quando tu....?
Lui.
Lei.
Diversi.
Non inconciliabili, solo… diversi.
Stessa facoltà, stesso corso, stessi esami preparati sempre
insieme, stessi amici, stesse serate… stesso quasi tutto a parte… loro.
Lei… ragazza con la testa sulle spalle, responsabile, sempre
disponibile… tutti la adorano.
Eppure lei si è sempre sentita stereotipata, chiusa in
quella scatola che era l’immagine che gli altri le avevano costruito attorno.
Lei l’amica, lei la brava fidanzata, lei la brava studentessa… la lei triste e
infelice nessuno l’ha mai vista.
Lui… ragazzo senza testa sulle spalle, irresponsabile,
sempre disponibile… quando si tratta di far baldoria o di aiutare un amico…
quando si tratta di prestare appunti… avrebbe dovuto farseli prima prestare lui
stesso da qualcun altro. Comunque… tutti lo adorano.
Eppure anche lui si era sempre sentito stereotipato, chiuso
in quella scatola che era l’immagine che altri gli avevano costruito attorno.
Lui lo strafottente, lui il festaiolo, lui il simpatico… lui l’insicuro e
l’indeciso nessuno l’ha mai visto.
Lei non lo ha mai visto davvero, lui… forse nemmeno ci ha
mai provato.
“Eppure a volte la vita è strana” pensarono entrambi quella
notte.
È curioso come un solo momento, come un qualcosa che è
sempre stato uguale, diventi improvvisamente diverso.
Lui, da bravo amico, come al solito l’attirava a sé quando
mettevano la sua canzone preferita, cercando di renderla partecipe di quel
magnifico mondo che per lei era stato sempre off limits.
Lei, come ogni volta, gli si avvicinava e lasciava che le
sue mani prendessero posto sulla sua vita e che l’attirassero a sé facendoli
avvicinare tanto da far incastrare le loro gambe.
Era un gioco. Niente di più che un gioco. Niente di più che
un “si fa così in questi posti”.
Lei aveva imparato presto le regole di questo gioco e come
tale lo prendeva, senza volere niente, senza aspettarsi niente se non lasciarsi
andare completamente per quelle poche ore che sarebbe stata con i suoi nuovi
amici. Per quelle poche ore in cui poteva essere un’altra.
Lui questo gioco lo giocava da una vita, e sapeva benissimo
che lei sarebbe stata sempre un’amica, niente di più che una cara amica che di
nuovo sola aveva bisogno di lasciarsi alle spalle la maschera che tutti gli
avevano messo addosso: quello dell’amica carina ma intoccabile, perché lei era
la “piccola” del gruppo.
Se lei cercava in tutti i modi di scrollarsi di dosso la sua
nomea, lui non faceva nulla per farlo. Lui era… in crisi. Lei ha sempre pensato
che più che con gli esami e la fidanzata fosse in crisi con sé stesso. Entrambi
però rimanevano sul “le cose stanno così”.
Eppure in quel momento, quell’ennesima volta in cui hanno
giocato, qualcosa è stato diverso.
Lei sentì un brivido risalirle lungo la schiena quando lui
l’attirò a sé e posò le sue mani delicate sui suoi fianchi. Lui non poté fare a
meno di abbassare il capo e tuffare il naso nei suoi capelli.
Senza dirsi niente, senza guardarsi, senza lasciar vagare la
mani in cerca dell’altro, solo tramite il contatto che già c’era, presero a
muoversi insieme in un modo tutto nuovo, davvero insieme per la prima volta.
Giù, sempre più giù… lei aggrappata alla sua camicia, lui a
guidarla con le mani sui fianchi. Lei che seguiva i suoi suggerimenti con
movimenti lenti e sinuosi, movimenti che si stupiva di essere mai stata capace
di fare.
Lui che la teneva stretta, non solo trattenendo ma anche
accarezzando quei fianchi morbidi, seguendo i movimenti in cui la guidava, su
un ritmo che forse non era più quello che la musica dettava.
Per loro non c’era più musica, non c’era più gente, non
c’erano altri amici. C’era solo un respiro, c’era solo un tocco, c’era solo un
brivido che continuava a salire e scendere dalle loro schiene senza fermarsi.
Un brivido che si amplificò quando lei per non cadere gli gettò un braccio
attorno al collo, che esplose totalmente quando lui la strinse ancora di più
facendo combaciare i loro bacini.
Lei nascondeva il volto nell’incavo tra la sua spalla e il
suo collo, respirando il profumo dolce e fresco del ragazzo, lasciando che un
ciuffo di capelli mossi le solleticasse la punta del naso.
Lui nascondeva sé stesso tra i suoi capelli, incapace di
capire ciò che stava provando e chiedendosi se per entrambi sarebbe stato più
solo un gioco dopo quel ballo.
Inspirava il suo profumo e sapeva di buono, cancellava ogni
altro odore attorno a lui. Non c’era più l’odore dell’alcool, quello del fumo,
né quello di troppi corpi concentrati in una pista troppo piccola. C’era solo
quel profumo fresco su quel collo candido.
Lei si chiese come fosse possibile poter provare un qualcosa
del genere con una persona tanto improbabile. Si chiese come fosse possibile
aver provato quel qualcosa che lei aveva sempre desiderato provare con quella
persona che fino a un mese prima tanto improbabile non era affatto. Si chiese
perché proprio lui e perché proprio in quel momento.
Lui forse capì perché lei e perché quella canzone, e nel
raggiungere la chiarezza capì che veramente lei non aveva nulla a che fare con
le altre, che era un qualcosa che non aveva mai visto prima, qualcosa che
cercava di descrivere senza trovare mai le parole adatte. E la strinse ancora
di più nel momento in cui riuscì a riprendere il controllo di sé stesso dopo
averla finalmente vista. Dopo aver capito il suo bisogno di sentirsi
desiderata, si sentirsi voluta, di sentirsi… bella. Di sentirsi donna e non
solo amica, di sentirsi donna e non solo “piccola”, di sentirsi donna ed essere
trattata da donna.
Non lui. Lui non poteva. Lui era l’indeciso. Lui lo dimostrò
quando un movimento li portò viso a viso, occhi chiusi a occhi chiusi, respiro
su respiro.
Respiro affannato su respiro affannato.
Lei si sentì quasi abbandonata e incapace di poter
continuare la serata quando lui la lasciò a musica terminata, tornando a
ballare assieme al gruppo, in un cerchio perfetto fatto di parole di canzoni
urlate da un capo all’altro, di abbracci e piccoli movimenti indirizzati
provocatoriamente per gioco, fatto di un bicchiere dal contenuto altamente
alcolico che faceva il giro.
Lei si sentì incapace di poter muovere ancora un solo muscolo
serbando in sé il ricordo di quel brivido.
Lei si sentì quasi tradita quando lo vide cercare lo stesso
contatto con un’altra loro amica.
Lei si sentì come se nessun altro potesse più ridarle quel
brivido caldo e freddo insieme che l’aveva scossa in maniera tanto profonda
quanto inaspettata.
Ma lui non era disponibile… lui, in teoria, non avrebbe
dovuto darle nulla di tutto questo.
Lui si allontanò, cercando di riprendere il suo
autocontrollo. Normalmente, in quanto essere indeciso tra gli indecisi, non l’avrebbe
fatto. Ma era lei.
Lei di cui uno dei suoi più cari amici era perdutamente
innamorato, lei che era la “piccola” della compagnia, lei che per quattro anni
era sempre stata la principessa intoccabile, la ragazza che tutti avrebbero
sempre visto con gli occhi dell’amicizia.
Si sentiva soffocare solo ricordando il loro contatto,
ricordando quel brivido che l’aveva quasi strozzato tanto era intenso, tanto
era stato potente da bloccargli il respiro.
Si sentiva vuoto senza più le sue gambe incastrate alle sue,
senza il suo profumo ad avvolgerlo, senza il suo peso addosso, senza le sue
mani attorno al suo collo. Senza la sua bocca a pochi centimetri dalla sua.
E più si sentiva vuoto più non riusciva a sopportare quel
luogo tanto affollato. Non poteva. Non poteva ballare con un’altra e provare a
cancellare quello che aveva provato prima, né poteva riprendersela dalle
braccia dell’altro amico che aveva preso il suo posto.
Salutò tutti e quando arrivò il momento di salutare lei, si
concesse solo di deporre un bacio tenero e prolungato all’angolo di quelle
labbra che si era proibito di assaggiare.
Lei rabbrividì ancora a quel contatto, lei si trovò a
pregare che lui l’avesse fatto di proposito e non solo perché era probabilmente
ubriaco. Lei si sentì morire di vergogna quando si ricordò che lui era
impegnato. In crisi, ma impegnato.
In luoghi diversi, a distanze relativamente brevi ma
incredibilmente ampie, loro continuarono a ricordarsi, a rivivere quei tre
minuti e quaranta secondi che li avevano visti davvero insieme per la prima
volta in quattro anni.
Lui seduto sullo scalino davanti al portone del suo
appartamento da studente, con macchine rade che ogni tanto gli passavano
davanti, le mani tra i capelli mossi castani cercando di liberarsi di quel
brivido che gli incendiava il petto.
Lei che ormai si muoveva come un automa su una musica che
non le dava più niente, sentendo freddo dentro e mai direttamente sulla pelle.
Lui a pensare a lei.
Lei a pensare a lui.
Loro a pensare a loro.
Ore, molte, troppe ore dopo, lei decise che ne aveva
abbastanza di tutta quella solitudine tra la folla, che ne aveva abbastanza dei
suoi pensieri da sciocca sentimentale, che ne aveva abbastanza di cadere sempre
negli stessi errori, che ne aveva abbastanza di illudersi e di nutrirsi di
sogni.
Si impose di non pensarci più, di prendere le cose per
quelle che erano. Un gioco.
Un gioco di seduzione, di sguardi ammiccanti, di movimenti
provocatori, ma un gioco comunque casto e totalmente privo di qualsiasi fine
ultimo se non appunto il gioco. Erano amici. Erano tutti amici. Il gioco si
ripeteva tra tutti allo stesso modo, perché non c’era nessuno che prevaricasse
mai gli altri all’interno della loro compagnia.
Si mise in macchina e dopo aver fatto sparire i tacchi alti,
infilò le sue scarpe da ginnastica e avviò il motore.
I corsi passavano sotto le sue ruote e lei continuava a
osare, schiacciando il piede sull’acceleratore come se l’ebbrezza della
velocità potesse coprire la reminescenza di quel quid pluris che aveva provato
quella sera.
Un semaforo, un altro, un incrocio… guardava fisso davanti a
sé, senza stare attenta a niente in realtà. Si riscosse solo quando vide una
figura scura rannicchiata su se stessa seduta sul gradino di un androne.
Da brava studentessa, sapeva bene che l’omissione di
soccorso era un grave reato di cui lei non voleva assolutamente macchiare la
sua fedina penale. Accostò e fregandosene di non avere più le scarpe
perfettamente intonate al vestito, scese dall’auto, chiudendola distratta con
il telecomandino.
- ehi… tutto bene?- chiese avvicinandosi cauta. Va bene
l’omissione di soccorso e il resto, ma se fosse stato un maniaco voleva essere
certa di poter scappare.
Il suo cuore perse un battito quando lo sconosciuto alzò la
testa e si rivelò.
- che ci fai qui?- chiese lui con tono quasi irritato. Non
gli piaceva essere beccato nei suoi momenti di debolezza. Era diventato la sua
stessa maschera, l’ombra di sé stesso. Non gli piaceva mostrarsi turbato. Non
gli piaceva mostrarsi vulnerabile.
- veramente io… non
pensavo… non credevo fossi tu… stavo solo…- balbettò lei gesticolante,
indicando prima lui, poi la sua macchina e poi sé stessa.
- non credevi fossi io? E chi altro poteva essere a questo
portone?- rispose lui alzandosi adirato e sovrastandola con la sua altezza. Lo
scarto tra i due era già notevole di per sé, ma in quel momento più che mai
sembrava incolmabile.
- beh… è… un palazzo a più piani, con numerosi nomi sui
campanelli… che ne sapevo io che tu eri qui?- chiese lei ritrovando quel po’ di
nerbo che la sorpresa del trovarlo tanto irritato le aveva portato via.
- ma vedi tu! ci abito, forse?-
- e secondo te io so dove abiti tu?-
- visto che ti sei fermata…-
- beh, questa strada non porta solo a casa tua! Si da il
caso che porti anche a casa mia!-
- non ci credo nemmeno un po’-
- e perché avrei dovuto cercare proprio te?-
La schermaglia si interruppe. Occhi negli occhi nessuno dei
due parlava. Restavano in silenzio a valutarsi reciprocamente.
Lui cercava un qualche segno di menzogna, un piccolo
particolare che gli confermasse quello che in fondo lui voleva sentirsi dire,
un piccolo segno di cedimento che confessasse che lei era lì per lui. Un segno
che gli dicesse che lei era li perché anche lei aveva sentito, perché anche lei
lo desiderava, perché anche lei aveva smesso di giocare.
Lei cercava di capire il perché di tutto quell’astio, il
perché della sua reazione spropositata, ma soprattutto… cercava di capire il
perché lui l’attraesse così tanto.
Quando lui aveva iniziato a essere così bello ai suoi occhi?
quando la sua faccia da bambino pestifero aveva iniziato ad esercitare un
fascino irresistibile su di lei? quando i suoi occhi nocciola le erano sembrati
carichi di tante cose non dette? Quando lui?
Perché avrei dovuto
cercare proprio te…..
Perché hai sentito anche tu quello che ho sentito io.
Questo si dissero i loro occhi, questo confermò il
distendersi delle loro fronti corrucciate, questo li convinse a lanciarsi l’uno
nelle braccia dell’altro facendo incontrare quelle labbra che forse avrebbero
dovuto incontrarsi parecchie ore prima.
Quando tu?
Quando mi sei entrata
dentro così in profondità?
Quando tu?
Quando mi hai portato
via il respiro e mi hai regalato il mio sogno?
Quando tu hai iniziato
ad essere così bella ai miei occhi?
Quando tu mi hai
convinta a fidarmi di te?
Quando tu sei
diventata questa rosa delicata, timida ma al contempo seducente e dal profumo
così inebriante?
Quando tu hai iniziato
a farmi battere il cuore?
Quando tu ti sei preso
la mia anima?
Ma soprattutto, oh mio
cuore, caro amore… perché hai scelto me?
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Di recente molti fatti che mi accadono mi danno ispirazione per
scrivere... accade ormai da qualche mese, e ultimamente ho preso
l'abitudine di metterli in parole.Ho scritto questa piccola one shot
molti mesi fa... non so nemmeno cosa stessi scrivendo, probabilmente
è solo uno dei miei tanti sogni ad occhi aperti, dei "what
if..." presi dai miei piccoli momenti particolari di vita. Non so se mi
piacerebbe poter dire che le cose siano andate realmente così
con LUI ma... credo di no. Come si suol dire... ne è
passata di acqua sotto i ponti e lui non è il mio lui... non
è il lui adatto a me, ma ringraziarlo per quegli attimi felici
... beh... viene dal cuore. Grazie amico mio! ti voglio un mondo di
bene!
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