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- Sam -
Casa di Salvation mi era
sempre piaciuta un sacco. Il cancello dava sulla strada mentre un piccolo
vialetto saliva lungo il giardino fino alla porta d'ingresso. C'erano file di
scaccia sogni davanti alla pesante porta di legno e l'interno della casa era
accogliente. Il soggiorno era grande e luminoso e diviso nella zona con il
grande divano bianco di pelle e la TV e la parte con il caminetto, la panca in
legno e il grande tavolo intarsiato.
La cucina era piccola e
attraverso una porta si accedeva alla cantina, allo sgabuzzino e al ripostiglio
dove tenevano pantofole a sufficienza per avere come ospiti l'intera
città.
C'era parquet ovunque; era
quasi come trovarsi in una sala da ballo qualsiasi stanza si entrasse.
La scala a chioccia anch'essa
in legno, si snodava fino all'ultimo piano dove c'era la camera di Sal. Più che
una camera era una vera e propria soffitta-appartamento.
C'era un bagno, il caminetto,
l'angolo notte con il grande letto e scaffali pieni di vecchi libri e poi c'era
la zona dove teneva la TV, lo stereo, i CD e il computer.
Il soffitto era basso e
spiovente e più di una volta avevamo finito con dare sonore testate alle travi
di legno in vista ma ci divertivamo sempre un mondo in quel posto.
L'unica cosa brutta era che
Sal abitava nella città vicina che distava circa tre chilometri e mezzo. A volte
andavo con la vecchia auto che papà mi aveva regalato per i sedici anni e a
volte in bicicletta. Siccome quel pomeriggio avevo fretta di rivederla, ero
salita sulla mia Chevelle SS del '70 senza pensarci su due volte.
Suonai il campanello e in
meno di dieci secondi Sal stava correndo dalla porta d'ingresso al cancelletto.
Lo aprì con forza e poi mi strinse in un abbraccio spacca ossa come quelli che
soltanto lei sapeva dare.
“Finalmente!” dicemmo nello stesso istante.
Sal fece un passo indietro
lasciandomi andare e sospirò melodrammaticamente. “Cavolo, pensavo che non sarei
più tornata da questa stupida gita.”
“Sono
felice che tu sia tornata oggi.”
Il sorriso raggiante lasciò
il suo volto magro e gli occhi leggermente a mandorla si rattristarono. “Che è
successo?”
Alzai le spalle.
“Sogni.”
Sospirò ancora e mi passò un
braccio attorno alle spalle. Soltanto in quel momento mi accorsi che portava la
sua vecchia tracolla. “Ho già tutto pronto.” Un sorriso a metà tra cospiratorio
e divertito le si dipinse in volto e mi venne automatico sorriderle in risposta.
“Ma non parliamone qui.”
Annuii e prendemmo a
camminare lungo la strada che faceva il giro di casa sua.
La sua villetta sorgeva
sull'angolo della strada ma sulla destra, dove finiva il giardino, era attaccata
una fila di villette a schiera.
Alle spalle di casa di Sal
però, c'era una vecchia chiesa diroccata sconsacrata e abbandonata da tempo.
Dalla finestra di camera sua si vedevano per fino le campane. Quelle erano le
ultime case della città, al limitare con il bosco che divideva Friendship da
Elmer. Una volta era stato un villaggio e la chiesa era stata il punto di
riferimento ma era caduta in disuso e quando Sal si era trasferita lì, avevamo
fatto di quella chiesa uno dei nostri posti speciali.
Ci andavamo solo quando era
già notte o il tramonto stava scendendo in modo che nessuno ci vedesse perché
per arrivare alla chiesetta dovevamo per forza usare la stradina che faceva il
giro attorno alle case.
Durante il cammino raccontai
a Sal di Kevin e degli spaghetti tramutati in vermi ma per parlare nel dettaglio
dei sogni, aspettammo di arrivare nella chiesetta.
Aprimmo la piccola porta di
legno rovinato e ci infilammo dentro. Qualche panca qua e là c'era ancora ma le
statue e tutto il resto erano state portate via quando la chiesetta era stata
sconsacrata.
Ci andammo a sedere sui
gradini di pietra che portavano all'altare.
Sal appoggiò la sua borsa tra
di noi e ne tirò fuori un grande libro dalla copertina verde scuro e le pagine
ingiallite.
“Cos'è?”
le chiesi incuriosita.
“Me lo ha
dato mia nonna o meglio, l'ho preso in prestito dalla sua biblioteca,” rise
prima di tornare seria. Si aggiustò gli occhiali ovali che le erano scesi sulla
punta del naso e aprì il libro dove una piccola rosa secca era stata lasciata
come segno. “Mentre ero in campagna, non riuscivo a smettere di pensare a quello
che mi avevi raccontato. Alla fine ho elaborato una mia teoria che consiste
nell'ipotesi - che tra parentesi non è per niente assurda - che tu veda nei tuoi
sogni una tua antenata.”
Corrugai la fronte.
“Antenata?”
“Si! È
semplice. Non sono soltanto sogni quelli che fai o raccapriccianti incubi. Ogni
notte sei sempre la stessa persona, questa Charity e c'è sempre quest'uomo
misterioso che parla di quello che succede come se fosse una vendetta finalmente
ottenuta. E poi ti ammazza.” Scrollò le spalle e mi guardò dritto negli occhi,
“Per quello che ne sappiamo, la teoria più realistica, è che tu stia rivivendo
la morte di una tua antenata.”
Quella era una teoria
abbastanza folle perché non c'era motivo per cui di punto in bianco dovessi
cominciare a sognare la morte di una qualche lontana ava. Detto questo, avevo
imparato nel corso degli anni, che più una teoria ci sembrava folle e irreale
più era vicina alla realtà delle cose.
Sospirai e spostai il mio
sguardo dal viso di Sal al libro che teneva aperto sulla gambe incrociate. “E lì
dentro hai trovato qualcosa che ci potrà essere di aiuto?”
“Si,” la
sua voce era decisa e ferma. Il sorriso furbetto le tornò in viso. “Ho trovato
un incantesimo interessante. È per rivedere la vita passata. Non dice di preciso
a quanto indietro puoi tornare, immagino dipenda da quanto siano vivi i tuoi
ricordi e tutto il resto. Ora, dato che hai questi incubi ogni sera, sarà facile
tornare esattamente a quella vita.”
Ci pensai su soltanto per
qualche istante. Ormai quei sogni andavano avanti da tanto, sicuramente troppo.
Cominciavo ad essere stanca e lasciavo che cose innocue mi turbassero. Pensai
semplicemente che quello fosse il modo migliore per darci un taglio o cominciare
a capirci qualche cosa.
“Va bene,
facciamolo.” Mi feci più vicina a Sal e al libro e buttai un occhio sulle pagine
ingiallite. “E' un incantesimo di invocazione, serve una pozione
o...”
“No, è
molto semplice. Si tratta più che altro di concentrarsi attentamente. Non ci
sono complicati incantesimi ma soltanto una piccola formula. Ti guiderò io. Ci
servono soltanto delle candele rosse e ce le abbiamo,” infilò la mano nella sua
vecchia tracolla e rovistò per qualche secondo. Alla fine tirò fuori cinque
candele rosse ancora impacchettate. Inarcai un sopracciglio. “Eri così sicura
che ti avrei detto di si?”
“Certo,”
mi disse ridendo.
Si alzò in piedi e mise le
candele attorno a me. Poi prese dalla tasca dei suoi jeans un accendino e le
accese. In fine, si andò a sedere di nuovo difronte a me con le gambe
incrociate. “Bene. Possiamo pure cominciare. Allora, chiudi gli occhi e
concentrati a fondo. Cerca di visualizzare la casa e la stanza dove vai ogni
notte.”
Serrai gli occhi e inspirai.
Cercai di dimenticare dove mi trovassi sostituendo il pavimento in pietra scura
e rotto in alcuni punti della chiesa, con sontuosi corridoi in marmo pregiato e
variopinto. Fu più facile del previsto. La voce di Sal cominciava a suonarmi
sempre più lontana.
Mi concentrai fino a quando
la toletta con la polvere e il vecchio candelabro d'argento mi stavano ancora
una volta dinanzi.
Sentii l'eco della voce di
Salvation dire, “Ora ripeti nella tua mente per tre volte, 'in praeteritis veritas'. Ti aspetterò q...”
Fu come se l'audio fosse
stato improvvisamente spento. Non sentii più la voce della mia migliore amica ma
una musica d'archi provenire da qualche parte in lontananza.
Aprii gli occhi o almeno
nella visione della mia mente aprii gli occhi. Mi guardai allo specchio. La
toletta non era più ricoperta di polvere ma era candidamente bianca e lo
specchio non era né incrinato né macchiato. Il letto non era distrutto e c'era
una flebile illuminazione proveniente dalle candele rosse accese davanti a
me.
“Miss
Charity,” mi voltai sentendo quel nome. Trovai una piccola donna inchinata. I
capelli erano raccolti in una cuffietta bianca e la pelle d'alabastro risaltava
nell'uniforme di un azzurro chiaro.
“Dimmi,
Isobel,” mi sentii dire.
“Gli
ospiti sono arrivati e il signor Christopher è entrato dalla cucina e chiede di
voi.”
Sorrisi avvicinandomi alla
ragazza. “Non pensi che questa notte sia magnifica?” Feci una piccola pirouette
voltandomi verso lo specchio. Quella riflessa ero decisamente io ma i capelli
erano raccolti elegantemente in uno chignon contornato da trecce e indossavo un
sontuoso abito rubino.
“Signorina
Charity, non dovrei permettermi di dirlo ma quell'uomo ha qualcosa di sinistro,
non credete?”
“Oh lo
pensavo anche io,” risi ancora voltandomi di nuovo verso Isobel. “Ho cercato di
capirlo e l'ho anche ingannato. Pensavo che si sarebbe tanto arrabbiato una
volta scoperto cosa avevo combinato,” mi lasciai cadere sull'elegante poltrona
blu che stava in un angolo della camera. “Ma mi ha perdonato. È un uomo così
gentile.”
Isobel mi guardò preoccupata
per qualche istante poi, sospirò. “Siate prudente questa sera, Miss
Charity.”
“Oh lo
sarò. Questa notte sarà un vero spasso. Ora vieni, dobbiamo dare un po' di
colore a queste guance.”
Mi sentii la testa vorticare
ed ebbi la sensazione di cadere a terra ma mi ritrovai sorretta da forti
braccia.
“Charity,
vi sentite bene?”
Alzai gli occhi in quelli
azzurri e stanchi di un uomo con folti capelli bianchi. “Soltanto un giramento
di testa, Padre.”
Mi sentivo confusa da tutto
quello che stava avvenendo. Sentii la porta alle mie spalle aprirsi e mi voltai
in fretta. Mi accorsi in quel momento che eravamo all'esterno in un giardino di
quelli da film storici con la luna bianca alta nel cielo.
Io e l'uomo che chiamavo
padre, eravamo seduti su una panchina di pietra all'esterno della
casa.
“Cosa ci
fate voi qui?” il tono dell'uomo al mio fianco era minaccioso, severo e carico
d'odio. “Pensavo aveste capito che farvi rivedere vi sarebbe costata la
vita.”
“Me ne
dovrei forse preoccupare?” il tono beffardo mi rese impossibile non riconoscere
quella voce. Era l'uomo di ogni incubo. Il suo viso era ancora una volta avvolto
nella penombra. Mi sentii improvvisamente frustrata.
“Christopher, come osate venire nella mia casa
e...”
“Andrò via
presto,” lo interruppe la voce gelida che tanto conoscevo. “Ho soltanto qualche
piccola faccenda da dover portare a termine.”
Mio padre mi lasciò andare
avanzando verso l'uomo ancora fermo sul primo gradino della piccola scalinata
che portava alla panchina sulla quale eravamo seduti.
“Non siete
il benvenuto nella mia casa.”
“Temo sia
troppo tardi per quello. Ora, se volete scusarmi, avrei bisogno della nostra
piccola Charity per qualche minuto.” Il tono divenne ancora una volta beffardo
mentre poneva quella domanda. Mi alzai in piedi e senza paura alcuna camminai
verso quell'uomo misterioso.
Incrociai per qualche istante
lo sguardo addolorato di mio padre prima di afferrare la mano che mi era stata
porta da Christopher. “E' già ora di cominciare?” chiesi
bisbigliando.
“Si.
Lasceremo il vostro caro padre per ultimo, come si suole fare con le pietanze
migliori.”
Sentii una sensazione
orribile impadronirsi di me. Sentivo la morte strisciarci attorno e serrare la
presa attorno alla casa. Era come vedere una nebbia densa e nera avvolgere ogni
cosa e noi eravamo nell'occhio del ciclone.
“SAMANTHA!” un urlo mi fece sobbalzare. Sbattei le palpebre
diverse volte e finalmente riuscii a focalizzarmi sul viso preoccupato di Sal.
“Oh grazie al cielo,” sospirò lasciandosi cadere contro il corrimano di marmo
degli scalini sul quale eravamo sedute.
“Che...
che è successo?”
“Non mi
rispondevi. Ti ho dato un ceffone nel caso ti chiedessi perché ti brucia la
guancia.”
La guardai torva. “Pensavo
che dovessi essere assolutamente concentrata e...”
“Stavi
piangendo,” mi disse seria. In quel momento mi accorsi di sentire le guance
leggermente appiccicose e un sapore salato sulle labbra. Le leccai trovandole
secche. “E continuavi a dire 'divertente... sangue...
divertente' e non la smettevi,” finì in un mezzo urlo isterico. “Mi hai
fatto prendere un colpo. Pensavo che ti si fosse fritto il cervello o qualcosa
e...”
“Sal, sto
bene. Grazie.” Le immagini che avevo appena visto erano assolutamente nitide ma
non c'era traccia di sangue ne tanto meno avevo detto divertente mentre rivivevo
quella notte. Non capivo. “Avevi ragione credo... nella visione o qualsiasi cosa
fosse, guardavo allo specchio ed ero proprio io ma ero vestita con abiti antichi
e c'erano persone vive per la casa e parlavo con loro. Non ero ricoperta di
sangue e...”
“Hmmm...
nei tuoi sogni sei sempre sola tranne che per quel...”
“Si chiama
Christopher o almeno credo,” la interruppi. Avere un nome per quell'uomo, poteva
veramente cambiare qualcosa?
“Lo hai
visto?” mi chiese agitata Salvation.
Scossi la testa, “No. Era
come sempre avvolto dall'oscurità.”
L'improvviso squillare del
mio telefono ci fece sobbalzare entrambe. Sfilai in fretta il cellulare dalla
mia tasca mentre la voce di Gerard cominciava a cambiare strofa gracchiando,
'you must keep your
soul like a secret in your throat...'
“Pronto?”
risposi senza guardare da chi venisse la chiamata.
“Sam, sono
papà. Dove sei finita?”
“Sono con
Sal. Siamo andate a fare una camminata perché i suoi non
c'erano.”
Lo sentii sospirare. “Ero
preoccupato. Sono tornato a casa da ore ormai e ho chiamato i genitori di
Salvation ma non rispondeva nessuno.”
Afferrai il polso magro di
Sal e tirai su la manica scoprendo l'orologio. Sgranai gli occhi. “Scusami, non
mi ero accorta fosse già così tardi.” Le lancette segnavano le ventuno in punto.
“Torno subito a casa.”
“Ok. Ti
aspetto per la cena allora.”
Chiusi la chiamata e guardai
Sal. “Quanto tempo sono stata... diciamo, via?”
“Quasi due
ore. È per questo che mi sono spaventata.”
“E'
sembrato molto di meno...” mormorai.
Salvation scrollò le spalle.
“Penso tu non abbia visto tutto quanto. Voglio dire, ricordi di aver parlato di
sangue o divertimento?”
Feci di no con la
testa.
“Eppure io
ti ho sentito. Penso che tu stessi rivivendo tutta quella nottata ma vedessi ad
intermittenza.”
Annuii sospirando. “C'è stato
un punto in cui mi sono sentita come strattonare mi è girata la testa e
all'improvviso ero nel parco con un uomo che a quanto pare era mio
padre.”
“Forse non
dovevi vedere tutto... non ancora almeno.” Si tirò in piedi e io feci lo stesso.
“Sarà meglio andare. Cerca di dormire sta notte e ne potremmo riparlare domani.
Dovremmo cominciare a fare delle ricerche.”
“Lo
pensavo anche io. Abbiamo soltanto tre nomi e due visi su cui basarci ma ricordo
bene la casa e so dove possiamo cominciare con le ricerche.”
Sal inarcò un sopracciglio
elegantemente. “Cioè?”
“Alloway.”
- Christopher -
Con il dorso della mano mi
pulii la bocca mentre spingevo lontano il seno in cui avevo da poco affondato i
denti.
“Che...
che è successo?” Voce atterrita e pupille dilatate. Era l'immagine della paura e
tutto quello mi piaceva ancora come secoli prima.
Sorrisi lentamente mentre mi
stendevo sul letto chiudendo gli occhi. “Niente di particolare,” risposi
distrattamente mentre incrociavo lo sguardo verde della ragazza. “Sei stata
punta. Ti ho trovato per strada e ti ho portata qui per soccorrerti.”
Avevo perso il conto di tutte
le volte in cui avevo usato quella scusa eppure funzionava sempre. Era sciocca e
ridicola perché a meno che così tanta gente fosse abituata a morsi di serpenti,
come potevano così facilmente credermi?
Eppure lo facevano perché
semplicemente non ne potevano fare a meno. Ricordo che un tempo mi divertivo a
convincere le “mie” fanciulle a concedersi, ma tutto quello non era più
necessario. Questa nuova era di dissolutezza e perdizione che così tanti
condannavano, era il paradiso ideale per quelli come me.
Mi alzai dal letto e mi
infilai i jeans. “Dovresti andare a casa,” dissi alla ragazza.
Con la coda dell'occhio la
vidi restare ferma per qualche istante, la mano ancora serrata sulla ferita che
le avevo inferto. Infine si voltò raccogliendo poi i propri vestiti. Li infilò
in fretta e se ne andò. Appena il clic della porta che veniva chiusa risuonò
nell'appartamento, mi buttai sul divano.
Chiusi gli occhi passandomi
una mano tra i capelli. In quel momento, tra tutte le cose che dell'essere umano
mi mancavano, il poter bere e perdermi in un buon whiskey, era tutto quello che
desideravo.
Le visioni con Charity non
erano cessate. Mancavano pochi giorni ad Halloween o Samhain o come diavolo lo
si voglia chiamare ed ero pronto a partire.
Internet era una di quelle
cose decisamente apprezzabili dell'era moderna. Attraverso il nome del liceo che
vedevo alle spalle di quella misteriosa ragazza, ero riuscito a risalire alla
città in cui abitava. Non ero mai stato prima in quella parte del New Jersey ma
distava poco da un posto che conoscevo decisamente bene.
Mi alzai dal divano e andai
in bagno. L'odore del mio ultimo pasto mi stava ancora appiccicato addosso e non
ero ancora in grado di spiegarmi il perché, ma avere quell'odore sulla pelle
quando pensavo alla ragazza che volevo andare a cercare, mi dava
fastidio.
Ormai ero riuscito a capire
che le visioni arrivavano mentre mi nutrivo o subito dopo. Era quando i miei
poteri erano al massimo e sembrava che in quelle occasioni si aprisse un portale
con il passato e con quello che cominciavo a immaginare fosse il
futuro.
Aprii l'acqua calda della
doccia al massimo e mi ci buttai sotto. Cominciai ad avvertire il mal di testa
che ormai accompagnava sempre le mie visioni. Quando chiusi gli occhi, ero di
nuovo nella vecchia casa dei Cabe.
- Sam -
“Cabe!” la
voce dura della professoressa Anderson risuonò per la classe facendomi
sobbalzare. “Samantha, possibile che riesci sempre a distrarti?” mi chiese
spazientita.
La verità era che ormai non
riuscivo neanche a capire quando ero concentrata e quando invece no. Dal giorno
in cui io e Sal avevamo usato quell'incantesimo sulle vite passate, gli incubi
erano diventati sempre più vividi e continuavano a strisciare nella realtà. In
quel momento, ad esempio, accanto a Elle seduta nel banco davanti al mio, vedevo
Philip, che nel sogno della notte
trascorsa avevo appreso essere il cocchiere di famiglia. Aveva sangue che gli
colava dal colletto della camicia e profonde occhiaie nere.
Mi sentivo come il bambino del Sesto Senso anche se ero abbastanza sicura non si
trattasse di fantasmi veri e propri.
Proprio quella mattina Sal mi era
strisciata alle spalle spaventandomi a morte sussurrando, “Vedo la gente morta,”
in una perfetta imitazione del marmocchio del film con Willis.
Mi raddrizzai nel banco e cercai
di concentrarmi sulla faccia dellaAnderson. “Mi
scusi professoressa, non succ...”
“Certo,” mi tagliò corta lei. “Ne
sono certa. Ora riprendiamo. Come stavamo dicendo, scrivendo Cuore di Tenebra, Joseph Conrad si addentrò...”
Le
parole della professoressa Anderson andarono definitivamente perdute mentre la
campanella annunciava la fine dell'ultima ora della giornata.
In
tempo record raccolsi tutte le mie cose e uscii dall'aula. Sal, che all'ultima
ora il Venerdì aveva Matematica Avanzata, mi stava già aspettando vicino al mio
armadietto.
“Allora,” aveva una strana luce nei
suoi occhi.
La
guardai sospettosa. “Che stai architettando?”
“Ho già fermato Kevin
dall'organizzarti una mega festa a casa di Scott Tomas, dovresti decisamente
ringraziarmi,” disse sospirando melodrammaticamente.
Mi
misi a ridere mentre aprivo il mio armadietto lasciando i libri che non mi
servivano e prendendo quelli su cui avrei dovuto passare il week-end a studiare.
“Sei la migliore Sal, come sempre.”
“Ecco, così va decisamente meglio.
Dunque,” aprì il suo armadietto e tirò fuori una busta del video noleggio. “Sono
già passata da Eric e James per i DVD che vedremo fino a Domenica e...” si mise
a rovistare nel sacchetto e tirò fuori il primo film. “Cominceremo con Le Notti di Salem, poi ci sarà Poltergeist e Space Vampires e per Sabato saremo apposto.
Poi, per Domenica che è il gran giorno, abbandoneremo Tobe Hooper per passare a
Wes Craven. Ci vedremo tutti gli Scream e tutti i Nightmares e poi cambieremo ancora. Prima
vedremo Il Mistero di Sleepy Hollow e poi tutti i Final Destionations che ti piacciono tanto. Eric ci ha consigliato Paranormal
Activity,”
alzammo gli occhi al cielo nello stesso momento. “Ma è soltanto il peggior film
mai realizzato... per non dire demenziale, ma sono stata molto più gentile nel
farglielo notare.”
“Lo spero. Ti hanno fatto noleggiare
tutti questi film?” le chiesi inarcando un sopracciglio.
“Potrei aver flirtato un pochino.”
“Quando sei andata a
prenderli?”
“Ho saltato l'ora di Chimica,” mi
rispose ridendo.
Scossi la testa. “Sei decisamente unica.”
“Lo so. Dunque, ovviamente non ho
dimenticato il nostro preferito che porterò direttamente da casa
e...”
“Sal, Giovani
Streghe ce l'ho anche io. Ricordi? Te l'ho fatto vedere io la prima
volta.”
“Giusto,” annuì decisa riponendo
tutti quanti i DVD in ordine nella busta. “Così saremo belle
impegnate.”
“Già.” Chiusi il mio armadietto e Sal
il suo e ci avviammo verso l'uscita. “Penso che abbiamo più film che ore a
disposizione. Fortuna che papà è via per il week-end.”
Sal
si rattristò. “Ah già. Come sta tua nonna?”
Eravamo a due giorni dal mio compleanno e mia nonna aveva
deciso di avere l'impellente bisogno della presenza di mio padre. Sapevamo
benissimo tutti quanti che una gamba rotta non necessitava dell'assistenza 24/7
da parte di mezza famiglia, ma a mia nonna mia madre non era mai piaciuta e a
quanto pare io le somigliavo troppo. Ogni scusa per allontanare papà da me era
sempre stata colta e poco importava se si trattava del mio
compleanno.
“Sta bene. Ha solo rotto una gamba.
Io mi sono rotta una spalla, il polso e una caviglia e non ho fatto tutte queste
storie.”
Sal
rise divertita. “Guarda il lato positivo, saremmo sole per più di quarantotto
ore. Potremmo per fino fare una festa e avere il tempo di sistemare tutto
quanto.”
“Niente feste, ricordi?” le dissi con
un tono fintamente di rimprovero. Quando uscimmo fuori nel parcheggio notai che
erano rimaste soltanto l'auto mia e quella di Kevin.
“Sam!” mi sentii chiamare. Mi voltai
verso la Camaro gialla di Kev e sorrisi avviandomi verso di
lui.
“Ti aspetto in macchina,” mi disse
Sal alzando gli occhi al cielo e scuotendo leggermente la testa. Le sorrisi come
a chiedere a scusa.
Quando fui ad un paio di passi da Kevin, lui coprì la
distanza che ci separava e mi strinse alzandomi praticamente dal suolo. Sorrise
di quel suo mezzo sorriso da sono-troppo-figo-per-ridere-veramente e mi sentii
sciogliere. Mi davo della pazza in continuazione in quei giorni.
Lo
vedevo Lunedì e non mi faceva né caldo né freddo... Martedì era di nuovo il
ragazzo della mia vita. Ero così confusa...
Il
flusso dei miei pensieri fu interrotto quando Kevin mi baciò. Lo sentii
sorridere contro le mie labbra ad un certo punto, una cosa che adoravo quando la
faceva. Mi feci mettere giù dopo qualche minuto e feci un passo
indietro.
“Allora, nemmeno quest'anno posso
averti per il tuo compleanno?”
Scossi la testa. “Lo sai. È da...”
“È dal tuo tredicesimo compleanno che
festeggi con Sal,” finì per me roteando gli occhi. “Lo so. Pensavo soltanto che
dato che quest'anno è un compleanno importante, avresti fatto uno strappo alla
regola.”
Gli
diedi un bacio veloce. “Guarda,” feci un cenno con la testa verso la macchina da
dove Sal ci fissava senza nemmeno cercare di non darlo a vedere. “Ha già
noleggiato i film.”
Kevin si mise a ridere. “E' incredibile. Perfino io che amo
i film horror non riesco a capire le vostre assurde maratone.”
“Questo è dovuto al fatto che
quando hai visto The Grudge con noi sei quasi morto di
paura.” Gli diedi un pizzico sul braccio e lui fece finta di essersi fatto male
poi si mise una mano sul cuore fingendo di essere offeso. “Ouch! Non c'è bisogno
di ferirmi nell'orgoglio.” Si avvicinò come se fosse sul punto di rivelarmi un
importante segreto e mi disse, “Potresti avere ragione, ma negherò tutto
quanto.” Si abbassò a darmi un bacio veloce e poi mi lasciò andare
definitivamente. “Ora vai. Ti chiamo per gli auguri o posso
passare?”
“Puoi passare,” dissi facendo qualche
passo indietro. “Promettiamo di non trascinarti dentro casa con noi. Comunque,
sentiti libero di andare a una delle feste che organizzano per
Halloween.”
Kevin mi prese la mano tirandomi a lui. Mi diede ancora un
bacio prima di spingermi leggermente indietro. “Fila da quella matta della tua
migliore amica!”
Mentre mi dirigevo verso la mia macchina avevo ancora il
sorriso sulle labbra. Sentii il rumore del motore dell'auto di Kevin e mi voltai
a salutarlo con la mano prima di salire sulla mia Chevy.
“Sembrate usciti da qualche telefilm
adolescenziale,” commentò Sal appena misi in moto.
Fu
il mio turno di roteare gli occhi mentre risalivamo il viale della scuola. “Sal,
noi siamo adolescenti.”
“Come vuoi.”
Risi. “Se fossi tu al mio posto...”
“Non starei sempre lì a baciarlo...”
fece un pausa e corrugò la fronte come a pensarci. “Ok magari si.” Scoppiammo a
ridere mentre accendeva la radio.
“Allora, quando andiamo ad
Alloway?”
“Non ho ancora deciso. Potremmo
andarci domani che è Sabato o...”
“No, niente da fare.” Le vidi
scuotere la testa in un cenno deciso. “Questo week-end è il tuo compleanno ed è
Halloween soprattutto, non andremo in giro a cercare probabili luoghi di un
antico massacro.”
Fermai la macchina al semaforo rosso e mi voltai verso Sal.
“Magari sarebbe meglio. Insomma, è la notte perfetta Halloween, non
credi?”
“No, Sam. Dico sul
serio...”
“Sal...” Fui interrotta dal clacson
della macchina dietro la nostra.
“E' diventato
verde.”
Sbuffai mentre partivo, “Voglio andarci Domenica che è il
mio compleanno.”
“Sam, avanti, dammi retta per una
volta. Abbiamo anche i film e...”
“Possiamo vederli un'altra volta,
Sal.” Non dicemmo più nulla fino a quando non fummo arrivate a casa.
Neanche un secondo dopo che mi fui chiusa la porta alle
spalle, Sal ricominciò. “Potrebbe essere pericoloso se troviamo il posto
giusto.”
Annuii semplicemente mentre ci andavo a prendere della
coca-cola in frigo. Ovviamente lei mi seguì. Quando cominciava una discussione,
molte volte era più testarda di me. “Sal, gli incubi stanno diventando sempre
più vividi e sono abbastanza certa che il mio compleanno sia il giorno giusto
per andare ad Alloway e scoprire che diavolo sta succedendo. Sono
seria.”
In
quel momento cominciò la lotta degli sguardi. Io fissai dritto nei suoi occhi e
lei dritto nei miei. Era il nostro modo di portare avanti una discussione senza
urlarci addosso.
Alla fine, lentamente e sicuramente contro voglia, Sal annuì
lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. “Ok, come vuoi ma se ci ammazzano,
troverò il modo per fartela pagare, Samantha.”
Le
sorrisi. “D'accordo.” Le passai una lattina di coca-cola e passammo a progettare
nei dettagli il nostro piccolo viaggio.
-
Christopher -
“Allora,” Adam si buttò sul divano
incrociando le braccia sotto la testa. Mi rivolse un sorriso divertito.
“Partirai alla ricerca di questa presunta reincarnazione di Charity e poi che
farai? Ripeterai la storiella patetica del vampiro innamorato di una semplice
mortale?”
Strinsi la mano sul bracciolo della poltrona sulla quale
stavo seduto e lo sentii cedere sotto le mie dita. Mi dissi che era meglio una
poltrona da trentamila dollari che il collo di quello che in teoria era il mio
migliore amico da un paio di secoli a questa parte.
“Potresti evitare il tono sarcastico
e il sorrisino saccente?” la mia voce suonò come un sibilo e Adam alzò le mani
in segno di resa prima di mettersi a sedere compostamente. Si aggiusto la
camicia di un blu scuro con indifferenza come se non stessimo parlando di nulla
di importante.
Era
incredibile quanto riuscisse ad irritarmi a volte.
“Mi scusi tanto Signor Westberry,”
abbassò la testa nell'imitazione di un inchino prima di mettersi in piedi.
“Pensavo ti servisse vedere le cose come stanno e non come vorresti
che...”
“Non voglio andare lì a cercare la
copia di Charity per rivivere i tempi andati.” Scattai in piedi a mia volta
sentendo la rabbia impadronirsi di me. “Ricordi? L'ho uccisa io
perché...”
“Perché aveva ferito i sentimenti del
piccolo Chris.” Il mezzo sorriso gli tornò sul viso pallido e le labbra color
ciliegia scoprirono i denti affilati. “Avrei tanto voluto esserci quando il
sangue dei Cabe ha macchiato le strade di Alloway. Un'intera famiglia di
cacciatori e tu, ti sei innamorato della piccola Charity che non credeva nei
vampiri.” Questa volta rise pienamente, divertito dai ricordi dell'ultima volta
in cui mi ero sentito umano. “Oh ma poi ci ha dovuto credere, non è vero,
Chris?”
“Riesci ad essere serio prima della
fine di questo secolo?” Cercai di riportarlo sul motivo per cui era stato
invitato nella mia nuova casa, perché assecondare le sue frecciatine voleva dire
finire in lotta come sempre e non ne avevo né la pazienza, né il tempo.
“Il tempo è l'unica cosa che non ci
manca.” Si ributtò sul divano sospirando. “Dunque, spiegami allora che cosa ci
faccio qui.”
Tornai a sedermi sulla poltrona vicino alla finestra e
guardai attentamente Adam. “Volevo soltanto metterti a conoscenza delle mie
prossime mosse.”
“Nel caso la nostra piccola Charity
Junior tentasse di farti fuori come la sua ava?” Rise
divertito.
“Non sappiamo neanche se sono
imparentate e comunque non mi preoccupo certo di un'umana qualsiasi. Voglio solo
scoprire che diavolo mi sta succedendo e saperti pronto nel caso avessi bisogno
di aiuto.”
Rise ancora. Ero pronto a prenderlo a pugni. “Tu bisogno di aiuto? Chi credi di andare ad incontrare?
Buffy?” Roteò gli occhi e si mise in piedi.
“Un giorno di questi le tue stupide
battute ti faranno finire in cenere.”
“Certo,” si avviò alla porta ancora
sorridendo. “Cerca di ricordare che quella famiglia ti ha già preso in giro una
volta e che siano passati o meno due secoli fra Charity e questa ragazza di cui,
vorrei sottolineare, non conosci né nome né volto, un Cabe resta sempre un
Cabe.”
Sapevo che probabilmente aveva ragione e che andare in un
posto dove avevo giurato di non mettere più piede alla ricerca di una ragazza
che non ero nemmeno certo esistesse, fosse probabilmente la cosa più stupida che
potessi fare, ma il raziocinio non era esattamente una qualità tipica per un
vampiro.
-
Sam -
Guardai per un attimo fuori dal finestrino. Le nuvole erano
grigie e il cielo aranciato. Eravamo ben oltre l'inizio del tramonto e a quanto
pareva sarebbe venuto a piovere. Esattamente come ci aspettavamo sarebbe
accaduto.
Lanciai un'occhiata verso Sal che era ancora intenta a
guardare accigliata fuori dal suo finestrino. Sospirai e ripresi a fissare la
strada deserta che si snodava davanti a noi.
Alloway Township distava circa quindici miglia da
Monroeville e il motivo per cui eravamo partite così tardi era che Kevin si era
presentato la mattina presto con una torta e svariati contenitori di TakeAway.
Sul momento ero stata felice di vederlo, gli avevo sorriso e lo avevo baciato,
ma poi mi tornò in mente di come tutto ciò avrebbe costretto me e Sal a metterci
in viaggio ben oltre l'ora consigliata.
Non
eravamo certamente stupide. Sapevamo che una cosa era andare ad Alloway durante
Halloween con il giorno e un conto era andarci quando ormai era praticamente
buio.
Questo era il motivo per cui Sal era arrabbiata e non mi
parlava ormai da ore. Sapevo che avrei dovuto dire a Kevin di andare via, ma
come potevo farlo? Neanche io ero così tanto senza cuore.
“Sal, avanti, siamo quasi arrivate
e...”
“Quando ti avevo detto che mi stava
bene venirci oggi, avevo specificato che doveva essere durante il
giorno.”
Sbuffai. “Almeno adesso mi parli di nuovo.”
La
sua risposta fu una specie di grugnito e fui grata di vedere la tabella con
scritto Benvenuti ad Alloway Township – Salem County –
New Jersey.
Il
punto era che obbiettivamente Sal non aveva motivo di essere così tanto
spaventata. Non eravamo neanche certe che fosse il posto giusto. Mi era sembrata
l'ipotesi più probabile perché era il paese da dove aveva origine la mia
famiglia. A dire la verità, era dove ero nata. Io e Papà ci eravamo trasferiti a
Monroeville dopo la morte di Mamma, quindi avevo vissuto ad Alloway per cinque
interi anni ed era anche dove si trovava la sua tomba.
“Ehi Sal?”
“Che c'è?” mi rispose seccata.
“Pensi che potremmo fare un salto al
cimitero dopo?” Non avevo bisogno di voltarmi per vedere la sua espressione
sbalordita. La conoscevo talmente bene e da così tanto, da sapere esattamente
che faccia avrebbe fatto in ogni occasione.
“Sei impazzita?”
“Sal, non vengo a visitare la tomba
di mia madre da anni ormai e...”
“Non oggi, Sam. Voglio tornare a casa
ancora viva se non ti spiace.”
“Potrei andarci da sola. Che
dici?”
“Che sei pazza.”
Sbuffai ancora sentendomi come una bambina piccola. Sal aprì
il finestrino e il vento freddo le fece volare i lunghissimi capelli castani che
le arrivavano quasi in vita ormai.
Un
tempo anche io avevo voluto capelli lunghi ma erano ormai un paio di anni che ci
avevo rinunciato.
“Guarda, un bar. Ferma la macchina e
vai a chiedere.”
Guardai Sal stranita. “Cosa dovrei andare a
chiedere?”
Scrollò le spalle prima di rispondermi. “Descrivi la casa e
chiedi se è qui.”
“Sal...”
“Certo potremmo chiedere a qualcuno
della tua famiglia ma...”
“Ti ricordo che sono tutti morti.”
Frenai di botto facendo sobbalzare Sal. Come se non fosse già abbastanza
difficile trovarsi in quel posto, ora dovevo anche affrontare il fatto che il
cimitero del posto era pieno di miei parenti.
Scesi dalla macchina in fretta e Sal fece lo stesso.
“Scusami io...”
“Non importa,” tagliai corto. Mi
avviai verso la porta in legno del bar e mi fermai non appena fui entrata. Era
pieno di uomini dall'aria decisamente ubriaca. Feci un profondo respiro e mi
avviai al bancone.
Il
barista sembrava poco più grande di me e Sal. Aveva corti capelli biondi e lisci
e occhi castani. Mi rivolse un sorriso gentile. “Mi spiace ma sembri decisamente
troppo giovane per essere in questo posto.”
Mi
sedetti su uno degli sgabelli in legno. Lanciai un'occhiata verso la porta
quando notai che Sal ancora non era entrata. “Mi chiedevo soltanto se ci fosse
qualche vecchia villa da queste parti.”
Il
ragazzo si accigliò. “Vecchia villa?”
“Si di tipo coloniale con un grande
giardino e probabilmente abbandonata da anni.”
“La villa dei Cabe,” disse una voce
alle mie spalle. Mi voltai e un signore sulla cinquantina mi guardò accigliato.
“Non sei di qui. Cosa stai cercando?”
“Io...” deglutii a fatica
accorgendomi all'improvviso che era calato il silenzio. Mi schiarii la gola e
cercai di sorreggere lo sguardo impassibile del mio interlocutore. “Devo fare
una ricerca sulle mie origini e...”
Il
cipiglio dell'uomo si intensificò. “Sei una di loro?”
“Di... di loro?”
“Si, una dei Cabe. Pensavo fossero
tutti morti.”
“Al non ricordi che l'ultima che è
morta aveva una figlia?” chiese qualcuno dai tavoli più indietro.
“Allora Abigail Cabe era tua
madre?”
Andai improvvisamente nel panico. Perché diamine quella
gente faceva tante domande? Ok Alloway era un villaggio di duemila persone dove
probabilmente non andava mai nessuno, ma la loro curiosità cominciava ad
risultarmi sinistra.
“Rispondi ragazza.”
Strinsi le mani in pugni e le imposte delle finestre
cominciarono a battere mosse dal vento. Il vecchio fece un passo indietro e mi
chiesi se non avevo appena commesso uno sbaglio che mi sarebbe costato
molto.
“Un'altra strega.” Sussurrò il tipo
con cui stavo parlando e fece un altro passo indietro.
Fantastico. C'era qualcuno più in gamba di me nel mettersi
nei guai? Diamine... morire il giorno del mio compleanno... avrei dovuto dare
retta a Sal che al momento non ero neanche certa dove fosse. All'improvviso fui
colta dal panico. Magari l'avevano già uccisa o...
“Scusate? Scusatemi?” La voce di Sal
sembrava chiara e leggera come se fosse arrivata lì per caso e avesse bisogno di
aiuto. Gli occhi che erano stati fino a quel momento puntati su di me, si
rivolsero a lei. “Grazie. Dunque, mi pare di capire che abbiate un problema con
la mia amica qui,” le vidi chiudere la mano sinistra come se stesse stringendo
una palla da baseball. Diavolo...
Mi
alzai di scatto dallo sgabello quando vidi la prima scintilla scaturire tra le
sue dita. Se se ne accorgevano, ero pronta a scommetterci il mio fondo per il
College che ci avrebbero mandate al rogo.
In
un lampo, ero di fianco a lei. “Sal...” bisbigliai. “Non fare niente o siamo
spacciate.”
“Siamo due contro trenta, Sam,” mi
disse senza distogliere gli occhi dalla folla. “Io prendo la quindicina a destra
e tu quella a...”
Le
afferrai il braccio. “Non possiamo.” La tirai indietro verso la porta. A quanto
pareva erano rimasti tutti troppo scioccati o terrorizzati per fare niente. La
giornata cominciava decisamente a migliorare, vero?
“Scusateci,” dissi ad alta voce
mentre indietreggiavamo. Le nostre schiene toccarono la porta e con la mano con
cui non stavo tenendo Sal la aprii, “Non volevamo creare problemi. Ce ne andremo
subito!”
Mi
voltai di scatto, strattonai Sal e corsi verso la macchina. Aprii lo sportello
della Chevy dal lato del guidatore e spinsi Salvation dentro. Scivolò in fretta
più in la facendomi posto dietro al volante. Nel giro di due secondi, ci stavamo
già allontanando.
“Te l'avevo detto che era una
follia,” dissi a Sal.
La
vidi annuire distrattamente mentre lanciavo occhiate nervose nello specchietto
retrovisore aspettandomi di vedere qualcuno inseguirci con un forcone o qualcosa
del genere. “Riesci a crederci? Siamo nel 2010 e...”
“C'era una bambina che giocava nel
campo davanti al bar e ho chiesto a lei,” mi interruppe.
“Ecco dove eri
finita.”
“Già, ascolta. Mi ha detto che
l'unica grande villa è quella che un tempo apparteneva ai Cabe
e...”
“Si è quello che ha detto anche il
tizio nel bar prima che urlassero alla strega.”
“E so perché erano tutti così
agitati. Nessuno ci va più perché a quanto pare ci è morta un mucchio di gente o
almeno così le hanno raccontato i suoi amici più grandi. Non era certa fosse
soltanto una leggenda di Halloween ma non poteva neanche assicurarmi che fosse
tutto vero. Ha solo detto che è rimasta dei Cabe per tutti questi anni e che
nessuno l'ha mai fatta demolire o ricostruire. A quanto pare c'è stato un
incendio alla fine dell'ottocento e i Cabe sopravvissuti furono soltanto quelli
che quella notte erano fuori città.”
“E sapeva tutte queste cose?” chiesi
stupita.
“Si a quanto pare è la storia che più
si racconta da queste parti. Ma perché tu non ne sai niente?”
Scrollai le spalle. “Sal, mia madre è morta quando avevo
cinque anni e non ho mai conosciuto né zii né zie e né tanto meno nonni perché
erano tutti morti. Papà si rifiuta di raccontarmi qualsiasi cosa sul passato
della famiglia e all'inizio non voleva neanche lasciarmi il cognome di Mamma
perché non voleva avessi nulla a che fare con la magia.” Sospirai. “Lasciamo
stare adesso. Ti ha detto dove sarebbe questa villa?”
Con
la coda dell'occhio vidi Sal annuire. “E' sul confine a nord della città.
Continua a guidare in questa direzione. È l'ultima casa del paese ma non si vede
dalla strada perché ci è cresciuto il bosco attorno.”
“Era al limitare del parco prima,” le
dissi.
“Già se è la stessa, ti farà effetto
vederla in rovina quando per te, fino a quando ti sei svegliata questa mattina,
era ancora intatta e lussuosa.”
Annuii brevemente mentre cominciavamo a guidare lungo la
parte della strada lasciata nell'oscurità.
“Devo dire una cosa... ho davvero una
brutta sensazione,” mormorò Sal.
“Non sei di aiuto,” le risposi
strizzando gli occhi per cercare di vedere meglio.
“E se qualcosa ci balza davanti
all'auto all'improvviso e...”
“SAL!” urlai. Avevo già i nervi a
fior di pelle per non parlare del fatto che in quel momento il mio stomaco
sembrava essere stretto in un pugno. Qualcosa continuava a dirmi di fare
retromarcia e non pensarci più, ma chi da mai retta a certi
istinti?
“Il vialetto si vede ancora perché
arriva fin sulla strada,” disse quasi bisbigliando mentre guardava fuori dal
finestrino.
Stavo per chiederle se sulla sinistra o sulla destra quando
qualcosa mi disse di svoltare. La macchina sobbalzò e Sal urlò. “Diamine ci
stiamo decisamente lasciando impressionare,” finì in una risata
nervosa.
Strinsi le mani sul volante come se ciò potesse darmi
sicurezza mentre procedevamo tra gli alberi. E poi fu come in un film. Un albero
caduto ci sbarrava il cammino.
“Non ci posso credere,” commentò Sal.
“Noi non scenderemo da questa macchina!”
Annuii. “Potrei provare a sollevarlo e...”
“Se ti distrai mentre ci passiamo
sotto, ci schiaccerà. Potrei provare io a...”
La
guardai inarcando un sopracciglio. “Sal, vuoi darci fuoco?”
“Hai ragione. Scusami.” Sospirò. “Se
scendiamo dalla macchina, moriremo e...”
“Non siamo nel West Virginia,
Sal.”
“No, infatti, siamo nel New Jersey.”
Nella pallida illuminazione che offriva la luce dello stereo che stava ormai su
MUTE da un'ora, mi sembrò di vederla tremare. “Sal, non moriremo. Puoi
aspettarmi in macchina se...”
“No così morirei io...” Fece un paio
di respiri profondi e poi annuì. “Scendiamo e andiamo verso la casa. Dovrebbe
essere alla fine del vialetto. Siamo streghe potenti giusto?”
“Si.”
“Quindi sapremo difenderci,” e mi
chiesi se cercasse di dare coraggio a se stessa o a me nel
dirlo.
“Sicuramente. Potrei far volare via
qualsiasi cosa ci attaccasse in un secondo...”
“E io potrei darle fuoco. Ok. Spegni
il motore.”
Cercammo nell'oscurità le maniglie delle portiere e aprimmo
gli sportelli quasi nello stesso istante. Il suono della loro chiusura
riecheggiò nel bosco.
“Sal, va tutto bene?” le chiesi
quando mi accorsi che il suo respiro era così pesante che riuscivo ad udirlo
standole lontano.
“Si sai che odio non riuscire a
vedere.”
Annuii e sorrisi. Chiusi la mano in un pugno e sussurrai,
“Mostra la via,” quando dischiusi le mie dita delle piccole luci si sollevarono
al di sopra delle nostre teste illuminando il terreno fino a qualche metro più
in là.
“Grazie al cielo tua madre ti ha
lasciato il suo libro degli incantesimi.”
“Già.” Mi avvicinai a Sal e le presi
la mano. “Stiamo solo attente a non inciampare.”
Camminammo per un po' in silenzio. Il mio incantesimo ci
offriva luce e la sicurezza che non avremmo sbagliato strada perdendoci. Alla
fine Sal sospirò.
“Sam?” mi chiese in un
bisbiglio.
“Dimmi.”
“Non ti ho mai chiesto come mai hai
il cognome di tua madre.”
“Perché era tradizione per la
famiglia di mamma dare il cognome della madre alle figlie. Se nasceva un maschio
aveva il cognome del marito, altrimenti il loro. Mamma mi disse che era per
rinsaldare il potere della famiglia. Quando lei è morta, papà voleva darmi il
suo cognome, pensava che così mi avrebbe nascosto alla maledizione di famiglia
ma poi deve essersi reso conto che non sarebbe successo.”
“Ma com'è che sono morti proprio
tutti tutti?”
Scrollai le spalle. “Non conosco i dettagli della
maledizione perché quando c'era mamma ero troppo piccola per chiedere e papà non
ne ha mai voluto parlare. So solo che una volta morta mamma, sono rimasta
l'unica Cabe in circolazione.”
“Nessun parente
maschio?”
Scossi la testa. “Sono sempre nate femmine.”
“Vuoi dire che quando un giorno avrai
un bambino sarà per forza una femmina?” Non avrei saputo descrivere esattamente
il tono che usò. Sembrava in un certo senso sbigottito ma c'era qualcos'altro a
cui non sapevo dare nome.
Le
luci si spensero all'improvviso. Sal si fermò subito ma io guardai dritto
davanti a noi. Eravamo all'esterno di imponenti cancelli neri.
'Ora o mai più,' mi dissi. “Andiamo.”
“Perché sono certa che accadrà
qualcosa di brutto?”
Lasciai andare la mano di Sal e spinsi contro uno dei
pesanti cancelli. Fece un rumore agghiacciante e vibrò come se fosse sul punto
di cadere ma almeno si aprì abbastanza per lasciarci lo spazio di infilarci
dentro.
“Sam, Sam non separiamoci, mi
raccomando.”
“Certo,” sentii un forte mal di testa
cominciare ad assalirmi. Strizzai gli occhi per un attimo come se la luce della
luna fosse fin troppo accecante.
Deglutii a vuoto e quando riaprii gli occhi ero nel salone
della casa. C'erano almeno un centinaio di persone che ballavano. Sapevo che era
sempre la stessa notte. Non rivivevo altro che quella. All'improvviso sentii
qualcuno urlare e i ricchi pavimenti e i preziosi lampadari sparirono.
La
casa era di nuovo diroccata e cadente. Immaginai volesse dire che ero nel posto
giusto, che la casa dei miei incubi fosse proprio quella. Mi guardai attorno ma
Sal non c'era e non avevo idea di come fossi finita lì dentro.
Feci un passo indietro e sentii un altro urlo. Non sapevo
dire se era qualche parte dell'incubo strisciata nella realtà o se veramente
qualcuno stesse urlando. Sentii il rumore di passi lenti e deglutii a fatica.
'Grande. Ora morirò perché sono troppo curiosa,' mi dissi
facendo un passo indietro alla cieca. 'Buon compleanno
Sam!' sentii il pavimento cedere sotto i miei piedi e se non fosse che
sentii la gola chiudersi come se stessi affogando, sono certa avrei urlato.
Strizzai gli occhi mentre cadevo nel vuoto.
Mi
aspettai di sbattere contro il pavimento del piano di sotto, di rompermi una
gamba e urlare per il dolore della caduta ma non accadde niente di tutto ciò.
Aprii gli occhi e non potevo sentire nessuna parte del corpo
dolermi. Mi guardai attorno e la casa era ancora a pezzi.
“Tutto ok?”
Mi
sentii congelare. Non ebbi il coraggio di alzare lo sguardo in direzione di
quella voce perché non poteva essere...
“Ehi? Tutto ok?”
Cominciai a dimenarmi. “Lasciami andare, lasciami subito,”
urlai colpendo alla cieca chi mi aveva appena salvato la vita. Mi ritrovai con
il sedere per terra e questa volta fece male.
“Ho sempre sostenuto che aiutare gli
altri fosse largamente sopravvalutato.”
“Chi diavolo sei?” chiesi
scioccamente perché la risposta era soltanto una. Era arrivato. Esattamente come
negli incubi.