Capitolo 4
La mesta serata volgeva al termine. L’odore
delle vivande era ormai svanito da tempo, sostituito da quello acre del
fuoco che continuava a scoppiettare allegramente, quasi irreale
nell’atmosfera greve che permeava la sala della locanda. Le voci degli
ospiti erano sommesse e la conversazione languiva nel disagio.
La figuretta affilata di Lilian Faulkner
discese le scale lentamente, osservando la stanza con un curioso misto
di apprensione ed eccitazione, con i grandi occhi che brillavano e le
labbra sottili strette in un teso sorriso.
Monia la seguiva, decisamente a disagio,
cercando di evitare gli sguardi degli ospiti mentre si muoveva
agilmente fra i tavoli, diretta in cucina. Notò che il giovane lord era
nuovamente seduto al tavolo, sicché suo padre avrebbe dovuto trovarsi
dietro il bancone. Dal momento che non c’era, era verosimile che fosse
affaccendato in cucina.
Quando la cameriera scomparve dietro la
porta, Lilian si avvicinò al tavolo cercando di assumere l’aria più
innocente del mondo.
«Lord Windström, avete chiarito tutto,
vero?».
Il giovane la guardò con aria perplessa. Nei
suoi occhi espressivi c'era, però, una luce divertita.
«A proposito di cosa, signorina?».
«Ma dell’omicidio! Voi sapete benissimo che
quei due non hanno fatto altro che impadronirsi di un oggetto che
ritenevano di valore».
«Davvero?». Adesso il giovane lord stava
ascoltando con estrema attenzione e i suoi occhi erano fissi su miss
Faulkner, intenti a studiarne ogni minimo particolare. Quello sguardo
indagatore e vagamente preoccupato mise un certo disagio addosso alla
ragazza.
«Ma certo». Monia uscì dalla cucina,
lanciandole uno sguardo ammiccante. La giovane sorrise e proseguì a
voce più alta, in modo che tutti potessero udire. «Noi sappiamo che il
signor Pasterron è stato assassinato con un pugnale. Un pugnale dalla
lama sottile e il manico d’avorio».
Molti volti, dai tavoli vicini, si rivolsero
verso la ragazza.
Il sorriso della biondissima miss Faulkner si allargò,
nel veder sbucare il locandiere fuori dalla porta della cucina.
«Quel pugnale, è stato trovato. Non così le
due balestre che hanno ucciso la pantera. Ma perché è
stata ammazzata la pantera? Chiaramente, il signor Pasterron doveva
averla liberata per difendersi da qualcuno che lo aveva aggredito».
«Lilian, ma sei impazzita? Stai dando
spettacolo! È chiaro che quei due hanno aggredito il domatore e lui ha
liberato la pantera». Il signor Faulkner era pallido d’indignazione.
«Signor padre, avreste ragione se il signor
Pasterron fosse stato ucciso a colpi di balestra. Ma il domatore è
stato pugnalato. Da qualcuno che sedeva a cassetta con lui». La
fanciulla fece una pausa. Nella sala regnava il più profondo silenzio.
I suoi grandi occhi esplorarono i volti intenti degli ascoltatori, poi
riprese.
«Se gli aggressori fossero stati i due
fratelli, inoltre, difficilmente avrebbero sottratto il collare alla
pantera, dal momento che ne ignoravano il valore».
Messer Faulkner si agitò sulla sedia.
«Ancora questa storia? Che valore poteva
avere il collare?».
«Nel collare era nascosto un gioiello. Quasi
certamente il collare di fuoco, rubato a Elosbrand il giorno prima
della partenza della compagnia della quale faceva parte il signor
Pasterron».
«Ma non era stato Blackwind?». Il mercante
era allibito.
«A questo punto penso di no. Evidentemente
il nostro domatore aveva anche altri talenti inespressi».
«Ma allora avremmo dovuto trovare il
gioiello in una delle stanze, invece non è stato trovato nulla». Quella
figlia lo avrebbe portato alla pazzia. Messer Faulkner temette di
svenire.
«Perché il gioiello era stato nascosto fuori
di qui. In un posto dove difficilmente qualcuno lo sarebbe andato a
cercare».
Il volto di lord Bailey si distese in un
sorriso. I suoi occhi non si staccavano dalla ragazza. Miss Faulkner se
ne accorse e ricambiò il sorriso. Evidentemente, il nobiluomo
concordava con la sua ricostruzione.
«Ma questo è un problema di cui parleremo
dopo. Volete darmi quel pugnale, Monia?». La locandiera si avvicinò
alla ragazza e le porse un piccolo involto dal quale la ragazza
estrasse un sottile stiletto.
«Questo, come vedete, è un oggetto molto
particolare. Certamente di un discreto valore venale. Sufficiente ad
attirare la curiosità e l’avidità di un taglialegna privo di fantasia,
che l’ha trovato sulla neve, dopo aver visto il cadavere della pantera».
«Cosa?». Laurel guardò con aria sorpresa la
ragazza.
«Signor Cannon, dove avete trovato questo
stiletto?».
«Nella casa di Ross e Vernon, nascosto in
una catasta di legna. Lord Windström mi aveva chiesto di cercare
qualcosa del genere e, conoscendo quei due, non è stato difficile
immaginare dov’era». Il locandiere sorrise alla figlia. Aveva avuto
ragione a fidarsi di lei.
«Ecco perché uno di loro era uscito di
soppiatto: per nascondere il pugnale che avevano trovato e che avrebbe
potuto metterli in una posizione difficile. Posizione nella quale,
però, si sono trovati lo stesso».
Ora Lilian si era alzata, consapevole che
tutti gli sguardi erano fissi su di lei. Non sembrava trovarsi troppo a
suo agio, in quella situazione, però si fece forza e continuò.
«Il signor Pasterron aveva un sistema per
aprire la gabbia dalla cassetta del carrozzone, signor Jorgelin?».
Lo gnomo esitò, guardandosi nervosamente
intorno. Poi annuì.
«C’era un pedale. Serviva in caso di
incontri con malintenzionati». Guardò di sottecchi i suoi compagni,
poi, lentamente, cominciò ad allontanarsi dal tavolo. La ragazza si
rivolse nuovamente agli altri.
«E così fu questa mattina. Il signor
Pasterron stava partendo col carrozzone quando fu fermato da qualcuno
che lo minacciava. Accanto a lui era seduto qualcun altro».
Si avvicinò al tavolo degli artisti.
Un'espressione decisa era comparsa sul suo volto. Non sorrideva più.
«Volete riconoscere il vostro pugnale, miss
Miriam?».
«COSA?». La ballerina balzò in piedi,
pallidissima. Il marito l'abbracciò, come per confortarla.
«Avete finto una tresca col signor
Pasterron, in modo da attirarlo in una trappola. Avete finto di
accettare di fuggire con lui ma avete organizzato l’agguato con vostro
marito. Basterà controllare sul vostro carrozzone per trovare
certamente le balestre. Quando il signor Pasterron si è reso conto
dell’agguato, ha liberato la pantera. Ma voi
l’avete pugnalato. E avete usato la sua balestra da mano per colpire la
pantera e aiutare vostro marito».
«Ma questo è assurdo!». Il giovane acrobata
balzò in piedi col viso distorto dall'ira. Lo gnomo si era lentamente
portato verso il fondo della stanza, lontano dal tavolo.
«Non tanto, signor Barthington. Voi avete
fatto il viaggio con il domatore, lo conoscevate bene e non lo
sopportavate più. Solo voi potevate scoprire il suo furto e, allora,
avete deciso di vendicarvi di lui… Oh, santi numi!».
Jeff Barthington aveva sguainato il pugnale
e lo teneva minacciosamente puntato sul collo di Laurel che era
impallidito vistosamente. Deckard si alzò in piedi. Cannon afferrò un
bastone.
«Non provate ad avvicinarvi, o il ciccione
crepa! Miriam, vai a prendere le nostre cose. Ce ne andiamo!». La
ballerina prese un mantello e uscì fuori dalla locanda.
«Jeff… come puoi farmi questo?». La voce
lamentosa di Laurel suonò flebile da dietro la lama del pugnale.
«Spiacente, Ollie. O il tuo
collo o il mio. State lontani!».
Deckard guardò il suo amico che era rimasto
seduto, con gli occhi puntati su Laurel. C’era un’espressione avvilita
in quello sguardo. Il barbaro rimase perplesso. Difficilmente il
giovane gentiluomo si faceva trovare impreparato ma, stavolta, sembrava
decisamente che non avesse intenzione di reagire.
«Barthington, se lo tocchi sei un uomo
morto».
«Barbaro, se ti avvicini, LUI è un uomo
morto. Io non ho nulla da perdere. Lo capisci?».
Deckard tacque, guardandolo cupamente.
L’acrobata sarebbe finito certamente impiccato se fosse stato
catturato. Era evidente che un morto in più non avrebbe cambiato il suo
destino. Laurel era davvero in pericolo. Guardò lord Bailey. Era sempre
immobile, come una statua di cera, gli occhi che vagavano per la
stanza, come in cerca di qualcosa, ma che si fermavano spesso sui due
che, camminando all'indietro, stavano avvicinandosi alla porta.
«Signor Barthington, siete un vile!». La
bionda signorina Faulkner era pallidissima e la sua voce era diventata
glaciale.
«Signorina Faulkner, siete una stupida.
Avete fatto questa bella sceneggiata dandomi il tempo di prendere le
mie contromisure. Avete capito quasi tutto. Ma avete sottovalutato i
vostri avversari».
«Jeff, possiamo andare». La chioma rossa
balenò dietro la
porta. Il giovane acrobata sorrise.
«Ora usciremo. E chiuderemo la porta. Se
provate a seguirci. Ollie è morto. Non voglio vedere
aprire la porta della locanda finché il villaggio sarà in vista».
Sempre parlando, il giovane acrobata indietreggiò fino a varcare la
soglia della locanda.
«Addio, signori!». La porta si chiuse sui
volti lividi e corrucciati. Una risata echeggiò nell’oscurità della
notte. Solo il fuoco continuava a farsi sentire, senza però riuscire a
scacciare il gelo dalla sala.
«Cosa facciamo?». La voce di Cannon ruppe il
silenzio.
«Temo che non si possa fare nulla, signor
Cannon. Sono stata una stupida e ho lasciato loro una possibilità di
beffarci». Le parole della ragazza uscirono lentamente, flebili e
cariche di pianto.
«Non esagerate signorina. Siete stata
davvero molto acuta, invece. Non c’è nulla di male in quel che avete
fatto». Il giovane aristocratico si alzò e si avvicinò alla ragazza
bionda.
«Milord, così sono scappati». Una lacrima si
affacciò sugli occhi della giovane.
«Ebbene? Non ci sono stati altri morti, e
non è poco, in questa situazione. Avvertiremo le guardie che daranno
loro la caccia.
Non andranno lontano». Le sorrideva con quegli occhi
affascinanti. Miss Faulkner distolse lo sguardo.
«Avrei voluto essere io a catturarli». Sulle
labbra serrate, però, era comparsa l’ombra di un sorriso.
«Li avete smascherati. Non è poco.
Complimenti, signorina Faulkner. Non so quanti sceriffi avrebbero
saputo fare di meglio». Il giovane si spostò per far posto al padre
della ragazza che si era accostato con gli occhi lucidi.
«Sei stata... fenomenale, figlia mia. Scusa
questo vecchio caprone che non si fidava di te». Messer Faulkner pose
una mano sulla spalla della figlia e l'attirò verso di sé per
abbracciarla.
«Oh, padre... sono felice di non avervi
deluso». Miss Faulkner era decisamente commossa.
«Deluso? Sono orgoglioso di te, figlia mia!».
Lord Windström si allontanò silenziosamente
dalla coppia abbracciata, fece un cenno di saluto al locandiere e uscì
fuori, seguito da un Deckard semplicemente fuori di sé. La notte aveva
inghiottito il carrozzone degli artisti, del quale non si udiva più
neppure il rumore delle pesanti ruote. Il giovane aristocratico sorrise
tristemente e alzò le spalle, voltandosi verso la piazza del paesello.
Giunse a passi lenti accanto al pozzo e si sedette sul bordo di questo,
in un punto dove qualcuno aveva rimosso la neve. Guardò l'amico,
senza parlare.
Deckard si aggirava nella piazza come un
leone in gabbia. Avrebbe voluto lanciarsi all’inseguimento dei
fuggitivi ma le condizioni della pista erano ancora troppo brutte. I
rischi di azzoppare un cavallo o finire in una scarpata erano ancora
troppi. Vide il suo amico seduto sul bordo del pozzo e la sua
espressione malinconica lo fece sbottare.
«Maledizione! Farsi giocare così fa
veramente rabbia. Se non avessero avuto un ostaggio li avrei rincorsi.
Che ne sarà di quel poveraccio?».
Il giovane lord alzò gli occhi verso di lui
e sorrise senza allegria. Il suo sguardo tornò a scrutare nel vuoto,
nella direzione presa dal carro dei fuggitivi.
«Immagino che starà facendosi grasse risate
alle nostre spalle».
«COSA?». Il barbaro spalancò gli occhi e li
fissò sul suo giovane amico. Si rese immediatamente conto che non stava
scherzando.
«Laurel era il capo del gruppo, Deckard. Lui
ha organizzato tutto. Compreso lo stratagemma che ha permesso loro di
scappare. Dobbiamo riconoscere che è veramente un bravissimo attore».
«Tu lo sapevi». Era una constatazione.
«Naturalmente. L’ho capito quando ho
compreso il significato della scomparsa del collare». Un lampo di
vanità comparve negli occhi del giovane, subito cancellato da un'ondata
di tristezza.
«Mi stai prendendo in giro?».
«Niente affatto. Era evidente che Laurel era
sempre stato il capo riconosciuto di quel gruppetto di lestofanti.
Pasterron ha pagato con la vita forse anche l'aver messo in discussione
la sua autorità, anche se non credo che Laurel avesse voluto la sua
morte. Aveva deciso di andarsene per conto proprio. Ma, probabilmente,
quella era stata solo l'ultima di numerose ribellioni».
«Ma come hai fatto a capirlo?». Il barbaro
era sinceramente stupito.
«C'erano due questioni critiche, Deckard. La
prima era: cosa ci faceva la pantera fuori dalla gabbia? E la seconda
era: perché è stato sottratto il collare. La risposta alla prima era
ovvia, il domatore aveva liberato la pantera per difendersi. Ma da chi?
Questo ci riporta al collare. L’unica ragione plausibile perché fosse
stato sottratto era che doveva contenere qualcosa di prezioso,
esattamente come la nostra miss Faulkner ha intuito. Quello che ha
compreso troppo tardi è stato il ruolo di Jorg nella faccenda. E non ha
capito che Laurel era stato la mente di tutto il complotto». Il giovane
sospirò. «Ma, forse, è stato meglio così».
«Non ti seguo».
«Ti ricordi il misterioso furto? Una stanza
con una finestra troppo piccola perché ci potesse passare un uomo. Un
uomo. Ma uno gnomo è riuscito a passare di lì. Jorg ha commesso
materialmente il furto, anche se il piano era quasi certamente di
Barthington».
«Così anche lo gnomo… ed io che l’ho
difeso!».
«Era uno schiavo, amico mio. Doveva fare
quel che il suo padrone ordinava. In realtà, lui è la vera vittima di
tutta questa faccenda».
«Perché?».
«Perché ha perso tutto. Il lavoro, le
persone di cui si fidava, la sua adorata pantera. E rischia il capestro
come gli altri, per quel furto».
«Forse hai ragione. Ma io non capisco ancora
come hai ricostruito tutto».
«Pensaci, amico mio, chi poteva essere a
conoscenza del contenuto del collare, oltre alla vittima? Ovviamente
Jorg, che era al corrente del furto. Ma Jorg non poteva essere
l'aggressore e non avrebbe mai ucciso la pantera, dal momento che
poteva avvicinarcisi senza alcun timore. Allora doveva essere qualcun
altro. Qualcuno che aveva raccolto una confidenza dello gnomo».
«Laurel?». Deckard cominciò a comprendere la
verità.
«Certamente. Laurel godeva della fiducia e,
forse, della riconoscenza di Jorg. Inoltre, quando Monia ha sentito
Pasterron parlare con la misteriosa donna, lo ha sentito vantarsi di
essere diventato ricco ma non di come lo fosse diventato. La donna, che
ovviamente era Miriam, secondo Pasterron, era all'oscuro del furto.
Dunque, l'informazione poteva provenire solo dallo gnomo. Immagino che
Jorg, dopo l’ennesima umiliazione, abbia confidato il segreto a Laurel,
durante il viaggio da Elosbrand a qui. E lui ne ha parlato con gli
altri. Così, insieme a Miriam e Jeff hanno organizzato il colpo. Lei si
è finta innamorata, lui si è finto geloso ed hanno atteso l’occasione
giusta. Quando Pasterron, però, fece capire che voleva partire con la
bella ballerina, non hanno potuto attendere. Sinceramente, immagino che
non volessero ammazzarlo. Posso sbagliarmi ma credo che le cose siano
precipitate quando Pasterron ha liberato la pantera. Jeff lo
minacciava con la balestra e, forse, Miriam col pugnale. La rabbia per
il tradimento lo ha sopraffatto e lui ha aperto la gabbia col pedale,
senza che gli altri se ne accorgessero. Quando Kira si è presentata di
fronte a Barthington, questi ha temuto per la propria vita e ha usato
la balestra contro
la belva. Un solo colpo non sarebbe bastato a
ucciderla, sicché Miriam, disperata, ha colpito il domatore col
pugnale, ha afferrato la sua balestra da mano, che Jorg ci ha detto era
sempre nascosta sotto la cassetta, e ha tirato sulla pantera. La povera
bestia si è fermata quel tanto da dare a Jeff il tempo di ricaricare e
finirla. Se Pasterron non avesse scatenato Kira contro Jeff,
probabilmente sarebbe ancora vivo. Costretto a dividere il bottino con
gli altri, ma vivo».
Il barbaro si sedette accanto all'amico. La
rabbia era ormai sfumata.
«Poveraccio. Credeva di essere un tipo in
gamba e si è fatto infinocchiare così».
«Era vanitoso. Ma era anche uno che
sfruttava gli altri per fare tutto. Il vero domatore era Jorg, me l'ha
confidato lo stesso Laurel e non aveva alcun motivo di mentirmi a
questo proposito».
Deckard si alzò nuovamente in piedi per
porsi di fronte all'amico. Lord Bailey lo guardò negli occhi,
leggendovi gli ultimi bagliori dell'ira.
«Ma perché non me l’hai detto prima? Avremmo
mandato all'aria il bluff e li avremmo presi. Mi spieghi perché li hai
lasciati fuggire?».
«Cosa avrei dovuto fare, secondo te?». Un
sorriso stanco accompagnò le parole del giovane.
«Mi pare chiaro: smascherarli e fare in modo
che venissero consegnati alla giustizia».
«E, magari, impiccati seduta stante al primo
albero, vero?». La voce, generalmente allegra, del nobiluomo era
permeata di rabbiosa tristezza.
«Se lo sarebbero meritato».
Lord Bailey si alzò in piedi e sollevò i
suoi occhi profondi sul volto dell'amico.
«Hai mai visto un impiccato, Deckard?».
«Be’… no. Ho visto gente ammazzata in guerra
e nell’arena dove combattevo anni fa… ma impiccati no».
«Io ho visto tutta la mia famiglia impiccata. Mio padre, mia madre, mia sorella. I volti tumefatti negli
spasimi dell’agonia, gli occhi fuori dalle orbite, la lingua vomitata
fuori dalla bocca, urine e feci che colano lungo le gambe. Tutto ciò in
nome della giustizia, Deckard. Eppure erano tutti innocenti. Vittime
dei pregiudizi e delle calunnie».
«Ma quelli sono colpevoli». Il barbaro era
sorpreso dalla passione che accompagnava le parole dell'amico.
«E io sono un ladro. Devo ricordartelo? Io
sono Blackwind». Parlava sommessamente, quasi a se stesso, eppure
Deckard si voltò a guardarsi intorno temendo che qualcuno potesse udire
le parole del giovane. Erano soli, dunque si tranquillizzò.
«Va bene, ma questo che c’entra? Quelli sono
tre assassini».
«Inoltre, consegnando loro, avrei messo
sulla forca anche Jorg».
«Lui? Perché?».
«Perché la giustizia lo avrebbe ritenuto
complice, quantomeno del furto. Figurati se si sarebbero preoccupati di
distinguere la sua posizione! Un impiccato in più fa sempre bene alla
giustizia». C'era un'amarezza insolita nella sua voce.
«Mi spieghi dove vuoi arrivare?».
«Cosa cambia? Innocenti o colpevoli. Io non
credo che volessero davvero uccidere. E poi, chi è davvero innocente, a
questo mondo? Che differenza c’è fra un morto assassinato e uno
giustiziato? Il primo muore nascosto, il secondo offre un edificante
spettacolo alla popolazione. E quanti sghignazzano, davanti a
quell’agonia! Chissà se a loro interessa se si tratta di un colpevole o
un innocente… forse gli basta soddisfare la propria sete di sangue. Ma
un morto è sempre un morto. No, amico mio. Uccidere mi fa orrore. Fare
uccidere, altrettanto».
«Ma è una questione di giustizia! Gli Dei…».
Deckard si interruppe, guardando gli occhi lampeggianti del giovane.
«Gli Dei stanno lassù. Qui la giustizia la
amministrano gli uomini. E gli uomini bramano il sangue».
«Ma questo è il mondo! Come puoi pretendere
di cambiarlo?». Deckard si rese conto che sarebbe stata una discussione
inutile. Il suo amico parlava sinceramente e lo conosceva troppo bene
per sperare di spuntarla.
«Non m’illudo di cambiarlo. Ma non mi
renderò complice di questo sistema che chiamano giustizia. Io sono un
fuorilegge. Fuorilegge, capisci? Io rubo. Quelli che assicurano i
fuorilegge alla giustizia stanno dall’altra parte della barricata. Loro
sono le guardie. Io il ladro».
«Ma non sei un assassino».
L'ombra di un sorriso comparve negli occhi
di Blackwind.
«No. Non lo sono. Ma c’è mancato poco che lo
diventassi in nome della giustizia. Di una giustizia che è solo
vendetta. Mi dispiace, Deckard. Credo di essere un giusto. Non sarò mai
un giustiziere».
Ora Blackwind era nuovamente nascosto sotto
le spoglie dell'elegante lord Bailey. I lampi nei suoi occhi si
quietarono e la sua voce era nuovamente ferma e controllata.
«Io cerco di capirti. Mi fa solo rabbia che
quei due siano scappati con il gioiello».
Un sorriso divertito irruppe negli occhi del
giovane.
«Ti sbagli, amico mio. Il gioiello è qui».
«COSA?».
«Ma ti pare che li avrei lasciati scappare
col bottino?». Ora sorrideva apertamente.
«Come hai fatto?». Il barbaro sprofondò
nuovamente nella confusione.
«Facile, mentre stavate perquisendo le
stanze, io sono uscito, l’ho recuperato e l’ho sostituito con un pezzo
di catena».
«Ma dov’era? Com'è possibile che tu sapessi
dove cercare?».
«Ho pensato cosa avrei fatto nei loro panni.
Giustamente, l’hanno nascosto in un posto dove nessuno va, in questo
periodo ma dove non c’è nulla di strano se qualcuno ci gira intorno.
Nel pozzo, questo pozzo, in un sacchetto appeso a una corda. La gente
di qui, in questa stagione, usa la neve per procurarsi l’acqua, che è
meno faticoso e più rapido di andare al pozzo e manovrare una catena
ghiacciata. D’altra parte, nessuno ci fa caso se qualcuno si appoggia
al pozzo».
«E nessuno si era accorto della corda?».
«Chi se ne poteva accorgere?, era coperta
dalla neve, come tutto il bordo. Bisognava andarla a cercare per
trovarla. Era proprio qui, dove Miriam ha rimosso la neve per
recuperare il bottino, dove ci siamo seduti».
«E tu sapevi che l’avresti trovata. E loro
sono partiti a mani vuote». Ancora una volta, Deckard si limitò a
constatare che il suo amico aveva interpretato nel modo più semplice e
logico i pochi indizi a disposizione.
«Esattamente».
Rientrarono nella locanda, accolti dal
tepore del fuoco. Il gelo della notte cominciò a sciogliersi anche
dentro di loro. Erano stanchi per le emozioni della giornata. Si resero
conto che anche gli altri dovevano essersi sentiti allo stesso modo ed
erano andati a dormire. La grande sala era quasi deserta, ormai. Solo
una piccola figura era ancora seduta davanti al camino. Non si voltò
sentendoli entrare.
Lord Bailey si avvicinò al fuoco e si
sedette accanto allo gnomo.
«Quanto costano certe vendette, vero, messer
Jorg?».
Lo gnomo si voltò di scatto, fissando i suoi
occhi velati di lacrime in quelli limpidi del giovane aristocratico. Un
lampo di paura passò nel suo sguardo, seguito da una quieta
rassegnazione.
«Lo… sapevate?». Chiese, con voce piatta.
«Chi altri avrebbe potuto informare Laurel
del collare? D’altronde, mi sembrava impossibile che il signor
Pasterron fosse stato capace di rubare da solo quel gioiello. Era
racchiuso in una stanza con solo una piccolissima finestra. Troppo
piccola per un uomo. Non per voi, però».
«Siete acuto, milord. Ora mi consegnerete
alle guardie?». Non c'era più paura nella voce di Jorg. Solo
rassegnazione.
«Non ho consegnato quei tre. Anche per non
coinvolgere voi». La voce del gentiluomo era calma e gentile. Una
carezza dopo tanti schiaffi.
«E allora?». Gli occhi scuri dello gnomo si
fissarono in quelli del giovane che lo guardava sorridendo.
«Allora, siete libero. Vi è costata cara,
questa libertà. Fatene buon uso».
Lo gnomo lo guardò con un’espressione piena
d’incredulità. Poi le lacrime tornarono a sgorgare.
«Scusate… non è dignitoso… ma sono un
semplice schiavo… perdonatemi milord».
«Non siete più uno schiavo. Kira non c’è più
ma siete libero. Lei sarebbe contenta così». La voce del giovane
accarezzò ancora la piccola creatura, addolcendo l'amarezza che Jorg
sentiva dentro il cuore.
«Voi… oh, milord! Kira è stata l’unica amica
da non so più quanto tempo… non avrei mai barattato la mia libertà con
la sua vita. Preferivo essere uno schiavo… insieme a lei».
«Non possiamo cambiare quel che è accaduto,
Jorg.». Da quanto tempo non era stato trattato da pari a pari da
qualcuno? Laurel era gentile ma condiscendente, Miriam lo considerava
buffo e lo trattava bene ma come avrebbe trattato un cagnolino. Per gli
altri, lui era sempre e solo uno schiavo. Si sentì in dovere di
scusarsi con quel gentiluomo che lo trattava con tanto rispetto.
«Non avrei mai immaginato…».
«Ne sono certo. Altrimenti non sarei qui.
Volevate che qualcuno desse una lezione al vostro padrone e vi siete
confidato con Laurel. Gli avete raccontato del furto e di dove fosse
nascosto il gioiello. Lui vi promise di dargli una lezione. Non
potevate immaginare che Miriam e Jeff lo avrebbero ucciso per
impadronirsi del gioiello. Non credo volessero farlo ma la situazione è
precipitata, anche per l'odio fra Jeff e William».
«Avevo promesso che avrei consegnato loro il
gioiello, purché gli dessero una bella lezione. Mi hanno tradito». Non
c'era rabbia nella sua voce. Solo una profonda tristezza.
«Forse. Forse sono stati trascinati dagli
eventi. In ogni caso pensavano di essere al sicuro. Voi non avreste
potuto denunciarli perché sarebbe saltata fuori la storia del furto.
Rischiavate la forca, al pari loro».
«E ora? Che sarà di loro? E di me?».
«Di loro non c’interessa. Non credo andranno
lontano. Quanto a voi, siete un domatore. Potete ricominciare daccapo.
Tornate con me a Elosbrand. Sono certo di potervi garantire un ingaggio
degno del vostro talento».
«Milord?». Lo gnomo si voltò verso il
giovane, gli occhi pieni di stupore.
«Conosco molti che apprezzerebbero un
domatore con le vostre qualità. E posso assicurarvi che nessuno oserà
più trattarvi da schiavo».
«Ma io...».
«Andate a dormire, messer gnomo. Domattina
dobbiamo partire presto. Sempreché accettiate la mia offerta,
naturalmente». Il sorriso sincero del nobiluomo restituì un po' di
serenità al piccolo domatore che sorrise e si congedò cerimoniosamente
per sgattaiolare su per le scale e sparire nel corridoio.
«Gli hai dato più ancora della libertà. Ora
ha una speranza». Deckard sorrise all'amico.
«Mi auguro che abbia più fortuna di quanta
ne abbia avuta finora. Sono certo che ha le carte in regola per rifarsi
una vita».
La mattina dopo, Deckard si alzò, come al
solito, all'alba e guardò subito fuori dalla finestra. Il cielo era
terso e non era più caduto un fiocco di neve dalla sera prima. Il
viaggio poteva proseguire. Quell'altro dormiva beato, come al solito.
Si lavò e uscì dalla stanza attirato dal profumo che arrivava dalla
cucina. Giunto ai piedi delle scale, trovò Monia ad accoglierlo con un
sorriso sfolgorante. Accanto a lei, a testa china, stavano i due
fratelli, ancora malconci.
«Buongiorno messer Deckard! Volete fare
colazione?».
«Volentieri, Monia». Uno dei due fratelli
emise una specie di grugnito. Poi Ross si rivolse al barbaro.
«Vorremmo chiedere scusa... ci rendiamo
conto che abbiamo fatto una figura da stupidi».
Deckard li guardò seriamente. Dovette
sforzarsi, però, per trattenere un sorriso nel vedere i loro volti
ancora tumefatti.
«Alla fine, credo che voi due siate fra
quelli che ne escono meglio. Siate più prudenti in futuro, però. Avete
rischiato la forca per un coltello da donna».
Rimasero a chiacchierare per circa un'ora,
davanti alla ricca colazione. Alla fine, Deckard aveva riacquistato il
buonumore. Così, accolse con un largo sorriso il suo elegantissimo
amico che scese la scala chiacchierando fittamente con miss Faulkner e
suo padre. Tutti fecero colazione con appetito, dimostrando che la
disavventura del giorno precedente era stata quantomeno archiviata, se
non sepolta del tutto. I Faulkner avevano deciso di fermarsi ancora
qualche giorno alla locanda, in attesa di potersi aggregare a qualche
altro gruppo di viaggiatori diretto a nord. Lord Windström e Deckard,
invece, sarebbero ripartiti subito, accompagnati da un raggiante Jorg.
Al momento della partenza, i Cannon e i
Faulkner accompagnarono alla stalla i due amici, salutandoli
cordialmente. Il locandiere abbracciò vigorosamente il barbaro mentre
Monia gli elargì uno schioccante bacio sulla guancia che lo fece
diventare rosso come un pomodoro. Anche messer Faulkner strinse
vigorosamente la mano di Deckard. Non ci si poteva attendere nulla di
più ma, da uno così, quel gesto significava più di un fiume di scuse.
Miss Faulkner parve colpita dal vedere lo
gnomo prepararsi a partire col gentiluomo. Si avvicinò a lord Bailey
elargendogli uno dei suoi sorrisi più smaglianti. Una rarità sul volto
severo di quella ragazza.
«Così gli avete proposto di tornare con voi
e di trovargli un lavoro?».
Il gentiluomo le sorrise col suo solito fare
affascinante.
«Lavorerà per me, finché non gli avrò
trovato qualcosa di adatto al suo talento».
« Tutto sommato, sono contenta che sia
finita così. Quel poverino, almeno, potrà avere un futuro sereno. Se
solo l'avessi capito prima, mi sarei consigliata con voi. Siete un uomo
estremamente generoso, milord. Spero di rincontrarvi al mio ritorno a
Elosbrand». La ragazza arrossì.
«Ne sarò lietissimo, madamigella. Voi e
vostro padre siete invitati a cena nel mio palazzo, al vostro ritorno.
Ci conto».
Un altro sorriso illuminò il viso affilato
della ragazza.
«Buon viaggio, milord».
«Grazie, Lilian. A presto».
Lord Bailey li guardò allontanarsi,
sorridendo, poi rientrò nella stalla per sellare il suo cavallo. Il
barbaro era lì che lo guardava sornione, con le mani sui fianchi.
«Siete un uomo estremamente generoso,
milord! Ma lo sa che hai preso tu il gioiello?». Deckard era fra
l’indignato e il divertito. «Un po’ d’oro in cambio di sette rubini che
valgono ognuno tre volte tanto!».
«Quel gioiello non ha mercato, Deckard.
Chiunque cercasse di venderlo rischierebbe la galera».
«E tu cosa vuoi farne, allora? Non hai paura
di finire in prigione?».
«Ma io sono Blackwind. E posso fare quel che
agli altri non riesce». Ora lord Bailey rideva allegramente.
«Ah sì? E come risolvi questo problema?».
«Ma è facile, amico mio. Lo restituisco al
suo proprietario. Ovviamente, dietro il compenso che mi spetta per
averlo ritrovato».
«Hai davvero una gran faccia tosta! Quindi
scambieresti quel magnifico gioiello con del volgare denaro?».
«Quel gioiello non vale il sangue che è
stato versato, Deckard. E poi ricorda i versi del grande bardo Faber: dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
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