Warm me with your embrace
Spoiler: Episodio 5x21
Disclaimer: I personaggi non mi
appartengono, sono di Jeff Davis. Criminal Minds appartiene alla CBS.
Questa storia non è a scopo di lucro.
Note: Ho provato a immaginare
come i profiler erano stati divisi nelle camere, focalizzandomi
specialmente sulla coppia Spencer/JJ "costretti" a condividere una
stanza.
Warm me with your embrace
«Ho solo
quattro camere disponibili.»
Reid aveva
assunto un’espressione interdetta alle parole della padrona di quella taverna.
«Quattro?» domandò, per essere interrotto dal detective di Franklin.
«Suvvia, è
il meglio che possiamo fare, la vostra squadra è il doppio del mio
dipartimento.»
Esatto!, pensava Spencer, la squadra era
composta da sette persone ed era impensabile che dormissero in sole quattro
stanze.
«Sembra che
dovremo accoppiarci.» aveva concluso Hotch alzandosi dalla poltrona alla quale
si era accomodato, lanciando il giovane agente nel panico più assoluto. Come
poteva permettere tutto ciò?
«Io non
dormo con Reid!» l’esclamazione di Morgan aveva portato il piccolo genio a
voltarsi meccanicamente nella sua direzione, ma la sua mente in realtà era
impegnata a cercare di mantenere la calma in quell’accumulo di dati che erano
tutto fuorché rassicuranti.
Penelope si
era quindi offerta per dividere la stanza con Derek, ‘salvandolo’ dalla
prospettiva di doverla dividere con il giovane collega che continuava ad
osservare la scena intorno a sé. Reid non si accorse nemmeno di come
quell’ingresso con il camino si fosse svuotato in pochi minuti. Si riscosse
solo quando si accorse di una voce che lo chiamava con insistenza.
«Spence...Spence!» si voltò per incrociare i suoi occhi con quelli blu di JJ
che era appoggiata al bracciolo della poltrona sulla quale lui era comodo.
«Scusami stavo
pensando.» si scusò portandosi imbarazzato una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
Jennifer
rise con la delicatezza che la contraddistingueva sempre. «Me ne sono accorta.»
sussurrò fissando poi gli occhi sulla fiamma ondeggiante del camino alla loro
sinistra.
Anche lo
sguardo di Reid si diresse da quella parte, poi si voltò di nuovo verso la
donna, «Gli altri?»
«Sono già
andati a dormire. Hotch e David hanno preso una camera, Emily aveva bisogno di
stare da sola.» non riuscì a trattenere un’espressione soddisfatta per aver
convinto la collega a telefonare a Mick Rawson ed era già impaziente di sapere
cosa si sarebbero detti.
Spencer fissò
gli occhi sulla donna, scrutandola per tutta la lunghezza del suo corpo. Aveva
realizzato troppo in fretta quello che non aveva detto. Erano rimasti solo loro
due e solo una camera ancora libera. Non poteva essere possibile.
Deglutì
vistosamente senza avere il coraggio di replicare fermando le iridi nocciola
sul viso della donna, quindi il volto di JJ mutò visibilmente. Abbassò lo
sguardo su di lui, con occhi tristi. «È un problema?» domandò conscia che lui
avesse già capito.
Il ragazzo
sussultò, premurandosi di rispondere con spontaneità, «No...no, certo che no.
Sono stato preso solo alla sprovvista.»
«Perfetto.
Perché l’alternativa era dormire qui davanti al camino.» scherzò lei ammiccando
con gli occhi prima di sollevarsi sulle sue gambe e avviarsi verso la scala che
li avrebbe portati al piano di sopra. Si stirò delicatamente la schiena e dopo
aver poggiato un piede sul primo gradino si voltò a guardare il collega che si
stava alzando a sua volta dalla poltrona, per capire se avesse intenzione di
andare a dormire anche lui. Poggiò delicatamente la mano alla balaustra
pensando a come non le fosse sembrato del tutto convinto di quella decisione,
ma ormai non poteva tirarsi indietro. Attese che la raggiungesse prima di
riprendere a salire le scale. Reid alle sue spalle la seguiva con calma.
«Vedo che il
ginocchio va meglio.» gli disse notando meno difficoltà per il giovane nel
compiere i movimenti.
«È solo
questione di tempo. Per fortuna non ci sono state complicazioni e sto
riprendendo l’usuale mobilità. Ancora un mese o due e potrò tornare attivo sul
campo a tutti gli effetti.» spiegò arrivando sul pianerottolo che si allungava
ai lati in due corridoi. JJ tirò fuori dalla tasca la chiave che le aveva dato
la donna e la sventolò davanti agli occhi di Spencer.
«Da quel
lato.» indicò verso il lato sinistro. «Sul fondo...la nostra camera è distante
da quella degli altri. Loro sono nel corridoio opposto.» spiegò incamminandosi
già verso la stanza. Ancora una volta Reid si trovò a deglutire con fatica
senza poter controbattere nulla, mentre seguiva la donna che, si accorse,
lasciava una scia di dolce profumo al suo passaggio.
Raggiunsero
la porta, alla toppa della quale Jennifer avvicinò la chiave, facendola entrare
e ruotandola lievemente fin quando lo scatto segnalò che si fosse aperta.
Abbassò la maniglia introducendosi all’interno della stanza e si piegò, senza
voltarsi, per raggiungere l’interruttore.
Spencer alle
sue spalle, non appena vide la donna entrare distese un braccio oltre lo
stipite per attivare la luce. Si erano mossi entrambi troppo velocemente, così
che lui trovò le dita della collega intenta nella stessa ricerca. Le sfiorò
delicatamente con le sue per un attimo che sembrò fermare il tempo. Ritrassero
entrambi di scatto le mani guardandosi e JJ rise per il rossore che si dipinse
sul viso del giovane, decidendo infine di accendere lei la luce di quella
stanza.
Reid si
riscosse dal momento di imbarazzo, entrando finalmente anche lui nella camera e
guardandosi intorno. Era piccola ma confortevole. Una tipica baita di montagna
con un grande letto al centro e un vecchio armadio nell’angolo, una scrivania e
una sedia dalla parte opposta e nient’altro.
«Mi
aspettavo di peggio.» scherzò l’agente Jareau alle sue spalle mentre richiudeva
la porta.
Il ragazzo
fece spallucce, «È...è carina...» rispose facendo qualche altro passo in avanti
e rimanendo al centro non ben certo su cosa fare. La collega lo superò
strofinandosi con il palmo di una mano il braccio opposto. «Hai freddo?»
domandò Spencer vedendola dirigersi verso l’armadietto.
«Tu no?»
domandò sbalordita la donna.
Istantaneamente
il piccolo genio portò le mani fuori dalle tasche cominciando a gesticolare,
«L’Alaska è uno dei paesi più freddi. In questa zona interna le medie mensili
sono sotto lo zero per otto mesi l’anno e proprio qui si raggiungono le
temperature più basse, circa sessantadue gradi centigradi sotto zero, e quelle
più alte, sui trentotto gradi sotto zero...»
Jennifer si
voltò di scatto sporgendosi oltre l’anta dietro la quale era rimasta nascosta
per un po’. «Adoro vivere a Washington!» esclamò. «Qui rischiamo l’assideramento.»
tornò quindi a concentrarsi sul contenuto del guardaroba.
«Basta
coprirsi per bene, non siamo nemmeno nel periodo più freddo.» la rassicurò il
ragazzo continuando a guardarsi intorno, dopo aver riportato le mani in tasca.
Tutta quella situazione gli stava mettendo addosso una grande ansia che lo
spingeva ad oscillare avanti e indietro sulle gambe.
Jennifer si allontanò
dall’armadio portando con sé tutte le coperte che aveva trovato. «Spero
bastino...» disse cominciando a separarle e poggiandole sul copriletto.
Spencer
deglutì, «Io...io...si, insomma.» prese un respiro concentrandosi. «Nel letto
ci dormi tu...» riuscì a dire infine tutto d’un fiato cominciando a tastare
nervosamente la sciarpa che aveva al collo.
«Non sarebbe
meglio che ci dormissi tu? Il tuo ginocchio...» indicò giù verso l’arto del
ragazzo.
«Oh no, no.
Tu devi stare comoda...io me la posso cavare. Ormai non ho problemi.» si
avvicinò a lei prendendo una delle coperte che aveva poggiato sul letto e la
aprì, distendendola sul pavimento. Poi si voltò per prenderne un’altra e si
chinò fino a raggiungere il pavimento, contraendosi in una smorfia di dolore
causata da un movimento azzardato sul ginocchio dolorante.
«Spence...»
lo riprese Jennifer. «Non puoi dormire lì, guarda già come ti fa male.» disse
preoccupata.
Reid si
spostò in una posizione più comoda, sentendo diradarsi la fitta alla ferita.
Respirò pesantemente, spalancando gli occhi e scuotendo la testa. «Io non
capisco...sarà stato il freddo, colpisce le ossa e...» si fermò guardando
l’espressione negli occhi della donna. «Che c’è?» chiese.
JJ non
sapeva esattamente cosa stesse accadendo, ma vedere Spencer comportarsi in
maniera così premurosa con lei e allo stesso tempo così imbarazzato la
divertiva e la rasserenava. Era come se il mondo, il lavoro, tutto fosse
rimasto fuori da quella porta quando l’aveva chiusa. «Grazie...» mormorò
infine, poggiandosi con il fianco sul materasso e incastrando il piede dietro
un ginocchio. «Sei ancora in tempo per accettare questo comodissimo letto.»
propose ancora una volta, accarezzando le lenzuola.
«No, sono
sicuro.» scosse il capo. Poi si fermò riflettendoci un attimo. «A parte che
penso che non riuscirò nemmeno ad alzarmi da qui.» ammise guardandosi intorno e
la ragazza si lasciò andare ad una sonora risata.
Dopo aver
fatto leva sulle braccia per sistemarsi meglio sul pavimento, Spencer si
allungò per sdraiarsi prendendo un lembo dell’altra coperta che aveva portato
con sé. Stava per raggiungere il suolo con la testa, quando si ricordò che mancava
qualcosa. Si sollevò lievemente, giusto in tempo per vedere JJ spingersi verso
di lui dai piedi del letto porgendogli un cuscino. Si fermarono a poca distanza
l’uno dall’altro, poi la donna ruppe il silenzio che si era creato. «Almeno il
cuscino potresti usarlo.» gli disse mentre lui afferrava già con delicatezza il
morbido guanciale sistemandoselo sotto la testa e sdraiandosi. Tirò su di sé la
coperta e vide scomparire la collega dal suo campo visivo. Si fermò allora a
fissare il soffitto, non riuscendo a prendere sonno. Sentì il silenzioso
fruscio delle lenzuola che Jennifer stava spostando per mettersi a dormire
anche lei, dopo aver accuratamente disteso al di sopra i plaid di lana.
«Spence...»
sentì chiamare lei nel silenzio. «Non hai nemmeno slacciato la cravatta, non è
pericoloso?» domandò e Reid si diede mentalmente del cretino. Si sarebbe potuto
fare male nella notte e non vi aveva nemmeno fatto caso. Lui che era sempre
così attento a tutto. Si sollevò leggermente introducendo le dita nel nodo e
tirandolo fin quando non lo aprì del tutto, lasciando la striscia di stoffa a
terra alla sua destra.
«E magari hai
lasciato anche la pistola alla cintura.» aggiunse JJ da lontano.
«Effettivamente...»
commentò lui.
La donna
rise, «Hai paura che possa assalirti durante la notte?» aggiunse mordendosi poi
il labbro inferiore.
L’imbarazzo
colse l’agente che si sentì il volto in fiamme. Subito lasciò scivolare le mani
alla cintura sganciando la fondina e portando anche quella sul pavimento alla
sua destra. «Buonanotte JJ.» disse spostandosi sul fianco nel tentativo di
prendere sonno per permettere anche a lei di dormire.
Jennifer si
allungò verso l’interruttore che aveva accanto e lasciò che la luce si
spegnesse, così che solo un lieve bagliore penetrasse tra le fessure della
finestra. «Buonanotte Spence...» disse voltandosi anche lei sul fianco. Ma non
aveva sonno, qualcosa la turbava. E non era solo il freddo. C’era qualcosa di
più profondo ma che non riusciva a capire. Tenendo quella posizione ferma nel
letto, persa nei suoi pensieri, iniziò a sentire freddo ai piedi. Si
raggomitolò ancora meglio su se stessa, ma la frigidità non accennava a
diminuire. Pensò attentamente al da fare, prima di decidere di scoprirsi per
recuperare un altro plaid.
Ai piedi del
letto Spencer avvolto nella coperta si rigirava in continuazione senza riuscire
a fare in modo che il sonno lo cogliesse. Pensava a quella serata, al fatto che
a poca distanza da lui ci fosse JJ e la cosa gli faceva accelerare il battito
del cuore. Non percepiva il freddo che sicuramente doveva esserci in quella stanza,
al contrario si sentiva circondato da uno strano tepore. Improvvisamente sentì un
rumore alla sua sinistra e si voltò, vedendo nella penombra un piede della
donna sporgere dalle lenzuola, subito seguito dall’altro. La guardò mettersi in
piedi e dirigersi verso l’armadio. Il ragazzo si sollevò sulle braccia,
sporgendosi. «JJ...» la chiamò. «Che succede?»
«Un po’ di
freddo...» rispose lei scomparendo oltre l’anta del mobile. «Dannazione!»
esclamò dopo aver dato un’occhiata.
Spencer si sollevò,
portandosi a sedere e notò che sul letto c’erano già tre coperte. Poi spostò lo
sguardo verso la collega, che si poggiò di nuovo sul materasso stringendosi con
le braccia. «Le ho già prese tutte.» gli confessò come se fosse il peggiore
peccato che avesse mai commesso.
Il giovane percepì
sotto le dita il tessuto caldo della coperta che stringeva ancora tra le mani.
Ci volle un secondo perché si vide a porgerla alla donna, senza rendersi ben
conto del gesto che stava compiendo. «Puoi...puoi prendere la mia.» le disse e
lei portò una mano in avanti come a fermare il suo movimento.
«E tu?»
Il ragazzo
ci pensò un attimo, poi balbettò «Non ho...freddo.» poteva sembrare assurdo in
una serata del genere, ma era esattamente così.
«Ma
congelerai!» esclamò lei preoccupata.
«Ti sto
dicendo che non ho freddo.» risolvette e mollò la tensione del braccio teso,
poggiando la coperta ai piedi del letto. Si chiedeva cosa gli fosse saltato in
mente, da dove avesse tirato fuori quella intraprendenza. Lo Spencer Reid che
conosceva si sarebbe confuso prima di riuscire a capire che doveva offrirle la
sua coperta. Sarebbe servito qualcuno che glielo facesse notare. E invece no.
Aveva fatto tutto da solo e prima che riuscisse a convincersene del tutto si
ritrovò ad aggiungere, «E...se vuoi, puoi prendere anche...quest’altra.» le
disse battendo delicatamente con la mano su ciò che lo separava dal contatto
diretto con il pavimento.
Jennifer si
fermò un attimo a pensare. Non poteva assolutamente accettare una cosa del
genere, avrebbe fatto rimanere il suo collega al gelo. Eppure lei aveva troppo
freddo da non riuscire a sopportarlo ancora per molto. Alla fine come in un
lampo si manifestò in lei l’unica soluzione che sarebbe potuta andare bene ad
entrambi. «Accetto solo ad una condizione.» disse creando poi un momento di
silenzio. «Che anche tu vieni a scaldarti nel letto.» completo in un solo
fiato.
Spencer
trasalì vistosamente. «Cosa?!» esclamò mostrandosi sbalordito, abbandonato
improvvisamente da tutta l’intraprendenza che aveva mostrato poco prima.
Jennifer
mantenne sul viso lo stesso sguardo serio di quando aveva fatto la proposta.
«Dai, Spence, siamo adulti entrambi, possiamo condividere un letto senza
problemi. L’alternativa è il freddo gelido.» affermò, attendendo a braccia
conserte una risposta. Sperando che fosse positiva.
Avrebbe
voluto ribattere che proprio perché erano due persone adulte non era
auspicabile dividere un letto. Ma non lo fece. Lo sguardo dolce di JJ fisso nei
suoi occhi in quella piccola stanza buia lo trascinò come una forza che lo
costrinse ad alzarsi, senza tralasciare l’ennesima smorfia di dolore per il
ginocchio. Aveva accettato pur senza averlo detto ad alta voce. E senza aver
avuto il tempo di elaborare il tutto nel suo efficientissimo cervello e
rendersi conto di quello che stava per fare.
Si voltò a
recuperare l’ultima coperta che giaceva sul pavimento e con l’aiuto della
ragazza che si alzò dal materasso la sistemarono sul letto, ponendogli sopra
l’altra che Spencer le aveva già porto. Il volto sereno della donna si
contrasse in un sorriso mentre scostava le lenzuola per introdursi al caldo.
Reid la fissava incapace di fare lo stesso.
La vide
prendere posto accoccolata sul fianco, quindi decise di prendere un respiro e
di avvicinare timidamente le mani al risvolto delle coperte. Le tirò
delicatamente, lasciando poi che il suo corpo facesse piegare il materasso
sotto il suo peso. Tirò dentro anche le gambe, sfilandosi le scarpe dai piedi e
si coprì occupando la minor parte possibile del letto, all’estrema sinistra,
portandosi anche lui sul fianco. Osservò le pareti ormai conscio che non
sarebbe riuscito a dormire. Avrebbe passato la notte così, vegliando sul sonno
di lei, che sentiva ogni tanto muoversi con delicatezza, ricordandogli che
erano proprio in uno stesso letto, separati da qualche centimetro di materasso.
JJ si era
stretta alla massa di coperte che la ricopriva, voltando le spalle verso il collega
e occupando l’estrema destra del letto. Nonostante fosse stata lei a proporre
quella soluzione, qualcosa la rendeva inquieta. Ma non era certa che fosse
un’inquietudine negativa. Al contrario, era una strana emozione che la prendeva
allo stomaco, ma non ci fece troppo caso dando la colpa al freddo, che
nonostante i cinque strati di plaid non accennava a diminuire. Ancora una volta
si rannicchiò, avvicinando le ginocchia al petto. Non riusciva a prendere sonno
e sentiva poco lontano da sé il movimento del ragazzo che si sistemava comodo.
A pochi centimetri dal suo corpo.
Il silenzio
di quella stanza era carico, nessuno dei due capiva bene di cosa. Una strana
emozione vibrava in quell’aria. Quei corpi continuavano a muoversi su quel
materasso comune cercando di non infastidire l’altro, evitando di sconfinare da
quello spazio che si erano imposti di occupare. Vietandosi un qualsiasi
contatto, che sebbene non volevano dirlo, sapevano sarebbe stato fatale.
Infine fu JJ
a rompere quel divieto. Il freddo non smetteva di attanagliarla e così con
delicatezza lasciò che una mano si distendesse lungo lo spazio alle sue spalle,
ruotando lentamente anche il corpo in direzione di quello di lui, che raggiunse
e sfiorò con dolcezza lungo la spina dorsale, quasi chiedendo il permesso di
compiere quel gesto.
Spencer da
parte sua, a sentire un lieve tocco sulle sue spalle rabbrividì, cominciando
poi a voltarsi quasi spaventato di quello che sarebbe potuto accadere. Gli
occhi di Jennifer lo guardavano con insistenza, mentre le sue dita non avevano
abbandonato la sua schiena per tutto il movimento. Si ritrovarono uno di fronte
all’altra, fissandosi.
La donna
sentiva le iridi nocciola del ragazzo scrutarle ogni centimetro del viso nella
penombra della camera e sostenne quello sguardo con volto sereno.
Improvvisamente sussurrò appena udibile «Ho freddo, Spence...» e si tuffò sul
petto di Reid prima che lui fosse in grado di accorgersene e fare qualcosa. La
sentì contro il suo corpo e i brividi si fecero più intensi mentre sotto quel
groviglio di coperte lei si stringeva sempre di più a lui, cercando un contatto
anche tra le loro gambe. Decise di seguire l’istinto, per una volta, e la cinse
con sicurezza, donandole il calore di cui era certo avesse bisogno. Le frizionò
con forza le spalle, scaldandola con amore. Il dolce profumo che aveva
percepito in cima alle scale raggiunse ora le sue narici inebriandolo,
rendendosi indelebile dal suo corpo e soprattutto dalla sua mente. E non di
certo per via della sua memoria eidetica.
Rimasero
stretti per alcuni minuti, fin quando l’agente Jareau iniziò ad avvertire un
primo lieve tepore, allora sollevò il capo guardando il ragazzo così vicino a
lei. Pericolosamente vicino. Inclinò il capo cercando di leggere nei suoi
occhi. Vide paura, emozione, dolcezza. Vide lo Spence a cui voleva bene. Lo
Spence genuino che le piaceva prendere in giro, ma che sapeva andava protetto
più di ogni altro, perché era colui che più aveva da perdere, l’animo più
fragile che conoscesse. Anche se questo non era visibile all’esterno, lei lo
sapeva, lei lo conosceva bene, perché lui le aveva permesso di scavare a fondo
nel suo animo. Il loro rapporto speciale era nato così. Semplicemente. E non sarebbe
mai andato perduto.
Sarebbe
potuto essere uno sbaglio, ma lei continuava a fissarlo e lui percepiva quegli
occhi su di sé, quando improvvisamente Reid la vide muoversi, avvicinarsi al
suo viso, sentendo il caldo e affannato respiro di lei contro la sua pelle. Il
tempo si stava fermando intorno a loro, stretti sotto quelle coperte. Ma
qualcosa intervenne a spezzare l’incantesimo.
Il silenzio
cessò, un urlo rimbombò nell’immenso spazio esterno. Una voce lamentosa e
spaventata che costrinse i due ragazzi a sciogliere l’abbraccio e mettersi di
scatto a sedere sul materasso, voltandosi verso l’unica finestra da cui
traspariva un lieve bagliore. Si separarono anche se non avrebbero voluto,
ascoltando bene ciò che stava accadendo. Jennifer riconobbe quella voce e
riportò lo sguardo verso il collega. «È...è Penelope?» balbettò ritrovando la
voce che non aveva avuto bisogno di usare per un po’ di tempo.
Spencer si
concentrò su quella voce identificandola anche lui con quella della bizzarra collega.
Scosse il capo in segno affermativo e come richiamato al dovere, portò i piedi
fuori dalle coperte cercando le scarpe e, una volta trovatele, le indossò. Si
voltò verso l’agente Jareau, «Tu resta qui...» le disse con fermezza, mentre si
dirigeva a recuperare da terra la pistola, lasciando invece la cravatta dove
l’aveva poggiata quando se l’era sfilata. Incrociò la sciarpa e richiuse la
giacca al di sopra di questa, ora che era uscito da quelle lenzuola e si era
allontanato dal contatto con il corpo della donna avvertiva nuovamente il
freddo.
Intanto
all’esterno la voce aveva smesso di urlare, ma un brusio stava affollando la
radura. «Vengo con te...» disse JJ cominciando ad alzarsi sentendosi confusa e
spaventata, ma il ragazzo la fermò di nuovo.
«Non
sappiamo cosa sta succedendo. È meglio che resti qui.» le ripetè di nuovo
avvicinandosi già alla porta e poggiando
la mano sulla maniglia.
Jennifer
sospirò, accettando seppur a malincuore la scelta del collega. «Spence,
promettimi di fare attenzione.» lo pregò, ricevendo in risposta uno dei genuini
sorrisi che a volte dispensava Reid. Lo vide infine uscire dalla porta che si
richiuse alle spalle, lasciandola sola.
Una volta
sul pianerottolo Reid si era avviato velocemente verso la scala, che aveva
sceso con la solita cautela, dovuta al ginocchio ancora infortunato. Non
riusciva a smettere di pensare a quello che stava per accadere in quella
stanza. Arrivato alla pian terreno una voce aveva attirato la sua attenzione,
«Che succede?» voltandosi, vide David raggiungerlo mentre si chiudeva la cerniera
della giacca che indossava.
«Sono stato
svegliato dalle grida,» mentì Spencer, «Non so nulla più di te.» cominciò ad
incamminarsi verso l’esterno cercando di scacciare i pensieri per concentrarsi
al meglio sul caso che stavano seguendo e che poteva essere collegato agli
avvenimenti di pochi secondi prima. Proprio davanti alla porta di quella
locanda incrociarono Derek che portava stretta al suo petto Garcia, in lacrime.
L’agente di colore fece un cenno con la testa ai colleghi, che loro recepirono
come una rassicurazione che se ne sarebbe occupato lui. A loro non restava che
raggiungere quelle che avevano identificato come le sagome di Emily e Hotch sul
fondo, tra gli alberi. E quello di fronte ai due agenti che li attendevano, a
terra, era un corpo senza vita. Il loro S.I. aveva colpito di nuovo.
Jennifer era
rimasta nel buio della stanza. Sospirò pensando a quello che stava per
succedere tra lei e Spencer e a come la situazione esterna apparentemente
tragica l’avesse riportata alla realtà. Si guardò intorno prima di alzarsi dal
materasso e incamminarsi verso la porta. Uscì dalla stanza e chiuse a chiave.
Non sapeva ancora cosa stesse accadendo lì fuori e non voleva rischiare di
ritrovarsi scomode presenze in camera. Raggiunse la scala che percorse in
discesa, per ritrovarsi nel salottino dove erano stati fino a poco prima. Era
deserto. Si mosse un po’ intorno, ispezionando gli spazi adiacenti quella sala,
in cerca di chiunque la potesse mettere al corrente degli sviluppi. Si era
ritrovata in quello che sembrava essere una sorta di reception. Tutte le copie
delle chiavi erano appese ad una bacheca, ma della padrona non vi era traccia.
Sentendo un
rumore provenire dall’ingresso, si decise a tornare indietro. Non appena superò
l’angolo che l’avrebbe riportata in quell’ambiente con il camino ormai spento,
vide Penelope in lacrime, seduta al bancone del bar, con Morgan di fronte a
lei. Stavano discutendo anche se non riusciva a sentire cosa si stessero
dicendo, mentre il ragazzo le asciugava amorevolmente il viso. Per un po’
rimase in disparte, decidendo poi di avvicinarsi lentamente, senza
interromperli, giusto in tempo per vedere i toni alzarsi e l’informatica
scattare dalla sedia quasi aggredendo verbalmente il collega che la rincorse
fino alle scale, dove lei finalmente si decise ad intervenire. Ora era suo compito
occuparsi di Penelope e Derek lo capì in fretta.
Mentre
tornava su per le scale JJ non poté fare a meno di pensare a Spencer. A tutto
ciò che di strano era accaduto tra loro in quella serata. Arrivata di fronte
alla porta oltre la quale si era rifugiata la bizzarra collega attese qualche
secondo, sforzandosi di cacciar via tutti quei pensieri.
Serviva
lucidità da parte sua, c’era un caso di cui occuparsi e il lavoro aveva
fortemente cozzato con le loro vite ancora una volta, colpendo una delle persone
più delicate di quella squadra. Colei che voleva sempre vedere il buono della
gente e tenersi fuori dagli orrori a cui invece tutti gli altri erano
costantemente sottoposti.
Jennifer
sospirò a fondo, lasciando che la mente le regalasse ancora il volto del suo
collega. Lei e Reid? Sarebbe stato il caso di pensarci in un altro momento. Potevano
aspettare. In realtà avrebbe anche potuto decidere di non pensarci proprio
lasciando semplicemente che le cose accadessero quando avrebbero dovuto. Se ce
ne sarebbe stata l’occasione. Come poco prima.
Ma Penelope no. Lei non poteva aspettare. Bussò alla porta
attendendo la voce dell'informatica che le desse il permesso di
entrare. Conservando in un angolo tutte le emozioni che il genietto le
aveva regalato, seppur per poco.
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