Per un terzo di bacio
Non riuscivo a levarmelo dalla testa.
Il suo tocco.
Il suo soffio.
La consistenza di quel tratto di carne morbida che aveva
indugiato sulle mie labbra per poco più di qualche misero secondo.
Un terzo esatto della mia bocca ancora lo sente.
Ancora percepisce la dolcezza, il tormento, il desiderio che
fremeva in quel bacio mancato.
Ancora il mio cuore ricorda la sua immobilità nel momento in
cui lui mi stava per donare quel contatto che per noi era proibito.
Ancora le mie braccia ricordano come si sono strette al suo
collo, cercando di trovare un sostegno in quel momento in cui tutti i miei
pensieri se ne andavano in frantumi.
Ancora le mie gambe ricordano la debolezza che le fece
cedere e scontrarsi ancora una volta con le sue.
Il suo profumo, fresco, buono… la sua leggera barba ispida
che graffiava le mie guance senza farmi male… il suo respiro che sembrava
essere colto da un singhiozzo che era molto simile al mio.
Avevamo il mondo attorno.
Avevamo tutto il mondo attorno a noi.
Ma per me è come se non ci fosse stato nessuno.
Il tempo si era dilatato e, così come era arrivato alla
completa immobilità nel momento esatto in cui le sue labbra carnose hanno
cercato di raggiungere le mie con un parziale successo, allo stesso modo aveva
iniziato a sfilacciarsi ritrovando il suo ritmo naturale quando entrambi
voltammo la testa in direzioni opposte.
Imbarazzati, colpiti, confusi.
Lui con il viso immerso nei miei capelli e io appoggiata
alla sua spalla, non osando nemmeno guardarlo negli occhi.
Sono ricordi che mi porto dietro da ben due settimane.
Sono ricordi che rifioriscono ogni notte, nel buio delle mie
coperte. Sono ricordi che riaffiorano ora, mentre guardo il suo volto pulito e
luminoso, acceso da un sorriso che non è per me.
Non ha più sorrisi per me.
Quei pochi che ha sono di mera circostanza e mi accoltellano
ogni volta sempre più a fondo.
Prima di quel dannato terzo di bacio, le cose non erano
così.
Prima di quel benedetto terzo di bacio, le cose non erano
così.
Ogni suo abbraccio era un bagno caldo di tranquillità; ogni
carezza più languida, una miccia accesa che correva sui miei nervi; ogni
respiro sul suo collo, una ventata di ossigeno puro per i miei polmoni; ogni
sguardo luminoso, motivo di un compiacimento segreto che mi scaldava il cuore…
ogni bacio sul viso… un colpo all’anima.
Non è mio.
Non è mio.
Non è mio.
Devo continuare a ripetermelo se voglio avere qualche minima
speranza di sopravvivenza in questa faccenda. La realtà è un potente strumento
contro l’illusione del cuore, anche se, così come è in grado di curarla se
utilizzata in tempo, è in grado di distruggerlo se si indugia nel languore.
Lui non è mio.
Lui è di un’altra.
Crudele strumento la realtà.
Una bambina, una sciocca ragazzina a chilometri e chilometri
di distanza, che ha intessuto una non storia con un ragazzo fantastico che non
riesce a capire quanto poco di quello che vive sia reale. Una sciocca ragazzina
l’ha messo alle corde per il suo primo passo falso, un passo che poi passo non
è stato mai.
Una sciocca ragazzina è la causa della sua freddezza.
Mi guarda, mi offre il suo bicchiere pieno di un liquido
azzurrognolo e mi invita a berne, come sempre.
Volto la testa dall’altra parte e mi discosto, allontanadomi
dalla sua cortesia così perfettamente gioviale e dannatamente fredda sulla mia
pelle.
Bere da quella cannuccia, ritrovare un retrogusto del suo
sapore dietro l’alcool è una cosa che non riesco a sopportare.
Cerco di distrarmi, di non pensare, di muovermi cercando di
dissimulare la mia profonda delusione. Cercando di fargli capire che la sua
indifferenza non mi tocca, che non c’è nulla che non va, che tutto è a posto.
Che tutto è come se nulla fosse successo.
- sei sicura di stare bene?- mi chiede Daniele, premuroso,
seguendomi verso la pista da ballo.
Rispondo con una smorfia di sufficienza, mentre mi lego i
capelli in una coda alta per scongiurare il caldo.
- è un cretino, Ve, non vale la pena starci così- sussurra
accarezzandomi il viso con il dorso della mano.
Guardo il mio amico inviandogli un silenzioso
ringraziamento. Se avessi mosso le labbra per parlare ne sarebbe uscito fuori
un sighiozzo.
Da un certo sollievo definirlo un “cretino”, ma non è un
lusso che mi posso concedere.
Non è un cretino. È solo un ragazzo fidanzato che ha avuto
con una sua amica una piccola parentesi equivoca in un momento in cui era
particolarmente sbronzo.
Sono io la cretina.
La stupida che nonostante tutto crede che lui abbia sentito
quello che ha sentito lei nel momento in cui le loro labbra si sono incontrate
in un terzo di bacio.
Quel dannato terzo di bacio.
Quel benedetto terzo di bacio.
“In vino veritas”.
Maledetto Alessio e maledetta l’illusione che mi ha dato.“A me ha detto che è stato lui che quasi non ti baciava”
Disgraziate serate lucide in cui ho potuto credere che
veramente l’alcool fosse la via per arrivare alla loro interpretazione.
Penose nottate di analisi a cercare di dare un senso ai suoi
gesti.
“Ha la coda di paglia,
Ve. Se non ci fosse qualcosa di te che lo turba e lo attrae, non si
comporterebbe così”
Stupidi sogni infestati dalla sua presenza.
Ci raggiunge assieme agli altri sulla pista e, ancora una
volta, a mala pena registra la mia presenza nel raggio del suo campo visivo.
Ride, si muove, scherza. Osserva tutto, tranne quei pochi
centimetri quadrati in cui ci sono io.
Che non riesco più a mascherare il disappunto.
Che non riesco a tenere a bada il dolore al petto nel
momento in cui gli occhi mi cadono sulle sue mani, mollemente appoggiate alla
sua cintura.
Erano dolci e possessive sulla mia schiena e sui miei
fianchi quella sera. Mi trattenevano stretta, mi guidavano su una musica che i
nostri corpi conoscevano per istinto. Una musica che poco aveva a che fare con
quella che ci circondava, ma comunque la stessa musica su cui il dj voleva che
ci muovessimo ora.
“mi ha detto che tra
voi c’è parecchio feeling e che per poco non ti baciava. L’ha ripetuto un sacco
di volte”
Mi manca l’aria.
Mi manca letteralmente l’aria.
Barcollante per il mancamento, mi allontano dalla pista,
andandomi a piazzare sotto la bocchetta di uno dei condizionatori, sperando di
trovare nell’aria fresca un po’ di sollievo.
Un po’ di lucidità.
- Vera, ti senti bene?-
- Si, Dany, avevo solo bisogno di un po’ d’aria- rispondo
cercando di mostrare indifferenza per il fatto che non fosse stato lui a
seguirmi.
- resta qui. Vado a prenderti dell’acqua- mi dice Daniele
prima di venire inghiottito dalla folla.
Daniele mi ha seguita.
Daniele mi sta prendendo dell’acqua.
Daniele. Non Lorenzo.
Daniele.
Lorenzo è ancora lì a divertirsi con gli altri.
Lorenzo a mala pena mi ha salutato con un bacio svelto sulle
guance in queste due settimane.
Lorenzo nemmeno mi guarda.
Rabbia.
È la rabbia che prende il posto dello sconforto.
Rabbia per il torto subito. Rabbia per essere la colpevole
volontaria della situazione, liberando lui dall’incombenza di sentirsi anche
solo vagamente responsabile.
Quasi accartoccio il bicchiere da cui bevo avidamente
l’acqua che Daniele mi ha portato, prima di abbandonarlo ormai inservibile su
un tavolino poco distante.
Sciolgo i capelli e gli do una ravvivata con le mani.
Non ti farò vedere quanto ci sto male.
Non ti farò vedere quanto mi fai male.
Ti farò vedere quanto brucia l’indifferenza.
Ti farò sopportare il tuo fardello di colpevolezza. Sono
stanca di portarla per entrambi.
Per un dannato terzo di bacio.
Per un benedetto terzo di bacio.
Indossata la mia armatura di ghiaccio, torno assieme a
Daniele al centro della pista e subito le sue
mani, le sue mani calde, avvolgono le mie braccia e mi trascinano verso di lui.
Respiro il suo profumo fresco, reso più intenso dal calore
della sua pelle e mi impongo di trattenere la faccia da cucciolo bastonato che
sta per liberarsi dalle briglie in cui l’ho costretta.
- si può sapere che hai stasera?- chiede con le labbra
troppe vicine al mio orecchio.
- niente - rispondo fredda, prima di allontanarmi da lui di
un passo con uno sguardo altrettanto freddo.
Le sue mani, sospese a mezz’aria, restano lì, come se ancora
trattenessero le mie braccia. Le sue labbra carnose sono schiuse in un’evidente
reazione di sorpresa a un comportamento tanto ostile che mai aveva visto in me
rivolto alla sua persona.
Mi guarda ancora un secondo, e poi non più. Come ha fatto
tutta la sera.
Come in tutti questi giorni.
Ma al posto della sua ilare spensieratezza, a regnargli ora
sul volto è il turbamento.
Non mi guarda, non guarda nessuno.
Sta appoggiato allo schienale di un divanetto a braccia
conserte, mentre sono io ora a ballare con i nostri amici come se non avessi il
benchè minimo problema al mondo.
Ballo per tutto il tempo che ci resta, occhi chiusi, musica
nelle vene, dimentica di tutto.
- Vera, andiamo?- mi chiede Daniele, fermando il mio polso a
mezz’aria.
- si, certo- gli rispondo gettando un’occhiata al suo
orologio e scoprendo che sono già le quattro del mattino.
Stanca e accaldata, lo seguo verso la strada dei guardaroba
quando due mani, dapprima esitanti e poi più sicure, afferrano i miei fianchi e
mi portano ad appoggiarmi ad un petto ampio, mentre la sua voce all’orecchio
arriva lievemente scocciata.
- dimmi cosa diavolo hai stasera- ordina non allentando la
presa sulla mia carne, né accennando a scostarmi dal suo petto.
- ti ripeto: niente- soffio tra i denti, cercando di
trattenere la stizza che minaccia di rompere le dighe del mio contegno.
Lo sai cos’ho, smettila di far finta di niente. Smettila di
fingere che te ne importi qualcosa.
- non ti credo. Dimmi che c’è- ripete prima di venire
allontanato da me che prendo a camminare tra la folla, insinuandomi là dove
trovo qualche fenditura per passare quasi indisturbata.
- ho detto che non ho niente-
- e io ho detto che non ti credo. Ora dimmi che hai-
Ha alzato la voce, mi è di nuovo rimbalzato addosso. Ha
cercato di afferrarmi la mano.
Per un attimo mi volto a guardarlo e il sorriso che mostra
sul volto sereno fa a pugni con la voce ferma e imperiosa che ha usato pochi
istanti prima.
Ora mi sorride.
Ora ha il coraggio di mettersi sul viso quella maschera di
finta tranquillità che non può appartenergli.
Ora mi fa apparire come una pazza che c’è l’ha su con lui
per un motivo che sicuramente non va oltre lo sbalzo ormonale mensile che al
momento mi manca.
- sei diverso- inizio sostenendo il suo sguardo, sfidandolo
a negare.
- come?-
- sei diverso, sei freddo, sei distante-
- no… sono come sono con tutti gli altri. Come sarebbe che
sono freddo?-
Sfida accettata. Nega.
- appunto, sei come con tutti. Non sei come con me-
Ancora una volta cerco di allontanarmi. Ho sostenuto il suo
sguardo “incredulo” per troppi scambi di battute per poterlo sopportare ancora.
Eppure faccio violenza a me stessa e al mio spirito di sopportazione quando mi
volto a incrociare ancora i suoi occhi. Non hanno quella luce che scorgo sempre
quando sono nei miei, quel piccolo brilluccichio divertito che gli illumina il
viso. Non c’è, non più.
- tu mi fai sentire come se avessi colpa di qualcosa. Come
se pensassi chissà quali castelli io mi sia fatta- soffio adirata stringendo i
pugni, badando bene a tenerli lungo i fianchi per impedirmi di usarli
diversamente.
- forse sei tu che pensi che ci sia qualcosa- mi risponde
secco e duro, lanciandomi uno sguardo con cui avrebbe potuto incenerire
un’intera foresta.
L’ultimo affondo. La stoccata finale.
Niente. Per lui non è stato niente.
Quel dannato terzo di bacio, per lui non è stato niente.
- no, non c’è niente- rispondo asciutta - ma tu sei diverso-
Quel benedetto terzo di bacio per me è stato tutto.
Mi allontano in fretta e ritiro il mio pass per l’uscita,
affrettandomi sulle scale per guadagnare aria più fresca che non sia quella
rarefatta e ormai grevia di fumo dell’ingresso.
Forse sono io che penso qualcosa.
Forse.
Forse ha ragione a dire che mi sono fatta qualche castello,
ma è stato lui a darmi i mattoni.
Ma lui nega.
E a cosa serve la rabbia quando sbatte addosso a un vetro
infrangibile? Che scopo ha? Che effetto ha se non quello di rimbalzare ancora e
ancora su di me lasciando lui completamente incolume?
Sono un’idiota.
Un’idiota.
- anche questa serata è andata- sbadiglia Daniele
stiracchiandosi.
- già…- confermo voltandomi a guardare gli altri raggiungerci.
- ragazzi che caldo là sotto-
- lascia perdere, ho la camicia da strizzare!-
- mai più qui -
- lo diciamo ogni volta-
- si ma adesso dico sul serio!-
- ragazzi, vi saluto… io me ne vado-
- ce ne stiamo andando tutti. Non puoi aspettarci? Facci
salutare almeno!-
- e allora datevi una mossa, prima che io decida di chiedere
al barbone laggiù di farmi spazio sotto le coperte!-
- quanto sei rompipalle!-
- si, lo so. Dai, ciao!-
- ciao-
- ciao Ve-
- ciao…-
Lo lascio per ultimo. Rapida e indifferente poggio le mie
guance sulle sue e mi allontano svelta.
Ho ragione.
Ho assolutamente ragione.
Dov’è l’abbraccio in cui di solito mi chiude quando ci
dobbiamo salutare?
Dov’è quella stretta possessiva attorno alle mie braccia?
Dov’è il suo nascondere il viso nell’incavo del mio collo e
il suo cullarmi per qualche secondo prima di lasciarmi andare?
Da nessuna parte.
Perché lui è strano e non ha fatto nulla per dimostrarmi il
contrario. Non ha nemmeno fatto segno di alzare le braccia verso di me.
Stanca e rassegnata apro il cofano della mia macchina
recuperando la giacca per buttarmela sulle spalle prima di infilarmi
nell’abitacolo.
- ti spiace darmi un passaggio?-
Nemmeno tempo di rispondere che è già salito in macchina e
si è allacciato la cintura di sicurezza. Sul viso ha il migliore dei suoi
sorrisi, i suoi occhi hanno quella particolare luce che tanto…
No, non posso dire che amo. Non posso dirlo perché non so se
sarebbe vero e se lo fosse… beh, non potrei reggerlo. Oggi, ora… adesso non
posso reggerlo.
In silenzio avvio il motore e tolgo il freno a mano e
ripenso a quel terzo di bacio.
Quel benedetto terzo di bacio.
Quel maledetto terzo di bacio per cui lui ora forse è qui,
con me, nella mia macchina che viaggia in direzione di casa sua per fermarsi
sotto il suo portone… in quella strada che ci ha visto due sere di fila
abbracciati stretti a scambiarci abbracci e baci sul viso.
Sarà difficile farlo scendere e trovare la forza di
ripartire subito senza lasciare il minimo spazio all’autocommiserazione. Già è
difficile farlo adesso, mentre lui smanetta con i tasti dell’autoradio in cerca
della sua canzone preferita che sa benissimo esserci sempre nei miei cd.
Non parla, non parlo.
Lui guarda fuori dal finestrino, le braccia strette al
petto, il respiro regolare. Ogni tanto lo scorgo con la coda dell’occhio
guardare nella mia direzione ma anche se non l’avessi visto lo saprei lo
stesso. Il suo sguardo è una carezza soffice, ma non abbastanza soffice da
passare inosservata. È una piccola scarica elettrica che attraversa la mia
pelle sotto il tessuto della mia giacca. È un calore che imporpora le mie gote,
la scintilla che alimenta i battiti del mio cuore e li sprona ad andare sempre
più veloci.
Vera, lui è fidanzato.
Lui ha negato.
Lui ha dimenticato.
Lui era ubriaco.
Lui non era con te quella sera, non ha sentito niente.
Lui… è qui con te ora.
La sua presenza mi ferisce più della sua assenza dopo il
breve scambio di battute che abbiamo avuto poco fa. Se lui non ci fosse stato
avrei potuto farmi il mio bel pianto liberatore, avrei potuto non preoccuparmi
della striscia nera del mascara che sicuramente mi sarebbe colata lungo le
guance, avrei potuto singhiozzare e darmi della cretina a voce alta per essermi
cullata per troppi momenti nell’illusione che lui… che noi… che tra noi ci
fosse davvero quell’intesa che… forse sento solo io.
Ma non posso. La versione ufficiale che ho dato a me stessa
non mi permette di non riuscire a stare seduta accanto a lui ed accompagnarlo a
casa come se il silenzio che ci copre come una cappa fosse solo frutto della
stanchezza di una serata in discoteca. La versione ufficiosa… preferisco non
raccontarmela. Potrei non sopravvivere.
La strada scorre veloce sotto le mie ruote, le luci
arancioni della città sono scie luminose che segnano la traiettoria della
nostra direzione. Svolto a sinistra ed entro nel quartiere residenziale a pochi
minuti di strada da casa mia. Svolto a destra una, due volte e accosto senza
spegnere il motore. Non posso spegnere il motore. Non devo spegnere il motore.
Non posso spegnere la rabbia che ancora sento bruciare dentro. Per lui, per la
sua irresponsabilità, per il suo… essere fantastico, per la sua luce negli
occhi nocciola… per la sua corta barba ispida sulle mie guance. Per la sua
fidanzata.
- buonanotte…-
La voce esce molto meno decisa di quello che vorrei dalla
mia bocca. Sembra più un sibilo strozzato che non un saluto fermo, sicuro…
deciso. Sembra una richiesta d’aiuto più che il punto fermo attorno cui avevo
deciso di orbitare.
- non mi saluti?- chiede abbozzando un sorriso.
- l’ho fatto. Ho detto “buonanotte”- replico trovando da
qualche parte dentro di me la scintilla della freddezza.
- questo non è un saluto. Tu non mi saluti così-
Sorride. Una mano sulla maniglia e il busto sporto nella mia
direzione. Verso di me. Su di me, che sono incollata al sedile e a mala pena
trovo la forza di voltare il capo verso il suo.
- nemmeno tu- sibilo glaciale cercando di far uscire dagli
occhi quanta più rabbia mi è possibile.
Rabbia e insicurezza si mescolano, lottano, si lasciano, si
rincorrono di continuo dentro di me. La voglia di scappare, autocommiserarmi
fino al giungere del sonno, piangere ancora un po’ al mattino e poi non più,
fanno un testa a testa con quella di lasciar scorrere a briglia sciolta la
rabbia, la frustrazione, la delusione, il rancore per lui, la sua fidanzata e
per me stessa. Me che tante volte ho detto “basta, non ci ricadrò mai più, mai
più soffrirò per queste cose” e altrettante volte sono inciampata negli stessi
sbagli.
Non risponde ma le sue labbra schiuse si serrano in una
linea retta carica di disappunto.
- vieni- dice spalancando la portiera per poi uscire e fare
il giro della macchina fino ad arivare da me e invitarmi insistentemente a fare
altrettanto. Con un piccolo sobbalzo, l’auto si spegne nel momento esatto in
cui lascio la frizione. E sono fuori.
Davanti a lui.
Senza guardarlo apertamente in viso.
Sforzandomi di concentrarmi su quella coroncina d’alloro
rossa che è il marchio della sua camicia Fred Perry a righine bianche e blu.
Mette sempre le Fred Perry. Camice, polo, magliette… è una
delle sue marche preferite.
So anche questo di lui.
So che preferisce una Ceres Strong Ale a qualsiasi altra
birra.
So che adora le torte alla frutta.
So che gli piace collezionare bicchieri di birra e cocktail
come souvenir dei vari locali.
So che quando dorme si rigira nel letto a balzelloni finendo
praticamente sempre con la faccia nel cuscino.
So che è bravissimo a preparare la pasta ma che come secondo
le sue competenze si limitano agli affettati.
So che molte delle sue canzoni preferite sono anche le mie.
So che quando è nervoso si rifugia ad ascoltare musica nella
sua macchina, sfrecciando per la città senza una meta precisa.
So che preferisce le parole al contatto di un abbraccio.
So tante cose di lui.
So anche che ora mi sta guardando con quella puntina di luce
chiara negli occhi che gli illumina il viso senza che lui lo sappia.
So che dirà qualcosa per sentirsi meno in colpa perché so
che il suo punto debole è proprio quello: il senso di colpa.
Sapendo tutte queste cose, dovrei sapere cosa aspettarmi da
lui, ma non lo so.
Sono qui, immobile davanti a lui, i miei polsi serrati nelle
sue mani, senza riuscire a guardarlo in faccia. E quello che sta per dire… non
me lo sarei mai aspettato
- scusami -
- come? -
La mia voce mi suona nuovamente estranea e quasi
ultraterrena, completamente snaturata.
- ti ho chiesto scusa perché hai ragione…-
- su cosa ho ragione? Sul fatto che sei strano?-
- si…-
- e c’è un valido motivo per cui tu lo sia?-
Tengo a freno rabbia e delusione, dolore e sofferenza.
Quel maledetto terzo di bacio è stata la goccia che ha fatto
traboccare il vaso, lasciando libere di scorrere fuori le emozioni che provavo
e credo di provare ancora tutt’ora.
Quel benedetto terzo di bacio mi ha fatto capire cosa sono
disposta ad accettare e cosa no.
- ho un sacco di motivi per comportarmi così con te, primo
fra tutti la nostra amicizia-
La parola amicizia
stona particolarmente sulla sua bocca.
Sono anni ormai che lo conosco e so per certo che è un tipo
che non si sbilancia mai, che non si lancia mai se non ha una percentuale di
minimo il 99,9% di atterrare in piedi dopo un salto.
So che non si comporta con nessun’altra come si comporta con
me.
- quale… amicizia?- chiede quella che ancora una volta dovrebbe
essere la mia voce ma non lo sembra affatto. - Sono… questo per te? Un’amica?-
- si -
- e tu ti intrattieni in intimi grattini e abbracci su un
divano, ti diletti in strusciamenti davvero poco fraintendibili e… simuli baci…
con una semplice amica?-
Non so di preciso a cosa stiano dando voce le mie parole.
Sto andando a briglia sciolta, come se avessi appena tolto il tappo a una diga.
Forse è proprio questo quello che ho costruito con lui fino ad oggi: una diga.
Non un castello ma una diga. Un argine con cui porre un
fermo alla corsa di pensieri che inevitabilmente mi avrebbero portato a
soffrire. Perché quando sai qual è la realtà delle cose, devi solo decidere
fino a che punto farti male. Io sono molto masochista e vado fino in fondo.
- un’amica da cui sono attratto -
E questo dovrebbe spiegare… cosa?
- se sai che non sarò mai niente altro che questo allora
perché fai quello che fai?-
- perché mi piace questo rapporto che abbiamo io e te.
Questo gioco che abbiamo creato. Questo… detto, non detto… questo stuzzicarci…Ma
mi fermo perché… so che da parte tua c’è qualcosa di più che da parte mia non
esiste -
- non fermarti e fa decidere me cosa sono in grado di
sopportare e cosa no. Se devi fermarti non dire che lo fai per me. Dì piuttosto
che lo fai per la tua ragazza, così ha molto più senso – ribatto infastidita.
Vivere il momento, è questo il mio modo di esistere. Vivere
il momento, coglierlo, gustarlo… non rimpiangerlo. Sono io a dire alla vita “mi
fermo qui perché di più non posso sopportarne”. Sono io a mettere una mano sul
bicchiere e decidere quanto volerlo pieno. Sono io a dire quanto basta.
Perché io so, senza dubbio più degli altri, la verità del
mio sentire. Io conosco l’estensione della mia soglia del dolore.
- non stiamo più insieme, ormai…-
Ah…
- … quindi se mi fermo, lo faccio per te - ripe roco. Il
luccichio era tornato nei suoi occhi. Che si fanno vicini… sempre più vicini…
- … lascia decidere me - ripeto fissando quegli occhi
nocciola, sempre più brillanti, sempre più carichi di qualcosa che non riesco a
leggere… sempre più vicini
- lo faccio per te…-
Più vicini… sempre più vicini… troppo vicini.
- lascia decidere me… -
E ho deciso… di non spostarmi.
Per avere non solo un terzo…ma un intero.
Per avere un’emozione e non solo un brivido.
Per capire … quanto basta.
Il suo bacio è lento, tenero… delicato…
La sua lingua sfiora appena la mia, attenta e circospetta. Raramente
esce allo scoperto da dietro la barriera perfetta di quelle perle bianche che
sono i suoi denti.
Le sue mani sono sulle mie spalle, ma le sento appena.
Sembra quasi che abbia paura di stringermi, come se potessi rompermi a un
contatto solo lievemente più intenso.
Non sono mai stata baciata così. Nessuno mi ha mai baciata
con tanta accortezza e attenzione, con tanta delicatezza. Nessuno ha mai spiato
il mio viso mentre rispondevo al bacio, eppure i suoi occhi nocciola semiaperti
studiano ogni movimento del mio viso, ogni singolo battito di ciglia.
Non avevo mai baciato ad occhi aperti prima.
Non mi ero mai sentita così mentre davo un bacio.
Ho provato passione.
Ho provato desiderio.
Ho provato tenerezza.
Ho provato indecisione.
Ho provato pentimento…
Ma non ho mai provato… indifferenza.
Possibile?
Possibile che l’indifferenza sia la nebbia che riempie la
mia testa in questo momento in cui l’unica cosa che dovrei sentire dentro di me
sono i fuochi d’artificio di San Giovanni?
Continuo a rispondere al bacio ma la mia mente ha già preso
a compilare la lista “delle cose che non vanno”.
Non mi stringe.
Dice che mi desidera, ma il suo bacio esprime tutto tranne
l’attrazione, mentale o fisica che sia.
Le sue mani sono sulle mie spalle, appena appoggiate… come
se fossero lì perché è etichetta.
Non sento nemmeno il resto del suo corpo sul mio. È come se
fossimo uniti solo ed esclusivamente per il tramite delle labbra, è come se
tutto il resto fosse vapore.
O forse… sono semplicemente io a sentire tutto questo?
Stanca, sfiduciata, esasperata… la mia mente ha più buon
senso del mio fisico, che vorrebbe percepire il suo e farsi percepire a sua
volta.
La mente non si abbassa al suo volere ancora una volta,
l’ennesima, come il mio corpo.
La mia mente… io… ho detto basta.
Senza troppo sforzo, mi allontano. Senza affanno, senza
batticuore, senza emozioni di sorta che scuotano anche lievemente il mio petto.
- ora possiamo anche tornare ad essere noi - lo rassicuro
prima di alzarmi in punta di piedi per lasciare un piccolo bacio sulla sua
guancia ispida di barba.
Un terzo di bacio mi ha fatto rendere conto di un sentimento
che nascondevo anche a me stessa.
Un terzo di bacio mi ha dato molto e mi ha tolto molto.
Un terzo di bacio è stato l’inizio del gioco per chi vuole
tutto senza rinunciare a nulla.
Un terzo di bacio è il motivo per cui sono qui stasera.
E un bacio intero è il motivo per cui ora sto salendo in
macchina senza più voltarmi.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Eccomi qui con un altra delle mie one shottine autobiografiche o meglio, parzialmente tali.
Se " quando tu...?" è stata un sogno ad occhi aperti... queste
pagine sono una piccola autobigrafia, un montaggio di alcuni dei
momenti più intensi che ho vissuto in questi ultimi mesi.
Tante volte di recente, guardo la mia vita e i miei amici e vedo le
nostre storie intrecciarsi tra di loro creando scenari degni un una fan
fiction... sarebbe bello scriverla sul serio, e chissà che un
giorno non lo farò davvero.
Ma per il momento non è questo quello che mi preme.
Come dissi già una volta, questi scritti brevi nascono da sogni
e vissuto, e anche se ora queste emozioni nella mia vita vera fanno
parte del passato... un passato recente, certo... ma pur sempre
passato... ho deciso di metterle qui.
Se doveste mai chiedervi se c'è un collegamento tra questa one
shot e quella precedente, vi potrei dire si e allo stesso tempo no.
Il LUI di "quando tu...?" era un Lorenzo (ovviamente questo non
è il suo vero nome) a metà... era lui più un altro
ragazzo. Diciamo che era un Lorenzo quando ancora non sapevo che
sarebbe stato IL LUI.
So che è stupido e infantile... e le mie due coscienze ( Moglie
e Gaia) forse crederanno che sto iniziando ad impazzire... ma
sarà l'ora tarda, sarà che ho la vena maliconica che
pulsa terribilmente in questi giorni... o sarà che non ci sono
le cretinate dei ragazzi a distrarmi ma... credo che ringrazierò
"Lorenzo".
Tu non leggerai mai queste righe, e probabilmente nemmeno ti interessa
farlo. Il nostro rapporto è basato su un continuo battibeccare,
un continuo litigare e di nuovo chiarire... ma ti voglio bene lo stesso.
Ti voglio bene... non "ti amo"... solo... ti voglio bene.
Nonostante tutto, mi hai regalato momenti intensi da cogliere in
abbondanza: momenti in cui toccavo il cielo con un dito... momenti in
cui ho creduto di conoscere il picco massimo dell'infelicità (e
della sfiga)... momenti, ore in cui la mia testa scoppiava in cerca
di una risposta sensata... momenti in cui ho vissuto... e ho scoperto
un'altra parte di me stessa.
Ora siamo di nuovo amici... o almeno cerchiamo di esserlo. Ma se un noi
diverso c'è mai stato, per me è fermo lì... su
quel divano, a sentir battere il tuo cuore sotto il mio viso e le tue
mani regalarmi il "bacio alternativo" più bello che io abbia mai
ricevuto in vita mia.
|