Chapter 1
Photography
Chapter 1 - Model
"Un bacio legittimo
non vale mai un bacio rubato."
Guy de Maupassant
Quando le avevano detto di prepararsi, che presto sarebbe arrivato il
modello per il servizio fotografico del giorno, aveva annuito
silenziosamente, internamente curiosa di poter vedere questa
fantomatica star di cui sentiva parlare da settimane in maniera
adorante.
Quando poi le era stata mostrata una foto del modello in questione,
aveva percepito ogni traccia di eccitazione scemare lentamente,
sostituita dall’imbarazzo e dal timore.
Isabella Swan si era sempre considerata una ragazza di modesta esistenza.
Anche se a modesto, preferiva utilizzare la parola“banale”:
banali tratti somatici, banali caratteristiche fisiche, banale vita
sociale. Anzi, forse per quest’ultima l’aggettivo
“piatta” si sposava meglio.
Anche il lavoretto che si era trovata poteva considerarsi banale:
truccatrice presso uno studio fotografico abbastanza noto a New York.
Tuttavia l’ambiente non era male e, soprattutto, la paga era
abbastanza buona, permettendole così di pagare le tasse
universitarie e continuare a coltivare il suo sogno.
Sì, forse c’era qualcosa che, nonostante la sua
banalità, amava incondizionatamente di sé stessa: il
talento nella fotografia.
Amava fotografare.
Lei, una persona così schiva e riservata, amava catturare quegli
attimi piccoli, ma emozionanti, che ogni giorno la vita le riservava.
Persone, oggetti, luoghi... con la fotografia aveva imparato che non
c’era nulla di banale, al mondo; che tutto, con la giusta luce o
sfumatura o posizione, diventava interessante da dietro
l’obbiettivo.
Il desiderio di diventare una fotografa professionista era ben radicato
in lei e quel lavoretto allo studio le permetteva, oltre di arrotondare
a fine mese, di stare in un ambiente in cui esercitavano bravi
professionisti. Non che amasse particolarmente quel genere di
fotografia, anzi; alle volte trovava fin troppo artificiosa
l’aria che prendevano certi modelli in posa – sì,
quell’aspetto un po’ serio, profondo, con le palpebre
socchiuse così come le labbra: c’erano volte in cui la
situazione era talmente ridicola che doveva mordersi le labbra per non
ridere nel set. Preferiva di gran lunga la spontaneità degli
oggetti – o dei soggetti – alla posa plastica – o
troppo languida.
Ma doveva ammettere che invidiava la disinvoltura con cui certi
fotografi riuscivano a scattare foto in sequenza di pochi secondi,
impartendo ordini pur mantenendo lo sguardo nell’obbiettivo e
riuscendo nel frattempo a catturare, come se nulla fosse, immagini che
potevano sembrare, una volta sviluppate, vive.
Come quella foto che si era ritrovata di fronte, ad esempio.
Certo, lei stessa ammetteva che, sicuramente, buona parte della
bellezza di quella polaroid era merito del modello ritratto. Di quei
profondi occhi verdi, limpidi.
Si era sentita la gola secca, dopo averla vista – soprattutto, al
pensiero che avrebbe dovuto truccare il possessore di quelle due iridi
intense.
Non c’era nulla di artificioso, in quella fotografia. Il volto
del giovane era girato verso l’obbiettivo, al contrario del
busto. Gli occhi erano aperti, né troppo spalancati, né
troppo socchiusi.
Osservava.
Fissava.
Spogliava.
La linea delle sopracciglia era naturale, nessuna ruga piegava la
fronte, segno del totale rilassamento del soggetto. Solo le labbra
erano leggermente corrucciate, un po’ strette – ed Isabella
non sapeva dire se lo fosse per la foto in sé, scattata
all’improvviso, o se di suo quella bocca mantenesse quel leggero
broncio tremendamente sensuale, accentuato dalla forma assolutamente
perfetta delle labbra.
I capelli erano sapientemente spettinati – cosa non sapeva fare
una buona hair stylist – e gli donavano, nell’insieme,
quell’aria di distratta bellezza che sicuramente avrebbe fatto
impazzire tante ragazze, giovani o meno che fossero.
Si sentiva in imbarazzo, a quei pensieri.
Ma quello sguardo l’aveva catturata.
Aveva sempre trovato esagerati quei discorsi sugli occhi e sulla forza
che sapevano trasmettere; inoltre, pur essendo un’anima
romantica, considerava un po’ “romanzati” quei
momenti, nei libri, in cui sembrava nascere l’amore, o
l’attrazione, al primo sguardo.
Tuttavia, si era dovuta ricredere quando aveva cominciato a stampare le
foto che raffiguravano primi piani di persone, alle volte passanti o
turisti, fotografati in momenti inconsapevoli. Certo, dalle iridi non
si poteva capire la vita di una persona, ma aveva capito cosa
intendevano quando si parlava di “forza dello sguardo”:
occhi che ridevano, occhi che ammiravano con dolcezza la propria
compagna, occhi segnati da piccole rughe nascoste da trucco pesante...
sì, c’era tanto in uno sguardo.
E quelle iridi verdi avevano un che di determinato e profondo che l’affascinavano.
In quella foto, erano loro a risaltare.
Lo aveva capito subito, da come erano riuscite a catturare la sua
attenzione; era partita dagli occhi, estendendo poi la visuale su tutto
il volto. La linea del naso, gli zigomi, il piccolo avvallamento sopra
le labbra e la bocca stessa.
Aveva balbettato qualcosa di incoerente all’assistente del
fotografo che le aveva mostrato la foto, ma l’aveva ignorata per
dire allo staff che si aspettava un lavoro ben fatto per il servizio.
Come se di mio non fossi già ansiosa, si ritrovò a pensare.
Osservò attorno a sé gli specchi, i trucchi posti sopra il tavolino, le luci...
La sedia dove lui si sarebbe seduto...
Era agitata.
Lo era sempre, prima di dover truccar qualcuno – il timore di
sbagliare o di combinare qualche disastro era forte, alimentato dalla
sua naturale insicurezza. Non era una truccatrice professionista, ma
alla scuola d’arte aveva imparato anche quello. Oltretutto, una
delle sue più care amiche era una maga del make up e le aveva
fornito consigli e spiegazioni utilissimi.
Ora Isabella attendeva solo che il modello facesse il suo ingresso.
Si chiese com’era, caratterialmente.
In quel mondo dove la bellezza sembrava regnare sopra ogni altra cosa,
non era difficile trovare persone concentrate solo su sé stesse
o sull’apparire. Troppo spesso “fascino” non era
sinonimo di “umiltà” o “simpatia”
– anche se le eccezioni c’erano, come in ogni altro aspetto
della vita.
Sembrava giovane, quasi coetaneo – sì, sicuramente aveva vent’anni o di poco superati.
Si sedette sul divano in pelle posto in un angolo, osservando senza in
realtà vederle le riviste posate sul tavolino di fronte a
sé. Tendenzialmente, non aveva una buona opinione dei maschi
ventenni. O troppo frivoli, o troppo concentrati su loro stessi, o
troppo studiosi.
Storse il naso, ripensando alla sua ultima “storia” – o fallimento, come amava ripetersi lei.
Mike Newton si era rivelato una vera delusione. Doveva ammetterlo,
all’inizio i suoi modi cortesi e garbati l’avevano attirata
– e lusingata, per essere completamenti sinceri. Si era
però dimenticata che il suo corso di studi prevedeva un futuro
da attore. Dopo due settimane passate a frequentarsi e diversi
tentativi atti a portarsela a letto – oltre altre sottigliezze
che le avevano fatto capire quanto quel ragazzo fosse troppo
concentrato su sé stesso – aveva cercato di dirgli che, purtroppo,
lui non era il suo tipo; Mike sembrava non averlo preso male, il suo
rifiuto. Un sorriso un po’ triste, che l’aveva fatta
sentire colpevole, un bacio veloce a fior di labbra ed una rapida
ritirata.
Dopo una settimana, si era fatto vedere abbracciato ad un’altra
ragazza, con cui pomiciava allegramente nei corridoi
dell’Accademia.
Uomini, si ritrovò a pensare.
Sperava sinceramente di non aver a che fare con un montato pieno di sé.
Non che avrebbe potuto farci molto, se fosse stato altrimenti,
né doveva scambiarci chissà quali discorsi filosofici,
sapeva bene anche questo. Solo che si conosceva: più sentiva la
pressione – o le aspettative – più si agitava.
Più si agitava, più combinava disastri.
Se poi considerava quanto fosse goffa per natura, Bella sapeva per
certo che un tale mix avrebbe portato al disastro – nonché
al proprio licenziamento.
Sospirando, adocchiò l’orologio a parete.
Mancava poco, ormai.
Fu in quell’istante che sentì delle voci avvicinarsi.
Non fece a tempo ad alzarsi, che la porta venne aperta in maniera abbastanza violenta da farla sobbalzare.
La voce che aveva sentito apparteneva ad una donna sulla quarantina, i
capelli raccolti in una stretta crocchia e gli abiti abbastanza austeri.
La sua manager, dedusse la giovane.
Ma il suo sguardo venne subito attratto dalla figura che la seguiva.
Un ragazzo alto, dalla muscolatura ben definita ma non eccessiva. Le
mani erano affondate nei jeans, lo sguardo sembrava annoiato, mentre
annuiva distrattamente alla donna.
Isabella si ritrovò a boccheggiare, mentre ne studiava il
profilo, gli occhi puntati sulle labbra del giovane, che
sembravano ancora più invitanti ora che poteva vederle
realmente...
Cercò di riscuotersi, facendosi timidamente più vicina.
Nel muoversi, riuscì ad attirare su di sé
l’attenzione di entrambi – e non seppe dirsi se ciò
fu un bene o meno.
Ma quando incrociò lo sguardo del ragazzo, capì che no, non era un bene avere il suo sguardo addosso.
Non era preparata a quella intensità.
E dovette ammettere che dal vivo era più bello che in
fotografia; osservò il sopracciglio piegarsi verso l’alto,
la piega della fronte al movimento... e giù, fino alla bocca,
per scendere alla pelle scoperta del collo, ombreggiata dal mento.
Sapeva di aver fatto una figura ben misera, nel fissarlo così
sfacciatamente e si sentì arrossire maggiormente quando le
rivolse un sorriso, seguito da un piccolo cenno del capo.
Non un ghigno, non una smorfia compiaciuta - perché era sicura che avesse notato come lo aveva guardato.
Un sorriso.
Le labbra piegate verso l’alto, una piccola fossetta sull’angolo destro...
E quando fece per aprire bocca – Bella non desiderava altro, a
quel punto, che sentirlo parlare – quel piccolo momento venne
rotto dalla voce spazientita della donna.
« Allora, mi stai ascoltando Edward?»
Delusa, lo vide spostare lo sguardo da lei, le parole spazzate via da un cenno di capo rivolto alla manager.
Era ben magra consolazione, rispetto all’occasione persa di
sentirlo parlare – soprattutto, visto che era a lei che voleva
rivolgersi.
Si impose di cacciare dalla mente quegli sciocchi pensieri; era il momento di mostrarsi professionali, si disse.
Si avvicinò a loro, mentre vedeva Edward accomodarsi sulla sedia, pronto per essere truccato.
La voce della donna era l’unico rumore che si sentiva; non aveva
osato parlare, per non interrompere il suo lungo monologo, incentrato
sugli impegni di lavoro del modello.
Tempo, giorni, luoghi...
Bella lasciò che le parole scorressero come suoni lontani, mentre prendeva in mano i trucchi.
Era consapevole che là dentro, in quell’ambiente, bastava
un errore per essere fuori. Non era la più brava delle
truccatrici, ma sapeva il fatto suo; del resto, il modello era
sì bravo e conosciuto, ma la sua fama non era così
“grande” da permettergli chissà quali trattamenti.
Quando si voltò, pronta a mettersi all’opera, sentì
tutta la sua sicurezza – o quella che sembrava una parvenza di
buona volontà – scemare di fronte alle iridi puntate su di
sé.
Edward la guardava completamente rilassato, le mani giunte sul ventre e la piega della bocca tirata quasi stesse sorridendo.
Dovette deglutire forzatamente, traendo un respiro profondo, per riuscire a chinarsi verso di lui.
Gli era vicino, troppo vicino.
Ne sentiva il profumo, non troppo pesante o pacchiano; la fotografa in
lei, a quella vicinanza, era persa a registrare ogni dettaglio della
sua pelle, del suo profilo...
Si rendeva conto di non essere minimamente professionale, al momento.
Ma era altrettanto consapevole – fin troppo, a dire il vero
– del suo respiro sul polso, quando passava con la mano su uno
zigomo.
Vicino, troppo vicino.
Il suo sguardo vagò sui capelli, quei capelli che aveva
giudicato perfettamente scomposti, un ossimoro che calzava a pennello;
folti, indisciplinati, di uno splendido color ramato che si sposava
alla perfezione alla colorazione dei suoi occhi e alla cute non troppo
abbronzata.
La tentazione di passarci una mano attraverso era talmente forte che
dovette allontanarsi e voltarsi verso il piano di lavoro, il cuore in
tumulto.
Era stupido, era tutto maledettamente stupido.
Ma non poteva lottare contro sé stessa; era una persona
abbastanza impacciata, con una vita sociale non certo movimentata. E
lui... lui era un ragazzo bellissimo, là a portata di mano
– e di respiro e bocca...
Non pensiamo a sciocchezze, Bella!
Cercò di fare appello alla parte più razionale di
sé, quella che l’aveva sempre protetta dal commettere cose
sciocche o insensate – doveva ringraziare suo padre, per
quell’autocontrollo.
Prese in mano il fard, pronto per stenderlo sul volto di Edward.
Non l’avrebbe guardato in volto, si decise.
Avrebbe solo pensato ai punti dove stendere il trucco, quali ombreggiare, quali far risaltare.
E così fece, seppur con fatica; la tentazione di guardarlo
dritto negli occhi era tanta, ma cercò di resistere, per evitare
di risultare troppo sfacciata.
Si vergognò quando la voce le uscì fin troppo roca nel
chiedergli di voltarsi, ma continuò a truccarlo con attenzione.
Non che servisse molto, per rendere quella cute perfetta; le
imperfezioni da coprire erano ben poche – un accenno di
irritazione causato dalla barba, una piccola cicatrice di varicella
vicino all’orecchio... – ed il colorito era perfetto per il
servizio che si sarebbe tenuto: del resto, quelli erano scatti di prova
per testare le capacità e le espressioni del modello, oltre che
un modo per far entrare in sintonia il fotografo con il soggetto da
immortalare. Dopodiché, alcuni scatti sarebbero stati
immortalati all’esterno nei giorni a venire, mentre Edward
sponsorizzava attraverso certi luoghi della città la nuova
collezione autunno/inverno maschile di una nota casa di moda.
Poco importava se Aprile era da poco iniziato...
Persa nei propri pensieri, non si era accorta di aver quasi terminato il suo lavoro.
Quando si alzò per esaminare il risultato, la manager si
congedò da loro, per andare a parlare con il resto dello staff.
Si sorprese nel vederlo sospirare pesantemente, quando la porta venne chiusa alle loro spalle.
Ma del resto, Isabella poteva quasi capirlo: quella donna non aveva
smesso di parlare per un attimo, prendendo per risposta i suoi cenni di
capo o interrompendosi giusto per parlare al telefono.
Sicuramente, doveva essere efficiente nel suo lavoro.
Cosa che tu, al momento, non sei stata.
Poco importava, ormai il lavoro era stato eseguito.
Il trucco non era pesante e con le luci dello studio di certo non si sarebbe notato.
E in ogni caso, nulla che un buon programma di fotoritocco non riuscisse a cancellare.
Sì, poteva dirsi soddisfatta – anche se, ovviamente, gran parte del merito andava alla bellezza del soggetto.
Era pronta a congedarlo, quando lui la interruppe, parlando per la prima volta.
« Volevo scusarmi per l’ingresso maleducato che io e la mia manager abbiamo fatto».
Isabella lo fissò stupita da quell’uscita, mentre si alzava lentamente; era serio in volto, come nella voce.
Una voce che finalmente sentiva... e che le piaceva.
Non c’era un motivo; semplicemente, si sposava perfettamente con l’idea che aveva di lui – e del suo tono.
Quando lo vide sollevare una mano in sua direzione, lo sguardo fu
catturato dalle dita, lunghe e sottili, da pianista. Erano curate, ma
al contempo mostravano solidità e mascolinità.
Erano... belle.
E quando rialzò il volto, vide un sorriso cordiale spuntare su quel bellissimo viso.
Un sorriso rivolto a lei.
Un interessamento rivolto a lei.
« Piacere di conoscerti, sono Edward».
Si ritrovò a stringere quella mano automaticamente, non
riuscendo a capire a cosa fosse dovuta tutta quella gentilezza. Per il
suo lavoro? Non le sembrava di aver fatto nulla di che...
Ma ogni considerazione, sensata o meno che fosse, fu persa, quando il suo braccio venne strattonato.
Non c’era violenza, nel gesto.
E da parte sua non c’era stata resistenza, in quanto il movimento era stato troppo improvviso.
La sua goffaggine fece il resto; il suo corpo poggiò contro
quello del ragazzo e le sue labbra... le sue labbra entrano in contatto
con quelle di lui.
Invece che spostarsi, sentì la bocca di Edward indugiare sulla propria – ed era morbida, fresca.
Un contatto lieve, ma piacevole.
Semplicemente inaspettato.
E troppo breve.
Fu lui il primo a separarsi; Bella aprì gli occhi di scatto, a
quel movimento: non si era resa conto di averli chiusi quando si era
sentita tirare. La prima cosa che vide, fu il suo sguardo: era posato
sulle sue labbra, intenso e bruciante – come lo era la stretta
che sentiva attorno al polso, come lo era il suo sapore che ancora
percepiva sulla bocca...
Quando Edward alzò gli occhi, incontrando i suoi, Isabella
osservò affascinata come quel verde si fosse incupito; come
prati carichi di umidità, che la pioggia aveva inscurito, il suo
sguardo era qualcosa di... intenso e ne rimase incantata, mentre il
respiro dell’altro ancora le avvolgeva il viso, in una carezza
sensuale ed attraente.
E quando le chiese il nome, con la voce leggermente arrochita, fu
costretta a sua volta a schiarirsi la gola, per non suonare
pateticamente fioca.
« Isabella», sussurrò, cercando di capire quali fossero le sue intenzioni.
Voleva baciarla ancora?
Voleva... non lo sapeva neppure lei.
Era ancora troppo allibita da tutto quello che era successo.
Ed il suo sapore era ancora forte sulle labbra...
Ma fu lui, di nuovo, ad agire.
Si staccò, lasciandole il polso non prima di averlo accarezzato
e con un sorriso dolce aveva mormorato un « Grazie» che
l’aveva lasciata confusa e senza parole.
Non riuscì a dire nulla mentre lui usciva dalla stanza.
Si sentiva fulminata.
Immobile, stava nella stessa posizione in cui l’aveva mollata.
Nella mente, la fotografia perfetto di un bacio che sapeva di mistero...
***
Note: Allora, prima cosa da notare: sto scrivendo in terza persona.
Io, che non amo questo modo, la sto usando :|
Purtroppo, questa storia nasce così e così la
terrò - e non mi farà neppure male esercitarmi un po'...
Seconda cosa: la settimana
prossima vado in vacanza, finendo il lavoro. Per due settimane - ergo,
più tempo libero per me e per scrivere.
Terza cosa: "Life" e
"Dépendance" riprenderanno a settembre, mentre per "In a Lustful
Night" vedrò di completarla nella pausa ferie. Per "Ciò
che nasce in vacanza" vedrò se cancellare quel prologo o meno.
Le idee erano buone, ma questa storia mi prende di più: è
un regalo che sto facendo a me stessa. ^^
Dovrei riuscire a postare una volta a settimana - il lunedì,
precisamente. Ma per la settimana prossima non ci metto la mano sul
fuoco, perché parto e non sono certa che la chiavetta prenda
(anche se sono più che fiduciosa).
Come sarà la storia?
Romantica. Rispetto alle mie solite, gli eventi si svolgeranno in
maniera più veloce e si soffermeranno sui sentimenti e le
emozioni.
Ci saranno momenti dolci, ci saranno momenti intimi - pur nel rispetto
del rating - e ci sarà pure l'angolo malinconico. Il lieto fine,
comunqe, è certo.
I capitoli non saranno troppo lunghi, per mia volontà.
E' una storia che mi piace, che mi prende.
E spero possa piacere pure a voi!
Un bacione a tutti e grazie a chi passerà da queste parti.
Anthea
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