Titolo:
Io sono Tonks
Rating:
Verde
Conteggio
parole: 1744
Disclaimer:
I personaggi
e i luoghi di
questa storia appartengono a J.K.Rowling.
Note:
1) Nessuno ha mai detto che Tonks sia stata un fenomeno a Pozioni,
ok. Ma, be', ragioniamo. Il suo professore era Piton e lei è
diventata un Auror, quindi non può che aver passato i
G.U.F.O. con
meno di Eccezionale. Era una Tassorosso sbadata e rumorosa e cugina
di Sirius, di conseguenza dubito che Piton l'abbia mai avuto in
simpatia. Eppure, ta-dan!
Ha preso Eccezionale. A quanto pare, la sua abilità era
indiscutibile anche per il parziale Severus. 2) L'Essenza di Dittamo
serve davvero a curare le ferite, mentre lo Sciroppo di Elleboro
è
un componente essenziale per il Distillato della Pace che calma
l'agitazione. 3) Se è l'agosto 1986, Remus ha ventisette
anni e
Tonks tredici. 4) L'autrice chiede perdono per il ritardo
dell'aggiornamento di "Diario di un lupo in un branco di lupi", ma ci
tiene a sottolineare che la colpa non è sua, ma di una serie
di fortuite e sventurate sfighe, quali gli esami, gli esami e gli
esami. 5) La storia è stata scritta per il prompt 025. Estranei della
Big Damn
Table indetta da Fanfic100_ita.
Agosto
1986, Diagon Alley
Era
piuttosto raro che
Remus entrasse nell'Apoteca di Diagon Alley. Aveva sempre detestato
l'aroma acre che ne impregnava il pavimento e le pareti. Ricordava
ancora chiaramente la prima volta che ne aveva varcato la soglia:
aveva undici anni, la lista degli ingredienti richiesti dal professor
Lumacorno fra le mani ed un senso dell'olfatto ben più
sviluppato
dei suoi coetanei. L'odore pungente lo aveva stordito fin dal primo
istante e il padre, John Lupin, si era premurato di farlo aspettare
fuori dalla porta, mentre acquistava il necessario.
Da
quella volta, Remus
aveva sempre delegato i suoi amici di acquistarli per lui – e
nessuno di loro si era mai rifiutato, né si erano mai
trattenuti dal
fare ridicole battute sulla Pietra di Luna in polvere. Non aveva mai
apprezzato nemmeno Pozioni ed era una conseguenza che Remus aveva
sempre trovato piuttosto ovvia: vapori aspri e pungenti, mortali
attrezzi di argento (quante volte si era dato per malato e si era
rinchiuso in biblioteca!) e un gruppo di amici scalmanati e
pericolosi accanto al proprio calderone di rame.
Avvertì
una morsa allo
stomaco nel pensare che quella, in effetti, era la
prima volta
che entrava nell'Apoteca dopo quindici anni perché
loro non
c'erano.
Non
più.
«Hai
bisogno di
qualcosa?».
Remus
sobbalzò e
sbatté un paio di volte il capo. Non si era nemmeno accorto
di
essere rimasto completamente immobile nel bel mezzo del apoteca per
diversi minuti. All'altro lato del corto bancone impolverato, si
ergeva un ometto dalle folte e cespugliose sopracciglia bianche e dal
labbro inferiore sporgente. I suoi occhi stavano sondando con
diffidenza ogni particolare di Remus, dai vecchi abiti lisi alla
sciarpa grigia con cui cercava di celare il più delle
proprie
cicatrici.
Remus
annuì con
nervosa rapidità, pregando in cuor suo di non essere
scoperto prima
di aver ultimato il suo acquisto.
«Sì»
mormorò con
voce roca. «Essenza di Dittamo».
L'apotecario
parve
diventare ancora più sospettoso, mentre le sue narici
vibravano come
se stesse fiutando l'aria tutt'attorno.
«Dittamo?»
ripeté
circospetto. «E perché ti serve del
Dittamo?».
“ Perché sono un
licantropo e ho una ferita di almeno venti centimetri sul fianco
ancora aperta”, pensò impaziente Remus.
«Perché
vuole
saperlo?» tentò di sviarlo nel suo miglior tono
accomodante. «Non
credevo che per l'Essenza di Dittamo servisse il permesso di un
Medimago, né che il Ministero l'avesse di recente decretata
illegale».
«Mi
ci vorrà un po'
di tempo» sbottò l'uomo, ma – con somma
felicità di Remus –
gli voltò rapidamente le spalle e sparì dietro
una vecchia tenda
alla sua sinistra. Mentre attendeva il suo ritorno, Remus fece un
sospiro spossato e socchiuse gli occhi.
Merlino,
aiutami.
Il
trillo della
campanella dietro di lui annunciò l'improvviso arrivo di un
secondo
cliente. Remus si strinse istintivamente nel cappotto e
affondò il
volto nella sciarpa, cercando di nascondersi alla vista di quel
fastidioso estraneo.
«Wotcher!»
salutò una vocina trillante con un pesante accento
londinese.
Remus
sollevò appena
lo sguardo sulla ragazzina che era appena entrata. Non poteva avere
più quattordici o quindici anni e suppose che stesse
acquistando gli
ingredienti richiesti per il nuovo anno scolastico. Era probabilmente
una delle adolescenti più buffe che avesse mai visto.
Indossava una
T-shirt verde di un gruppo musicale che Remus non aveva mai sentito
nominare e un salopette di jeans di un paio di taglie più
grande.
Portava i calzini dei colori più accesi che si fossero mai
visti e
un paio di vecchi e rovinati Dr. Martens ai piedi. Ciò che
più di
tutto colpì l'attenzione di Remus, tuttavia, furono le sue
treccine
rosa. Trattenne a stento le risate e le rivolse un
rapido
cenno di saluto con il capo.
«Klaus
è là dietro?»
s'informò con serenità la ragazzina, indicando
con l'indice il
retro del negozio. Remus si accorse che le sue unghie erano
arancioni.
Inclinò
appena la
testa.
«Klaus?».
«Klaus.
L'apotecario».
«Oh.
Sì. Sì, è là
dietro».
«Grazie,
amico» gli
disse con un sorriso, prima di infilarsi le mani nelle tasche e
iniziare a sbirciare fra gli scaffali fischiettando fra sé.
D'un
tratto, la sentì
imprecare.
«Merlino,
fa' che non
abbia finito lo Sciroppo di Elleboro» sbottò,
appoggiandosi con i
gomiti al bancone e facendo un lungo sbuffo. «Sai, quella
cretina di
Mary Dixon, con cui sfigatamente la sottoscritta
divide il
Dormitorio, è appena stata scaricata da quell'altro cretino
di
Johnny Foster. Di nuovo»
specificò con un'occhiata
eloquente.
Remus
cercò di
apparirle educatamente interessato, sebbene stesse serrando le labbra
nel tentativo di non ridere.
«Capisco»
si limitò
ad annuire.
«Già.
E quella
cretina di Mary Dixon è una pazza isterica. Mi ha perfino
mandato
una Strillettera. Una Strillettera, ti rendi conto?
Per poco
mia madre ci restava secca».
Remus
ridacchiò
appena.
«Domani
iniziano le
lezioni e chi se la regge, adesso?» continuò lei,
sempre più
disinvolta. «Mi serve l'Elleboro per farle il Distillato
della Pace
o non chiuderò occhio fino ad Halloween».
«Ti
piace Pozioni?».
«Abbastanza.
E no, non
sono una Serpeverde. Non provare nemmeno a pensarlo o ti affatturo, e
al diavolo il Ministero».
«Non
l'ho pensato».
«Grazie»
disse la
ragazzina, spostandosi un ciuffo rosa dagli occhi. «Io sono a
Tassorosso. E tu?».
Remus
sgranò gli occhi
e le rivolse un'occhiata stupita.
«Io?».
«No,
lo chiedevo a
Lancillotto» scherzò lei, ruotando gli occhi al
cielo. «Dov'eri,
tu? Hai la faccia da Corvonero».
Non
riuscendo a
trattenersi oltre, Remus scoppiò a ridere. Fu costretto a
interrompersi di colpo a causa di una fitta particolarmente violente
al fianco.
«Che
c'è?».
«Nulla»
rispose lui,
tossicchiando appena e premendo appena la ferita con la mano.
«È
solo... be', non hai idea di quante volte me lo sia sentito
dire».
“ Anche se hai la
faccia da Corvonero, Moony, non lo sei, quindi non hai alcun motivo
per preferire questa biblioteca a noi tre” risuonò
nella sua
testa.
Remus
fece una smorfia
amara.
«Grifondoro».
«Uh?».
«Grifondoro.
Ero a
Grifondoro».
La
ragazzina parve
incupirsi un poco.
«Anch'io
avrei voluto
andare a Grifondoro, una volta» disse.
«Tassorosso
è
un'ottima Casa, nonostante le comuni maldicenze».
«Lo
so. Infatti una
volta volevo andare a Grifondoro. Poi ho cambiato
idea».
Remus
inarcò appena un
sopracciglio.
«Posso
chiederti il
motivo?».
Lei
alzò le spalle.
«Avevo
un cugino a
Grifondoro. Ogni domenica veniva a pranzo da noi. Era una specie di
rito, credo, fra lui e mia madre. Sai, la loro famiglia non era il
massimo, se capisci quello che intendo» raccontò
con sguardo
distante e voce incredibilmente seria. Sembrava molto più
grande, ma
Remus finse di non esserne completamente sorpreso.
«Capisco».
«Lo
adoravo. Quando
ero bambina, credo di essermi perfino presa una cotta per
lui»
confessò con una risatina stentata, prima di fare un soffio
rabbioso. «E poi quel fottuto bastardo ha deciso bene di
diventare
Mangiamorte e vaffanculo a tutti».
Remus
trasalì, preso
in contropiede, mentre i frammenti del racconto della ragazzina
iniziavano a incastrarsi con suoi ricordi con inaudita naturalezza.
Non
è possibile.
«Sta
marcendo ad
Azkaban, adesso, e spero che ci resti anche dopo la morte, quel
traditore» sibilò lei con incredibile rabbia,
assottigliando gli
occhi lucidi. «Bastardo».
Sembra
che ovunque vada ci debba sempre essere qualcuno a ricordarmelo.
Più
la guardava e più
si rendeva conto di quanto quella ragazzina avessi in comune con i
Black. Non sapeva se esserne disgustato o meno. Fra quelle ridicole
trecce rosa e quella maglietta sgargiante era annidata parte di
quella dannata famiglia. Remus si diede dello stupido per non
essersene accorto prima; eppure, gli sarebbe bastato guardare le sue
labbra finemente disegnate e i suoi occhi brillanti per ricordarsi di
averle già viste.
Bellatrix
Lestrange aveva i suoi stessi occhi.
«Ehi,
ti senti bene?»
le chiese con voce preoccupata la giovane. «Mi sembri un po'
flippato, lasciatelo dire».
Lui
mosse appena la
testa in segno di diniego.
«Perdonami»
la
liquidò in fretta. «Ma mi ricordi qualcuno che ho
conosciuto un
tempo».
Con
un sospiro
rassegnato, lei parve incupirsi nuovamente.
«Strano»
soffiò con
freddo sarcasmo.
Remus
la fissò con
evidente curiosità, spronandola silenziosamente a continuare.
«Hai
idea di cosa
significhi... be', essere me?»
domandò con piglio selvaggio. «Essere sempre sotto
l'insindacabile
giudizio dell'intera comunità magica? E tutte le volte che
faccio
uno sgarro, boom!
Ecco che tutti sono pronti a ricordarsi l'uno con l'altro che sono
una mezza
Black
e che la mela non cade mai troppo lontana dall'albero. Hai un'idea di
quanto io sia rotta della gente?».
Non
sai nemmeno
quanto.
Remus
stava per
risponderle, quando l'apotecario sbucò dal magazzino con
aria
affannata e gli gettò davanti un sacchetto marrone. Si
accorse in
quel momento della presenza della ragazza e parve agitarsi.
«Ninfadora!
Che cavolo
fai, qui?» sbottò, prima di rivolgere un'occhiata
maligna a Remus.
«Ti ha fatto qualcosa? Stai bene?».
Lei
inarcò
pesantemente un sopracciglio e fece una smorfia confusa. Remus si
sbrigò a frugare nella tasca e ad estrarre quattro falci e
due
zellini.
«Tre
zellini».
«Rincaro
dei prezzi su
misura del cliente» disse con voce divertita, mentre
aggiungeva una
moneta sul bancone. «Le consiglio di aumentare le sue
donazioni
all'abbazia di Westminster: pare che all'inferno dei truffatori ci
sia ancora molto spazio».
«Sparisci,
cane».
Remus
infilò l'Essenza
di Dittamo nel mantello, si voltò senza un'altra parola e si
diresse
verso la porta. Stava per uscire quando la voce cristallina della
ragazzina lo richiamò indietro.
«Ehi!».
Lui
ruotò appena il
capo e la vide rivolgergli un occhiolino divertito.
«Io
sono Tonks».
Remus
le sorrise
appena.
«Lo
terrò a mente».
«Non
chiamarmi
Ninfadora, Remus! Io sono Tonks».
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