Quante volte aveva percorso la
superficie della camera
avanti e indietro?
Se fosse stato in uno di quei vecchi
cartoni, quelli con
Bugs Bunny e Taddeo, probabilmente ci sarebbe stato un enorme solco
esattamente
dove lui, da circa un’ora, continuava a indugiare –
uno dei suoi piedi inoltre
era metallico, avrebbero potuto essere due solchi asimmetrici.
Tipicamente
tuo,
Edward.
La
camera era quella
di Al.
Il profumo del fratello gli penetrava
nelle ossa. Ed si
chiese più volte se non fosse una sensazione irreale,
giacché la finestra era
aperta.
Forse era semplicemente impazzito del
tutto. Non c’era
nessun “odore di Al”, o almeno non così
forte; era solo la sua mente malata
che, ancora una volta, gli propinava una piacevole chimera.
Fuori dalla finestra le cicale
frinivano rumorosamente.
Troppo rumorosamente.
Non quel piacevole frinire leggero
che ti annuncia che
l’estate è arrivata.
Un frinire assordante che pareva
messo lì apposta da chissà
quale dio, con il solo scopo di fare a botte col suo cervello oppresso
dalle
preoccupazioni.
Che fastidio!
In un moto d’insofferenza
corse alla finestra, chiudendola
con forza, producendo un tonfo che alle sue orecchie, già
molto sensibili,
risultò troppo forte.
Aveva caldo. Era sudato e nervoso,
avrebbe voluto farsi una
doccia, ma una parte di lui non ne aveva voglia.
Ecco, Winry aveva acceso la lavatrice.
Uno si libera delle cicale ed
è costretto a sorbirsi il
rumore meccanico di una lavatrice.
Odiava i rumori.
Ultimamente erano tutti
troppo… troppo… troppo rumori.
Quando decidi di autoflagellarti
mentalmente hai bisogno di
silenzio, dannazione!
Si lasciò cadere sul letto
del fratello, abbracciandone il
cuscino, sospirando.
Quando sarebbe tornato Al..?
Avrebbe dovuto essere a casa in
mezzora.
Aveva
venti minuti
per bearsi di quella piccola dimensione costruita con i profumi del
fratello e
la morbidezza delle sue lenzuola, poi avrebbe dovuto alzarsi e
preparare il
letto – cinque minuti – riaprire la finestra della
camera e tornare in salotto.
Avrebbe dovuto accendere la TV e fingersi interessato a qualsiasi cosa
stessero
trasmettendo. Sì, anche nel caso fosse stato lo stupido
telefilm sulle sirene.
Poi sarebbe arrivato Al.
Pochi convenevoli, come sempre. Un
saluto, un cenno con la
mano – mai un bacio sulla guancia – “
com’è andata?”, e le risposte vaghe di
Al. Poi sarebbe sparito in camera sua, come sempre, e lui sarebbe
rimasto sul
divano a sospirare.
Il suo rapporto con Al non era
minimamente come lui sperava.
Non era nemmeno un sereno rapporto fraterno – quando avevano
smesso di essere
uniti?
Si parlavano appena, si vedevano poco
e, cosa ancor
peggiore, lui era diventato Edward.
Non più Nii-san. Nemmeno
Ed.
Edward.
Santo cielo, fra qualche mese avrebbe
cominciato a chiamarlo
Fullmetal, se lo sentiva.
In fondo era giustificabile che Al lo
mal sopportasse, dopo
tutto quello che aveva passato a causa sua.
Era stato gentile i primi tempi.
Aveva cercato di fargli
credere che era semplicemente felice che
tutto fosse tornato alla normalità, ma col tempo il suo
rancore aveva
cominciato a palesarsi in queste piccole cose – o non era
rancore?
E se non lo
era, cosa
diavolo era?
Sospirava, il viso semi-affondato nel
cuscino, leccandosi
più volte le labbra per fermare la saliva prima che
sporcasse la federa di Al –
sarebbe stato un modo troppo idiota per
farsi beccare, no?
La mano stringeva con violenza, quasi
a volersi davvero
procurare dolore – e se dovessi
eventualmente andare da un medico cosa gli diresti, Ed? Che ti sei
masturbato a
sangue? – mentre l’odore dei capelli di
Al entrava dentro di lui attraverso
la pelle, attraverso ogni singolo respiro, attraverso quegli occhi che
bruciavano, liquidi di eccitazione e sensi di colpa. Sì,
perché c’erano molti
fattori eccitanti e spaventosi: non era solo il peggior atto che
avrebbe potuto
commettere. C’era tutta una strana catena di potenziali
rischi. E se Winry
fosse entrata? E se Al avesse
trovato delle tracce? E se lui un giorno, soffocato dal rimorso, avesse
vomitato fuori tutti i suoi sporchi segreti? Tutti quali, poi? Era uno,
uno
soltanto. Enorme, immondo, lacerante, talmente pesante da sembrarne
migliaia.
Ma era uno. Alphonse. Era sempre stato Alphonse il primo dei suoi
problemi, in
un modo o nell’altro. Ma non era lecito pensarlo, quando
aveva iniziato a
pensarlo? Ed era sempre stato tutto così nella vita di
Edward: tutto
elettrizzante e sbagliatissimo. E lui non poteva, non poteva davvero, fare a meno di ammazzarsi con i
sensi di colpa.
Perché se uno fa davvero
cose schifose è giusto che si senta
in colpa, no?
Doveva anche espiare in qualche modo,
prima o poi, ma ancora
gli sfuggiva come… certo, non poteva strapparsi qualche
arto, era troppo facile
– e troppo vistoso.
E la cosa più spaventosa
era che raggiungeva l’orgasmo
pensando a queste cose. Queste. Non pensava nemmeno più ad
Al e al suo corpo;
pensava e basta.
Quanto ti
piace,
essere pazzo, Edward?
Quando accese
la tv
si rese conto che sarebbe stato difficile ostentare un po’ di
interesse: era
l’orario delle soap opera.
Perciò con un sospiro la
spense e accese il portatile:
avrebbe finto di lavorare.
Alphonse entrò in casa
poco dopo, salutando Winry in cucina,
con voce squillante, poi arrivò in salotto e gli fece un
sorriso. Un sorriso
fin troppo studiato.
“ Buon giorno,
Edward!”
Buon giorno,
Edward?
Cosa sono, un estraneo?
“Ciao Al”
Si alzò dal divano,
diretto in cucina. Passò accanto al
fratello. Al sorrise di nuovo, lui non rispose stavolta.
“Vado in
camera…”
“A dopo allora.”
E senza guardarlo sparì in
cucina.
E Al salì le scale.
.
E ancora una volta erano distanti.
“Dovresti parlargli, prima
o poi.”
“Cosa dovrei dirgli, Winry?
Non posso chiedergli perché mi
tratta così freddamente. Innanzitutto, risponderebbe che non
è vero, e poi…”
Winry lo guardò eloquentemente; sapeva già cosa
stava per dire. “è una cosa da
femmine.” Appunto.
Con un sospiro, la ragazza spense i
fornelli, e si sedette
sulla vecchia panca di legno accanto al tavolo – una di
quelle cose che c’erano
da sempre, in quella casa.
“ Ed, siediti.”
Mentre batteva la mano sul posto
accanto a sé, gli rivolse uno
sguardo eloquente. Era il momento di parlarne. Di nuovo.
Perciò la raggiunse, capo
chino, preparandosi alla
ramanzina.
Perché voi
avete soltanto voi stessi, dovete
tornare vicini come prima – non so cosa sia successo tra di
voi ma… - vai a
parlargli Ed… - vai a parlargli Ed… - vai a
parlargli Ed…
Conosceva quei discorsi a memoria. In
cuor suo era grato a
Winry: era bello che qualcuno avesse così a cuore i suoi
sentimenti, ma d’altro
canto, avrebbe preferito che lei ne stesse fuori. Lei che era
così bella,
sorridente, pura. Lei che splendeva. Non doveva farsi carico delle sue
ombre,
per nessuna ragione. Non era il caso di spegnere così
l’unica luce che c’era
nella sua vita.
Ascoltò le sue parole con
poca attenzione, annuendo a vuoto
come si fa a scuola. Probabilmente lei sapeva che non la stava
ascoltando, ma
decise di lasciar correre. Lo sguardo triste di Ed l’aveva
resa troppo gentile,
nell’ultimo periodo.
“Ehi, ascolta.”
La morbida mano di Winry si posò sulla sua
guancia, trasmettendogli un piccolo piacevole calore. “
Stasera vi lascio soli,
ok? Avete bisogno di un momento per voi. Io… io ho la
sensazione che usiate la
mia presenza come scusa per non chiarirvi. Uscirò apposta
per te, quindi vedi
di sfruttare questa occasione, d’accordo?”
Ed sorrise a disagio. Non gli andava
molto l’idea di
rimanere solo con Al. Quello che diceva la ragazza era tristemente
vero. Entrambi
usavano la sua presenza per creare un minimo d’armonia in
quella casa. Senza di
lei c’erano silenzi insopportabili, c’erano
continui sguardi furtivi, c’era la
classica tensione che c’è tra due persone che non
riescono più a comunicare. E
Winry era diventata il loro mastice. Una madre, più che
un’amica: qualcuno che
teneva unita la famiglia.
Winry era uscita da dieci minuti,
quando Al scese le scale al galoppo.
Letteralmente.
“ Ed, io esco!”
Gli gridò, mentre correva
lungo l’atrio.
Lo raggiunse veloce, tentando di
fermarlo, ma già sapeva che
alla fine gli avrebbe permesso di andare.
“ Aspetta, devo
parlarti!”
“Parliamo domani,
ok?”
“ No dobbiamo parlare
adesso.”
“Adesso non posso Ed, sono
in ritardo!”
E così dicendo
scappò via lasciandolo solo. Solo e molto
amareggiato.
Adesso non
posso.
Certo, lui non aveva la
priorità su niente. Non era nessuno,
giusto?
C’era stato un tempo in cui
erano l’uno il mondo dell’altro.
Poi Al era cresciuto. Aveva
conosciuto nuove persone e si
era allontanato dal loro piccolo mondo a due. Era cresciuto anche lui
certo.
Solo che lui era cresciuto male. E più cresceva
più voleva chiudercisi, nel
loro piccolo mondo a due. Perché lui amava Al. Lo amava con
tutto il cuore e
non avrebbe mai potuto rinunciare a lui.
Per nulla al mondo.
Perché
Al era sua
moglie. Lo era sempre stato, e ora si sentiva come se si
trovasse nel bel
mezzo di una crisi di coppia.
I pensieri iniziavano a farsi davvero
pesanti. Stavano
tornando a galla quei cosi confusi.
Al non era sua moglie, era suo fratello. E lui era malato.
Andò in salotto, il rumore
della porta che sbatteva che si
ripeteva nella sua testa come un disco rotto, e spalancò
l’antina dove tenevano
i liquori.
Afferrò la bottiglia della
vodka e si lasciò cadere sul
divano.
Un altro tonfo. Un altro rumore da
collezionare nella sua
memoria. Colpi, battiti, tonfi. Tutto nella sua testa. Tutto assieme.
Era un
assordante concerto di ossessioni. Non capiva se era solo una mania, o
se era
un modo del suo cervello di difenderlo dai cosi.
I COSI che stavano sempre in agguato.
E quindi beveva per non pensarci, ai cosi. Almeno fino a che non
c’era Win a fermarlo.
O anche un po’ la sua
coscienza. Rimase più di un’ora, a
fissare la bottiglia, come se da essa dipendesse la sua
felicità o un paio di ore di
oblio. E intanto
tutti i cosi si affollavano nel suo
cervello. Si decise ad alleviare il corso dei pensieri cattivi quando
le tempie
cominciarono a pulsare. Era come se tutto il suo flusso di coscienza
fosse
infuocato e corresse in tondo nella sua scatola cranica, per ferirlo e
torturarlo. E poi era cominciato uno dei soliti acquazzoni estivi:
quindi altro
rumore.
“ Hai vinto tu.”
Disse alla bottiglia mentre la
stappava.
Un sorso.
Sentiva il calore scendere lungo la
gola, e le labbra
bruciare. E mentre le labbra bruciavano, pensava a come sarebbe stato
bello
baciare Al. Avrebbe lenito ogni bruciore, un suo bacio. Sì.
Le labbra di Al dovevano
essere fresche. Ne era sicuro. Al lavava i denti almeno
cinque volte al
giorno. L’aveva notato e subito registrato nella memoria.
Strana piccola mania.
L’unica stranezza del suo perfetto fratellino. Non che fosse
una stranezza
fastidiosa. Al massimo infastidiva Winry, che doveva comprare quintali
di
dentifricio. Ma a Ed piaceva. Lo faceva apparire fresco e attento.
In effetti, a Ed piaceva TUTTO di Al.
Tutto meno il suo modo
di ignorarlo.
Un altro sorso.
Perché lo ignorava, poi?
Escludendo a priori il fatto che
potesse aver capito i suoi malsani desideri, non c’erano
davvero buone ragioni.
Non c’era motivo per cui Al
avrebbe dovuto volersi
allontanare, l’essere diventato un adolescente non era
sufficiente. Proprio no.
Inoltre, quello che li aveva legati fino al momento in cui avevano
iniziato ad
allontanarsi, era magia. Era la più bella storia
d’amore mai vista. Non era una
storia d’amore. E poi non
avevano iniziato ad allontanarsi.
Era
successo tutto lentamente, lentamente, lentamente, come se una piccola
serpe si
fosse pian piano attorcigliata attorno al cuore di entrambi. E mentre
Al gli
sfuggiva tra le dita, Edward voleva stringere sempre di più,
sempre più forte.
E mentre Al diventava un normale ragazzo, che scivolava aggraziato
sulle acque
dei ruscelli dell’adolescenza, Ed era diventato un povero
deviato possessivo.
Ed è così che
un giorno si erano trovati a chilometri di
distanza l’uno dall’altro, con solo
l’amore per Winry a unirli.
Un terzo sorso. Abbondante.
E la testa cominciava a girare.
Chissà se Al si era mai
ubriacato, coi suoi amici. No di sicuro, quelli
erano tutti sfigati, e lui era troppo bravo per farlo. È davvero troppo bravo? Non lo conosci
più
Edward, non puoi saperlo . Non l’ha fatto e basta.
Non è davvero il tipo.
Se non altro perché è parsimonioso e non
spenderebbe mai i soldi in alcolici come
invece faccio io.
Un quarto sorso. E un tuono
più forte degli altri.
Probabilmente Al sarebbe tornato
prima. Bene. Gliene avrebbe
dette quattro.
Sì, gli avrebbe detto
tutto. Al doveva sapere che piangeva
per lui, doveva – quinto sorso – saperlo.
La serratura della porta
scattò, e un Al tutto bagnato fece
il suo ingresso nell’atrio.
“ Accidenti che
tempaccio… Ed?”
“ Sono in
salotto…”
Il minore seguì la voce,
ma non appena entrò nella stanza
venne abbracciato all’improvviso da Edward, che nel frattempo
si era messo in
piedi. Esitante ricambiò l’abbraccio, ma
percepì subito l’odore di alcool.
“ Ed… questo
odore…è strano… cos’
è, alcool?”
Costrinse Edward a guardarlo in viso,
per indagare meglio
sull’odore.
“ Che hai combinato,
eh?”
“Al perdonami,
io…”
Le sue scuse furono interrotte dagli
occhi di Al. Dalle
labbra di Al. Dalla pelle chiara di Al.
La sua mano salì a
carezzare la guancia del fratello.
“Sei bellissimo
Al…”
Al sgranò gli occhi
confuso. Che voleva dire quello adesso?
“ Ed… che stai
dicendo?”
Cercava di allontanarsi, Al, colto da
uno strano senso di
disagio e da un pizzico di timore, ma Edward lo trattenne, mettendogli
le mani
sulle spalle e stringendo la presa.
“ Sto solo dicendo che sei
il ragazzo più bello del mondo…”
Al gli appoggiò le mani
sul petto, pronto a spingerlo via.
“Nii-san… sei
stanco e ubriaco. Vai a riposarti. Ti faccio
la camomilla, ok? Ma vai a letto…”
Nii-san.
Quant’era
che non lo chiamava Nii-san? non poteva andare a letto ora, era un
momento
importante. Molto, molto, molto importante. Lui era il Nii-san di Al.
Come una
volta.
“ No Al, non voglio andare
a dormire, io voglio stare qui
con te.” Disse abbracciandolo nuovamente – Al era
davvero morbido come l’aveva
immaginato – poi, quasi sottovoce, aggiunse: “ Ti
amo tanto Al…”
Al tremò a quelle parole,
e con gli occhi sgranati sussurrò:
“ Stai delirando…”
Ma non voleva muoversi. Non poteva.
Aveva paura di scatenare
una qualche reazione violenta.
“Stai con me…
tutta la notte, Al.”
“Nii…ah!”
fu interrotto dai baci che Ed aveva iniziato a
depositargli sul collo “ sono Al… sono il tuo
fratellino…”
Tremava forte, Al. Si sentiva
minacciato. Possibile che Ed
avesse perso la testa fino a
quel punto?
Aveva capito che Edward non aveva preso bene il suo uscire nel mondo.
L’aveva
capito da ogni singola cosa che faceva, ogni occhiata, ogni gesto, ogni
parola.
Sapeva perfettamente che Ed voleva tenerlo tutto per sé, ma
non aveva mai
capito quanto profonda fosse la dipendenza di suo fratello. E pensare
che lui
lo amava così tanto. Ma quei continui comportamenti
scostanti l’avevano fatto
recedere, e alla fine era stato lui stesso ad allontanarsi. Negli ultimi tempi
l’aveva visto diverso, più distante
e arrabiato, ed era arrivato al punto di pensare che Edward lo odiasse.
Inoltre
era chiaro che suo fratello viveva un grosso disagio, ma non credeva
che
sarebbe arrivato al punto di ubriacarsi fino a non riconoscerlo neppure.
Invece Ed lo
riconosceva perfettamente.
“Lo
so... lo so benissimo Al... solo tu hai questo buonissimo profumo...
solo tu mi
fai perdere la testa così... amami Al.. ti prego.. amami...”
questo
diceva, Ed, per poi mordicchiare appena il lobo di Alphonse che,
terrorizzato,
scattò all’indietro gridando.
“Vattene!” gli
gridò singhiozzando “ Sta lontano da
me!” ma
nell’arretrare inciampò sul divano, cadendovi con
uno dei tonfi assordanti che
la mente di Edward era solita registrare. Ma
non stavolta. Stavolta sentiva solo un continuo
“Vattene!” ripetuto
nella sua testa e non voleva, non voleva andarsene, proprio per niente.
Ora lo
avrebbe ascoltato. Avrebbe ascoltato tutto.
“Al…”
sorrise in modo torvo, mentre gli saliva sopra a
cavalcioni, prendendolo per i polsi, facendogli male. “Non
devi aver paura di
me… io ti amo davvero tanto Al…”
E intanto il suo fratellino si
contorceva, cercando di
liberarsi, inutilmente, ripetendo, come una filastrocca:
“Smettila, Nii-san! Mi
fai paura!”
“ Non posso
smetterla… non finchè non capirai quanto io ti
ami!”
Gridavano entrambi adesso, e entrambi
piangevano. Edward
cercò disperatamente di baciare le labbra di Al, ma il
più piccolo scostò il
viso, continuando a urlare. “ Non farmi questo, ti
prego… Ed! Io sono tuo
fratello!”
“Al..
lo so... lo so che sei mio fratello, maledizione! Pensi che
non sconvolga anche me, questo? Eppure.. io ho
bisogno di te! Non
posso più termelo dentro, io ti voglio amare, Al!”
I singhiozzi cominciavano a
soffocarlo e, nonostante la
paura, a Al si spezzò il cuore vedendo il suo fratellone in
quelle condizioni.
“ Nii-san… che
cosa posso fare, io? Questa situazione… mi fa
tanta paura… ma non voglio che tu pianga per me.”
Ed lo guardò, come se lo
vedesse attraverso un vetro, come
se appartenesse ad un altro mondo.
“ Al…”
sussurrò tremando, provando disgusto per quello che
stava per dire “fai l’amore con me.”
D’improvviso Al smise di
respirare. Lo guardava e non riusciva
a parlare, non riusciva a pensare né a muoversi.
L’eco di quelle parole gli
rimbombava nella testa. Era una follia. Edward era completamente folle,
e
andava curato. Curato al più presto, prima che qualcuno si
facesse male. Lui ad
esempio. Perché diavolo Winry se n’era andata,
quella sera?
Ancora una volta gli occhi vuoti di
Edward fissarono i suoi.
“Ed… lasciami i
polsi, non voglio scappare.”
Disse, cercando di apparire calmo.
Era confuso. Confuso e
spaventato. E qualcosa, qualcosa di strano e perverso, nella sua mente,
gli
diceva che se avesse fatto come voleva Edward, tutto sarebbe tornato
come prima.
Sarebbero tornati ad essere una famiglia.
Perché Ed non poteva
soffrire così, non doveva sentirsi male
a causa sua. Gli aveva causato anche troppe angosce.
Abbracciò Ed tremando, con
un profondo sospiro.
“Mi dovrò fidare
di te, eh?”
Ed strabuzzò gli occhi in
un modo che lo fece sorridere
amaramente.
“Da..davvero Al?”
Annuì, il più
giovane, mentre sentiva chiaramente il suo
sangue scorrere nelle vene, bollente, e il respiro lo abbandonava,
lasciandolo
in uno strano stato di apnea.
Doveva farlo. Era il giusto
sacrificio per la felicità di
suo fratello.
“Farò…
quello che vuoi.”
Ed lo baciò. Un bacio
leggero che non trasmetteva altro che
dolore. Tremavano entrambi, in modo diverso, per motivi diversi, e
quella
situazione era tutto meno che eccitante ma, nella mente ottenebrata
dall’alcool
e dalla follia di Edward, sembrava un momento meraviglioso, il coronare
finalmente un sogno.
Non vedeva le lacrime di suo
fratello, non sentiva i suoi
respiri mozzati, non percepiva minimamente il panico né
comprendeva quello
sguardo perso.
“Vieni, andiamo in
camera…”
Mano nella mano salirono le scale.
Edward stava avanti di
due gradini, la mente svuotata, in uno stato di euforica tensione,
confuso, obnubilato,
allegramente svuotato dai cosi. I cosi avevano preso forma adesso, non
avevano più bisogno di stare nella sua mente. Al si faceva trascinare, col
cuore che
rischiava seriamente di fermarsi, con le lacrime calde che ancora
scendevano,
mentre già i sensi di colpa cominciavano a farsi strada
dentro di lui.
Credette seriamente di morire, quando
Ed si stese e lo
trascinò sul letto con lui.
E quando lo baciò
nuovamente capì che non sarebbe riuscito a
smettere di piangere nemmeno per un secondo, nemmeno pensando che
l’aveva
voluto lui.
“ Al… dio, sono
troppo felice… Al ti amo… “
“Nii-san… non
farmi male ti prego.”
La voce tremante di Al avrebbe
probabilmente fermato Edward,
se fosse stato in sé, ma quel fervore dovuto
all’alcool gli toglieva ogni
freno, così quella supplica gli
sembrò… sensuale.
E
in quell’istante tutta la
loro vita cambiò.
Quando Winry era tornata aveva
trovato ciascuno nel proprio
letto, entrambi addormentati, ed era andata a dormire, chiedendosi se
la sua
idea avesse funzionato. Non aveva idea di cosa fosse successo, sotto
quel
tetto, finchè lei rideva con le sue amiche.
La
mattina dopo vide che
qualcosa, nell’equilibrio della casa, era cambiato per
sempre. Edward e Al
scesero le scale assieme, entrambi con gli occhi bassi. Fecero
colazione
assieme, parlando in maniera strana, poi uscirono insieme e tornarono
soltanto
la sera.
Per
circa tre giorni continuò così,
e Winry chiese cosa fosse successo di tanto incisivo, quella sera. Ma
nessuno
dei due volle parlarne. Insistette finchè non vide Edward
piangere davanti alla
tomba di sua madre. Allora decise che lei era una Rockbell e che, in
quel
momento, non poteva far parte della famiglia Elric. Era meglio per lei
starne
fuori. C’erano troppe questioni irrisolte, fra quei due
fratelli. Questioni che
non voleva conoscere. Fu la scelta più saggia della vita di
Winry. Almeno una
persona, in quella casa, continuò a vivere serena.
****
Santo
cielo che parto terribile.
È stata
la cosa + sudata che io abbia mai scritto, la più angst, la
più BRUTTA. No
davvero, non mi piace per niente e devo ammettere che, nonostante ami
l’elricest,
non è proprio il topic adatto a me.
çOç non riesco a scriverci nulla di
decente. L ceste. La pubblico per
avere dei pareri ma davvero, non
mi aspetto nulla, sono la prima a dire che è una porcheria,
ed è strano, perché
di solito amo le mie fan fiction.
Ciò
detto, parliamo un po’ di sto schifo altrimenti detto fanfic.
Ed è
malato. Malato proprio, cioè matto. Dovrebbero dargli tanti
psicofarmaci.
Quello che fa, una volta sciolte le inibizioni con l’alcool,
è esattamente
quello che voleva fare. Non ha scusanti, non è stato un
momento di debolezza,
lo voleva fare e basta. Inoltre, questa mania che Al volesse
sfuggirgli, quando
era proprio lui, con le sue paranoie, ad allontanarlo da sé
e a farlo star male…
bhe, è tipico di Edward – pseudo stupro a parte.
Al è
semplicemente… Al. Al che non vuole che il suo Ed pianga,
nemmeno se questo
dovesse significare andarci a letto. Non so perché ma
l’ho sempre visto come
quello, dei due, che sarebbe davvero disposto ad andare contro la sua
morale e
i suoi sentimenti, pur di compiacere Ed. Invece Ed è quello
strano ed egoista.
Winry
è… non la mia solita Win. Lo dico chiaramente, a
costo di sembrare una fan girl
idiota: a me Winry non piace. Non mi piacciono la sua piattezza, il suo
buonismo, la sua scarsa perspicacia. Non mi piace il modo in cui la
Arakawa
ostenta la sua presunta forza
d’animo,
e non mi piace che sbavi dietro a Edward come una fan girl. Ma come al
solito,
i personaggi che non mi piacciono finiscono sempre per fare una bella
figura,
nelle mie fan fiction. Qui Win è sveglia, è
disponibile, e sa stare al suo
posto. Quindi è OOC perché la vera Win
è sempre in mezzo alle P**** ed è
imbecille .
Ho scelto volutamente di non rendere noto se continueranno a farsi del male finendo a letto assieme, a voi l’interpretazione, come preferite. Ecco. Non
so che altro aggiungere. Potrei parlare del fatto che l’idea
era buona ma l’ho
sviluppata male, o di tante altre cose, ma non credo di averne la forza.
Un'ultima cosa. Questa
è la versione censurata, per EFP, di una fanfiction
contentente una lemon. Se a qualcuno dovesse interessare
(bhuahahahahaha certo. .-. ) mi mandi tranquillamente un mp. <3
Vi
prego di lasciare un commento. Stavolta è davvero
importante: ho bisogno di
capire quanto schifo fa.
Un
bacio, Ofelia.
Ps:
Grazie a Giorgia. Tutta sta porcheria è
anche merito suo.
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