IMPORTANTE: I personaggi di queste
storie non mi appartengono, ma appartengono alla BBC e chi per essi. Da queste
storie non ci ricavo niente.
Questa storia partecipa al CitaFic Festival
indetto da ff_serietv_ita con la citazione:
Moonlight – Ai mostri non è
concesso il lieto fine. (Mick)
Un grazie a Egle, che si è letta la storia in
anteprima, benché lei non sopporti leggere le storie tristi. Quindi lo apprezzo
moltissimo! ♥
Ai mostri non è concesso il lieto fine.
Uther sedeva sul trono, un gomito posato sul poggiolo e la mano portata sotto
il mento.
I suoi occhi color
del ghiaccio, guardavano davanti a sé, persi nel vuoto.
Non una parola,
non un sospiro.
Aveva perso sua
moglie.
Gaius gli aveva appena dato la notizia.
Con le lacrime
agli occhi, il cerusico era arrivato davanti a lui, prostrandosi in un profondo
inchino.
“Il vostro erede è
nato, Sire.”
Uther aveva sussurrato un Arthur nell’aria.
Quello era il nome
che avevano deciso per il loro figlio.
“Ma sono spiacente
di dovervi dare una terribile notizia…”
Il Re aveva alzato
gli occhi.
Temeva ciò che l’altro
stava per dirgli.
Temeva.
“Vostra moglie, la
Regina Ygraine, è morta.”
Improvvisamente,
dentro di sé, qualcosa si era spezzato.
Nimueh lo aveva tradito.
Si era presa la
vita di sua moglie, lasciandolo solo con un figlio.
Quel figlio che un
giorno sarebbe divenuto Re del suo stesso regno.
Quel figlio per
cui aveva deposto sua moglie nelle mani della magia.
Quel figlio che
gli aveva portato via l’amore della sua vita.
A quale costo
aveva compiuto quella scelta?
Da quel momento in
poi non avrebbe avuto più nessuno da amare.
L’unica donna che
avesse mai amato gli era stata strappata via.
Gaius lo guardava silenzioso, mentre lacrime atone scorrevano sulle sue guance.
Aspettava delle
sue parole, forse?
Cosa avrebbe
potuto dire?
Il vecchio amico
sapeva perfettamente che lui si era rivolto a Nimueh per la nascita di quel figlio.
La persona che non
lo aveva mai saputo era la stessa Ygraine, quella donna che
aveva tanto amato e che adesso era morta.
Morta per un suo
capriccio.
Morta per dare al
suo popolo un erede.
Quell’erede che
non aveva il coraggio di guardare in viso.
Congedò il
cerusico, senza lasciargli modo di parlare.
Ai mostri non è
concesso il lieto fine.
Era passata una
settimana.
Una settimana
dalla nascita di suo figlio, una settimana dalla morte di Ygraine.
Aveva partecipato
alle esequie della moglie. In realtà tutto il
popolo di Camelot vi aveva preso parte, riunito in quel luogo per onorare quella Regina che avevano tanto amato,
da sempre.
Durante la
commemorazione funebre, alle orecchie di Uther erano arrivati dei lamenti strazianti.
Un pianto
disperato che proveniva da un corpicino che aveva solo pochi giorni di vita.
Quelle urla lo
stavano implorando.
Suo figlio lo
stava chiamando a sé.
Suo figlio aveva
bisogno di lui.
Ma Uther non era ancora pronto per fare
quel passo, per vedere il volto di quel figlio che avrebbe per sempre preso il
posto della moglie.
Ai mostri non è
concesso il lieto fine.
Nei giorni
seguenti, il Re aveva riunito la corte, i suoi fidati
cavalieri ed i consiglieri del regno.
Urgeva indire
delle nuove leggi.
Leggi contro la
magia, leggi contro la stregoneria.
Da quel giorno
qualunque essere vivente dotato di magia avrebbe dovuto lasciare Camelot,
altrimenti sarebbe stato perseguito: pena la morte.
A quell’annuncio i
presenti nella sala lo avevano guardato con gli occhi sgranati, ma lui non avrebbe
potuto permettersi di apparire debole nei confronti della magia.
Nimueh gli aveva portato via sua moglie, lui le avrebbe portato via la vita.
Ai mostri non è
concesso il lieto fine.
Erano iniziate
così le prime persecuzioni.
Streghe, maghi,
druidi che fuggivano da Camelot, trovavano la morte lungo la loro via.
Le sentinelle del
regno avevano assistito a lunghe giornate di esecuzioni sotto gli occhi attenti
dei cittadini, i cui occhi erano pieni di terrore per il destino che stava
colpendo i detentori di quella magia.
Magia.
Quella parola era
improvvisamente diventata un tabù.
Uther osservava il suo popolo dall’alto del balcone del suo castello,
predominando su tutti.
Ed ancora, giorno
dopo giorno, quel pianto straziante continuava a colpire le sue orecchie.
Quel pianto che
richiedeva il suo aiuto, quel pianto che
gli faceva comprendere ogni attimo che passava che aveva bisogno di lui.
E lui… Lui, Uther Pendragon, Re di Camelot,
lui di chi aveva bisogno?
Ai mostri non è
concesso il lieto fine.
Erano trascorsi
altri giorni ed altre notti.
Quelle urla non
erano cessate, ma avevano continuato a persistere, insistenti e lancinanti.
Uther capì e decise che era giunto il momento.
Quando la nutrice
lo sistemò tra le sue braccia, sentì un’ondata di calore scaldargli il cuore.
La donna lo lasciò
da solo nella stanza.
Solo con quel
piccolo fagotto, che aveva improvvisamente smesso di piangere.
Aveva due grandi occhioni celesti,
terribilmente arrossati per via delle lacrime che aveva pianto fino a qualche
secondo prima.
Le gote erano
rosse per lo sforzo.
Ma in quel momento Uther pensò che fosse il bambino più
bello che avesse mai visto nella sua vita.
E quei capelli biondi erano dei fili d’oro, proprio come quelli di Ygraine.
In ogni singolo
poro della sua pelle quel bambino gli ricordava sua moglie.
Sentì una lacrima
scivolare sulla sua guancia, cadere poi sulla guancia del piccolo.
Da padre a figlio.
Quel fagottino si
dimenava felice, ora sorridente tra le sue braccia, muovendo freneticamente le
gambe e le manine.
Non piangeva più,
ma sorrideva, felice.
E poi, il primo
vero contatto.
Arthur afferrò con
una manina un suo dito avvolto da un guanto nero di pelle e lo strinse.
Uther sentiva la forza in quelle piccole dita.
E tra l’emozione,
tra il pianto e la disperazione, sorrise.
Suo figlio sarebbe
diventato un grande guerriero, un prode cavaliere, ed un grande Re.
Adesso che si
trovava davanti a lui non poteva fare a meno di pensarlo.
Aveva perso Ygraine e non avrebbe mai
perdonato se stesso per la scelta che aveva compiuto.
Ma la persecuzione
verso la magia sarebbe continuata e nessun mago l’avrebbe passata liscia nel
suo regno.
I suoi uomini
avevano anche rinchiuso Kilgharrah – così l’aveva
chiamato Gaius –, l’unico Drago
rimasto in vita, l’aveva segregato nelle grotte sotto al suo castello e non sarebbe
mai uscito di lì.
La magia avrebbe
cessato di esistere, almeno sotto il suo potere e tutto sarebbe stato sotto il
suo controllo.
Avrebbe fatto
crescere Arthur con la convinzione delle disastrose conseguenze che poteva
portare la magia e suo figlio avrebbe seguito le sue orme, passo dopo passo.
E non avrebbe mai
dimenticato Ygraine.
Non avrebbe mai dimenticato ciò
che le aveva fatto la magia.
Ai mostri non è
concesso il lieto fine.
Nel bel mezzo
della persecuzione contro i maghi, Nimueh aveva lasciato
Camelot ed aveva fatto perdere le sue tracce, svanendo nel nulla.
Uther giurò a se stesso che presto o tardi l’avrebbe uccisa, proprio come lei
aveva fatto con sua moglie.
L’avrebbe uccisa,
ne era più che certo.
Ed avrebbe fatto
festa quel giorno.
E fino a quel
giorno, il pensiero fisso nella sua testa sarebbe rimasto uno, ed uno soltanto.
Ai mostri non è
concesso il lieto fine.
Note:
Non ho molto da
dire a proposito di questa storia.
Non è slash. Ultimamente mi piace sperimentare anche cose nuove,
utilizzando personaggi diversi.
La mia personale
idea di Uther alla nascita di Arthur è
proprio questa.
Ultimamente con le angst ci vado a braccetto – si… ne
ho scritte altre, purtroppo.
Ringrazio chi ha
commentato le drabble e le storie
precedenti a questa. Mi fa sempre piacere leggere i commenti degli altri. Sono
un incentivo per continuare a scrivere.
E ci tengo a
ringraziare chi leggerà questa, visto che il personaggio è Uther e non sono Arthur e Merlin… e
che è una storia diversa da quelle che scrivo solitamente.
Inutile dire che
pareri, critiche e commenti mi farebbero piacere! ♥