[Prologue]
- Facing
her past
C’era
stato un tempo in
cui non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita a vivere in un
posto così lontano dalla sua città. Non avrebbe
mai nemmeno
lontanamente pensato di lasciare il suo lavoro, i suoi colleghi
– o
meglio, la sua famiglia - , il suo piccolo
appartamento nei
pressi del centro della metropoli.
C’era
stato un tempo in
cui aveva creduto che la corporazione che aveva servito, per cui
aveva rischiato diverse volte la vita, e a cui doveva quella stessa
vita, fosse nel giusto, nonostante i suoi metodi non proprio
pacifisti.
C’era
stato un tempo in
cui aveva indossato il rigido completo nero dei Turks, impugnato il
suo fidato Rekka e aveva combattuto, catturato, ferito, ucciso
per il bene della Shin-Ra.
Quella
stessa Shin-Ra che
l’aveva raccolta da un sudicio e polveroso angolo del Settore
6, le
aveva teso la mano, le aveva offerto con grandi sorrisi e melliflue
promesse la felicità, l’aveva condotta verso un
barlume di
speranza fra le ombre scure di Midgar.
Quella
stessa Shin-Ra che
l’aveva delusa, disgustata, tradita.
Che
le aveva
semplicemente dato tutto e con la stessa facilità
gliel’aveva
sottratto.
Tutto
ciò che era stato,
tutto ciò che aveva avuto e fatto, erano ormai solo lontani
ricordi
custoditi nei meandri della sua mente, offuscati dalla nebbia del
tempo.
Una
nebbia di quindici
anni passati a cambiare continuamente città, nome,
identità, senza
mai dare spiegazioni, senza mai dare conto a nessuno, senza mai
affezionarsi troppo, senza mai lasciare indizi utili a rintracciarla.
Perché era una ricercata. E la Shin-Ra non si dimenticava
delle foto
sotto cui veniva imposto il timbro con scritto “Mandato di
cattura”. Nemmeno dopo quindici anni.
Era
una fuggitiva, e lo
sarebbe stata per tutta la vita.
Il
suo continuo
peregrinare, da qualche mese a quella parte, l’aveva condotta
all’estremo occidente del Pianeta, dopo uno scomodo viaggio
su una
barchetta a remi comprata per due soldi a Rocket Town. Era una
bagnarola, ma era l’unica cosa che aveva potuto permettersi,
date
le sue scarse finanze.
In
città, a Wutai, era
conosciuta come Lena. A Rocket Town invece come Jackie, anche se a
Icicle Inn tutti la chiamavano Meg. Aveva trovato ospitalità
presso
una famigliola non proprio ricca, ma molto cordiale, che possedeva un
piccolo orto poco fuori il paese e un negozietto di souvenir
caratteristici nel centro. I due figli stravedevano per lei e le
chiedevano spesso di giocare con loro o di aiutarli coi compiti. Lei
annuiva, col sorriso, e faceva tutto questo volentieri.
Faceva
qualunque cosa pur
di riempirsi il più possibile la giornata, per non lasciare
spazio
ai pensieri.
Ma
fu proprio durante una
delle sue innumerevoli faccende che i ricordi, più dolorosi
che mai,
tornarono a farle visita, diradando la nebbia che si era addensata su
di loro.
Pensava
di averla persa
molto tempo prima, in realtà. Una vecchia foto rovinata e un
po’
ingiallita, scattata una calda mattina di luglio, sulla spiaggia di
Costa del Sol.
Yue,
il figlio minore
della coppia che le aveva offerto alloggio, era corso da lei una
sera. Era sceso giù per le scale facendo i gradini a due a
due,
sventolando il piccolo pezzo di carta per aria.
<<
Lena-san!>>
l’aveva chiamata, avvicinandosi al tavolino presso cui si era
seduta per leggere <>
I
grandi occhi a mandorla
di Yue la fissavano dritto sul viso, le manine stringevano la foto
dietro la schiena, i piedini si muovevano irrequieti facendo
scricchiolare le grandi assi di legno scuro.
Lei
alzò lo sguardo dal
piccolo volume poggiato sul ripiano, e perplessa ricambiò lo
sguardo
impaziente del bimbo << Sono qui, Yue. >>
indicò con un
cenno del capo le piccole braccia che reggevano la refurtiva
<<
Cosa hai combinato stavolta?>>
Orgoglioso
di ciò che
aveva trovato, glielo mostrò senza troppi convenevoli,
esibendo un
sorrisone sdentato.
Spalancò
i grandi occhi
castani, quando il piccolo le mise davanti il bottino.
<<
Dove l’hai
trovata, questa?>> chiese, incredula.
<<
Era nel
giardino, Lena-san. Incastrata tra le piante.>> il
bambino mutò
espressione, forse capendo che sarebbe stato meglio non avergliela
portata.
Doveva
essere volata via,
trascinata dal vento, forse quando aveva disfatto quei pochi bagagli
che aveva portato con sé.
<<
Ero sicura di
non averla più.>> se la rigirò fra
le mani, quasi ad
esaminarla in ogni sua piccola parte, in ogni suo minimo dettaglio,
incapace di credere che fosse davvero lei.
Sul
retro, una piccola
dedica. Due semplici parole, un cuoricino, un nome.
Quel
nome che aveva
cercato di dimenticare, che non aveva mai davvero lasciato la sua
mente.
Si
portò una mano alla
bocca, mentre la poggiava accanto al libro, Yue che la fissava
preoccupato dal basso.
<<
Stai male,
Lena-san?>> le chiese il piccolo, sporgendosi verso di
lei.
Lei
non rispose,
continuando a fissare le due figure sorridenti e felici che facevano
segno di vittoria davanti all’obbiettivo.
Era
l’unica.
La
sola che avessero mai
scattato assieme.
Di
colpo, tutto tornò
nitido. Ebbe la sensazione di precipitare nuovamente in
quell’abisso
scuro da cui era uscita così faticosamente, costruendosi una
vita
fittizia che non le apparteneva.
Perché
lei non era una
contadina, né una negoziante, né una baby-sitter,
né qualunque
cosa fosse stata da quando era fuggita da sé stessa.
Si
passò una mano sul
viso, lo sguardo vitreo che fissava il nulla. Il fiato le si
mozzò,
gli occhi le diventarono umidi: nella sua mente immagini di una
ragazza sorridente, dai fluenti capelli ramati, amica di tutti,
dedita al suo lavoro, sempre pronta a mettersi in gioco.
Decine
di corpi feriti,
inermi. Fiamme, spari, il rombo fastidioso degli elicotteri, il
rumore dei passi sulla ghiaia dei pesanti scarponi dei soldati.
Sangue.
Flash
che avrebbe
preferito tenere rinchiusi lì dove avevano giaciuto per
tutti quegli
anni, rinchiusi nella cassaforte della sua memoria. Incubi che
l’avevano tormentata per mesi, che l’avevano
indotta a pensare
molte volte che sarebbe stato meglio mollare tutto, trovare un altro
lavoro, condurre una vita normale.
Eppure,
nonostante tutti
i momenti di sconforto, nonostante le debolezze, le
difficoltà, era
sempre rimasta.
Perché
c’era lui.
Era
stata un Turk, una
spia, una mercenaria, un’assassina.
Ed
era stata innamorata.
Terribilmente innamorata di un uomo come lei.
Si
alzò in piedi,
barcollando appena, frastornata dalla moltitudine di fotogrammi
sbiaditi che si erano susseguiti nella sua mente, troppi, troppo
velocemente. Fece scorrere con troppa violenza il fragile fusuma
che dava sull’engawa sul retro.
Aria.
Ne aveva un
assoluto bisogno.
Yue
la osservò stranito,
gli occhi sgranati, incapace di comprendere cosa fosse successo,
mentre varcava la soglia e si incamminava a passi incerti lungo lo
stretto corridoio in legno di ciliegio laccato.
Un
incontrollabile senso
di nausea le pervadeva tutto il corpo. Sentiva un gelo tremendo nelle
ossa, le tempie pulsavano dolorosamente.
Quasi
si trascinò ai
piedi del grande albero secolare che la famiglia Seto custodiva nel
suo giardino perfettamente curato. Si accasciò fra le nodose
radici
che facevano capolino fra l’erba smeraldina e umida della
sera.
Respirò a fondo, più volte, facendo entrare ed
uscire l’aria
fresca e limpida con ritmo regolare.
A
quell’ora, stare
all’aperto, soprattutto d’estate, era un perfetto
toccasana per
la mente e per il fisico. La fresca brezza del tramonto sulla pelle,
e nei polmoni, sembrava liberare da tutti i problemi del mondo.
Lo
diceva sempre lui.
Zack
Fair – SOLDIER
di Prima classe.
Ucciso
sul campo.
Una
calda lacrima le rigò
la guancia sinistra. Lei sapeva. Non era andata così. Zack
non era
morto durante quella dannata missione a Nibelheim. Non era stato
ucciso quel giorno.
Il
PHS nero come la notte
riportava false notizie, in un ammasso di pixel insensati.
Chiuse
gli occhi, mentre
il sapore salato del dolore gli lambiva le labbra secche.
I
pezzi tornarono al loro
posto, ricostruendo lentamente, frammento per frammento, ogni cosa.
Le
baracche, ancora
ostinatamente in piedi, tra le vie polverose e dimenticate da tutti;
il palazzo della Shin-Ra, sotto il cielo senza stelle della squallida
Midgar, attorniato dalla luce sinistra del Mako; le luci al neon e il
pavimento in marmo, le scrivanie e le scartoffie; le porte degli
ascensori che si aprivano e lasciavano entrare ogni giorno centinaia
di impiegati; le segretarie sorridenti, strette nel loro tailleur
firmato, che ticchettavano fastidiosamente con le loro scarpe alte.
Il
presidente, con la sua
aria austera, che se ne stava sulla sua grande poltrona in pelle,
affiancato dal suo biondo erede; Reno con la sua faccia annoiata,
Rude impassibile dietro gli occhiali scuri, Tseng che riferiva
l’obbiettivo della prossima missione, il direttore Lazard che
le
sorrideva, Angeal che la salutava con un cenno rispettoso della
testa, Genesis che se ne stava vicino alle grandi vetrate in
compagnia della sua adorata lettura, Sephiroth seduto su in divanetto
assorto nei suoi pensieri.
Tutto
prese forma,
colore, consistenza quasi reale, come se fosse stato tutto
lì,
davanti a lei.
<<
Ehi, Cissnei!
>>
La
sua schiena da
ragazzo, ma già più muscolosa del normale. Le sue
braccia possenti,
i suoi capelli corvini e spettinati. I suoi occhi innaturalmente
azzurri, luminosi e vivaci. Il suo sorriso da furbetto, col piccolo
canino appuntito che prepotente si metteva in mostra.
La
sua voce ancora un po’
infantile che la chiama.
Zack
che cercava le sue
attenzioni, agitando la mano da lontano.
Le
scappò un sorriso,
fra le lacrime che ormai copiose le scivolavano lungo il viso, sui
vestiti.
Memorie
di risate, di
scherzi, di chiacchierate, di baci, di carezze, di momenti felici, di
abbracci.
Memorie
che facevano
male, ma che nonostante tutto erano più importanti forse
della sua
stessa vita.
Quasi
con un’ansia
febbrile, andò alla ricerca di ogni singolo brandello
strappato
dalle pagine che parlavano di lui, del loro amore.
Pretendere
di dimenticare
era impossibile, imporsi di poterlo fare, inammissibile.
Eppure
hai tentato.
Frugò
in ogni più
remota parte della sua mente, negli angoli più nascosti e
reconditi,
fra mille parole, gesti e sensazioni. Ed infine, li trovò.
Tutti
i momenti più
importanti che aveva vissuto al suo fianco.
Pian
piano fecero
capolino, in una sequenza precisa, ricostruendo la loro storia.
La
storia del loro amore
sfortunato.
Note dell'autrice:
Questa fan fiction assieme a One thousand needles, è forsela
mia preferita.
Mi sono impegnata molto nello scriverla, e spero riusciate adapprezzare
il mio lavoro : )
Il pairing non ha molto fandom (o forse non ne ha), però
chinon ha mai pensato a quanto sarebbero stati carini assieme?
Cissnei poi <3 Io l'ho adorata da subito, anche se ha un
ruolomarginale. Necessita di più amore
leiè__é
L'idea per questa storia è stata semplice: all'inizio
volevarivedere tutto Crisis Core in una chiave diversa, appunto
cambiando irapporti tra Zack, Cissnei ed Aerith.
Ma mi sono presto resa conto che era un'idea decisamente colossale
eforse impossibile.
Così mi sono limitata a dei "frammenti" che
nonnecessariamente hanno a che vedere con la trama principale del gioco.
A presto con il primo frammento! <3
|