramente spaesato e si aggirava per il
corridoio
con una scatola in mano.
Al dimenticò il suo proposito di chiudersi nella nuova
stanza che gli era stata
assegnata – visto che la loro vecchia stanza aveva i sigilli
dell’indagine in
corso – e lo avvicinò.
“Salve. Posso
esserti utile?”
Chiese, pieno di gentilezza.
Il Tiratore lo
guardò confuso,
prima di rispondere al sorriso. “Ehm…
Sì. Mi chiedevo… Dove si trova
l’ufficio
del Direttore?”
“Il professor Lumacorno?”
“Sì, esatto. Devo consegnargli gli effetti
personali di Thomas Dursley, ma…”
Esitò,
in imbarazzo.
“Non preoccuparti,
questo
posto è un autentico labirinto per chi non ci passa nove
mesi l’anno…” Scherzò
fingendo empatia, mentre lo sguardo automaticamente andò
alla scatola.
Lì dentro
c’erano le cose di
Tom. E se il primo Lumacorno era stato un gentiluomo serpeverde,
unicamente
attaccato al cibo, il nipote, attuale Direttore di Serpeverde, aveva
una
curiosa propensione alla cleptomania.
“Quindi, dove si
trova?”
Chiese l’agente, lanciando un’occhiata curiosa alla
loro Sala Comune alle loro
spalle. Michel si frappose con naturalezza, sbarrandogli la vista.
“Puoi darla a
noi.” Disse Al,
scrollando le spalle. “Gliela recapiterò
io.”
Il ragazzo lanciò uno sguardo alla sua spilla.
“Prefetto Potter.” Lo rassicurò,
indicandola. “Sta’ tranquillo. Ti
accompagnerei all’ufficio, ma ci devo andare dopo e sono
già in ritardo per il
mio gruppo di studio.”
Sei un tassorosso. Dimmi che sei un
fiducioso tassorosso, avanti.
Aveva l’aria di un tassorosso, ma evidentemente
aveva anche delle direttive
ben precise da seguire. “No, credo sia meglio se mi indicata
la strada.”
“Oh, certo. Lo
vedi quel
corridoio?” Indicò alle sue spalle. Il tassorosso
–oh, se lo era –
si voltò. E Al ebbe tutto il tempo di prendere la
bacchetta.
“Confundus.”
Recitò mentre il
poveretto ondeggiò spaventosamente, come colto da un
capogiro improvviso. Gli
prese la scatola tra le mani rilassate e la rimpicciolì per
poi farsela sparire
nelle tasche del mantello.
Il giovane si riprese
velocemente, scuotendo la testa.
“Cosa…?” Si guardò le mani.
“La scatola…”
“L’hai
già consegnata.”
Sorrise, sentendosi l’adrenalina scorrere a mille.
“Non ti ricordi? Ci hai
chiesto informazioni su come raggiungere l’ufficio del
Direttore.”
Il Tassorosso batté le palpebre un paio di volte.
“Oh. Quindi l’ho consegnata?”
“Beh, se non ce l’hai in
mano…” Suggerì, sentendosi i palmi
delle mani
spiacevolmente sudati.
Andiamo.
Sei un tassorosso. Fidati. Lasciami in pace.
Quello
sospirò. “Ah… beh. Allora…
grazie.” Borbottò confuso, prima di voltar loro le
spalle ed andarsene.
Quando ebbe svoltato il
corridoio Al si sentì molto simile all’essere
invincibile. Adesso capiva come
si sentiva James ogni qual volta faceva qualcosa di potenzialmente
capitale per
la sua carriera scolastica. Entrò nella Sala Comune, con
dietro l’amico, che
era rimasto silenzioso per tutta la durata dell’operazione.
“Spero che ne sia
valsa la
pena almeno…” Osservò neutro.
“Sono le cose di
Tom.”
Replicò. Ed era tutto lì in fondo. Si tolse di
tasca la scatola, riportandola
alla forma originaria. “Le devo tenere io.”
La appoggiò su
uno dei
tavolini di mogano nero disseminati per la stanza, aprendola con un
colpo di
bacchetta. Non si era sbagliato: c’erano un paio di libri
personali, l’agenda
babbana dove appuntava le sue scalette di studio e il suo orologio
digitale,
regalo di suo padre per i suoi dieci anni. Con un mezzo sorriso
notò come ci
fosse anche la sua sciarpa verde-grigia. Non la usava mai.
Tirò fuori anche
il suo
preziosissimo, quanto inutile in quei terreni, lettore mp3.
“E se
c’è qualche indizio?”
Spiò Michel guardando indecifrabile gli oggetti. Al era
certo che di alcuni non
ne capisse neanche la funzione.
“Le hanno già esaminate. Se c’era
qualcosa, non è di sicuro qui.”
L’altro fece una smorfia. “Lo sai che quando si
tratta di Dursley perdi il
senno?”
Al sentì un nodo spiacevole allo stomaco: era vero, aveva
fatto qualcosa di
immensamente stupido, e se il Tiratore si fosse accorto di essere stato
confuso,
avrebbe passato dei guai. Enormi.
Ma
sono le cose di Tom.
“Non sono
impazzito.” Ribatté,
infilandosi il lettore in tasca. “Non capisco
perché debba tenerle Lumacorno. A
Tom darebbe fastidio. E metti che prendeva qualcosa?
Tom…”
“Tom potrebbe non tornare.”
La frase fu come uno scoppio di incantesimo nella sala deserta.
Michel non aspettò la sua risposta, continuò.
“Potrebbe essere anche fuori
dalla Scozia, o dal Regno Unito per quanto ne sai.
Al…” Lo afferrò per le
spalle. “So che ci tieni a lui, mi è dolorosamente
chiaro… Dici che fa parte
del tuo passato… ma non credi che in realtà sia
un elemento estraneo? Non
avrebbe dovuto essere tuo cugino e non avrebbe dovuto crescere con te.
Tuo
padre l’ha salvato, ma non sapeva neppure chi era, o da dove
venisse.”
Al sentì un
sapore acido in
fondo alla gola. Era il suo sarcasmo che urlava per uscire, ne era
certo, anche
se non c’era niente su cui ironizzare. “Stai
dicendo… che anche
secondo te Tom era d’accordo con il suo rapitore?”
Michel si morse un labbro, intuendo forse di aver esagerato.
Rientrò subito in
carreggiata, sorridendo appena. “Non fraintendermi. Sto solo
dicendo che forse
il suo rapitore non ha cattive intenzioni. Se avesse voluto ucciderlo
avrebbe
potuto farlo con i Naga, come mi hai detto tu…”
“Ha ucciso una persona e la gatta del custode,
Mike!”
“Sto solo dicendo che chi
l’ha
rapito… potrebbe essere stato incaricato dalla sua vera famiglia. Pensaci. Molte famiglie
magiche non vanno troppo per
il sottile quando si tratta di riavere indietro i propri figli. Tom
è un mago
molto dotato, forse proviene addirittura da una famiglia
purosangue…”
“Non mi interessano le tue teorie sul razzismo magico,
Mike.” Sbottò. “Tom è un
Dursley. Tom è parte della mia famiglia. E non mi importa
chi lo vuole. Io so cosa
vuole lui. E lui vuole noi, questa vita. Vuole me.”
Michel non rispose a questo.
Lasciò la presa sulle sue spalle, guardandolo attentamente.
Al registrò che non
l’aveva mai visto così serio.
“Spero davvero che
tutta
questa fiducia sia ben riposta, Albus.”
Al inspirò.
“Lo è.” Fece un
passo indietro. La Sala Comune gli sembrava improvvisamente troppo
stretta. Dai
finestroni che si aprivano sulla vista bluastra del Lago Nero vide
passare una
sirena. In quel momento si sentì più vicino a
quella creatura marina, che al
suo amico.
Abbiamo
qualche problemino di incomprensione…
Perché
nessuno, nessuno, capisce che posso fidarmi di Tom? Che so
che non sarebbe mai andato via di sua spontanea volontà?
È
così difficile?
“Dove
vai?” Gli chiese.
Al fece spallucce.
“A farmi un
giro.” Prese un respiro e non gli importò di
lasciarlo uscire stavolta, il suo sarcasmo.
“E per la precisione, sei tu
l’elemento estraneo. Un modo elegante per dire di farti gli
affari tuoi, vero?”
****
Londra,
Ministero della Magia.
Dipartimento di Applicazione della Legge Magica, Secondo piano.
Ufficio
del Direttore.
Harry fu fatto entrare
nell’ufficio
del Direttore del Dipartimento da una giovane ed efficiente segretaria
che rispondeva
– forse – al nome di Ella.
Zacharias lo seguiva a pochi passi di distanza: sembrava che la
convocazione
l’avesse intimidito, e per tutto il tragitto fino a
lì non aveva aperto bocca.
Non che Harry se ne fosse
lamentato: non gli dispiaceva poter rimanere solo con i propri pensieri.
“Direttrice, ci
sono l’agente
Potter e l’agente Smith.”
“Falli entrare.”
La direttrice… Harry la conosceva bene. Quasi
vent’anni prima gli era
letteralmente piombata in casa con l’Ordine, per prelevarlo
una volta compiuti
i fatidici diciassette anni.
Hestia Jones ora era una
donna
sulla sessantina, dall’aria severa, stemperata
però dalle guance perennemente
rosee e gli occhi brillanti.
Prima che la carica fosse
assegnata a lei, Harry aveva avuto parecchi problemi a relazionarsi con
l’allora
direttore, un ex-auror dal temperamento collerico. Quando si era
insediata, l’aveva
mandato a chiamare e aveva settato i suoi parametri. Harry ci si era
sempre trovato
piuttosto bene, almeno fino a quel momento.
“Lei
è così abituato ad avere il mondo sulle sue
spalle,
Harry, che non mi stupisco che voglia risolvere tutti i guai
dell’umanità. Ma qui
ci aspettiamo solo due cose da lei. Che non si faccia uccidere e che risolva i casi.”
“E
i richiami disciplinari? Il mio temperamento sovversivo?”
“Impari ad essere discreto.”
Un suo collega di origini
babbani una volta gli aveva detto, scherzando, che la Direttrice
sembrava la
fotocopia magica di M, il famoso
capo
di James Bond.
Gli era capitato di vedere i
film. Lui ne era certo.
“Harry, Agente
Smith.” Sorrise
loro brevemente. “Prego, accomodatevi.”
Harry notò che
davanti alla
scrivania era seduto un altro mago. Sulla quarantina, con ordinati
capelli
ricci e un fisico sportivo. Non gli ricordava nessuno e non riconosceva
la
foggia del mantello: era blu scuro, bordato di rosso e bianco. Lo
guardò
meglio, quando si voltò e si alzò in piedi per
salutarli.
“Vi presento Ethan
Scott, agente
del Dipartimento di Giustizia Magica americano.”
L’uomo si produsse in un sorriso affabile, che lo
qualificò immediatamente come
proveniente da quella terra. Gli tese la mano. “Abbiamo
sentito parlare
parecchio di Harry Potter. È un onore poterlo incontrare di
persona. È anche
nei nostri libri di storia, lo sa?”
Harry gli strinse la mano, lanciando un’occhiata confusa al
proprio direttore.
“Ehm… Ne sono lusingato.”
“Dovrebbe! In America non ci occupiamo granché
degli affari del Vecchio
Continente.” Rispose, beccandosi un’occhiataccia da
Smith, che Harry in fondo
si sentì di sposare appieno.
Chi
diavolo è questo tizio?
La Direttrice si
schiarì leggermente
la voce. “L’agente Scott è qui per il
caso di rapimento del giovane Dursley. Ha
informazioni che potrebbero essere d’aiuto
nell’indagine.”
Smith a quel punto si sentì legittimato a farsi avanti.
“Riguardo ad Ainsel
Prynn?” Chiese spiccio.
Harry rimase in silenzio: era la stessa domanda che avrebbe voluto
fargli lui.
“Selina
Hardcastle. Era questo
il suo vero nome.” Replico l’americano senza
scomporsi. “Era una nostra agente,
lavorava sotto-copertura.”
“E come mai non ne siamo stati informati?”
Intervenne Harry, ignorando
l’occhiata di fuoco che gli scoccò Smith.
“Per quanto ne sapevamo noi, era un
insegnante di trasfigurazione.”
Se
era una dei buoni… Perché ha spinto Tom nelle
braccia di John Doe?
“Era
un operazione sotto-copertura,
Mister Potter.” Spiegò pacato, ignaro delle sue
riflessioni. “C’erano dei
protocolli da seguire, primo trai quali la segretezza assoluta. Era
troppo
rischioso informare il corpo insegnante. In ogni caso erano agenti
qualificati,
in grado di integrarsi nel tessuto scolastico
senza…”
“Erano? Quanti dei vostri
agenti sono
ad Hogwarts?” Lanciò uno sguardo alla Direttrice,
che rimase imperscrutabile.
Ma dalla piega appena accennata della bocca capì che neanche
la donna era a
conoscenza della situazione.
E che la cosa non le piaceva
per nulla.
Sento
odore di incidente diplomatico in arrivo…
“Erano.”
Lo corresse Scott.
“Immanuel Ziel e Ainsel Prynn. Ziel… era Primus
Zimmermann, uno dei nostri
migliori agenti della Sezione Terrorismo Internazionale. Quando
è morto abbiamo
dovuto rimpiazzarlo. E qui entra in scena l’agente Hardcastle
nella quale, mi
duole ammetterlo, riponevamo la massima fiducia. Mal riposta,
evidentemente…
Considerando che si è venduta a quel gran
bastardo…” Fece un sorrisetto di
scuse all’imprecazione. “… del
camaleonte.”
Harry fece una breve capriola mentale per ricollegare nome a nome.
“Intende John
Doe?”
L’americano fece un breve cenno affermativo.
“È uno dei tanti pseudonomi dietro
cui si nasconde, sì. Noi l’abbiamo chiamato
Camaleonte perchè, beh… Diciamo che
è estremamente bravo a far perdere le tracce. È
un metamorfomago.”
“Perché
non avete condiviso
prima queste informazioni con noi?” Sbottò Smith.
“Ho passato quattro giorni a
brancolare nel buio con i miei uomini!”
“Non è una situazione facile.”
Ribattè gravemente l’uomo. “Io stesso ho
trovato
delle resistenze da parte del mio governo per venire qui, a parlare con
voi.
Come ho già detto, era un’operazione
sottocopertura.”
“Che tipo di operazione?” Spiò Harry.
Sentiva una grande confusione in testa.
Era come se improvvisamente si fosse rotta letteralmente una
diga di informazioni.
E
noi siamo sotto…
“L’agente
Zimmelmann come
l’agente Hardcastle erano incaricati della sorveglianza di
Thomas Dursley.”
“Perché sorveglianza? È solo un
ragazzo…” Harry era incredulo. I nodi stavano
venendo al pettine, ma non avrebbe mai pensato che sarebbero stati grossi.
L’agente Scott fece un lieve cenno. Avvicinò con
la mano un fascicolo che aveva
appoggiato sulla scrivania della Direttrice. Lo aprì,
girandolo verso di loro.
Harry si
avvicinò. La foto
magica che campeggiava nella prima pagina lo fece ispirare bruscamente.
L’uomo ritratto avrebbe potuto essere tranquillamente Tom con
trent’anni in più
sul viso. Le labbra, la forma degli occhi… erano le stesse.
Solo il colore dei
capelli differiva.
L’uomo guardava dritto nell’obbiettivo, con uno
sguardo terribilmente
penetrante.
Non
c’è dubbio… quest’uomo
è un suo parente.
“…
È suo padre?” Chiese atono.
L’agente Scott lo
guardò
sorpreso. “Ottimo spirito di osservazione.”
Picchiettò l’indice sulla foto.
“Alberich
Von Hohenheim, nato in Germania, attualmente a capo della Thule. I suoi
adepti
sono ricercati per aver ucciso e praticato magia nera sia in Germania
che negli
Stati uniti, subito dopo la seconda guerra mondiale babbana. Stiamo
parlando di
sacrifici umani e amenità simili…”
Smith fece una smorfia disgustata. “Non ne abbiamo mai
sentito parlare…”
L’americano scrollò le spalle. “Non ne
dubito. Qui in Inghilterra nei suoi anni
di maggiore attività era oscurata da una minaccia ben
più grande…”
“Voldemort.” Rispose in automatico Harry.
“Esattamente.” Confermò.
“Diciassette anni fa la Thule ha apparentemente
cessato ogni attività e Hohenheim è scomparso nel
nulla. Ma sapevamo che era
solo uno specchietto per le allodole. Sapevamo che suo figlio era in
Inghilterra, che era un mago, un purosangue. Abbiamo mandato un nostro
agente
ad Hogwarts, per cercarlo e raccogliere informazioni su di lui.
Sapevamo che
prima o poi Hoheneim l’avrebbe cercato…
e infatti sei mesi fa John Doe è riapparso.
È uno degli uomini a
servizio di Hohenheim, il più fidato, il più
pericoloso. Crediamo sia stato lui
a rapire il giovane Thomas.”
“Sapete
già dei Naga…” Iniziò
Harry, ma fu immediatamente fermato. Sembrava che l’agente
Scott avesse fretta
di spiegare tutto.
“Sappiamo tutto. L’agente Prynn prima
di… cambiare squadra, diciamo pure così,
ci forniva rapporti settimanali.”
Harry si passò
una mano trai
capelli, stordito. Dovette pulirsi gli occhiali un paio di volte, prima
di
riuscire a formulare una domanda che gli sembrava sufficientemente
sensata.
“Quest’uomo… rivuole quindi Thomas ed ha
incaricato Doe di recuperarlo?”
“Non si tratta solo di nostalgia paterna,
purtroppo.” Replicò Scott.
“Ora… non
avremo mai messo il ragazzo sotto sorveglianza, alle vostre spalle, se
non
fosse che la Thule ha un solo scopo fondativo. Ottenere
l’immortalità
dell’essere umano.”
“… e cosa c’entra Thomas con
questo?”
“Beh, il ragazzo è nato morto. E adesso
è vivo.” Scott fece una pausa
sgradevole. “È la chiave.”
****
Hogwarts,
Dintorni del Lago Nero.
Ora di pranzo.
Era buffo.
Thomas aveva passato sei anni a cercare un angolo dove far funzionare
il suo
lettore mp3, scandagliando il parco pezzo per pezzo, tentando di
trovare un
punto dove l’aura magica del Castello si smorzasse.
E ironia, funzionava solo nel suo punto preferito, che di solito Tom
evitava
perché troppo ventoso.
Al giocherellò con il cursore. Liste e liste di gruppi che
gli erano perlopiù
sconosciuti gli scorrevano davanti agli occhi. Il vento gli
schiaffeggiava il
viso, facendogli lacrimare gli occhi.
E andava benissimo
così.
Premette un tasto a caso. Non aveva mai capito bene come funzionava
quell’affare, lui era un tipo da Radio, non da collezione di
pezzi
prestabiliti. Gli piacevano le sorprese.
Si sentì
piuttosto soddisfatto
quando riuscì a trovare il menù di riproduzione
casuale.
Quando sentì le prime note della canzone scelta,
sentì una mano stritolargli le
viscere. Serrò appena le labbra.
He said to lose my life or lose
my love,
That’s
the nightmare I’ve
been running from.
So
let me hold you in my
arms a while,
I
was always careless as a
child.
Quella canzone non era una
sorpresa poi così gradita.
Se la ricordava. Un anno prima Tom l’aveva costretto ad
ascoltarla per
tappargli la bocca, dopo che per un intero pomeriggio gli aveva parlato
dell’ultimo campionato di Quidditch.
Gli aveva concesso
l’auricolare sinistro, intimandogli di chiudere la bocca
almeno per quei pochi minuti.
“Perché
cavolo ascolti sempre canzoni che parlano di
roba deprimente, accidenti a te! Questa parla di due tizi che si piantano.”
Un sospiro. Un colpetto sulla testa. “Sei superficiale. Parla
della difficoltà
di essere amati e di amare, Albus. La difficoltà di riuscire
a stare assieme
nonostante tutto. E ascolto questa roba perché le
cose tristi, solitamente, tendono anche ad
essere profonde.”
Si strofinò la
guancia, per
evitare che il vento freddo gli bruciasse la faccia con le proprie
lacrime.
Poi la vide. Di nuovo, come apparsa dal nulla, dalle nuvole bituminose
gonfie di
pioggia.
La fenice, Fanny.
Compiva dei larghi giri attorno al Lago Nero.
Si alzò in piedi di scatto. “Fanny!”
La chiamò.
Spense il lettore, infilandoselo in tasca. La fenice, quasi lo avesse
sentito,
planò dolcemente nella sua direzione, prima di fare un altro
giro e infilarsi
direttamente dentro la Foresta.
Poi, la sentì cantare.
Era un canto dolcissimo,
lieve
e per un attimo si chiese se non fosse tutto uno scherzo della sua
immaginazione. Non passò molto tempo a chiederselo. La
seguì, come l’altra
volta.
Quando superò la prima fila di alberi girò a
largo di Odino, il cane di Hagrid
che gli abbaiò contro festoso, forse cercando coccole. Lo
ignorò, tirando
dritto.
La Fenice era appollaiata su un ramo e cantava. Non se l’era
immaginato.
Ansimò leggermente, riempiendosi le orecchie di quella
strana sensazione di
pace, e sentì qualcosa di caldo inondargli il petto,
facendolo sentire meglio,
scacciando il freddo che gli gelava continuamente le ossa.
Improvvisamente la paura,
l’angoscia, si erano di nuovo dissolte come neve al sole.
Sorrise appena.
“Com’è che
appari quando sto quasi per crollare?” Sussurrò
appena. Gli occhi della fenice,
ossidiana pura, sembravano fissarlo e capirlo.
“Vorrei trovare
Tom… sai? Più
di ogni altra cosa. Non mi importa di quello che dice la gente, io so
che lui
non ci avrebbe mai abbandonato… Vorrei trovarlo, e
riportarlo a casa.” Le
confessò.
Come
se mi potesse capire poi, che idiota…
La
fenice a quel punto spiccò di nuovo
il volo.
“Ehi!”
Ma non fece molta strada. Si posò su un altro ramo, un
centinaio di metri più
in là. E riprese a cantare.
Al rimase indeciso sul da farsi. Il sole in quel periodo
dell’anno tramontava
presto. Mancava poche ore prima che la luce del sole venisse meno.
Ma
hai la bacchetta… e lei ti sta aspettando.
Era vero. La fenice sembrava
aspettare lui. Fece una prova e la raggiunse. Appena arrivato ci mise
poco
prima di spiccare di nuovo il volo.
Vuole
che la segua…
Normalmente non si sarebbe
fidato delle creature del bosco. A parte i centauri sapevano essere
piuttosto
infide. Ma quella era una fenice.
Anzi, era Fanny, la leggendaria fenice di Silente.
“Tu…”
Aspirò una boccata d’aria,
gelida e piena di speranza. “… Tu sai
dov’è Tom?”
Le Fenici, secondo un Bestiario che aveva consultato in biblioteca,
erano
animali molto intelligenti.
Forse ha visto qualcosa… forse ha
visto
dove Doe l’ha portato…
Sapeva che sarebbe dovuto tornare al Castello e allertare i
Tiratori. Che
una bacchetta non faceva di lui un mago potenzialmente abile a tirare
fuori Tom
da quella situazione.
Ma
se quando torno se n’è andata?
Ma la domanda era
un’altra.
Ho
scelta?
La Fenice spiccò
di nuovo il
volo, e Al smise di pensare. E la seguì.
****
Sentì un freddo
improvviso. Gelido,
come uno schiaffo bagnato.
Qualcuno gli aveva gettato
dell’acqua
addosso.
Tom si svegliò,
tossendo e
inghiottendo ampie boccate di aria gelida. Si sentiva debole, affamato
e il
freddo gli era penetrato nelle ossa fino a rendergliele vetro gelato.
Gli occhi gli bruciavano, persino alla luce debole di un fuoco appena
riacceso.
“Ben svegliato Thomas. Lasciatelo dire, amico… non
hai una bella cera.”
Doe era da qualche parte nella penombra. Lo sentì
avvicinarsi, e istintivamente
sentì la magia ribollirgli nelle vene.
Almeno quella, era
l’unica
cosa che non lo aveva ancora abbandonato.
Doe fece una risatina. “Notevole… avresti ancora
la forza di schiantarmi. Certo,
se avessi una bacchetta e se non avessi fatto in modo che qua dentro
non si
possano fare incantesimi più innocui di un lumos.”
“Come… hai…” Le parole gli
raschiavano il fondo della gola, dolorosamente. Doe
si chinò e gli appoggiò del vetro gelido contro
la guancia. Un bicchiere. Spostò
il viso e bevve avidamente. Era acqua tiepida, leggermente zuccherata.
Non poté farne a
meno,
stavolta.
“Bravo bambino.
Meglio adesso,
vero?” Gli chiese, posando il bicchiere vicino a lui. Era
accovacciato a pochi
passi di distanza. “La sete è la prima cosa che ti
frega, quando sei prigioniero…
Poi arriva la fame, e se il posto non è granché
confortevole, e tu magari eri
già bagnato fradicio…”
Schioccò la lingua. “Credo tu abbia la febbre
alta,
Thomas. Ma non preoccuparti. Questo non frustra le tue
capacità magiche.”
Non rispose nulla. Anche se
avesse avuto qualcosa da dire, non credeva sarebbe riuscito a mettere
tre
parole di senso compiuto in fila. Il suo cervello continuava a lavorare
incessantemente, ma si era accorto da un po’ di tempo (mesi,
anni?) che non c’era
più un filo logico nei suoi pensieri. Solo un urlo continuo.
Fatelo
finire.
“L’essere
umano quando è
costretto in situazioni estreme… oh, si comporta in modo
singolare. Annulla tutti
i desideri, le speranze, i codici morali… per un solo,
semplice bisogno. Sopravvivere.”
Doe continuava a parlare,
ma lo sentiva, lo capiva solo a
tratti. “Credimi, non mi diverto a tenerti legato
così, in questo posto buio e
freddo. Se avessi fatto il bravo e ti fossi arreso subito
all’inevitabile,
invece di mettere su quel teatrino… beh, non saremo arrivati
a questo punto.”
Fece un sospiro. “Ci siamo, Thomas. È
ora… sono riuscito a decifrare il diario
di quel ridicolo ometto… Ci prenderemo la bacchetta, dopo
che tu avrei ucciso
Harry Potter.”
“Io non…” Tentò. Un conato di
vomito lo assalì violentemente. Un brivido gelido
lo scosse.
Che diavolo ci aveva messo
nell’acqua?
“Non ho messo nulla
nell’acqua…” Sembrò quasi
leggergli nel pensiero. “Stai
male, Tom, è tutto qui. Sei a ridosso
dell’ipotermia, hai la febbre alta e il
tuo fisico è indebolito dalla mancanza di nutrimento. Un
terreno fertile per l’imperio.”
Si sentì scivolare qualcosa
contro il collo. Sembrava una collana.
Poi capì.
Era la pietra.
“Non vogliamo
lasciare niente
di intentato, vero?” Sussurrò Doe. “Lo
so che non ti piace tenerla addosso, ma
sono sicuro che ad una parte di te è
mancata…”
Voldemort… era un horcrux stregato
da
Voldemort…
Tom capì che
quelli sarebbero
stati i suoi ultimi attimi da innocente. Che avrebbe ucciso Harry, o
Harry
sarebbe stato costretto ad ucciderlo. Che in quelle condizioni non
sarebbe
neppure riuscito a contrastarlo. Che non avrebbe più rivisto
la sua famiglia, i
suoi amici… e Al.
“Che fai Thomas,
piangi?” Sogghignò.
Serrò le labbra e lo guardò negli occhi. Se
doveva morire o uccidere, gli
ultimi attimi da uomo libero non li avrebbe passati ad avere paura. Era
ridicolo.
La
cosa davvero ironica è che non hanno capito che
Harry è un eroe. Non esiterà con me, se
può salvare tutti…
“Imperio.”
****
Note:
Secondo i miei –sic! – calcoli ancora due capitoli.
;)
Non mi odiate. Andrà tutto bene.
… Anche se penso
di avere la
capacità persuasiva di un pilota di un boeing in fiamme.
1.
Qui la canzone.
Altre fan-art,
perché sono una
ragazza fortunata e ADORO queste ragazze.
La
prima è di Elezar81
impagabile come al solito. La adoro.
Questa
GUARDATELA
e
la conseguente reazione sono di
Iksia bravissima disegnatrice indonesiana, su cui
riverso tutto il
mio pessimo inglese. È così carina da
interessarsi a quel che ho da dire sulla
Next Generation. Ed ha capito Tom e Al senza leggere una riga! *_*
|