Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa storia non
è stata scritta a scopo di lucro.
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-Autore:
beat
-Titolo:
Supreme's sake
-Genere:
Generale
-Rating:
Giallo
-Distopia scelta a modello:
Scientifica
-Personaggi:
Kabuto (apparizione di Orochimaru e alcuni OCs)
-Avvertimenti:
One-shot, What if…?/Missing Moment
-Commento:
parecchie note a fine fic! Buona lettura!
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Supreme's
sake
La stanza era immersa nel silenzio.
Anche i cadenzati “bip” dei macchinari erano come
ovattati, come se fossero lontani, come se non appartenessero a quel
mondo.
Si respirava un'aria pesante, un'atmosfera di tetra cupezza coperta
dall'acre odore del disinfettante.
La giovane donna si guardò attorno, per quanto le fosse
concesso dalle cinghie che la trattenevano, muovendo lentamente la
testa a destra e a sinistra. Le braccia, legate alla lettiga, erano
immobilizzate, come pure il tronco e le gambe. Si guardò
attorno, gli occhi che guizzavano spasmodicamente da una parte
all'altra della stanza, ma non riusciva a scorgere nulla nella
penombra. La sola luce proveniva da una pigra lampadina che le
illuminava il pancione. Gli elettrodi e i sottili tubicini che gli
erano stati applicati sopra mandarono deboli bagliori quando lei
cercò di spostarsi un poco.
L'ansia improvvisamente l'assalì.
Odiava quella stanza, non poteva farne a meno. Non riusciva a frenare i
tremiti che le scuotevano anche i polsi ogni volta che ci pensava.
Quella penombra.
Quel silenzio.
Quell'innaturale calma.
Era tutto smorzato, come se non fosse reale. Come un sogno, un incubo
ad occhi aperti. L'unica cosa che le ricordava che no, non era un
sogno, era il pungente odore di ammoniaca che le faceva fremere le
narici ad ogni respiro.
Odiava quel posto. Eppure eccola lì, ancora, ancora e ancora.
Per il bene di suo figlio, quel piccolo essere che amava più
di se stessa, che in quel momento stava facendo le capriole nel suo
ventre.
Si ritrovò a sobbalzare, la ragazza, quando sentì
il lieve cigolio della porta che si apriva. Sollevò quanto
poté il capo, per vedere chi era entrato.
Dalla penombra emerse Kabuto, il giovane medico che l'aveva in cura.
Sospirò, lei, come se scioccamente avesse potuto davvero
temere qualche cosa di male in quel posto.
Era vagamente inquietante, su questo non si poteva dire nulla, ma era
il miglior ospedale della zona. Il Villaggio di Oto, sorto dal nulla
non più di cinque anni prima, doveva solo ringraziare che
quel medico, così giovane eppure così brillante e
capace, avesse deciso di stabilirsi proprio lì da loro.
Le sorrise, Kabuto, e con voce calma e pacata la aggiornò
sulla salute del suo bambino.
Sospirò di nuovo, la giovane donna, quando sentì
che il piccolo stava più che bene, che gli esami prenatali
erano tutti nella norma.
“È perfetto” le disse, facendola
sorridere di viva gioia.
“Grazie dottore, grazie mille!”
Profusione di ringraziamenti, ogni volta. Kabuto sorrise, slegandola
dal letto e aiutandola a scendere dal lettino. Le diede le ultime
indicazioni su cosa fare, su come comportarsi quando il momento del
parto sarebbe finalmente giunto.
Mancava poco ormai, e la ragazza – di nuovo radiosa ora che
l'ansia era scemata via – annuì decisa,
memorizzando tutte le istruzioni.
Ringraziò di nuovo, accorata come non mai, quel giovane
medico così gentile e capace.
“E, mi raccomando, non si dimentichi di prendere le pillole.
Per la circolazione.” Kabuto posò un involto di
carta azzurra sul ripiano accanto il letto, dirigendosi poi verso la
porta per permettere alla donna di rivestirsi.
“Grazie mille, dottore. Non so davvero come ringraziarla per
tutto quello che ha fatto per me.”
Si voltò verso di lei, il giovane medico.
Sorrise caldamente, anche se le lenti degli occhiali riflettendo la
luce del corridoio nascosero il suo sguardo.
“Non deve ringraziarmi, signora. Faccio solo il mio
lavoro!”
*****
I passi di Kabuto riecheggiavano lievi lungo i corridoi di pietra.
L'aria dei sotterranei era impregnata di umidità, e dal
soffitto gli continuava a cadere in testa pesante acqua calcarea.
Qualche goccia bagnò i fogli che stava leggendo e una
osò addirittura macchiare una lente dei suoi occhiali. Con
un gesto impaziente, Kabuto l'asciugò, senza fermarsi.
Arrestò i suoi passi solo alla fine di quel lungo corridoio,
dove una pesante porta di ferro sbarrava il cammino.
La aprì, entrando nel laboratorio. In fondo ad esso, chino
su qualche cosa di non meglio identificato, c'era il suo maestro
Orochimaru, bisturi in mano e macchie di sangue sulle maniche, uno
schizzo anche sul viso.
“Allora?” chiese al suo sottoposto, senza alzare lo
sguardo dal suo lavoro. Pungolava con la punta della lama una sezione
asportata.
Kabuto si avvicinò, mantenendo tuttavia una rispettosa
distanza.
“Il bambino è nato, e per ora sta bene. Ho
cominciato i primi esami, e per ora non sembra esserci segno di
rigetto.”
“Bene. La donna?”
“Morta.” di nuovo le lenti brillarono per la luce
riflessa, un sogghigno per metà nascosto dalla mano che
andò rapida a sistemare gli occhiali sul naso
“L'anticoagulante che le ho dato nelle ultime due settimane
ha funzionato a dovere. Nessuno sospetterà nulla.”
“Ottimo lavoro.”
Kabuto annuì.
Attese che il suo padrone parlasse di nuovo, ma Orochimaru aveva
concentrato tutta la sua attenzione di nuovo sulla massa di carne morta
che aveva davanti a lui.
Kabuto si allontanò, silenzioso e invisibile.
Ripercorse a ritroso il corridoio sotterraneo, l'umidità che
filtrava da ogni roccia e gli si appiccicava sulla pelle.
Salì ripide scale, per sbucare infine da un passaggio
nascosto in uno sgabuzzino dell'ospedale.
Si rimise addosso il camice e uscì, sorriso sentito sulle
labbra e malefici piani in mente.
La nursery era proprio dietro l'angolo. Dal vetro poté
ammirare i neonati. Li squadrò, con occhio clinico,
attraverso il vetro che li divideva.
Inspiegabilmente
tutte le loro madri erano morte, durante il parto o poco dopo. Una vera
tragedia, un mistero, quasi come quello del loro concepimento. Erano
tutte ragazze madri. Una specie di epidemia aveva toccato nove mesi
prima Oto. Una dozzina di giovani donne si era trovata ad aspettare un
figlio, senza sapere come. Una cosa davvero misteriosa.
Kabuto mascherò il ghigno che gli era affiorato spontaneo
con l'altro sorriso, quello che usava quando indossava il candido
camice di medico.
Entrò nella stanza, mandando fuori l'infermiera con una
scusa.
“Servono delle garze pulite al paziente della 203. E nuove
analisi per la 405.”
Solo con i bambini, Kabuto tirò fuori dal camice un
astuccio. Dodici siringhe pronte, piene di liquido, rosso rubino.
Era solo l'inizio quello.
Ma sorrise Kabuto, il solo fatto che i bambini fossero riusciti a
nascere senza problemi era di per sé una vittoria.
Pianse il primo bimbo, quando l'ago penetrò nel braccino. E
continuò ad agitarsi, come in preda a spasmi. Come se il
rosso liquido fosse fuoco nelle sue vene.
Kabuto rimase a fissarlo, occhio cinico di uno scienziato che guarda lo
svolgersi del suo esperimento. Ci vollero alcuni minuti, ma si
calmò, infine, il piccolo bambino. Respirava a singulti, ma
respirava ancora.
“E uno” pensò Kabuto, passando alla
culla successiva.
Era sveglio, quell'altro bimbo. Era stato il primo a nascere, alcune
settimane prima degli altri.
Kabuto fissò con un brivido lungo la schiena quel paio di
occhi dorati che avevano cercato i suoi. Il neonato allungò
verso di lui le manine paffute – bianche, al limite del
pallore considerabile sano.
Represse un nuovo brivido, Kabuto, afferrando una delle braccia e
iniettando il liquido della siringa.
Ci mise molto di più a riprendersi, il secondo bambino.
Ansimava pesantemente anche dopo che Kabuto aveva passato in rassegna
gli altri neonati. Probabilmente quello non sarebbe sopravvissuto a
lungo.
Kabuto se lo appuntò a mente, insieme a tutte le altre
osservazioni della mattinata. Ci avrebbe pensato poi a redigere
un'accurata relazione. Quando sarebbe stato solo, nell'umido
seminterrato, senza occhi indiscreti in giro a fare domande le cui
risposte sarebbero state come minimo inopportune.
Uscì velocemente dalla nursery, dirigendosi verso un'altra
ala dell'ospedale.
E mentre curava ossa rotte e malanni vari, non faceva che pensare a
quei bambini stipati in quelle culle affiancate. Calcolava le
possibilità di sopravvivenza di ognuno, e le possibile
alternative ai trattamenti cui doveva sottoporli.
C'era una buona speranza che almeno uno sarebbe sopravvissuto fino
all'età adulta, ma Kabuto voleva aumentare al massimo il
numero di soggetti su cui lavorare.
Perché ad Orochimaru-sama servivano ospiti, sani e forti. E
lui avrebbe reso quei fragili esserini che ora dormivano nei loro
lettini dei recipienti perfetti.
Li avrebbe allevati, con amorevole cura, apportando loro tutte le
modifiche che sarebbero servite. Sviluppando in loro tutte le migliori
abilità su cui era riuscito a mettere le mani.
Perché non c'era limite quando in gioco c'era il Sommo bene.
Nessun limite.
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NOTE:
Nota linguistica:
Il titolo è proprio così come sembra
“Supreme's sake”, per il bene del Supremo.
Naturalmente inteso come “Ninja Supremo”, ovvero
Orochimaru. Per cui anche nella penultima frase, quel Sommo va inteso
nello stesso modo.
Nota investigativa:
le dodici ragazze morte non sono morte tutte per la stessa causa.
Kabuto è viscido, e anche molto furbo, e per ognuna ha
creato una causa della morte differente. In modo da allontanare i
sospetti. Che tanto nessuno sospetterebbe di lui, con quel suo bel
faccino da bravo dottore! *-* (Beat
odia Kabuto)
Nota medica:
Il fatto che la ragazza all'inizio sia immobilizzata pur trattandosi di
una visita di routine, è da imputarsi al fatto che Kabuto
sta facendo degli esperimenti, mascherandoli da visita di controllo. E
poi mi serviva un'ambientazione cupa! *-*
Nota temporale:
Non ho la più pallida idea di quando sia collocabile
temporalmente questo episodio. Per cui ho messo come avvisi sia What if…?
che Missing Moment.
Nota distopica:
Ovviamente Kabuto considera il bene del suo padrone come il bene
superiore a cui lui e tutti gli altri dovrebbero aspirare. Sono partita
dunque da questa visione molto distorta del comportamento di Kabuto.
Essa diviene una distopia, seppur molto limitata, in quanto per il bene
di Orochimaru tutto il resto diviene sacrificabile.
Spiegherò ora tutto il background della mia storia, nel caso
non fosse chiara (sempre meglio mettere una spiegazione in
più! XD): chi ha messo praticamente
incinte le ragazze è stato ovviamente Kabuto, utilizzando
materiale genetico di Orochimaru, modificato.
L'idea è stata ispirata da “Il mondo nuovo”,
specie la parte in cui spiegano che ai bambini ancora non nati (se non
ricordo male…) vengono somministrate vaccinazioni e altri
fattori stimolanti per il ruolo che dovranno poi avere da adulti.
Kabuto fa lo stesso, anzi va oltre, cercando con l'ingegneria genetica
di creare fin da prima della nascita dei bambini che in futuro possano
diventare ospiti per Orochimaru. E visto che il serpentone ha la fissa
per le abilità innate e le colleziona, Kabuto prova ad
integrare anche queste.
Ho scelto di mettere solo l'input di questa storia, in quanto lo
svolgimento, sapere come andrà a finire, è alla
fin fine irrilevante. Bastano le premesse, il pensiero che vi sta
dietro e che spinge gli uomini a comportarsi in maniere così
terribili. L'essenza della distopia.
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Angolo dell'Autrice:
Sono orgogliosamente orgogliosa di presentarvi questa fiction che si
è classificata
prima al
contest sulle Distopie - Futuro Alternativo indetto
da Rota.
Era un tema davvero molto intrigante, e mi spiace di non essere
riuscita a cavare fuori nulla di meglio di questa storia (non che abbia
nulla contro questa fic, sia chiaro) perché le
possibilità erano davvero infinite, ma il tempo,
ahimé, quello è sempre contro.
Sono particolarmente soddisfatta di questa storia anche
perché io odio
Kabuto. Non lo sopporto, come personaggio non mi piace. Però
devo ammettere che per ruoli come questo è più
che perfetto! E riuscire a scrivere qualcosa di decente su di un
personaggio che non mi piace è sempre una grande
soddisfazione! XD
Quindi di nuovo un grazie infinito a Rota per averci dato la
possibilità di scrivere su di un tema così bello!
*-*
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche.
Grazie a chi vorrà recensire e a quanti leggeranno e basta!
Beat
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