Disclaimer (e altro):
libera interpretazione del non-rapporto di Stefan e Brian ai tempi
della scuola. Di mio qui ci sono solo comprimari ed intreccio, fine - le lyrics appartengono a Brian Molko u.u
Tutto ciò partecipa al terzo round dei
Dodici Mesi di Fedeltà ♥
- Insalata di finocchi. -
Per un istante, l'aria nella mensa scolastica parve congelarsi ed
imprigionare al suo interno le facce di ogni singolo studente seduto
nelle vicinanze.
Persino l'inserviente, una mite vecchietta scialba e rinsecchita, parve
leggermente confusa.
Riaggiustandosi la retina sui radi capelli bianchi, annuì
lentamente e versò un'abbondante razione di finocchi nel
piatto di Brian Molko.
Stefan radunò l'ultimo residuo di ragù delle sue
lasagne sulla forchetta, senza smettere di seguire con lo sguardo la
figura minuta e sdegnosa del ragazzo più palesemente gay
dell'intero istituto.
Altre occhiate ben più affamate e crudeli bersagliarono lo
stesso obiettivo, e i commenti di coloro che erano abbastanza vicini da
aver colto la richiesta di Molko si sommavano a quelli di chi invece
non ne aveva captato un solo suono ma si divertiva comunque a
spettegolare sulla mise giornaliera del ragazzo - compresi i ragazzi
della squadra di basket della scuola seduti accanto a Stefan.
- Cioè... Ha chiesto sul serio quello che ha chiesto? -
- Oltre ad essere frocio è pure un idiota, mi sa. -
- Bella gonnellina, comunque. -
- Chissà come se l'è smagliata, quella calza...
Amichetto di turno troppo entusiasta? -
Nonostante la pioggia di frecciatine più o meno bisbigliate
a cui veniva sottoposto con frequenza pressapoco quotidiana,
l'atteggiamento del soggetto in questione era costantemente di
un'alterigia spiazzante.
Fiero, in quel kilt malizioso e quelle calze nere smagliate dietro il
ginocchio. Sprezzante del pericolo insito in ogni gamba che si tendeva
sfacciatamente a fargli lo sgambetto. Sordo ed indifferente ad ogni
insulto sussurratogli alle spalle.
C'erano momenti in cui, nonostante tutto, Stefan Olsdal si trovava ad
invidiarlo.
Una cortina invisibile sembrava separare Brian Molko dal mondo
– un malcelato senso di superiorità che irritava e
turbava più del suo mascara o delle sue gambe esposte.
Quel senso di superiorità che gli consentiva di sbandierare
sfacciatamente il suo orientamento sessuale – il fatto che in
realtà si trattasse di bisessualità poco
importava agli altri studenti, convinti della granitica dicotomia fra
normali e checche – e di cui Stefan avrebbe tanto voluto
essere dotato.
Osservando Molko prendere posto tutto solo in un tavolo appartato, si
diede per l'ennesima volta della merda vigliacca.
In quel momento, l'aitante e non particolarmente brillante capitano
della squadra, Peter Bengston, si alzò e si diresse con
passo deciso e ghigno ferino verso il tavolo di Molko.
Arrivato, piantò i palmi delle mani sul ripiano e
canterellò: - Allora... Cosa abbiamo qui? -
Prese il piatto di insalata da sotto il naso della vittima
predestinata, che rimase a sfidarlo con i suoi gelidi occhi verdi e la
forchetta ancora in mano.
Stefan ed il resto degli utenti della mensa assistevano alla scena in
totale silenzio, prevedendone probabilmente il seguito: dopo
averne annusato il contenuto, Bengston svuotò il piatto sui
capelli di Molko calcandoglielo con forza sulla sommità del
capo.
Ridacchiando compiaciuto della sua opera, additò il volto
impassibile dell'altro.
- Come pensavo... Finocchio in insalata! -
Diverse risate scrosciarono all'interno della sala ed al tavolo di
Stefan, che si sforzò di accennare almeno un sorriso quando
in realtà il suo cuore aveva mancato un battito durante lo
spettacolino appena consumatosi.
Tronfio come un tacchino, Bengston tornò dai suoi compagni
di squadra e si guadagnò tutta una serie di robuste pacche
sulla schiena ed apprezzamenti vari ed eventuali.
Dall'altro capo della mensa, lo sconfitto stava metodicamente
districandosi pezzi di finocchio dai capelli scuri: nulla della sua
espressione dava ad intendere che fosse arrabbiato o altro.
Zero sentimenti, zero giudizi.
Alzandosi per andare a riporre il vassoio nell'apposita scaffalatura,
Stefan si disse che forse Brian Molko un po' idiota lo era sul serio.
How
Soon Is Now?
1.
The face that fills the hole
That stole my broken soul
The one that makes me
seem to feel much taller than you are
I'm just a
peeping tom
On my own for far too
long
- Il Globe Theatre è un edificio di struttura esagonale... -
La punta della matita si era accorciata ed arrotondata: lasciava solchi
neri e spessi fra le righe del foglio, mentre Stefan cercava a fatica
di stare dietro alla spiegazione dell'insegnante.
Seduto alla sua destra, Molko non sembrava avere i suoi stessi problemi.
Scriveva lesto nella sua calligrafia sottile e precisa, rotonda e
contenuta.
Utilizzava una penna blu, della quale mordicchiava spesso e volentieri
il tappo.
La punta dell'indice destro era puntualmente macchiata d'inchiostro
perché impugnava la biro molto in basso, in
prossimità della punta.
Fermandosi a cancellare una parola per poterla tracciare di nuovo in
una grafia più accettabile, Stefan si disse per l'ennesima
volta che non avrebbe dovuto prestare così tanta attenzione
a Molko.
Primo, perché non sarebbe mai riuscito a prendere appunti in
maniera decente se avesse continuato a star lì a fissare il
modo in cui teneva in mano la penna o si riavviava i capelli dietro le
orecchie o si tirava giù l'orlo della gonna anche mentre era
seduto.
Secondo, perché registrare ogni suo minuscolo tic, ogni sua
minima abitudine non l'avrebbe di certo aiutato a conoscerlo meglio.
Terzo, perché non doveva conoscerlo meglio.
Distogliendo lo sguardo dal compagno, Stefan posò la matita
e puntellò i pollici contro le tempie, massaggiandole
ritmicamente.
- Troppo veloce per lei, signor Olsdal? -
La professoressa Kent gli sorrise ironica, seduta sul ripiano della
cattedra con i piedi penzolanti nel vuoto.
Indossava delle orribili ballerine rosse con paillettes e tacco a
rocchetto.
Stefan si chiese dove diavolo avesse imparato l'espressione
“tacco a rocchetto”.
- No, professoressa. - negò sommessamente, accennando un
sorriso.
Perifericamente, si accorse che Molko gli aveva dedicato una breve
occhiata prima di barrare una parola dei suoi appunti e sostituirla con
un'altra.
Il pomeriggio si stava lentamente diluendo nelle prime ombre della
sera: Stefan si allungò ad accendere la lampada sullo
scrittoio, sospirando sul libro di biologia.
L'illustrazione del processo meiotico non esercitava alcun tipo di
fascino, su di lui... Non quando era impegnato a pensare ad altro. Di
preciso, al suo appuntamento con Stella.
Scoccò un'occhiata all'orologio. Mancavano ancora due ore e
mezza e già si sentiva tremare le gambe per l'ansia.
Alle otto, di fronte al
McDonald's. Ci prendiamo qualcosa e poi vieni a casa mia... I miei non
ci sono, potremo studiare tranquillamente e poi guardare un po' di TV o
fare un giro...
Se non altro, Stella McDougal non era tipo da fargli spendere troppo.
Minnie Lebowitz lo aveva costretto a vedere una disgustosa commedia
romantica al cinema, poi a cenare in un ristorantino italiano ed infine
a prendere il gelato - tanto lui i soldi li aveva, giusto? Suo padre
doveva rimpinzargli le tasche fino a scucirgliele!
Poi c'era stata Kitty Bourdais, che era riuscita a spillargli non
ricordava più quanto al luna-park, tra zucchero filato,
pesca delle rane e ruote panoramiche.
Cristo, tutto quel tempo e denaro perso e non si era mai andati oltre
il bacio.
C'era da sperare davvero che con Stella andasse meglio.
Irrequieto, Stefan tamburellò la gommina della matita contro
la pagina del libro ricominciando a leggere il paragrafo da studiare
per la quarta volta di fila.
Alle otto stava aspettando Stella già da dieci minuti di
fronte al fast-food.
La vide trotterellargli incontro, vestita di una vezzosa gonnellina
rosa a balze e cardigan grigio perla.
- Ciao! - lo salutò stentorea ed allegra, buttandogli le
braccia al collo - o meglio provandoci, visto che era
più bassa di lui di almeno venti centimetri.
- Aspetti da molto? -
- No, no, figurati. - sorrise Stefan, passandosi le mani sui jeans
scuri.
- Ok... Allora, si entra? Ho una fame da lupi! - dichiarò la
ragazza, prendendolo sottobraccio per condurlo all'interno del locale.
Del suo McChicken Stefan toccò a malapena quattro o cinque
patatine, sentendo lo stomaco annodato per la tensione.
Mentre Stella andava avanti a cianciare di danza classica, mezze punte,
en dehors e en dedans come se di ciò potesse davvero
fregargliene qualcosa, il ragazzo spiava nella scollatura del suo
maglioncino.
Aveva le tette piccole, il collo esile, le clavicole fini e fragili.
La immaginò in tutù, mentre piroettava e saltava
e si faceva prendere dal partner maschio di turno.
La immaginò nuda sul suo letto, i capelli biondi liberi
dallo chignon e gli occhi languidi.
Molto, molto meglio.
-... e quindi per deformazione ti porta a camminare con i piedi
all'infuori, come una papera! - ridacchiò la giovane da
qualche parte della sua mente.
- Oh? Ma pensa... - commentò Stefan, annuendo distrattamente
e sforzandosi di prendere un'altra patatina.
- Eh... Dura la vita dell'etoile! Anche se, mio Dio, cosa non darei per
diventare la nuova Carla Fracci! La danza è... Tutta la mia
vita. - sospirò, fissando il vuoto con aria sognante.
Poi si riscosse, agitando una mano come a scacciare le sue ambizioni: -
Ma basta parlare di me... Dimmi invece cosa piace a te! Giochi nella
squadra di basket della scuola, giusto? -
Stefan scrollò le spalle: - Sì, ma non
è esattamente ciò che amo di più al
mondo... -
- Oh... E cos'è che ami di più al mondo? -
Il ragazzo dovette pensarci un attimo, annaspando alla ricerca di una
risposta.
- La musica... Credo. Ascoltarla, riprodurla... -
Stella spalancò gli occhioni azzurri, stupita: - Davvero?
Sei un musicista? -
Alla domanda Stefan replicò con una spallucciata modesta:
battendo le mani eccitata, la ragazza squittì: - Che bello!
E cosa suoni? Il piano? La chitarra? -
- Il basso. -
L'entusiasmo di Stella si spense all'improvviso.
- Ah... Bello. -
- Bello, sì. - confermò Stefan, con una gran
voglia di ridere e contemporaneamente di infilare l'uscita
del fast-food, lasciando la futura nuova Carla Fracci lì
seduta con le mani a mezz'aria e lo sguardo perplesso.
Di nuovo tentò di vederla distesa contro le sue coperte, le
gambe lunghe ed affusolate ed i seni piccoli e palpitanti ed i capelli
sparpagliati in onde color platino sulla federa del cuscino...
- E vorresti fare il bassista? Intendo, per vivere? -
Già, e
quindi? Tu vorresti essere una fottuta etoile. Quel tono te lo puoi
risparmiare, bella.
- Non so, è un po'... Rischioso. Il mondo dello
spettacolo... -
... è
orribile, effimero e degenerato, Stefan. Tuo padre sta lavorando sodo
anche per lasciarti un'eredità solida sulla quale tu possa
fare affidamento. Non coltivare sogni inutili, tesoro...
-... no. Non voglio fare il bassista. -
- Mhm-mhm. - Stella succhiò un sorso di Coca-Cola dalla
cannuccia, prima di sospirare sul suo Filet-o-Fish appena morsicato e
sulle sue patatine intonse: - Ugh, sono piena! Tu hai finito? -
Con lo stomaco più annodato di prima, Stefan
borbottò: - Sì, anch'io sono pieno. - e si
alzò, infilandosi il giubbino di jeans.
Il giorno dopo, si svegliò con un leggero mal di testa ed un
acuto senso di insoddisfazione che dapprima non riuscì ad
imputare ad una causa specifica.
Quando si guardò allo specchio nel lavarsi i denti,
ricordò tutto - aveva i riflessi lenti, di mattina.
Stella si
riabbottonò il cardigan, tenendo gli occhi bassi sul lavoro
delle sue dita.
Alcune ciocche di
capelli erano sfuggite dalla sua coda di cavallo, ricadendole sulle
guance rosse.
- Stefan... -
Il ragazzo era seduto su
un bracciolo del divano, fissando assorto lo schermo nero della TV
spenta.
-... è stato
qualcosa che ho fatto? Cioè... Insomma, è la
prima volta che... Che vado così a fondo e... -
- No. -
Si rese conto di aver
risposto in maniera decisamente secca.
Per rimediare, come gli
suggeriva la coscienza, Stefan si voltò verso la ragazza e
la rassicurò: - Non dipende da te, è colpa mia. -
Ed era vero. Era
tremendamente vero.
Non era colpa di Stella,
se nel sollevarle la gonna e passare le dita sul nylon color carne
delle sue calze la sua testa aveva deciso di giocargli l'ennesimo
brutto tiro.
Doveva essere davvero
fuori di senno, per immaginare un kilt al posto di tutto quel pizzo
rosa ed un paio di collant neri smagliati dietro il ginocchio.
Doveva essere fuori di
senno, nel sostituire quei due occhi tondi ed azzurri ed innocenti con
altri duri e verdi come giada e nel desiderare un caschetto gonfio,
corvino e ricciuto al posto di quella stupenda chioma bionda.
Di fronte allo specchio, Stefan ebbe la tentazione di sputare sul
proprio riflesso.
Se avesse potuto, avrebbe sputato volentieri anche su Brian Molko.
Quando la signorina Schiller entrò in aula, il
chiacchiericcio degli alunni si zittì d'un colpo.
Scandendo un minaccioso "Buongiorno", la donna posò la borsa
sulla cattedra e ne estrasse immediatamente un pacco di compiti.
- Vi dico subito di non potermi ritenere pienamente soddisfatta della
vostra prova. -
Eufemismo che stava a significare "voi tutti, massa di caproni inetti
che state qui a scaldare il banco grazie ai soldi di papà,
mi date il voltastomaco".
Chiamò una ragazza seduta in prima fila per distribuire i
fogli, sedendo e fissando con aria gelida i ragazzi di fronte a
sé.
Stefan aprì precipitosamente il proprio compito: sopra il
suo nome era scritto e controfirmato dalla professoressa un bel "C+".
Poteva andar peggio, detestava le disequazioni.
- Tirate fuori i quaderni. Ho intenzione di rispiegare l'argomento da
capo e vorrei che seguiste, stavolta, visto che evidentemente
l'attenzione qui latita. -
La classe eseguì l'ordine con riluttanza, in un gran rumore
di zip di astucci aperte e pagine sfogliate.
Intimamente già irritato, Stefan imprecò
sottovoce.
Seduto nel banco accanto a lui, Molko presenziava in pantaloni verdi
lucidi e maglietta rosa - ridicolo.
Doveva essersi truccato di fretta, il nero del kajal gli sporcava
irregolarmente entrambi gli angoli degli occhi.
Stefan si era ripromesso di non sbirciarlo quel giorno - l'idea di aver
di nuovo mancato il suo proposito lo indispose ancora di più.
Il suo incubo prese una penna dall'astuccio, riponendolo poi sotto il
banco.
Mise su un'espressione stranamente perplessa, nel sollevare di nuovo la
mano.
Fra le dita stringeva qualcosa di insolito, come dei fiori.
Piccoli fiorellini gialli disposti ad ombrello su di uno stelo sottile.
Fu la prima volta da quando - purtroppo - lo aveva conosciuto che lo
vide sgranare gli occhi per lo stupore...
... e che i loro sguardi si incontrarono per davvero, mentre Molko si
guardava attorno alla ricerca di un possibile donatore, e che Stefan
notò che... Diamine, non erano verdi i suoi occhi.
Sembravano color acquamarina, più che color giada.
Dovevano cambiare colore a seconda della luce.
- Molko, questa non è l'ora di botanica... Se mai dovessero
introdurla, poi. -
Sulle note acide del discorso della Schiller e qualche risatina nelle
retrovie dei banchi, la lezione poté così
iniziare.
La campanella suonò al momento giusto, esattamente quando
ormai chiunque all'interno dell'aula pregava affinché
accadesse.
- Bene, mi auguro che le disequazioni non siano più il
vostro nemico numero uno... O che non dimentichiate ogni cosa prima del
compito di recupero. Buongiorno. -
Quando la professoressa si accomiatò, Stefan ripose con cura
il quaderno di algebra nella borsa e poi scappò in bagno per
gettarsi dell'acqua fredda sulla faccia - aveva caldo e sentiva il capo
pesargli fastidiosamente all'altezza della fronte.
Le toilettes maschili erano vuote: il sole primaverile penetrava
dall'unica, sottile finestra del posto che dava sul giardino della
scuola.
Le ombre degli alberi dondolavano sul pavimento in modo ipnotico,
mentre il vento frusciava delicatamente tra le fronde.
Era il primo giorno di sole dopo settimane di pioggia violenta e
continua, di tuoni e nuvole.
Quando diavolo sarebbe arrivata, l'estate? Odiava quelle dannate
quattro mura.
Un tonfo riscosse Stefan dalla sua fantasticheria.
Si girò in direzione del rumore, notando due piedi calzati
da anfibi neri e consunti sotto la porta di uno dei gabinetti.
Prima del tonfo, non ve n'era traccia.
Senza preavviso, la porta del gabinetto si spalancò.
Come un'ora prima, si ritrovò sotto lo sguardo dell'ultima
persona che avrebbe desiderato lo guardasse così
attentamente.
Stefan indietreggiò impercettibilmente, quando Molko lo
apostrofò a braccia conserte: - Bel colpo. -
- Come? - rispose Stefan, irrazionalmente intimorito ma intenzionato a
non darlo a vedere.
L'altro piegò le labbra in un ghignetto storto, inclinando
il capo.
- Non sono abituato ad un riguardo simile, lo ammetto... Ne sarei quasi
lusingato, sai? -
Ma di che andava blaterando?
- Non ho la minima idea di cosa... - iniziò confuso Stefan,
ma Molko lo mise a tacere rivolgendogli contro il palmo di una mano e
puntualizzando: - Intendo, lo sarei se non si trattasse di un'ulteriore
presa per il culo. -
Alzò il viso, avvicinandoglisi e sorridendo in maniera
diversa - cortese, gaia e falsa oltre ogni misura.
- Comunque, grazie. In fondo, è la prima volta che ricevo
dei fiori. -
L'ultima battuta servì da sveglia a Stefan, dapprima preso
in contropiede ed intorpidito da quella strana conversazione.
Molko credeva che lui...?
- Eh? Non sono stato io. -
- E allora perché mi fissavi tanto, a lezione? -
Stefan non arrossì.
Avvertì il colore defluire dalle sue guance a
velocità impressionante, lasciandolo pallido ed incapace di
rispondere a tono.
Lo aveva beccato, cazzo.
- Anzi... Perché mi fissi sempre, a lezione? - lo
incalzò l'altro, avvicinandosi passo dopo passo e
costringendolo a rinculare fin quando non battè il
fondoschiena contro il bordo dei lavandini.
Dopodiché, Molko si alzò in punta di piedi,
cercando in maniera quasi buffa di sibilargli in pieno volto: - Non
sono scemo, Olsdal. E neanche cieco. -
Dubitando di essere mai stato testimone di tanta ferocia concentrata
nello sguardo di un singolo individuo, Stefan dimenticò che
fosse il suo turno di parlare, di difendersi o semplicemente mandarlo a
farsi fottere.
Prima che potesse formulare una motivazione, un'offesa o che potesse
scusarsi, l'avversario schioccò la lingua, scettico.
- Naah. In effetti non puoi essere stato tu, a pensarci. Non sei il
tipo. -
Molko finalmente si allontanò, e Stefan tornò a
respirare a pieni polmoni.
Dondolando i fianchi magri, il più piccolo si diresse verso
la porta dei bagni: giustificò in un'ultima frase la sua
presa di posizione finale.
- ... ci vuole un certo senso dell'umorismo, a lasciarmi sotto il banco
un fiore di
finocchio.
-