Come what come may
«Dove fiorisce il
rosmarino c’è una fontana scura
dove cammina il mio destino c’è un filo di
paura. »
F. De Andrè, Canto del servo
pastore
«Ecco del rosmarino,per la
rimembranza.
Ti prego, amore,
ricorda. »
W. Shakespeare,
Amleto
« Ho un’idea » disse dopo cinque minuti di un silenzio nervoso,
impacciato e fragile. Il rosmarino
che stava triturando aveva riempito solo per metà il barattolo panciuto di vetro
e Lumà aspettava quella naturale interruzione da ore. Passò dalla pagina dello sport a quella
della cultura con uno sfrigolare di carta come quando brucia un fuoco e le bucce
dell’arancia si accartocciano su loro stesse. Cinque fasci di rosmarino legati con la
canapa ingombravano quasi tutta la superficie del tavolo in cucina, insieme ai
barattoli di vetro, i fiori bluastri che giacevano scartati un po’ per terra un
po’ sul vestito sbiadito di lei, e il loro forte odore aveva saturato
l’ambiente. L’aria sembrava verde; Lumà aspettava sorridendo sotto i
baffi l’ennesima idea.
«Cosa, stavolta?» sentì il malcapitato, ultimo rametto della
giornata sfaldarsi sotto le dita addormentate di lei. La luce che entrava dalla
porta lasciata aperta le sfiorava le gambe, mentre il busto restava nell’ombra.
Aveva gli occhi cupi e scuri: Lumà si ricordò poi che avrebbe dovuto capirlo
allora, lì, in quell’istante e lo avrebbe fatto se non fosse stato per
quel profumo intenso che appestava l’aria.
Manila aveva avuto un’Idea, quel pomeriggio di un ottobre di
qualche anno fa. Un’Idea con la I maiuscola, come aveva poi precisato lei, nel
suo furore prima incerto, poi sempre più impetuoso (Idea! Idea! Perché non
ci ho pensato prima, Lumà!). Era l’idea che avrebbe risolto tutti i loro
problemi: le bollette, i vicini, le famiglie, le aspirazioni. Tutto quanto, in
un batter d’occhio.
«Riapriremo la casa al mare»
«Ad Ottobre?» aveva debolmente precisato lui. Sì, ad Ottobre.
Avrebbero riaperto la casa al mare.
Partirono il giorno dopo, con ancora i
fiori pesti sul pavimento.
La prima cosa che Manila fece, aperta la porta blu scura rifinita
di giallo opaco, fu posare la valigia, ricercare il chiodo dietro l’architrave e
appendere due rami di rosmarino. Le diedero il benvenuto, sfiorandole i capelli
chiari, prima ancora che avesse attraversato la soglia polverosa di quella casa
prima abitata fino all’usura delle sue stanze, poi dimenticata, poi usata di
nuovo. Lumà, che la seguiva pacato e tranquillo come un domestico, lanciò
un’occhiata distratta ai muri graffiati e macchiati dall’umidità: il marmo
corroso del pavimento sembrava accoglierli con un sorriso disegnato dalla
polvere, un sorriso sdentato e
cieco. Casa, la sentì mormorare.
«Manila – disse con un grosso sospiro, esattamente come lei si era
aspettata – lo sai, vero?»
Che arriva l’inverno? Sì, lo so. Fa freddo, il cielo è bianco. Farà
freddo. Tu resterai lo stesso qui? Resterai anche se farà freddo e la torba
riscalderà poco e le coperte che troveremo saranno bucate?
Lumà la guardò, si biasimò per qualche istante, poi la guardò di
nuovo.
Manila era un’isola. Un’ isola che emanava rosmarino ad ogni marea.
Era un relitto verde e giallo che vagava nel mare dei rapporti infranti finché
non trovava un corallo qualsiasi, una radice, un’ancora che le permettesse di
restare un po’ di più nello stesso luogo. Quella volta aveva scelto la casa al
mare.
Cercherò, disse. Cercherò di restare. Cercherò.
Aveva strappato via Manila dalla sua famiglia come un giardiniere
avrebbe fatto con un’ortica cresciuta tra le rose – lei era troppo
selvatica per loro, si andava ripetendo da quel giorno. L’avrebbero
bruciata presto non fosse stato per
lui, certo, e mentre la guardava sbattere forte le lenzuola ingiallite dal sole
sul letto matrimoniale, un’ondata terribile di amore lo sommergeva. Fermi nella luce di quell’Ottobre freddo
sembravano gli ultimi uomini sulla terra, due relitti lasciati indietro venuti a
galla con il vai e vieni delle onde. Manila rideva, le braccia nude, in mezzo
alla polvere e alla luce, un fuoco tra i capelli e mezzo ramo di rosmarino
fissato al petto, vicino al cuore, per ricordare. Ti prego amore, ricorda!
C’è il rosmarino, per la rimembranza e le viole per i pensieri…
Un giorno le aveva chiesto perché il rosmarino. Perché non i gigli,
o le margherite, o le rose. Un
giorno glielo aveva chiesto; era Maggio, ed era pomeriggio inoltrato.
Quando finalmente, dopo giorni in cui avevano tentato di cancellare
i segni dell’incuria dal volto della casa, scesero in spiaggia, la sabbia bianca
le aveva fatto il solletico ai piedi nudi e lei era andata ridendo per la riva
sfiorando l’acqua fredda. Il mare di un blu pericoloso, mormorava forte insieme
ai grossi gabbiani dal becco arancione che sonnecchiavano su resti di vecchie
barche abbandonate: Manila ad un tratto, era diventata un punto nero – il suo
vestito nero, troppo lungo, trovato in qualche armadio roso dalle tarme, un
vestito del secolo scorso pensò Lumà – e bianco contro il cielo grigio e lui
l’aveva chiamata forte, forte Manila! Manila! E lei si era voltata e
aveva detto perché il giorno in cui morirò, ti ricorderai di me. Il
rosmarino per ricordare, ti prego amore, ricorda! Poi si era allontanata
ancora e ancora e ancora, finché Lumà non era più riuscito a vederla le sue urla
non si distinguevano più da quelle dei pesanti uccelli bianchi, dalle onde piene
che si ritiravano, lasciando la riva scoperta e sola.
Una notte, mentre giacevano insonni nel grande letto e osservavano
i muro scrostati e segnati dall’umidità, si erano raccontati la storia del loro
primo incontro e Lumà aveva dovuto amaramente riconoscere che lei si ricordava
molti più particolari di lui (particolari che lui trovava, in verità,
inutili e senza senso).
Tu dimentichi presto, amore mio, gli diceva, quando mi
lascerai appuntare un ramo di rosmarino alla tua giacca? Aspetterai di
dimenticarti del mio volto prima di permettermelo? Lumà allora si voltava
verso di lei, indovinando il suo profilo celato dall’oscurità della stanza e le
respirava contro, il naso sulla sua guancia tiepida come il primo sole della
mattina. Condividevano una paura durante le ore del sonno: quella del buio.
Entrambi terrorizzati dalla notte, si cercavano tra le lenzuola come due
naufraghi: una volta Manila era entrata nella camera di suo fratello e l’aveva
visto dormire, mentre la luce che era entrata insieme a lei attraverso la porta
aveva rivelato un buio appiccicoso, pesante, una mostruosità che l’aveva fatta
fuggire via e temere per la vita che respirava sotto quelle coperte.
« Mi ami Manila? »
« Il tuo amore per me è il ricordo più prezioso »
Lumà sentì le stelle spegnersi fuori e l’odore del rosmarino nei
polmoni.
Ma un ricordo non è una cosa già passata e finita, Manila?
Si era addormentata.
Il giorno di Natale il postino era dunque riuscito a trovarli,
attraverso i sentieri semi cancellati e le indicazioni sbiadite, aveva bussato
alla loro porta e aveva consegnato loro una busta ruvida e pesante, targata a
lutto. Manila la guardò con un occhio dalla cucina, fissando Lumà e quella busta
al di sopra della propria spalla, e asciugandosi le mani sul grembiule, andò
loro incontro e la aprì. Lui ricorda le sue dita e i suoi capelli nella luce, ma
nessun tremore.
Cos’è? le aveva chiesto.
Il futuro, gli aveva risposto, ripiegando la lettera e
guardando a terra. Qualcosa che non mi è mai piaciuto. E l’aveva messa
via.
Almeno questa parte del regalo non subirà ritardi: il
resto arriverà quando riuscirò a radunare tutto quanto. Papera adorata, un
giorno riuscirò a presentarti, per il tuo compleanno, The house of Rising
Sun, finita, completa e sistemata. Lo prometto. Nel frattempo, ti regalo
questo delirio, con tutto il mio affetto senza parole e retorica sul compiere 18
anni etc etc. Ti voglio un bene infinito, ma davvero davvero.
Chiara
- Il titolo è una citazione dal
Macbeth.