DRAMMATICAMENTE ME
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Drammaticamente me
Ci sono vite che sembrano perfette.
Sono piene di divertimento, di avventura, di colpi di scena…
sono vite di persone che hanno sempre una storia da raccontare, che hanno
sempre qualche problema che si risolverà per il meglio… magari con un bacio
sotto la pioggia dopo una giornata andata storta.
Ci sono vite che sono fatte per essere invidiate.
Come quella di quella ragazza bionda che alza un braccio per
fermare un taxi a pochi metri da me.
Il suo elegante trench di burberry le svolazza attorno alle
gambe perfette, slanciate ed eleganti, dritte e coperte di pelle d’alabastro su
costosi tacchi alti. Anche i capelli sono perfetti, onde color del grano setose
e sistemate in un raffinato chignon.
Ha un vestito rosso.
Le bionde con un vestito rosso per me sono sempre state il
massimo.
Le ho sempre guardate con ammirazione, come se fossero delle
creature soprannaturali che magari nascono da un battito di mani o da una
risata… come le fate.
Non camminano. Ondeggiano.
Non ridono. Cantano.
Non sono volgarmente sexy. Sono sensuali.
Sono perfette, aggraziate, educate, con quel velo di cinismo
che esalta l’alterigia che sembra un accessorio fatto apposta per andare con i
vestiti rossi.
Ci va sfacciataggine per mettere un abito di quel colore. Ci
va sicurezza, ci va tanta autostima perché quando indossi un capo carminio sai
che sarai notata.
Sai che non potrai confonderti con la moquette del
pavimento, perché… solo chi ha altrettanta dose di autostima e sospetto di
onnipotenza ha una moquette rossa fuori dalle sale di un cinema.
Sai che avrai gli occhi addosso.
E per indossare anche quegli sguardi come fossero un abito
devi piacerti.
Chi si piace ha senza dubbio una vita stupenda.
Chi si piace sa affrontare i problemi per quello che sono
senza inveire contro gli dei sospettando un certo accanimento nel loro
infierire.
Chi si piace sa come guardare alla vita.
Per questo la vita delle ragazze bionde con i vestiti rossi
è perfetta.
Essere bionde già le esonera dal difficile compito di creare
un cliché attorno alla loro persona (gli uomini preferisco le bionde, no?).
Partono avvantaggiate.
- fammi indovinare. Stai guardando… la biondona con il
vestito rosso che sta salendo in taxi-
- No. Non sto guardando la biondona con il vestito rosso.
Sto guardando la perfezione che sale su un taxi-
- ancora con questa assurda teoria?-
- non è una teoria assurda -
- si che lo è -
- le mie teorie non sono assurde -
- si che lo sono -
- ehi! Tu sei una mia teoria-
- infatti io sono assurdo. Sono finto!-
- piantala di chiacchierare. È arrivato l’autobus e se salgo
rispondendo alle tue frecciate penseranno che sono pazza -
- ma tu sei pazza -
E forse non ha tutti i torti.
Non mi sono ancora presentata. Sono Sam… cioè, Samantha.
Samantha Butler. Ma preferisco Sam.
E la deliziosa vocina che mi ha dato della pazza appartiene
a… Sam. Sam e basta.
In teoria ora dovrei spiegarvi anche chi è Sam, ma credo che
se lo facessi mi dareste della svitata perché… Sam è…
Ecco… Sam… è…
Sam …è… un uomo.
Un uomo… pieno di qualità.
È bellissimo, atletico, simpatico, intelligente… gli piace
la musica classica, gli piace andare a teatro, adora il vino rosso e detesta la
birra. Ama fare passeggiate a cavallo e viaggi culturali. Ha viaggiato per
l’Europa e conosce ben cinque lingue.
Di professione fa… il mantenuto.
E si. Il mantenuto.
In pratica fa la spalla su cui piangere, la fantasia erotica
nei momenti di solitudine, la mia coscienza e il mio consulente di moda.
Tecnicamente, però, è un mantenuto. Da me.
No, non che sia letteralmente mantenuto, nel senso di…
Però è un mantenuto. Da me. Dalla mia fantasia.
Perché Sam… è finto. Come ha detto lui.
Ecco, Sam è il frutto di un’altra delle mie teorie. Forse la
più brillante e la più intelligente che la mia mente abbia mai partorito.
Dopo una serie – molto modesta – di relazioni appena
iniziate e subito finite, all’età di ventotto anni ho capito che l’unica
relazione stabile, felice e soddisfacente che una donna può avere è solo quella
con l’uomo dei suoi sogni.
E Sam è appunto questo: il frutto dei miei sogni.
Infatti è una persona dolce, educata, gentile, sarcastica al
punto giusto… quanto basta per risultare simpatico in modo non stereotipato. È
sempre chiaro e coerente. Non fa mai niente tanto per fare e soprattutto, cosa
che amo tanto in lui, è fedele.
È un sogno. Perché uomini così non esistono.
È una realtà che ormai ho imparato ad accettare e prima lo
fanno anche le altre e meglio sarà.
Devono fare una scelta, insomma. Stare assieme a degli
ammassi di cellule umanoidi collegate tra loro in un modo che risulterà sempre
imperfetto, oppure amare di più sé stesse e stare sole.
A prima vista la seconda possibilità può apparire triste
ma…sono certa che prima o poi si ritroverebbero a darmi ragione.
La signorina in rosso, senza alcun dubbio, avrà una serie
infinita di amanti – veri – ma avrà anche il buon senso di capire che fuori dal
letto gli uomini sono inutili.
Una fonte inesauribile di guai e problemi. Inutili.
Buoni solo a spezzarti il cuore.
E non è che ho basato le mie conclusioni solo sulla mia
modesta esperienza. Lo vedo tutti i giorni.
Londra è senza ombra di dubbio una delle città più vive
d’Europa. E come tutte le città vive offre una vasta gamma di esempi da
studiare, analizzare, capire e afferrare.
Io scrivo.
Passo gran parte del mio tempo seduta alle fermate
dell’autobus a osservare la gente. E voi non avete la minima idea delle perle
di saggezza che si raccolgono alle fermate degli autobus!
È il posto dove la gente da il meglio di sé, a mio modesto
avviso.
Si, perché niente, e dico niente, tira fuori il vero carattere delle persone come il servizio
pubblico di trasporti. Niente.
Schiere di persone estranee che diventano improvvisamente
parenti, o almeno amici di vecchia data, nel momento in cui si trovano
accumunate dal fatto di essere assolutamente indignate per il mal funzionamento
delle linee di trasporto pubbliche.
Ragazzi chiusi dietro il rumore dei loro auricolari che si
guardano, si osservano da lontano, si amano senza avere il coraggio di parlarsi
mai.
Signore anziane che raccontano la loro storia al primo
estraneo che le ascolti con interesse mentre le aiuta con le buste della spesa.
Donne esasperate che organizzano come meglio possono la loro
giornata tra una chiamata e l’altra.
Uomini in giacca e cravatta che si prendono troppo sul serio
per prendere in considerazione l’idea di rivolgere la parola all’emo che gli
chiede qualche spicciolo per un caffè.
Storie. Ci sono tante
storie alle fermate degli autobus.
Spesso mi sento molto Kerry di Sex and the city, perché
anche io, come lei, curo una rubrica su un giornale.
Solo che io non mi occupo di… sesso, ma di rapporti
interpersonali che… contemplano anche la fase prima … quella che, in teoria,
dovrebbe precedere il sesso. Anzi, ecco mi occupo soprattutto di quella parte.
Mi occupo di persone. Si… di persone.
Scrivo di persone. Analizzo comportamenti, situazioni… a
volte rispondo alle lettere dei miei lettori se presentano qualche spunto
interessante per un articolo.
E teoricamente cerco anche di scrivere il best seller che mi
spalancherà le porte del successo e dell’immortalità, ma questo è un tasto su
cui al momento preferisco stendere un velo pietoso ( e rassegnato).
Il tutto nel mio ufficio personale: il mio monolocale.
Il mio disordinato, caotico e luminoso… monolocale.
Siamo solo io, il mio portatile e le mie teorie assurde. Che
però funzionano e mi consentono di fare la spesa tutti i giorni, checché ne
dica Sam. E Sam può dire tutto quello che vuole, perché tanto sa di essere un
fantasma e di venire “ripescato dalla scatola della pazzia” solo quando ho
bisogno di lui.
Si lo so. Sono un’opportunista. Ma a che serve un uomo
immaginario se non a esaudire i miei desideri come e quando – soprattutto quando – voglio? Se ne avessi voluto uno
che mi stesse sempre tra i piedi me ne sarei trovata uno vero!
Cos’altro dire di me?
Come scrissi su un articolo a proposito degli incontri in
rete, la domanda ricorrente che sembra racchiudere il problema esistenziale
delle persone è “come sei fisicamente?”
Lo so che non dovrei sorprendermi più di tanto perché ormai
si sa che “la bellezza interiore” è… come dire?...
È come rispondere a un’amica che ti chiede se il ragazzo che
hai intenzione di presentarle è carino, “ma guarda… è un tipo. Molto simpatico,
comunque”
Cioè vale a dire che è brutto, probabilmente grasso e quasi
certamente con l’alitosi o qualche strana e incurabile forma di diarrea
verbale.
In sintesi, la bellezza interiore è una gran cazzata.
Quindi forza. Conformandomi alla massa e dando alla gente
quello che la gente vuole, confesso di essere quello che appunto si dice “un
tipo”.
Grassa… diciamo nella norma. Fianchi un po’ morbidi che mi
danno sempre problemi. Le felpe larghe e sformate sono le mie migliori alleate
nella lotta alle “maniglie dell’amore”, che però io chiamo “maniglioni
antipanico” nei momenti di crudele autodisfattismo che di tanto in tanto
colgono anche me.
Brutta…
Brutta… diciamo… che ai miei occhi io mi sono sempre vista
come almeno “carina”, ma che le cattiverie dei bambini all’asilo, alle
elementari e sì… anche alle medie, hanno indotto nella mia persona un certo
senso di inadeguatezza. Sicché in confronto alle mie amiche e alla maggior
parte del genere femminile, mi sento davvero orrenda e assolutamente incapace
di ispirare attrazione in un uomo.
Avere gli occhi chiari a contrasto con i miei capelli
castano scuro mi salva relativamente. Il tratto somatico di fondo resta del
tutto insoccorribile così come anche i capelli ingestibili.
Per quanto riguarda la diarrea verbale… il mio curriculum
parla da sé. Sono una scrittrice, una giornalista. La diarrea verbale fa parte
del mio mestiere, praticamente.
Devo anche dirvi del mio carattere? Mi basta una parola:
cinica.
E con questo la mia presentazione volge al termine. Mi fermo
qui giusto per evitare di aggiungere elementi che starebbero tanto bene in una
pagina di annunci personali, che tra parentesi disprezzo.
Vi risparmio la mia teoria sugli annunci personali perché
sarebbe una cosa troppo lunga e complessa. La meditazione sui punti
fondamentali è stata stancante per me, figuriamoci per voi.
In ogni caso eccomi qui.
E questo che sto per presentarvi, invece – tempo di scendere
dall’autobus e prendere le chiavi di casa – è il mio fantastico appartamento.
Un monolocale all’ ultimo piano, senza ascensore. Minuscolo,
certo, ma con un tetto che ha una vista fantastica sul Tower Bridge.
Quando scelsi casa, uscita finalmente dal marasma delle
feste universitarie che infestavano i corridoi del dormitorio impedendomi di
dormire, presi questa qui principalmente per questo tetto.
È qui che vengo a scrivere.
È il mio posto magico.
Il tramonto sul ponte è uno spettacolo che mi toglie il
fiato ogni sera di più. E non importa che il cielo sia terso, nuvoloso,
tempestoso. È comunque un panorama mozzafiato.
È il mio panorama
mozzafiato.
Ho il mio accesso riservato e la corrente elettrica.
Per renderlo un pochino meno impersonale e anonimo ho
aggiunto anche dei geranei, ma, sbadata come sono, mi dimentico sempre di
innaffiarli, sicchè tutto quello che ne resta è un macabro stelo secco,
monumento commemorativo alla mia pigrizia.
Anche se piccolo e a volte scomodo, il mio appartamento mi
piace.
Le sue scarse dimensioni lo fanno somigliare molto a una
tana, un bugigattolo disordinato, tappezzato di tende colorate che fanno da
porte e calzini sparsi qua e là sul pavimento. Ma a me va bene così.
Non lo scambierei per nessun altro appartamento nell’intera
Londra, nemmeno per le stanze private della regina Elisabetta a Buckingham
Palace.
Ovviamente mi riferisco all’interno del mio appartamento,
compreso il tetto. Tutto ciò che sta dietro il mio portoncino blindato blu
scuro. A tutto quello che sta dietro quella porta non rinuncerei mai.
Perché se invece dovessi barattare il pianerottolo
antistante… un pensierino ce lo farei.
Non che il mio pianerottolo sia chissà quale antro oscuro e
terrificante. Il linoleum verde acido del pavimento e le pareti color crema,
macchiate qua e là dalle strisciate dei passanti, non sono nulla di così
originale nei condomini di Londra.
Ma di certo non tutti i condomini di Londra possono vantare
un autentico poltergeist tra le loro mura.
I poltergeist, in tedesco “fantasmi rumorosi”, sono gli
spettri più seccanti che esistano poiché il loro diletto è infastidire la gente
alle ore più assurde della notte. E farsi ovviamente un baffo del regolamento
condominiale che vieta gli schiamazzi, la lordura, l’inciviltà e comportamenti
poco consoni al buon costume nelle aree comuni dell’edificio.
Come nella tradizione dei migliori fantasmi, il poltergeist
in questione vive in soffitta, ergo è il mio dirimpettaio qui all’ultimo piano.
Ecco lui, lui… è
stato il motivo scatenante della nascita di Sam. Osservando lui e il suo
habitat naturale ho capito quanto non valga la pena perdere tempo dietro agli
uomini.
In questo caso potrei anche dire che William Musterson, così
si chiama lo spirito ostile che abita l’appartamento di fronte al mio, abbia la
paternità del mio Sam, ma dargli tutto questo merito non avrebbe comunque senso
perché sarebbe sprecato almeno quanto dargli credito di essere una brava
persona.
Sto appunto infilando le chiavi nella toppa per entrare, che
il suddetto interessante soggetto (interessante quanto un caso clinico
misterioso, s’intende) fa la sua comparsa trionfale, barcollando e cercando a
tentoni l’interruttore della luce.
Non lo degno nemmeno di un’occhiata, sino a che il rumore di
quello che mi pare sia una bottiglia rotta mi fa alzare gli occhi al cielo.
- Ops - dice ridacchiando e chinandosi a riprendere la cassa
di birra che aveva fatto cadere a terra nel maldestro tentativo di cacciarsi
una mano in tasca.
- per fortuna non si è rotto niente- continua mentre sento
le sue chiavi sferragliare e la serratura girare per poi aprirsi.
Ignorandolo come mio solito, sto per entrare in casa mia
quando il poltergeist manifesta ancora una volta la sua presenza.
- ehi Sam…!-
- Samatha! Mi chiamo Samantha!- ribatto acida, voltandomi
giusto per amor di cortesia a sentire cosa mai abbia a che spartire lo spettro
con me.
- si, scusa… hai ragione… Samantha - borbotta imbarazzato
cercando di afferrare meglio la cassa di birra che ha risollevato da terra.
- che vuoi?-
- io e Dag diamo una festa qua a casa nostra stasera. Ti va
di venirci?-
Il mio sopracciglio cinico che svetta verso l’alto è una
risposta più che sufficiente. No.
E il mio chiudergli la porta in faccia sta per “mai nella
vita”.
Si, si… lo so. Sono l’anticortesia fatta a persona quando mi
ci metto, ma non è colpa mia se già solo incrociarlo per le scale mi irrita.
Non che il poltergeist mi abbia mai personalmente offesa in
qualche modo. Anche volendo, gli ho dato talmente poche possibilità che non
sarebbe comunque riuscito a offendermi più di quanto non abbia mai fatto io.
È quello che rappresenta che mi infastidisce.
Belloccio, aspetto trasandato, con un viavai continuo di
ragazze che entrano ed escono dalla porta di casa sua e di quel povero ragazzo
che è costretto a spartire l’ossigeno di casa con lui.
La sua professione?
Gestire un sito internet, sul cui contenuto immagino sia
meglio sorvolare. Il massimo del fancazzismo.
Lui accorpa in sé tutte le caratteristiche del mio uomo
idealmente odiato.
Il classico tipo figo, bello e dannato che fa crollare a
terra come pere cotte tutte le donne che incontrano per caso la sua scia.
Lo odio.
O forse non odio lui.
L’idea di lui sicuramente si. Forse perché i pochi ragazzi
che ho avuto erano esattamente come lui, o almeno… ambivano ad essere come lui
e quindi, nel tentativo di imparare la tecnica, diventavano stronzi e maldestri
il doppio dell’originale.
In ogni caso, non lo reggo. E questo mi sembra sia ormai un
punto chiaro nella mia vita.
Stare alla larga dai tipi come William Musterson è la
promessa che mi sono fatta nel momento in cui ho deciso che l’unico uomo nella
mia vita sarebbe stato Sam.
Più precisamente, l’ho giurato a me stessa dopo l’ennesima
delusione amorosa della mia vita, intrecciata con tale David che credeva che
trattare le donne come una salvietta usa e getta fosse il massimo dell’essere
fighi.
David era un potenziale William. Così come lo sono stati
Christian, Darren e Connor. Poi c’è stato Mike, che era un William a tutti gli
effetti.
Sfogare il mio odio per il paradigma della specie, mi aiuta
a incanalare la rabbia e la delusione e, se proprio vogliamo, il mio vicino è
anche la conferma della mia teoria, motivo della sopravvivenza di Sam.
Un uomo finto vale cento e una volta un uomo vero.
Chiusa la porta di casa alle mie spalle, come al solito
passo i primi cinque minuti ad osservare la desolazione della camera che ho di
fronte. Sarebbe davvero ora che mi decidessi a dare una sistemata. O per lo
meno… a raccogliere da terra i vestiti sporchi, metterli in un sacco e andare
in una lavanderia.
Si, credo che domani lo farò. Andare in lavanderia, intendo.
Per ora tutto quello che ho in mente di fare è togliermi la
giacca, andare al telefono, scorrere con l’indice il menu del ristorante cinese
dietro l’angolo che ormai ho incollato alla parete, e ordinare la mia cena.
I vantaggi dell’essere single ed abitare da sola sono
soprattutto questi due: metti a posto quando ne hai voglia e puoi anche
mangiare cinese due sere di fila senza che nessuno abbia niente da dire.
Mentre aspetto che la mia ordinazione arrivi, raccolgo tutta
la buona volontà di cui sono in possesso (poca) e raccatto da terra la sfilza
di magliette, pantaloni e calzini che sono disseminati per la stanza, facendoli
magicamente sparire in un borsone da palestra che lascio cadere vicino alla
porta, pronto per il viaggio misterioso che intraprenderà nel fantastico mondo
dei detersivi domani mattina.
Giusto per convincermi ancora un po’ di più a trovare la
voglia di andare a fare il bucato domani, penso al film “quaranta giorni e
quaranta notti”. In una lavanderia è nato un amore, ergo… deve essere
senz’altro un magnifico punto d’osservazione e di ispirazione per le mie
teorie.
A volerci proprio trovare un lato positivo nel buttare due
ore della propria giornata, direi che è l’unico che mi possa convincere ad
accettare il sacrificio.
Una ventina di minuti
dopo la mia chiamata, ecco che
finalmente mi consegnano la mia cena e mentre apro la porta per
ricevere la consegna, noto con disgusto che la festa che sta per
cominciare a casa dello
spiritello rompiscatole è un toga party.
L’essere è lì, in piedi su una sedia vestito di lenzuola ad
appendere ghirlande colorate dal lampadario alla porta aperta. Pettorali al
vento, corona d’alloro in testa, un vero Marcantonio.
Peccato le ciabatte infradito al posto dei calzari che mi
rovinano l’effetto senatore… avrei potuto anche perdonarlo se non avesse avuto
ai piedi quelle orrende infradito blu ai piedi.
- Samantha, sicura che non…-
La porta che gli ho nuovamente chiuso in faccia non mi ha
permesso di sentire di cosa di preciso dovrei essere sicura, ma posso
immaginarlo.
Si, William. Sono sicura di voler stare a casa piuttosto che
trovarmi sbronza sul divano di casa tua a osservare gente che si passa una
canna e tira da un narghilè. Ma grazie per l’invito, sarà per la prossima
volta.
E in più ho di meglio da fare, stasera.
Faccio una doccia veloce e, prendendo al volo il cartone dei
miei spaghetti di soia, afferro anche il portatile.
Niente articoli a cui pensare, niente amici con cui uscire,
niente mamme da chiamare… spazio per scrivere.
Come ogni volta, apro con venerazione il mio portatile e lo
accendo, osservando tra un boccone di spaghetti e l’altro lo schermo che si
colora.
La mia mente già inizia a volare, impaziente che tutte le
applicazioni si aprano, per poter dar sfogo a tutti i suoi pensieri, che si
accumulano veloci come ogni volta. Veloci e tutti insieme.
Trame, personaggi, situazioni, luoghi profumi… tutto nella
mia testa.
Apro ansiosa la cartella in cui tengo i miei scritti e
recupero il file di quello che dovrebbe essere il mio romanzo.
Ed eccomi di nuovo ferma. Immobile.
Centoventi fogli word. Carattere Times New Roman grandezza
12. Margine tre centimetri.
Come ogni sera, finisco per osservare, leggere e rileggere
ancora quello che ho scritto. Ma tutto si blocca qui.
La mia testa è un fiume in piena di idee ma le mie mani… le
mie mani sono pesanti sulla tastiera.
È come se le mie dita non riconoscessero più i tasti su cui
in genere corrono veloci.
È come se fosse solo la mia mente a voler scrivere quella
storia.
Leggo e rileggo, per ritrovare il filo e al massimo riesco
ad aggiungere una riga in un’intera ora.
E come tutte le sere, chiudo quel file già titolato e apro
una pagina bianca, su cui inizio a battere veloce gli appunti presi mentalmente
nella giornata per il mio prossimo articolo.
Forse dovrei iniziare ad accettare il fatto che scrivere
storie, se non addirittura romanzi, non è più per me. Che la mia ispirazione sia
volata via. Che nonostante nella mia adolescenza io abbia scritto quaderni e
quaderni di storie, la mia creatività sia ormai esaurita.
Forse dovrei smetterla di insistere con questa storia del
libro e dedicarmi solo ai brevi articoli del settimanale.
Chissà però perché considerare questa strada risulta molto
più doloroso dell’accettare che Sam, il mio uomo immaginario, sia l’unica
persona che potrà mai rendermi felice.
ECCOMI QUI, UN'ALTRA VOLTA.
A CHI MI LEGGE PER LA PRIMA VOLTA: BENVENUTI.
A CHI GIA' MI CONOSCE: BENTORNATI!
LO SO CHE AVEVO IN MENTE ALTRI PROGETTI, ANCHE BELLI SOSTANZIOSI, MA PROPRIO MI MANCA L'ISPIRAZIONE PER SCRIVERE QUELLE STORIE.
GUARDANDO COMMEDIE SU COMMEDIE ( E SOPRATTUTTO QUEL GRAN FIGO DI GERARD
BUTLER), IN QUESTI GIORNI MI E' VENUTA IN MENTE QUESTA STORIA, CHE NON
DOVREBBE ESSERE POI COSì LUNGA.
SUL TEMPO DEL POST DEI CAPITOLI... NON POSSO DIRVI NULLA, CONSIDERANDO
ANCHE CHE IL 6 IO PARTO PER DUE SETTIMANE E APPENA TORNO SARO' CON LA
TESTA SUI LIBRI DA MANE A SERA... MA PROMETTO DI FARE IL POSSIBILE PER
NON FARVI ATTENDERE TROPPO.
SPERO CHE IL PRIMO CAPITOLO VI SIA PIACIUTO E CHE VI ABBIA INTRIGATO QUEL TANTO CHE BASTA PER CONTINUARE A SEGUIRE LA STORIA.
SE INVECE COSì NON è SONO ANCHE DISPOSTA A SOTTOPORMI IN
SILENZIO AL LANCIO DI POMODORI, UOVA E QUANT'ALTRO. PROMETTO CHE NON
PROTESTERO'.
UN BACIO A TUTTI E GRAZIE, IN OGNI CASO, PER ESSERE PASSATI DI QUA A DARE UNA SBIRCIATINA ALLA MIA STORIA :)
PS: COME AL SOLITO ECCO I LINK PER L'ABBIGLIAMENTO DEI PERSONAGGI.
SAMANTHA
WILLIAM
CASA DI SAMANTHA
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