Miss Brightside
Da quanto tempo
stavo camminando? Non lo sapevo più. Ormai il mio cervello
aveva inserito il pilota automatico: un passo dietro l’altro,
un passo dietro l’altro. Vagavo senza meta. I piedi non me li
sentivo più e avevo freddo fino all’osso. Ad un tratto,
vidi qualcosa di grande al di la della nebbia. Fiocchi di neve
turbinavano intorno ad un grande masso di pietra… ogni mia
speranza di salvezza svanì; ma, se non altro, il masso era un
punto di riferimento. Mi trovavo a Campitello Matese, o meglio, ero
partita da Campitello, per perdermi poi fra le valli nevose delle
montagne che lo circondano. La mia doveva essere una semplice
vacanza, ma finì per trasformarsi in un incubo. Dovevo solo
ringraziare il Cielo di essere riuscita a scappare, anche se ora,
frastornata e congelata, non avevo nessuna speranza di salvarmi.
Vedevo le mie mani
diventare sempre più violastre e fitte atroci mi percorrevano
le gambe. Ogni passo mi richiedeva uno sforzo titanico e più
di una volta avevo inciampato fra i miei stessi passi, cadendo faccia
in giù nella neve. Non avrei mai immaginato di morire in
questo modo: di freddo fra montagne a me sconosciute, dove a nessuno
sarebbe mai venuto in mente di cercarmi.
Se lo avessi saputo,
mi sarei vestita in modo diverso… ora, invece, tra un battito
di denti e l’altro, maledivo me stessa di aver messo le mie
scarpe preferite anche per venire fin qui. Le mie converse rosa. Ah!,
che pessimo affare! Incedere sulla neve con le converse è
saggio quanto attraversare un fiume con un paio di calzini di cotone.
Arrivata a questo punto, ero quasi del tutto certa che i miei piedi
si sarebbero staccati per il freddo dalle gambe, come foglie secche
dai rami degli alberi. Dovevo fermarmi e al più presto. Ormai
non era più necessario correre. Ero lontana abbastanza.
Raggiunsi la grande
pietra e mi stupii che intorno fosse circondata da fili sottili di
erba. La pietra era liscia e priva di neve. Quando misi piede sul
terriccio e, per la prima volta non sentii la gamba sprofondare fino
al ginocchio nella neve, un dolore acuto stordì i miei sensi e
svenni. Ripresi conoscenza poco dopo, ricoperta da un sottile strato
di fiocchi bianchi. Guardai i miei piedi, irrigiditi dal freddo in
una posa innaturale e capii che ormai non sarei riuscita più a
muovere un solo passo. Mi sarei accovacciata a riparo del sasso e
avrei aspettato la fine.
In fin dei conti ero
stata fortunata. A me non era toccata la sorte di mia cugina.
Ripensandoci, cominciai a piangere e crollai ai piedi del sasso. Mi
strinsi forte il petto con le braccia e ricordai…
Io e mia cugina
Monica eravamo partite da Napoli lunedì mattina, con la
speranza di trascorrere da sole una settimana delle vacanze di
Natale. Monica era elettrizzata dal fatto che saremmo tornate nella
nostra regione di origine e perché lì, nella terra dei
nostri nonni, avrebbe imparato a sciare: era la sua nuova passione.
Si trovava sempre a suo agio nel freddo, tanto che spesso mi
costringeva ad accompagnarla a pattinare sul ghiaccio.
Dopo quasi tre ore
di viaggio, arrivammo su a Campitello. Appena scese dalla macchina,
non sapevamo di preciso quale fosse l’albergo che mia madre
aveva prenotato per noi, così, di buon grado, ci avvicinammo
ad un capannello di ragazzi, già equipaggiati per sciare, per
chiedergli informazioni.
Monica dapprima si
presentò, poi, iniziò a civettare con il più
carino del gruppo. Alzai gli occhi al cielo… lei era fatta
così. Nel frattempo, mi guardai intorno e, con stupore, mi
accorsi che c’era qualcuno che ci guardava. Era una ragazza.
Non la conoscevo, eppure la sconosciuta guardava me e mia cugina con
uno sguardo intenso, tanto che mi stupì. La prima cosa che mi
colpì di lei, oltre allo sguardo, fu che la ragazza aveva uno
strano aspetto. La sua pelle era molto pallida, aveva occhi chiari,
verdi forse, e capelli rossi lunghissimi. I capelli le turbinavano
attorno al viso, ma lei non faceva nulla per scostarli: restava
immobile a fissarci. Dopo quella che mi sembrò un’ora
abbondante, Monica liberò i ragazzi della sua presenza e io le
feci notare la ragazza. Nemmeno a lei parve di conoscerla, però,
quell’insistenza nello sguardo irritò mia cugina a tal
punto che, con aria spavalda e a viso scoperto, le si avvicinò,
chiedendole cosa volesse.
La rossa la guardò
con un sorriso strano…
- Tu sei Monica,
vero? Ho sentito tanto parlare di te…
La sua voce era
calma, con una nota quasi di gioia…
- E dove?, chiese
Monica, stupita da quell’affermazione, dato che era la prima
volta che venivamo in Molise ed era molto improbabile che qualcuno la
conoscesse.
- Bella domanda,
mormorò la sconosciuta quasi fra sé.
Una ruga le solcò
la fronte, tra le due sopracciglia, e la squadrò dalla testa
ai piedi, come se volesse imprimere nella sua memoria l’aspetto
di mia cugina.
Io continuavo a non
capire. Cos’è che voleva da noi? Perché sembrava
conoscerci ed essere interessata a noi?
- Io mi chiamo Maria
Brightside, mio padre era americano, aggiunse, quando io e Monica ci
guardammo, colte di sorpresa dal suo nome.
Solo allora mi
accorsi del suo strano accento nel parlare. Le dava un’aria
molto raffinata, tuttavia, continuai a non fidarmi di lei. Sentivo
dentro di me un cupo presentimento, potevo quasi essere certa che
qualcosa di brutto stava per capitarci. Mi sbagliavo…
“qualcosa di brutto” è un eufemismo in confronto a
ciò che realmente ci capitò.
La rossa si passò
una mano fra i capelli e ci sorrise.
- Okay, basta con
gli enigmi. Monica, forse il mio nome ti sembra sconosciuto, ma sono
sicura che ti ricordi di Niky182.
Nel dire questo
indicò se stessa, dopo di che allargò le braccia con un
sorriso, per abbracciare mia cugina.
Monica dapprima
sembrò stupirsi, poi ricambiò con gioia l’abbraccio
e mi spiegò che la sconosciuta era una sua amica di Messenger,
conosciuta tramite amici comuni. Si buttarono allora in una calorosa
conversazione, raccontandosi fatti ed eventi che ancora non avevano
condiviso. Mi raccontarono che avevano stretto da subito un sincero
affetto e, a loro, quasi sembrava di conoscersi da sempre. Bah…!
Io non ci vedevo chiaro in questa storia.
Forse perché
avevo sempre diffidato di internet e vedevo il computer come una
sorta di mostro difficile da capire e da far funzionare. Ogni volta
che lo sfioravo, combinavo casini, per, poi, essere presa in giro dai
miei fratellini. Sì, senza dubbio, il computer non faceva per
me.
Maria ci raccontò
di aver letto nel blog di Monica la nostra intenzione di venire qua e
lei, dato che non abitava molto distante, aveva avuto la geniale idea
di farci un’improvvisata. Mmmh… Monica era raggiante; io
non la sopportavo. C’era qualcosa di mellifluo nei suoi modi:
sembravano studiati, per nulla sinceri e, per dirla tutta, detestavo
l’eventualità che una perfetta sconosciuta mi rovinasse
le vacanze.
Dopo poco, ci invitò
in un bar lì vicino e ci offrì una cioccolata calda. Ci
raccontò che lei, sin da piccola, era sempre venuta a sciare e
le piaceva così tanto stare in montagna con la neve che aveva
convinto la sua famiglia ad acquistare una casetta isolata a est di
Campitello. Disse che era bellissima e che sarebbe stata felice, se
noi fossimo andate a visitarla il giorno stesso. Monica subito
acconsentì e Maria ci offrì un passaggio sulla sua
auto. Io proposi di andare prima a sistemarci in albergo, così
avremmo potuto cambiarci e indossare abiti più pesanti, ma
Maria si oppose. Disse che non avrebbe mai e poi mai tollerato che
due sue amiche dormissero in albergo, dal momento che lei era
perfettamente in grado di ospitare entrambe. Così,
eccitatissima, ci fece strada verso la sua auto.
Era una Mini rossa,
equipaggiata con catene sui pneumatici. Salimmo a bordo dopo aver
sistemato i bagagli e partimmo. Ci allontanammo dalle piste
sciistiche e imboccammo uno stretto sentiero tra gli alberi. Dopo
quello che mi sembrò un tempo interminabile, arrivammo davanti
a una piccola baita di legno. Appena la ebbi vista, mi si parò
dinanzi agli occhi un flashback di Biancaneve e I Sette Nani. La
casetta di Maria, somigliava moltissimo a quella dei nanetti.
Monica scese
entusiasta dall’auto e insieme entrammo. Maria si chiuse la
porta alle spalle e la sua
espressione cambiò.
Ora non sorrideva più. I suoi occhi erano freddi come il
ghiaccio e, prima
che me ne rendessi
conto, mi colpì violentemente la testa con qualcosa di duro.
Tutto divenne buio.
Non so per quanto tempo rimasi incosciente, ma, quando mi svegliai,
mi ritrovai legata e imbavagliata insieme a Monica ad un pilastro di
legno della baita.
Una musica raggiunse
le mie orecchie. Era una canzone che conoscevo, dei Killers: Mr
Brightside! Come il suo cognome! O forse no? Sarà stata una
bugia anche quella, come il fingersi nostra amica e, poi, trattarci
in questo modo. Cosa voleva? I nostri soldi? Non capivo la logica di
quanto ci era accaduto.
- I
just can't look its killing me and taking control… Jealousy
turning Saints into the sea, swimming through sick lullabye, choking
on your alibi, but it's just the price I pay, destiny is calling me
open up my eager eyes… I'm Mr Brightside!
Oddio! In un momento
come questo, la pazza cantava. Apparve nel mio campo visivo ad occhi
chiusi, intenta a concentrarsi nella canzone. Faceva dondolare la
testa a ritmo di musica a destra e sinistra e volteggiava come se
stesse ballando con un cavaliere invisibile. Rimase così a
lungo.
La testa mi faceva
male. Emisi un rantolo che catturò la sua attenzione.
- E’ ora della
festa?
Rise fra sè,
di un’ironia che coglieva solo lei e guardò Monica con
guizzo luminoso negli occhi.
Si avvicinò a
mia cugina e, con uno strattone, la trascinò, legata polsi e
caviglie, al centro della stanza, proprio sotto la luce. Fu in quel
momento che Monica scorse la causa di quanto ci stava accadendo.
- Ma, cosa ci fai
con quella foto?, chiese alla nostra rapitrice.
Guardai nella sua
stessa direzione e vidi la foto di un ragazzo dai capelli scuri e gli
occhi verdi. Lo riconobbi subito: era l’ex ragazzo di Monica.
Lo conoscevo bene. Era un ragazzo silenzioso, ma molto simpatico:
spesso ci prendevamo in giro a vicenda e, anche se ora non era più
il fidanzato di mia cugina, ci sentivamo ancora per telefono o
trascorrevamo una serata insieme ogni tanto.
- Vuoi sapere cosa
ci faccio? Ebbene, sappi che io, due anni fa, ero follemente
innamorata di lui. Aveva portato nella mia vita una gioia nuova. Ho
sempre condotto una vita triste e vuota, ma lui mi aveva insegnato a
trovare un senso a tutto ciò che mi capitava. Quando vi siete
fidanzati, lui è cambiato. Gli hai avvelenato l’anima,
illudendolo e, poi, abbandonandolo. Ora non si fida più di se
stesso né degli altri. Nemmeno di me… Hai rovinato la
sua vita e la mia, come potrei mai permetterti di continuare a
respirare?
Ora, i suoi occhi
erano rossi: le erano scoppiati i capillari per la rabbia.
Ad un tratto, le sue
mani si avventarono sui capelli di Monica e cominciò a
strattonarli con tutta la sua forza. Mia cugina urlò di
dolore, ma tutto era inutile: ci trovavamo nel cuore delle montagne,
nessuno ci avrebbe mai sentito.
Maria aveva il volto
deformato dall’ira. Dopo un attimo, cominciò a
scagliarsi contro Monica con calci e pugni. Io non avevo idea di come
difendere Monica. Ormai, avevo la vista annebbiata dalle lacrime, ero
totalmente impotente. Mia cugina tentò di rannicchiarsi su se
stessa, ma, all’improvviso, la furia dai capelli rossi si
allontanò. Non feci in tempo a sospirare di sollievo, che la
vidi tornare con un matterello. Cominciò, allora, a picchiare
selvaggiamente Monica in ogni punto del suo corpo, con forza brutale.
Le sue urla risuonarono nella stanza e mi squarciavano il petto dal
dolore. Dopo ogni colpo sentivo il rumore delle sue ossa che si
spezzavano. Il sangue le usciva dal naso rotto, a fiotti, e si
mischiava con lacrime che le rigavano le guance. Non aveva più
la forza di contorcersi e subiva passiva ogni colpo. Tentai più
volte di slegarmi, ma era inutile. Chiusi gli occhi per non vedere
quella mattanza, ma, ormai, il volto di Monica, insanguinato, con i
denti rotti, mi riempiva la mente. Ripensai a come era stata felice
il giorno che avevo acconsentito ad accompagnarla qui. Maledetto
giorno! Perché doveva proprio succedere a noi? Fra tante
persone, perché mai era toccato a noi il destino di essere
massacrate da una psicopatica sadica?
Pensai poi alla
nostra infanzia. Sempre inseparabili sin dalla culla. Non potevo
permettere che
Monica morisse così,
non dovevo arrendermi, non potevo. Dovevo salvarle la vita… e
dovevo farlo in fretta. Cercai di ignorare la macabra scena dinanzi a
me e cercai di concentrarmi sulle cose che mi circondavano. Chissà,
magari avrei avuto la fortuna di trovare qualcosa di tagliente per
slegarmi. Nei film succedeva sempre, perché non poteva
accadere ora?
I film sono film e
la realtà non segue mai trame tanto felici. Inutile dire che
non c’era niente che potesse aiutarmi in quel momento. Potei
solo tentare di allentare il nodo delle corde che mi legavano, ma non
di più. Monica, intanto, seguitava a urlare e singhiozzare.
Implorò pietà, ma la pazza rise di lei e continuò
a picchiarla ancora più violentemente. Ormai, il sangue le
aveva imbrattato l’abito e aveva ricoperto il suo volto di
schizzi; ma non le importava. Continuava e continuava. In cuor mio le
augurai di finire nel più profondo dell’inferno e di
subire le pene più atroci, ma, in fondo, avevo la certezza che
l’inferno fosse quello dove io e Monica ci trovavamo ora. Avrei
accolto con piacere le fiamme, invece di stare lì in quel
momento e avrei anche detto grazie. Ad un tratto, si fermò.
Inclinò la testa di lato, come fanno i bambini piccoli, quando
qualcosa attrae la loro attenzione, e guardò mia cugina a
terra con un sorriso, la quale ormai aveva perso l’aspetto
umano, sostituito da ciò che sembrava un cumulo di ossa
ricoperto malamente da carne sanguinolenta.
- Ti prego, le
dissi, lasciala andare. Lei non ha colpa di nulla, se è stata
preferita a te!
La psicopatica emise
un suono simile ad un ringhio, in un istante mi fu vicino e mi colpì
con il matterello.
- Taci, tu!
Mi urlò
contro, a due centimetri dal viso. Posò la mazza a terra e
trascinò quel che rimaneva di Monica vicino a me.
- La vedi?, mi
disse, Ho fatto al suo corpo quel che ha causato lei alla mia anima!
L’abbandonò
lì e si allontanò. Osservai meglio mia cugina: era
ridotta malissimo, ma respirava!
- Moni… mi
senti?
Non mi rispose, ma
la vidi fare un movimento appena percettibile.
- Ascolta, ce la
faremo, non ti abbattere! Usciremo di qui e lei avrà quello
che si merita, te lo prometto!
La stavo ancora
guardando, quando Maria tornò.
- Non temere, mi
disse, fra un po’ tocca anche a te.
Mi fece l’occhiolino
e se ne andò. Rabbrividii e la sentii chiudersi la porta di
ingresso alle spalle: se n’era andata. Mi concentrai sulle
corde che mi legavano. Dovevo riuscire a scioglierle, dannazione! Ad
un tratto, sentii un gemito provenire da Monica. Mi voltai di scatto
e la vidi sospirare. Il suo petto si alzò, poi ricadde. Attesi
che riprendesse a respirare, ma ciò non accadde. Monica era
lì, immobile, gli occhi semi aperti.
- Moni? Rispondimi,
ti prego…
Ma lei non rispose.
Lei non mi avrebbe mai più risposto. Non mi avrebbe mai più
parlato né sorriso né confortato. Monica non c’era
più.
Piansi a lungo, fin
quando, dopo tantissimi sforzi, riuscii a sciogliere la corda ai
polsi. Sì, ce l’avevo fatta; ma ora non mi importava
più. Lentamente mi liberai le caviglie e andai vicino al corpo
di mia cugina. Presi il suo volto, prima bellissimo, fra le mani e
piansi finché non mi rimasero più lacrime. Allora, un
pensiero raggiunse quel poco del mio cervello che aveva conservato
una briciola di lucidità e capii che non dovevo abbandonarmi a
me stessa. Non ora. Morire allo stesso modo di Monica era un lusso
che non potevo permettermi. Non avevo più molta voglia di
vivere, ma di una cosa ero del tutto certa: non avrei permesso che
l’assassina continuasse a vivere impunita. Dovevo scappare,
salvarmi e fare in modo che Maria finisse i suoi giorni in carcere.
Volevo vendetta e avevo una promessa da mantenere!
Mi alzai e corsi
fuori. Senza cappotto, senza riparo per il freddo. Non avevo idea di
dove mi trovassi, il bianco della neve mi abbagliava la vista e non
riuscivo a vedere la strada che ci aveva condotto lì.
Cominciai, allora, a correre disperata, lontano da lì, lontano
da Monica.
Fu così che,
scappando, raggiunsi la roccia.
Mi abbracciai le
ginocchia e chiusi gli occhi. Il tempo passava lentamente e, piano
piano, portava via con sé un pezzetto di me. Prima i piedi,
poi le mani, poi le gambe… Mi domandai quanto tempo avrebbe
impiegato il mio corpo a ghiacciarsi del tutto, ma senza voler
conoscere la risposta.
Cominciai a sentire
una stanchezza incredibile. Ancora poco e sarei morta, me lo sentivo.
Avete presente
quando, nei film, puntualmente, gli eroi riescono a disinnescare la
bomba proprio nell’ultimo decimo di secondo del conto alla
rovescia? A me accadde qualcosa di molto simile: ad un tratto, quando
più mi sentivo vicina alla fine, sentii una voce. Rimasi
frastornata, mentre sentivo delle mani che mi sollevavano da terra e
mi portavano via. Non sapevo chi fosse la persona, ma poco mi
importava. Mi stava portando via di lì, questo era
l’importante. Mi addormentai esausta fra quelle braccia
sconosciute e, quando mi svegliai, mi accorsi che mi stavano
caricando su una barella in un’autoambulanza. Attorno a me
c’era una folla enorme di persone, tutte sconosciute. Facce di
curiosi, persone turbate, volti sconvolti. Ad un tratto, vidi un
guizzo di rosso tra la folla.
Era lei. Stava
immobile tra la gente come fosse una persona qualsiasi di passaggio.
Si accorse del mio sguardo, sorrise e mi fece un cenno con la mano,
come per salutarmi.
Avrei voluto urlare,
far capire a tutti che era lei l’assassina di mia cugina, ma le
mie labbra erano incollate insieme e non potei fare nulla.
Passai molto tempo
in ospedale e, non appena mi fui ripresa, chiamai la polizia e
raccontai a loro tutta la nostra disavventura. I poliziotti si misero
sulle tracce di Maria, ma venni a sapere che non esisteva nessuno con
quel nome. Setacciarono tutte le zone nei dintorni di Campitello, ma
non c’era più alcuna traccia di lei e nemmeno della mia
amatissima Monica.
Avevo fallito. Non
avrei mai mantenuto la promessa.
NOTA: Quanto
avete letto non è di mia invenzione, ma di una mia carissima
amica. Appena l'ho letta, le ho chiesto subito se potevo postarla in
questo forum, poiché volevo farla conoscere a tutti voi. Spero
che vi piaccia come è piaciuta a me!
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