Questa shot ha avuto una gravidanza lunghissima. La trama è nata
spontaneamente molti mesi fa, mentre ascoltavo questa canzone: Mourir sur scène.
Perciò vi consiglio vivamente di metterla come sottofondo mentre
leggete la storia. Magari se non conoscete il francese non ci capirete
niente, ma c'è sempre Google Translator ;)
Dunque, come sempre ci ho poi messo secoli per buttarla giù, ma non ha
mai smesso di scottarmi tra i pensieri. La donna della canzone non
poteva essere che lei, Debbie Callahan, seducente e forte... ma forte
fino a quando?
Ho pescato a piene mani dai film, dalla serie animata e da quella
televisiva (o meglio, da ciò che Wikipedia dice riguardo a
quest'ultima); è inutile che vi faccia credere che la capirete appieno
anche se non conoscete il fandom, sarebbe come prendervi allegramente
per i fondelli, ma credo che una parte di essa sia anche comprensibile
perché è la storia di molte donne, alcune più fortunate (mia madre è
stata tra queste), altre niente del tutto. E non spoilero più.
Sei dimagrita, anche troppo, e i capelli sono di un dorato più
acceso.
- Ti trovo bene, Thad. Al lavoro, tutto bene?
Non è stata una buona idea accettare il tuo invito, ma devo ammetterlo:
ero annoiato. L'ultima donna che mi ha concesso le sue grazie me l'ha
detto chiaro e tondo, "sei un tipo noioso" e io le credo. Perché non
dovrei esserlo? Solo i perdenti cercano di accattivarsi a tutti i costi
le simpatie della gente. Non è così che il figlio di John Harris è
diventato Capitano, nossignori.
Già, la mia ambizione. Tu non riuscivi ad afferrare l'emozione che dà
il potere, non ci hai mai nemmeno provato. Così, ti sei evitata anche
un bel pacco di umiliazioni che il sottoscritto ha dovuto ingoiare
quando i suoi piani sono andati all'aria.
- Dovresti sapere che ho dato le dimissioni, Callahan. Devi esserne al corrente, perché la
bocca larga del sergente Hooks non è capace a tenere un segreto
nemmeno...
- Ne sei sicuro? - Sei seria, quasi brusca. Avrò dimenticato molte
cose, ma non come farti arrabbiare. È sufficiente insultare quella
racchietta della tua migliore amica per vederti andare su tutte le
furie... e trasformarti da bella a splendida.
A te non interessava collezionare gradi, soltanto uomini. Se non ti sei
mai
fatta scrupoli a scoparti gli allievi della Scuola, è anche perché a
tua
volta eri passata dal letto di Hurst a quello di Pete Lassard, e ti
saresti fatta persino suo fratello se non avessi provato pietà per quel
mostriciattolo di sua moglie... o forse temevi che schiattasse tra le
lenzuola, che il suo cuore non reggesse a tanto fuoco.
E
dire che il primo ero stato io. Ingenuo e carino, come bisbigliavi al
telefono con tua sorella: e ingenuo lo ero sul serio. Da non crederci,
potrei quasi attribuire la mia sete di potere al risentimento che
provai quando capii che non ero più l'unico per te.
Non solo te ne fregavi delle promozioni, ma ti arrabbiavi se il tuo
Henry vi accennava durante i vostri incontri.
Mi confidò che non aveva mai incontrato una simile integrità, che ti
stimava oltre a trovarti irresistibile.
Me
lo disse massaggiandosi la guancia graffiata dalla tua furia. Ma poi
smise di rivolgermi la parola, quando intuì che io, integro e onesto,
non lo ero... non più. E tantomeno ingenuo. Così la mia scalata
proseguiva, ma non troppo, perché non godevo della fiducia di nessuno.
E dopo Hurst c'è stato Martìn.
- Martin. Era latino quanto
te e me. Un ragazzo straordinario.
E poi il giapponesino... Nogata. Un vero tappetino al tuo servizio.
- Lui mi piaceva più di quanto credessi io stessa. Quando l'ho rivisto
ho creduto che fosse davvero il mio
destino... sono più sentimentale di quanto pensi, Thad.
La punta
della tua lingua tra i denti mentre pronuncia il mio nome. Non resisto.
Allungo la mano verso la tua, facendo traballare un calice. Lo afferri
in tempo, ma con grazia, quasi annoiata dalla mia insolita goffaggine.
-
Sentimentale, Debbie Callahan, avanti... non ci crede nessuno. Ora
dirai che continui a pensare a lui, e vorresti prendere un aereo per
raggiungerlo e trasformarti nella sua geisha...
Che stronzate sto dicendo. Lei è l'esatto contrario di
una donna servizievole e amante dei preliminari. Lei è Callahan, la
mangiauomini.
- Sbagliato.
-
Come volevasi dimostrare, Deb, lui è stato uno dei tanti.
- Tomoko è stato uno dei tanti, lo riconosco. Ma tu... no...
Tracci dei cerchi con l'indice sulla tovaglia, il labbro che sporge un
poco in una smorfietta da bimba offesa.
Questa non sei tu. Debbie Callahan non mi aprirebbe mai il cuore.
- D'altra parte, ti sei dimostrato un vero idiota su tutti i fronti.
Hai cercato di distruggere tutto ciò in cui il Comandante credeva, per
dimostrare al mondo che tu valevi di più, che eri migliore di lui...
Perché invece non hai mai provato davvero ad essere migliore? Io
aspettavo. Aspettavo che cambiassi.
Aspettavi scopandoti furiosamente ogni essere dotato di attributi
maschili, oh, certo.
- Questo sono io. E sono
migliore di un qualsiasi Lassard, mettitelo in testa. Non sono riuscito
a farlo capire a Henry, ed eccomi sbattuto fuori, ma ehi. Non ho ancora
perso.
Scoppi a ridere, una risata orribilmente falsa che mi fa rabbrividire.
Stai recitando. Merda, Debbie, non volevo uscire a cena con un androide
che ti somiglia, volevo te una volta tanto.
- Non hai perso? Non ti arrendi? Harris, fai pena. - Il tono è
canzonatorio, ma anche deciso.
- È chiaro che la mia carriera è finita, non c'è bisogno che me lo
ricordi. Io parlavo di noi. Mi hai invitato qui, dev'esserci un motivo.
Umiliarmi.
Volevi soltanto umiliarmi, puttana. Farmi soffocare di desiderio e poi
farmi la paternale, inforcare la moto e lasciarmi sul marciapiede fuori
dal ristorante, con uno scontrino e un cuore da stracciare sotto la
scarpa.
Ehi, Mahoney, Jones, Hightower! Lo vedete che quel coglione di Harris ce l'ha un cuore?
Merda.
Merda.
No, non può lasciarmi così di nuovo.
Mi siedo al volante e riordino le idee. Ho ancora qualche conoscenza
che non mi riattaccherà il telefono in faccia.
- Copeland? Salve, sono Harris. Thad Harris. Sì, esatto. Sei in
centrale? Perfetto. Devi cercarmi un indirizzo. Sì, aspetto.
Tamburellando con le dita sul volante, mi sfugge un mezzo sorriso amaro.
- Deborah Callahan. Sì, sì, era il tuo vecchio sergente istruttore, ma
non c'entra niente. No, cerca l'indirizzo e basta, grazie.
Arrivo, stronza, ti insegno io a prendermi per i fondelli. È l'ultima
volta che mi fai uno scherzo del genere.
Farà male, più tardi, penso frenetica, mentre attraverso il ponte
per uscire dalla città. Fa sempre male fingere, ma dire la verità è
stato ancora più difficile. Caro, vecchio, stupido Thad.
Accelero. E ancora. Ho letto da qualche parte che se si superasse la
velocità della luce, si riuscirebbe a ringiovanire. Ma non è nemmeno
quello che vorrei... poter vedere un futuro senza sofferenza e vuoto,
ecco cosa.
Clack.
Sono a casa.
Il silenzio opaco, dolciastro della luce artificiale, come lo detesto.
E i quadri, i soprammobili, il tappeto del salotto. Proprio quello,
quel colore, lo sogno anche di notte. Ci ho vomitato sopra più di una
volta, mi sembra di conoscerne le fibre a memoria. E le notti ad occhi
spalancati sul divano, con il secchio sul pavimento. L'odore della mia
pelle che si fa insopportabile, e i capelli dappertutto, dappertutto,
tranne che dove dovrebbero stare.
Non... non lo farò un'altra volta, non credo più che serva a qualcosa.
L'acqua della doccia scioglie il trucco, distende i nervi, mi
restituisce all'impotenza. La parrucca fa la sua bella figura accanto
al lavello. Ricrescono, non c'è che dire, li sento più lunghi sotto le
dita. Mi ripeto che no, non permetterò più che succeda, voglio morire
tutta
intera, non mi porteranno via più niente.
C'è una parete in camera da letto dedicata ai miei trionfi. Il diploma
del college, quello dell'Accademia, gli attestati di merito per le
missioni all'estero. E le foto, ce n'è una bacheca piena: io e Laverne
che cantiamo ad una festa ufficiale, e Moses che se la mangia con gli
occhi... questo era due mesi prima che si decidesse a dichiararsi. Il
capo della Polizia di Mosca, Rakov, che stringe la mano a Lassard. Thad
non aveva battuto ciglio mentre ero tra le grinfie di
Konali, ci giurerei. L'ultima è di tre anni fa, una festa a sorpresa
per la mia nomina a Procuratore Distrettuale. C'erano Kathy, Eugene e i
bambini, Fackler che si era impigliato nella tovaglia e aveva buttato
giù tutte le ciotole dei salatini, Laura con la banda dei McGlunk e
persino Nick che era "passato a fare un saluto a papà". Era stato
adorabile a proporre quel brindisi:
"A zio Eric, di cui sentiamo molto, molto, molto, molto la mancanza..."
Eravamo scoppiati a ridere, e l'avevo abbracciato, forse ero già un po'
ubriaca.
- Grazie, Nick. È come se lui fosse qui, è incredibile.
- Puoi scommetterci. Se senti il rumore di un trabiccolo da golf in
giardino... beh, fammelo sapere.
Oddio, i ricordi. Ripensare al passato fa rabbia, perché mi mette
davanti alla matematica certezza che è l'unico tempo rimastomi. Solo
passato, già tutto vissuto, finito, tienitelo stretto Debbie perché non
ci sarà un futuro bye bye -
Colpi alla porta. Decisi. Furiosi. Sono in accappatoio, scalza,
indifesa.
No, non è possibile, non può essere Thad... eppure il volto allo
spioncino è il suo, minaccioso e in attesa di spiegazioni. Che cosa ho
fatto? Era solo un gioco, volevo solo dimostrare che fino all'ultimo
sarei riuscita a far scintillare gli occhi di un uomo... e non potevo
provare con chiunque, ma solo con qualcuno che non meritasse niente,
che non temevo di illudere, perché non possiede sentimenti né dignità.
- Callahan, se non apri sfondo la porta, e non m'interessa se mi fai
arrestare!
Non mi vedrà così. Nessuno mi vedrà così. Io ce l'ho, la dignità.
Si chiama orgoglio, Debbie.
L'ho umiliato come un cane, era quello che meritava dopo tutte le sue
porcherie.
E le tue, signorina? Ti senti così
pura e dolce? Credi che ti faranno santa? Vuoi spegnerti in solitudine,
perfetto, ma
questo non ti renderà migliore.
- Apri. Questa. Porta. Stronza!
E sia! Ecco, gli spalanco in faccia la mia disperazione. Le
sopracciglia aggrottate si alzano e la bocca segue il pensiero
cambiando forma, dalla stizza allo stupore. Balbetta, Mister Cattivo,
davanti a questo esemplare di attrice consumata e consunta.
Si sta chiedendo: "Dov'è il rosa delle sue guance? E i suoi capelli,
come sono diventati nel tempo di un'ora..." Che pagliacciata, che
brutto scherzo si trova davanti! Che cosa sono stata capace di mettere
in scena, io, e poi oso ancora chiamare lui cattivo!
Come se lui non fosse cambiato. Come se anche lui non fosse stato
abbattuto, se non da una malattia, dalle carte finalmente scoperte. È
mio come non lo è mai stato, Thad Harris, e non riesce più a
raccapezzarsi, ad andarsene o entrare.
- Che accidenti ti è successo? - Fine. Sempre fine.
- Non ricordo di averti invitato... o promesso un dopocena. Queste
meraviglie sono per altri occhi - ridacchio, ed è orribile, sono
diventata la parodia di me stessa, grottesca, ecco la parola che cerco
da mesi davanti allo specchio.
- Oh, porca... - No, non può impietosirsi, non il maestro dei luridi
intrighi, che si circondava di leccapiedi perché non ha mai avuto un
vero amico, non accetto che torni ad essere per me il cadetto Harris,
quello che si stirava i calzini e aveva i capelli grigi già a
vent'anni. Quel ragazzo che incontrai il giorno del mio arrivo in
Accademia, e che non mi perdonò mai di averlo lasciato per un uomo più
gentile.
- Debbie, non lo sapevo. Non so niente, devi spiegarmi, nessuno mi ha
detto niente.
Perché nessuno crede più che valga la pena parlare con te, Thaddeus
Coglione Harris. Ma sono stanca, non ho voglia di litigare, ho finito
le spiritosaggini.
Chi l'avrebbe mai detto? È adesso che ho toccato il fondo. Che cosa
direbbe Mahoney, di questa scenetta patetica? Direbbe che mi sto
vendendo per un po' di pietà... ma lui non è qui, non c'è nessun altro,
né Tomoko, né George, né Henry e nemmeno Laverne... perché non ho più
voluto nessuno, perché credevo di poter fare a meno della retorica e
della comprensione degli altri. E adesso guardate, siamo in salotto,
sotto quella stessa luce finta ma circondati di un reale imbarazzo,
Thad con in mano un whisky e io un infuso di erbe. Così, quando si
allunga per per prendermi la mano, una volta tanto la mia è tiepida e
la sua freddissima. Una volta tanto le sue labbra carnose non si aprono
per dire meschinità o sbraitare ordini.
- Mi sono vendicata. Un ultimo guizzo di vita, un tuffo nel passato
prima di scomparire.
Lui annuisce. - Tutti vi siete vendicati. Hurst mi ha cacciato dalla
Polizia, Proctor finge di non conoscermi anche se sono stato io ad
insegnargli tutto quello che sa, e quel maledetto manipolo di cialtroni
ha fatto carriera... avete vinto. E adesso?
Così, io avrei vinto. Dai, è più stupido di quel che ricordavo.
- Io non ho vinto in nessun modo. Sto morendo, che razza di vittoria ti
sembra?
- Come lui. Come quel vecchio
insulso! - È incredibile come riesca ad infilare il suo eterno
disprezzo per il Comandante in qualsiasi discorso. Non cambierà mai, è
un idiota, è...
Mi afferra le braccia sino a farmi male, mentre il suo bicchiere
finisce a terra con quel che contiene: - Martiri e santi, cos'altro
volete da me? - Quasi penso che abbia voglia di picchiarmi, ma non è
uno schiaffo a farmi chiudere gli occhi, è una carezza. Fredda.
- Non te ne andrai. Non così, non con quest'aria
innocente. Non da sola. Ti ucciderò con queste mani piuttosto. - E mi
bacia, mentre penso che domani chiamerò il dottor Wilson per iniziare
il terzo ciclo, e no, non mi arrendo, perché se l'uomo che odio di più
è riuscito dopo tanto tempo a strapparmi un brivido, chissà
che cos'altro questo mondo ha in serbo per me.
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