Faceva male.
Ogni parte del suo corpo faceva così atrocemente male che
aveva paura di respirare.
In posizione supina su quello che doveva essere un selciato, o comunque
una superficie particolarmente fredda e dura, per dovere di
sopravvivenza si sforzò infine di inspirare un po' dell'aria secca e pungente che lo circondava. Ma aveva la bocca e la gola piene di sangue e per poco non soffocò.
Di riuscire a tossire non se ne parlava neanche.
Chiamando a raccolta forze inesistenti nel tentativo di restare lucido,
capì che doveva a tutti i costi cercare di girarsi su un
fianco, o sarebbe morto in pochi istanti.
Qualcosa o qualcuno però in quello stesso momento lo
afferrò per i capelli.
E come ultimo ricordo di quei minuti di agonia, Kanon fu certo di
sentire un oggetto tagliente contro la gola, seguito da un'ondata di
calore.
Defeat. Disfatta.
Per il Britannico la parola aveva in sé, mentre gli rimbombava
più e più volte nella testa, tutto il peso
drammatico e ineluttabile che, a parer suo, un uomo può
sperimentare solo in due specifiche circostanze della vita: nella
guerra e nel bridge.
L'esercito degli Specters era stato annientato.
Due dei tre Giudici, Aiacos e Minos, erano persi per sempre e un
destino non differente era toccato a una quantità di loro
validi sottoposti.
Non che ne fosse affranto, in realtà.
Fra Specters non intercorrevano rapporti particolarmente amichevoli,
né c'era mai stata traccia di cameratismo, e lui non era tipo da
provare una particolare pena per coloro che erano stati così
sprovveduti da farsi uccidere.
Ma l'esercito di Hades, era innegabile, aveva clamorosamente fallito
e lui, che ne faceva parte nei più alti ranghi, non sarebbe
mai riuscito a scrollarsi di dosso l'onta di quella débâcle.
Inoltre il suo Signore si trovava ora in un luogo irraggiungibile.
il Giudice era consapevole, anzi, che ormai le sorti di quello scontro non lo riguardavano più.
La disputa si era trasferita su un piano lontanissimo dalla sua
portata. Era diventato uno scontro divino, misurato su una dimensione
divina, l'Elysion, cui non aveva accesso.
Lui era rimasto bloccato nel Meikai. Nient'altro
che un palcoscenico vuoto dal sipario strappato.
Rhadamanthys non si crucciava di aver perso la battaglia. Magari
Hades, invece, avrebbe vinto la guerra.
Quello che gli era insopportabile era di dover restare con le
mani in mano.
Ma in effetti qualcosa da fare ce l'aveva.
La preda, rudimentalmente tracheotomizzata da lui stesso in emergenza, sembrava ora respirare regolarmente.
Il cuore, seppure flebilmente, pulsava.
La vita albergava ancora nel corpo maledettamente perfetto del greco.
Per ora languiva sul suo letto senza sensi, il pallore innaturale
andava confondendosi con quello delle lenzuola.
Ma Rhadamanthys era certo che quella forza fisica, che aveva visto in
azione così da vicino, avrebbe provveduto a ripristinare il
resto.
Kanon era stato pronto a sferrare un attacco suicida, pur d'ucciderlo.
Ora Rhadamanthys era pronto a fargliela pagare con altrettanto trasporto.
Ma con calma.
Per il momento era necessario che il Saint sopravvivesse.
Mentre saliva a velocità folle nel cielo rosso del Meikai,
intrappolato nella morsa di Gemini, Rhadamanthys per
interminabili istanti si era visto perduto... E aveva avuto paura,
certamente.
Chi sarebbe stato così stolto da non averne?
Ma qualcosa di singolare era accaduto.
Una forza esterna, del tutto sconosciuta, era intervenuta in extremis, qualche
modo. Riprecipitandoli al suolo.
E la Surplice della Viverna gli aveva risparmiato l'impatto che Kanon
invece aveva subito in pieno, non indossando alcuna armatura.
Rhadamanthys si versò tre dita di J&B liscio. Poi ci
ripensò e riempì fino all'orlo.
I cubetti di ghiaccio che aggiunse in abbondanza fecero traboccare il
bicchiere.
Sarebbero stati giorni interessanti.
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