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Primo flashback
Gli occhi dell’uomo con indosso
un completo nero e un cappello dello stesso colore s’illuminarono
di una luce sinistra quando inquadrarono la vittima designata, che in
quel momento stava uscendo dalla sua residenza e,come al solito,
accompagnato da una manciata di sgherri armati. L’uomo li
contò con calma mentre s’infilava una sigaretta piegata in
bocca: quattro uomini più il ragazzo; puah, non bastavano certo
a fermarlo, non era la prima volta che si trovava degli ostacoli di
fronte. Certo che quel ragazzo era davvero protetto bene per essere il
figlio del capo della mafia internazionale, soltanto quattro uomini
quando lui ,il miglior killer del mondo, era stato assoldato per
levarlo di mezzo! I tirapiedi del giovane ,quest’ultimo stava in
mezzo a loro, si avvicinarono con circospezione alla Multipla blu
parcheggiata davanti al cancello della villa, l’aprirono e fecero
entrare prima uno di loro, che si mise al posto di guida e accese la
macchina. Quando vide che la macchina cominciò a rombare,
l’uomo dal completo nero prese la pistola Magnum che portava
infilata nei pantaloni, l’aprì per controllare che fosse
perfettamente carica: sei proiettili, come doveva essere. Poteva
procedere. Seguì con calma la macchina, che lo portò
fuori città fino in aperta campagna, nei pressi in cui viveva la
ragazza del giovane; già si incominciava ad intravedere la sua
casa. L’uomo dal completo nero si guardò intorno formando
con la sigaretta un perfetto anello di fumo: non c’erano
testimoni scomodi. Abbassò il finestrino, mise fuori la mano
armata e mirando alle gomme posteriori fece fuoco; come previsto la
macchina uscì fuori strada andando a schiantarsi contro un palo.
Con movimento automatico, il killer fermò la macchina, scese e
correndo come meglio poteva fare si diresse verso la Multipla da cui
cominciarono a scendere le guardie del corpo del giovane, che sebbene
fossero un po’ stordite a causa dello scontro cercarono di fare
il loro dovere e difatti quando videro il responsabile
dell’incidente correre verso di loro fecero per sparargli ma
quest’ultimo si buttò a terra sparando contemporaneamente:
quattro proiettili ben piazzati usciti dalla Magnum divorarono in un
nanosecondo la distanza che li separava dalle loro vittime facendo
stramazzare a terra i quattro uomini mentre una pozza di sangue si
allargava sotto i loro corpi. Mentre osservava con quella che sembrava
una certa indifferenza i corpi delle sue vittime, sentì alla sua
sinistra che qualcosa si stava muovendo o meglio correndo e si
ricordò subito che c’era ancora il ragazzo da eliminare;
si voltò e lo vide correre a perdifiato in un vano tentativo di
salvarsi. L’uomo sollevò nuovamente la pistola e
sparò: quando la pallottola gli si conficcò nel ginocchio
avvertì un dolore orrendo, come se quel proiettile gli avesse
staccato la gamba di netto, difatti non se la sentiva più. Cadde
a terra tenendosi con una mano la gamba ferita, da cui cominciava a
scorrere un liquido rosso e denso che gli impregnò in un attimo
il pantalone. Tremando in modo incontrollabile si voltò sulla
schiena e si osservò la ferita: il punto in cui la pallottola
gli era entrata la sentiva pulsare in modo assai fastidioso e quando la
toccò leggermente avvertì un dolore se possibile ancora
più terribile che lo spinse ad urlare dolore con tutto il fiato
che aveva in corpo mentre con una mano si copriva il viso. Soffriva
atrocemente. Il killer se ne rese conto guardandolo contorcersi per il
dolore mentre il braccio che teneva la pistola ,dalla cui canna usciva
ancora del fumo, era ancora puntata contro di lui. Sarebbe stato da
sadici non finirlo e lui sebbene fosse un killer un po’ di
compassione ancora l’aveva; non gli piaceva far soffrire le sue
vittime più del necessario. Si diresse verso di lui con calma
mentre ricaricava la pistola, sebbene ci fosse ancora un proiettile.
Con uno scatto il tamburo si rimise a posto e il suo proprietario la
puntò nuovamente contro il giovane che lo guardò in un
modo molto significativo mentre cercava di alzarsi sui gomiti.
“Non scongiurarmi di non ammazzarti, sarebbe inutile”
tagliò corto l’uomo con voce incolore sempre con la
pistola mirata al suo cuore “Chi sei?” chiese il ragazzo
“Jigen Daisuke” rispose l’uomo mentre premeva il
grilletto. Sentì di nuovo il proiettile entrargli nel corpo
finché non raggiunse e sorpassò il cuore fuoriuscendogli
dalla schiena. Con un gemito soffocato il ragazzo si distese a terra,
l’ultimo suo pensiero andò a Mischa e al bambino che non
avrebbe mai più rivisto. Jigen rimettendo la pistola a posto si
avvicinò al cadavere mettendosi in ginocchio al suo fianco. Lo
osservò: aveva solo venti anni. Troppo giovane.
Dimmi ,boia, com’è
guardare le proprie vittime? Ti rende felice guardarle morire? Ti
diverte vedere la luce e con lei la vita abbandonare i loro corpi? Ti
diverte fare quello che fai? Ti credi onnipotente? E invece non lo sei.
Un giorno sarà qualcun’ altro ad interpretare il tuo ruolo
e allora vedrai che non sei né più né meno degli
altri.
Gli chiuse con delicatezza gli occhi
poi si voltò, raggiunse la sua macchina e andò via. Non
seppe mai che dopo mezz’ora una ragazza dai capelli color paglia
di nome Mischa ,attorniata dalla banda di cui faceva parte il giovane e
al cui vertice stava suo padre, abbracciava singhiozzando il cadavere
del giovane mentre il padre di questi ,furente, ordinava ai suoi uomini
di cercare in giro qualche cosa che potesse aiutarli ad identificare il
responsabile. Uno degli sgherri trovò vicino al cadavere di una
delle guardie del corpo assassinate le parole scritte col sangue: Jigen
Daisuke.
Secondo Flashback
“Stanno per iniziare”
pensò Lupin guardando i due samurai davanti a lui cominciare a
muoversi lentamente. Goemon sembrava concentrato al massimo e anche se
non lo mostrava sia Lupin che Jigen sapevano che il cuore del loro
amico era incendiato dall’odio e dal desiderio di vendicare
l’amato maestro, che era stato ben più di un padre per lui
e infatti dopo un attento esame chiunque avrebbe notato l’odio
che incendiava gli occhi neri del giapponese e la mascella contratta.
Dal canto suo quest’ultimo pensò che finalmente stesse per
avere la sua vendetta, stava per vendicare l’amato maestro
Shiden, assassinato dal cane che gli stava di fronte e che lo guardava
con disprezzo e derisione. Come si era permesso di uccidere il
suo maestro? Era imperdonabile e lui non gliel’avrebbe fatta
passare liscia. Lo avrebbe ucciso, fatto a pezzi, lo avrebbe finito
lentamente, fatto soffrire in tutti i modi possibili ed immaginabili in
quel duello e quando Jinkuro lo avrebbe supplicato di finirlo, lui
,Goemon, gli avrebbe risposto ,magari sogghignando, che aveva ucciso il
suo amato maestro e che quindi per morire avrebbe dovuto pazientare,
intanto doveva soffrire finché a lui sarebbe piaciuto. Niente lo
avrebbe fermato dal mettere in atto questi propositi e in cuor suo
sperò che i suoi amici non provassero ad intercedere per Jinkuro
perché altrimenti….
Cominciarono a correre verso sinistra,
con le lame in mano e sempre con maggiore velocità finché
entrambi non scattarono in avanti, con l’intenzione di colpire
l’avversario frontalmente e teoricamente di sorpresa ma entrambi
pararono i colpi, provocando con il cozzare delle loro lame un gran
fracasso. Si allontanarono ritornando al punto di partenza ma questa
volta cominciarono a muoversi in cerchio attaccandosi ogni tanto una
volta in aria e una volta a terra, continuarono così per un
pezzo: nessuno riusciva anche solo minimamente a prevalere
sull’altro; “Sei sempre forte ma non potrai tenermi testa
per molto con le braccia ferite a quel modo” osservò con
il suo tono irritante Jinkuro rivolto a Goemon indicando le braccia di
quest’ultimo, che proprio in quel momento cominciarono a
sanguinare macchiando di rosso le bende. “Jinkuro,
vendicherò il mio maestro con la spada affidatami da lui
stesso” ribatte tranquillamente Goemon “Hai parlato
abbastanza” concluse Jinkuro diventando improvvisamente serio.
Continuarono a combattere senza risultati rilevanti. Mano a mano che
passava il tempo la rabbia di Goemon cominciò a diventare sempre
più forte e sembrava che anche il cielo condividesse la sua sete
di vendetta perché improvvisamente cominciò a
rannuvolarsi finche un fulmine non incendiò un albero che stava
proprio in mezzo ai due combattenti. Prese fuoco e le fiamme
illuminarono i volti dei due samurai, rendendo ancora più
impressionante la scena. Insieme alla pioggia cominciò a tirare
anche un forte vento, in cui Goemon si trovò controvento mentre
Jinkuro lo aveva da dietro, questi si frugò in una tasca del
kimono, cavandone fuori un potente narcotico. “Se vai controvento
sei finito, questo è un potente narcotico che ti farà
chiudere gli occhi” disse Jinkuro aprendo la mano in cui
c’era il narcotico lasciando che il vento lo trascinasse a
Goemon, il quale dopo due secondi cominciò a dare segni di
cedimento. “Sei un vigliacco, adesso ti sparerò,
Jinkuro!” esclamò arrabbiato Lupin già con una mano
sulla pistola. A quelle parole Goemon si sentì come se qualcuno
gli stesse per fare un grosso sgarbo: nessuno doveva rubargli la
vendetta, neanche un suo amico. “No, Lupin!! Jinkuro devo
ammazzarlo io!” “Hai del fegato Goemon”
continuò Jinkuro sorridendo: si aspettava quella reazione.
“Accidenti, devo assolutamente farcela” pensò Goemon
cercando disperatamente di non mollare ma cominciava ad avere grosse
difficoltà con la vista: vedeva il suo nemico sdoppiarsi
continuamente e in più si sentiva assonnato. Maledetto
vigliacco! Fece un passo indietro quando improvvisamente sentì
uno dei suoi piedi toccare il vuoto, che diavolo? Si voltò
leggermente indietro e vide che era arrivato sulla cima della montagna,
un passo falso e si sarebbe sfracellato di
sotto!
“Questa è la tua fine,
Goemon. Ora non puoi più sfuggirmi” osservò Jinkuro
e Goemon si rese che conto che purtroppo era fottutamente vero:
era mezzo addormentato, non ci vedeva bene e adesso non poteva
muoversi più di tanto per non finire giù. Ma non poteva
arrendersi, doveva vendicare il suo maestro, maledizione! Non era
giusto! “Non voglio morire adesso! Non per mano
sua,accidenti” pensò Goemon quando vide Jinkuro fare atto
di avventarsi contro di lui sollevando la spada con l’intento di
spaccargli il cranio. Ecco, era finita! Aveva fallito e sicuramente
deluso il suo maestro! “Maledizione!!!” pensò con
ira scagliando in aria la spada nello stesso momento in cui un fulmine
attraversò il cielo. Accadde tutto in un attimo: la spada di
Goemon si drizzò attirando su di se il fulmine, il quale
andò a colpire in pieno Jinkuro, carbonizzandolo in una sola
alta fiammata. “I fulmini del cielo hanno fatto giustizia”
commentò Lupin mentre copriva con la sua giacca l’ormai
fradicio amico mentre Jigen lo aiutava a rialzarsi ma Goemon sapeva
bene che non erano i fulmini del cielo ad averlo aiutato “Grazie
di cuore, maestro” pensò mentre si sedeva sul sedile
posteriore della Fiat500 e cedeva al
sonno.
Dormi, dormi pure, Goemon Ishikawa.
Riposati per l’impresa compiuta e sogna il tuo maestro che ti
ringrazia per averlo vendicato ma tu credi di averlo vendicato davvero?
Credi di aver fatto il tuo dovere,vero? E invece no, altro non voglio
dirti soltanto che ti pentirai.
Terzo flashback
L’elicottero fece una veloce
inversione dirigendosi verso i due uomini sistemati sulla rupe che si
affacciava sul mare. Visto il pericolo si affrettarono a caricare
velocemente le pistole. “Lupin, sbrigati, dannazione! Si sta
velocemente avvicinando!!!” urlò Jigen cercando di
sovrastare il rumore dell’elicottero mentre guardava con sempre
più crescente preoccupazione il mezzo su cui c’era a bordo
Antonio Wolf, un loro vecchio rivale che aveva tutte le intenzioni di
mandarli all’altro mondo. “Ho fatto, ho fatto!”
rispose frettolosamente Lupin III mirando insieme al suo compagno
contro l’elicottero. Dal finestrino della sala dei comandi si
sporse un uomo con un fucile in mano, un cappellaccio calato su un
occhio facendolo sembrare guercio e una sciarpa nera intorno al collo.
L’uomo ghignò sinistramente guardando i suoi avversari a
terra, che sembravano aspettarlo, mentre con una mano governava
l’aereo indirizzandolo contro di loro, mentre con l’altra
prendeva la mira col fucile. Mirando per primo alla testa di Lupin fece
fuoco ma lo mancò perché quest’ultimo si
buttò di lato sparando nello stesso istante in cui anche Jigen
fece fuoco. L’uomo quando avvertì i proiettili entrargli
nel petto e nella gamba capì di aver fallito, che la vendetta
gli era stata strappata via di mano per opera dei suoi più
odiati nemici. Che buffo, strano e triste tiro del destino: aveva
sempre ucciso e adesso era lui a finire ucciso. Questo fu il suo ultimo
pensiero quando cadde in
acqua.
Non temere, guerriero caduto, come Ettore fu vendicato da Paride e Achille da Bellerofonte anche tu avrai la tua vendetta.
Quarto flashback
“Jigen”, la voce di Karen
Kowalski interruppe bruscamente il loro dialogo. Il tono non era ne
autoritario ne freddo, era calmo e incolore. Jigen ,ritornando subito
serio, si girò verso di lei e la vide lì, in attesa che
lui la raggiungesse, con la pistola, la sua pistola, in mano. Vedendola
immobile, in attesa paziente che lui le venisse vicino, Jigen gli venne
stranamente da chiedersi se la morte non avesse preso l’aspetto
di quella donna. A vederla così, immobile e in paziente attesa,
sembrava veramente che fosse la morte personificata, magari la pistola
che aveva in mano era la “falce”. Forse la morte ,quando
è il nostro momento, assume le sembianze degli esseri che
abbiamo di più amato al mondo, proprio come in quel momento:
Karen e la sua amata pistola CombatMagnum. Jigen sospirò; doveva
andare, non poteva impedire che Karen facesse giustizia.
“Jigen” iniziò Lupin alle sue spalle, distogliendolo
dai suoi pensieri “Tieni questa, devo parlarle”
replicò consegnandogli il mitra e allontanandosi prima che Lupin
potesse dire o fare qualcosa. Lupin a quel punto capì e non
disse più niente. Jigen gli aveva solo passato la mitraglietta
ma il gesto in sé significava: “Non puoi aiutarmi, Lupin.
Devo lasciarla fare”. Si mise davanti a lei e quest’ultima,
piegando le gambe e reggendo con entrambe la mani la pistola, gliela
puntò contro il cuore. Sollevò il cane ma quando il
tamburo girò infilando nella canna il proiettile, per un attimo
sul suo viso apparve l’espressione del ripensamento.
Poiché Jigen aveva chiuso gli occhi non vide Karen mordersi il
labbro ma sentì che quest’ultima era in difficoltà.
“Coraggio, Karen. Spara” l’incoraggiò mentre
facendosi coraggio riapriva gli occhi. Lupin guardava la scena in
silenzio senza fare nulla ma in cuor suo pregava che Karen non sparasse
al suo amico e così avvenne. Karen effettivamente sparò
ma mirando a qualcosa che si trovava alle spalle di Jigen;
quest’ultimo ,accortosi di non essere stato colpito, si
voltò per vedere Keith di nuovo in piedi: era a lui che aveva
sparato! Lupin gli lanciò la mitraglietta mentre lui prendeva la
sua WaltherP38 e insieme a Karen cominciarono spietatamente a sparare a
Keith, che stranamente continuava a rimanere in piedi nonostante tutte
le pallottole che gli venivano spedite contro. Soltanto quando un
proiettile lo colpì alla testa cadde a terra, con la sua
mitragliatrice che continuò a sparare per un po’
finchè ,esauriti i proiettili,non smise. Tornata la calma, Jigen
e Lupin si voltarono per vedere Karen a terra. “Karen!”
Jigen le si avvicinò di corsa e la prese delicatamente per le
braccia, facendole appoggiare la testa sul suo torace. La pistola che
Karen aveva tenuto in mano poco prima era caduta a terra, Jigen la
raccolse e con un abile movimento del polso fece uscire il tamburo
dalla pistola: c’era ancora un proiettile. “Karen, vuoi
ancora uccidermi?” le chiese offrendogli la pistola, lei lo
guardò e con quella che sembrava un aria triste scosse
debolmente la testa. Vedendo dove il proiettile si era conficcato,
Jigen dovette esercitare su se stesso un notevole controllo per non
piangere. Troppe donne aveva amato e tutte le erano state portate via,
chi per un motivo chi per un altro. Aveva cominciato seriamente a
pensare di rinunciare all’amore, di non donare più il suo
cuore ad un' altra sia per evitare a se stesso altre sofferenze e sia
per proteggere la donna che voleva donarsi a lui ma aveva incontrato
Karen e ,nuovamente, lui ci era ricascato, anche se stavolta era sicuro
che tutto sarebbe andato come voleva lui, e invece…Visto come
andavano a finire le sue storie d’amore cominciava anche a
pensare che fosse in parte colpa sua, che portasse iella, anche se lui
non aveva mai creduto a cretinate simili. Quando sentì
nuovamente Karen chiamarlo dolcemente si voltò verso di lei.
Ogni cosa sembrò perdere importanza per lui in quel momento.
Niente aveva più importanza, in quel momento poteva anche
arrivargli una pallottola nel braccio, lui non se ne sarebbe neanche
accorto, anzi se una pallottola in quel momento lo avesse ucciso ne
sarebbe stato contento perché significava rivedere tutte le
donne che aveva amato e dalle quali era stato amato. Sentì
intorno a sé i suoi amici parlare con qualcuno ma non ci
badò, non fece nemmeno caso al fatto che qualcuno gli avesse
sfilato di mano l’ arma. Era troppo preoccupato per Karen per
interessarsi ad altro. “Karen, ti prego non morire”
riuscì a balbettare mentre gli occhi quasi gli si riempivano di
lacrime alla vista della sua mano sporca di sangue, il sangue di Karen:
perché? Perché ogni donna che amava finiva sempre col
morire? Che cosa aveva fatto per essere trattato così? Se il suo
destino era quello di non amare nessuna donna perché allora
veniva torturato sentimentalmente così? “Jigen ,la voce
appena percettibile di Karen lo strappò bruscamente dai suoi
pensieri, non piangere” “Come pretendi che non pianga? Io
ti amo, maledizione ,e stai morendo qui, tra le mie braccia, senza che
io possa fare niente per te, niente”; trasalì quando
sentì la mano calda di Karen accarezzargli una guancia
“Che cosa hai detto?” “ Ho detto che mi sento
impotente e che…” “No, che cosa hai detto molto
prima?” “Ho detto che ti amo” “Anche io,
Jigen.” “Karen ,sussurrò lui con le lacrime che
colavano sul petto di lei, io …” “No, aspetta, fammi
parlare. Non cedere al dolore, continua a vivere. Devi farlo anche per
me che desidero che tu sia felice e non sopporterei che per causa mia
tu cambiassi. Hai capito che voglio dire? Se tu vivrai portando il
ricordo di me io continuerò ad esistere attraverso te”
“Karen, ti prego…non…non parlare così
,riuscì a dire solo questo,cercando con penosi sforzi di
controllare la voce, tu non morirai, resisti, ti supplico!”
“Addio” disse Karen abbandonandosi con un sospiro tra le
braccia dell’uomo che l’aveva tanto amata, il quale ,dopo
un attimo di smarrimento ed incredulità, diede liberamente sfogo
al suo dolore: abbracciò strettamente la donna sussurrando
dolcemente il suo nome mentre lasciava che le lacrime gli scorressero
lungo il viso,bagnandogli le guance e la barba. Si riscosse quando
sentì una mano poggiarsi delicatamente sulla sua spalla e una
voce profondamente addolorata dirgli “Mi dispiace”. Si
voltò e vide che il proprietario della mano era
nient’altri che Goemon, “Dai” intervenne Lupin, anche
lui sinceramente dispiaciuto. Limitandosi a rispondere con un accenno
della testa, Jigen si rialzò, prese il corpo di Karen tra le
braccia e ,sotto lo sguardo dei suoi amici, premette il pulsante che
avrebbe azionato il meccanismo di esplosione del sottomarino Ivanoff
,su cui c’era tutta l’organizzazione Shot Shell, che Karen
gli aveva affidato. Sotto gli occhi di tutti i
presenti,l’Ivanoff saltò in aria trascinando nella rovina
la gang Shot Shell. “Riposa in pace,amor mio, sei
vendicata” pensò Jigen guardando il sottomarino
inabissarsi.
Perché ti sei vendicato
distruggendo la nave, Jigen Daisuke? Non hai capito che la colpa della
morte di Karen non è nient’altro che tua? Tua, come
è tua la morte delle altre donne che hai amato e dalle quali sei
stato ricambiato? Perché non lo capisci? Sei sciocco o ti
spaventa l’idea di ucciderti? Perché non ti togli la vita?
Non dovrebbe essere difficile per te, hai ucciso tante persone;
sicuramente conosci tutti i metodi per lasciare in modo indolore questo
mondo, allora perché? Sei crudele ed egoista! Preferisci
continuare a vivere ben sapendo che avrai probabilmente altre donne che
soffriranno per colpa tua! Sei ancora un assassino ,Jigen Daisuke, ma
stavolta in un modo molto più
subdolo.
Quinto flashback
“Bravo! Finalmente te lo sei
levato dai piedi” esclamò Fujiko alle sue spalle mentre
gli puntava contro la pistola “Hm, ora dici così ma poi mi
darai la caccia per vendicarlo.” rispose Pycal con uno dei suoi
rari sorrisi “Ciò è possibile. Comunque
adesso sono venuta per prendermi i cristalli... quindi dimmi dove
sono” completò spingendogli ulteriormente la canna della
pistola contro la nuca ,dopo un attimo di silenzio, “I cristalli
sono lì” le disse indicando con una mano il sacchetto che
stava proprio attaccato al bracciolo della sua sedia “Grazie,
molto gentile” gli disse mentre si riempiva come meglio poteva le
tasche. “Adesso buttati in acqua” “Buttati tu e
portati via i cristalli” “No. Non ho il costume da bagno ed
è meglio che ti butti tu, hai ucciso Lupin e non esiterei a
spararti” “Ripensaci, te ne pentirai” provò ad
insistere, sperando ,inutilmente, di convincerla ma quando sentì
la sua risposta decise di lasciar perdere: era troppo innamorata di
Lupin “Mai quanto te tra poco, svelto, buttati” insistette
lei adesso con voce molto più minacciosa di prima. Non ebbe
altra scelta; le cedette i comandi dell’elicottero e si
buttò in mare. A un pelo dall’acqua aprì un piccolo
scompartimento nascosto nella sua cintura, in cui c’era un
bottone che ,una volta premuto, fece apparire un deltaplano che
evitò a Pycal uno spiacevole e indesiderato bagno.
“Sciocca, i veri cristalli sono in mano mia ,esclamò
ridendo guardando i veri cristalli attaccati ai lati del deltaplano, e
li userò per dominare il mondo al momento più
opportuno!”. Proprio in quel preciso momento il sole fece
capolino dalla montagna di fronte illuminando in attimo tutto il
paesaggio,anche la barchetta sotto di lui che proprio in quel momento
stava passando attraverso quelle che sembravano due piccole isole.
Osservandola notò qualcosa che lo mise in allarme: dapprima lui
non capì che cosa diavolo fosse quel affare che l’uomo
sulla barca gli aveva puntato contro ,era troppo lontano, ma quando
vide un grosso proiettile e una gigantesca tela imprigionarlo come in
una morsa, distruggendo il deltaplano e facendolo inesorabilmente
cadere in acqua capì solo una cosa: Lupin III in un modo o
nell’altro aveva ricevuto la sua vendetta, sebbene da uno
sconosciuto.
Pycal, consolati pensando che hai ucciso il tuo nemico.
Due anni dopo, in Giappone.
“Credo che sia questo il posto ,pensò il giovane samurai
con il kimono nero guardando il gigantesco grattacielo di fronte a lui.
Accidenti, colui che gli aveva dato l’appuntamento probabilmente
era un riccone o comunque una persona che non aveva problemi economici.
“Chissà perché diavolo mi ha spedito quella lettera
questo riccone,cosa accidenti vorrà da me?” pensò
ancora mentre varcava la soglia.
“Hikijo Semboo, conosco la tua storia e so che cosa desideri di
più al mondo, dopo che è successo quello che è
successo. Non posso dirti altro in questa lettera ma se vuoi che io sia
più chiaro accetta di incontrarmi. Ti do appuntamento questo
giovedì alle 6 in punto di pomeriggio, ti aspetto.
P.S: Mi sembra doveroso specificare che mi trovo non a Shizuoka ma
Nagoya. Poiché non so se sai come arrivarci sappi che devi
prendere la Tomei Expressway, una volta lì chiedi di me e tutti
ti indicheranno dov’è la mia casa. Sperando che accetterai
la mia richiesta, ti saluto. Kanemoti Hideyoshi.”
Dentro si trovò in una sala riccamente ammobiliata; ogni cosa
,dal tappeto che partiva dall’ingresso fino alle scale e dai
numerosi e delicati oggetti che stavano appoggiati ai mobili,
dimostravano una grande raffinatezza e anche una certa tendenza del
proprietario all’esibizionismo della propria ricchezza. Il
giovane rimase talmente incantato di fronte a tutte quelle ricchezze da
non accorgersi subito del fatto che non era solo: infatti nella
sala c’erano dei mafiosi, stando a giudicare dall’aria poco
raccomandabile e dalle armi che tenevano in mano. Quest’ultimi
non appena videro lo sconosciuto gli andarono lentamente incontro,
circondandolo. Il giovane nonostante avesse capito di essere circondato
da persone non proprio per bene non diede minimamente segno di
timidezza, d’altronde che cosa doveva temere? Se lo avrebbero
aggredito, lui li avrebbe sistemati a dovere! Che credevano, che la sua
spada fosse fatta di legno o che fosse una di quelle volgari imitazioni
di plastica che i genitori ogni tanto donavano ai propri figli?
“Sono qui per un incontro con il signor ,qui guardò un
attimo il nome del mittente sulla lettera che gli era stata spedita,
Kanemoti.” a quelle parole i mafiosi sembrarono rilassarsi
tant’è vero che abbassarono le armi e ognuno
ritornò alle sue occupazioni, soltanto quello che sembrava il
capo ,un tipo con una cicatrice ad x sul viso che partiva dalle
sopracciglia fino al mento incrociandosi a cavallo del naso, lo
invitò con un gesto della mano a seguirlo. Per mezzo
dell’ascensore arrivarono al diciassettesimo e ultimo piano, in
cui c’era soltanto una gigantesca porta in fondo. L’uomo
fece cenno al samurai di aspettare quindi bussò alla porta,
l’aprì quel tanto che bastasse per lasciar passare la
testa insieme a metà busto e dire qualcosa per poi ritornare
dall’ospite e dirgli “Puoi entrare, ti stanno
aspettando” “Stanno?” ripetè incerto il
giovane ma non potè chiedere altro perché il suo
accompagnatore era stato appena ingoiato dall’ascensore.
“Entriamo” e dicendo questo varcò la porta entrando
dentro a quella che sembrava una sala per le riunioni ma a lasciarlo
maggiormente perplesso furono le persone che trovò sedute alla
grande tavola rotonda che stava in mezzo alla stanza. Al capotavola
c’era un signore sui trent’anni ,vestito con un completo
nero molto elegante con una sigaretta Malboro quasi del tutto consumata
in bocca, la quale si piegò in un garbato sorriso vedendo il
nuovo arrivato. Alla sua sinistra c’erano due sedie vuote mentre
alla sua destra c’era un giovane giapponese sui venti anni con i
capelli castani tendenti al biondo, gli occhi color miele. Vicino a lui
c’era una ragazza della stessa età coi capelli di uno
smorto biondo cenere. Vicino a lei c’era seduta una ragazza con i
capelli completamente neri, salvo i due ciuffi al lato del viso che
erano rosso fuoco. Infine all’ultima sedia c’era
un’altra ragazza con i capelli biondo platino e gli occhi blu
scuro, dai lineamenti non sembrava orientale. Hikijo notò che
tutti e quattro portavano un kimono nero e una spada infilata nella
cintura, tranne l’ultima ragazza che aveva sul lato sinistro una
fondina in cui stava infilata una pistola Condor e quella vicina al
giovane coi capelli castani, che aveva una Kalashnikov appesa sulla
schiena. “Finalmente siete arrivato, giovane Semboo Hikijo. Vi
stavamo aspettando, sedetevi prego” disse l’uomo sui trenta
indicando la seconda sedia alla sua sinistra. Hikijo obbedì,
sempre più perplesso: non conosceva affatto quelle persone,
allora com’era possibile che conoscessero il suo nome? “Sei
sorpreso, vero? Ma ricorda: quando non riesci a raggiungere la
vendetta, è lei allora che ti viene incontro” “Chi
ha parlato?” sobbalzò Hikijo sorpreso e anche un po’
impaurito guardandosi intorno senza riuscire a scoprire chi fosse il
proprietario di quella voce infantile fredda come ghiaccio e flebile
come un alito di vento. “Insomma, Chi ,esclamò il signor
Kanemoti sorridendo divertito guardando la sedia vuota che stava alla
sua sinistra, lo stai spaventando, mostrati” “Come vuoi” e
immediatamente sulla sedia apparve quella che sembrava una bambina di
dodici anni, con dei bellissimi capelli biondi il cui colore era messo
in maggiore risalto dal berretto nero tipico della Grecia in testa.
Indossava un elegante vestito nero ,il quale sembrava più adatto
per un ballo che per la vita quotidiana, e delle ballerine, nere
anch’esse. “Lei è Chi (Ci)”
“Piacere” riuscì appena a dire Hikijo che era
rimasto ovviamente perplesso “Dalla tua espressione deduco che ti
starai chiedendo come Chi sia riuscita a fare quello che ha fatto e chi
siamo noi, è corretto?” “Proprio così”
“Bene, ti spiegherò tutto ma prima è meglio che ti
presenti gli altri, visto che dobbiamo collaborare è meglio
conoscerci. Bene, i due ragazzi alla mia destra si chiamano
rispettivamente Liu Kang Kanemoti ,mio nipote, e Alexis Kowalski. La
penultima ragazza coi capelli neri si chiama Kate Pycal e l’altra
si chiama Nemesi Wolf, è italiana ma parla tranquillamente la
nostra lingua. Io sono Hideyoshi Kanemoti” “Molto piacere,
ma continuo a non capire perché mi abbiate convocato. Non
conosco nessuno di voi” rispose Hikijo maggiormente confuso
“Vi ho convocato per proporvi un affare, vantaggioso a tutti
noi” spiegò l’uomo guardandoli negli occhi e
facendosi serio “E sarebbe?” chiese Alexis “Vendetta” completò Chi con un sorriso crudele in volto.
Nei pressi di New York, contemporaneamente a quello che accade in Giappone..
“C’è posta per
te,Goemon. Dal Giappone” fece Jigen porgendo all’amico una
busta bianca, su cui spiccava con un elegante calligrafia il nome
Goemon Ishikawa.
“Dal Giappone!? Ma allora
è lei, passamela, svelto!” esclamò Goemon
afferrando la busta e sbrigandosi ad aprirla per leggerne avidamente il
contenuto.
“Goemon, insomma, si può
sapere chi ti manda tutte queste lettere?” chiese incuriosito
Lupin, sperando che l’amico finalmente si decidesse a dare
spiegazioni. Era da tantissimo tempo che arrivavano quelle lettere e
Goemon non aveva mai detto chi ne fosse il misterioso
autore.
“Lupin, è una lettera che
mi manda una persona che non vedo da tanto tempo” spiegò
Goemon con gli occhi che mandavano bagliori
“È una persona speciale?”
“È molto speciale ,Jigen, veramente molto. Almeno per me.”
“?”
“Un giorno ve la farò conoscere. Sono sicuro che vi sarà molto simpatica.”
“Ma è una donna?”
“Si, Lupin, è una donna. Una bellissima donna, ti basta sapere che viene chiamata “piccolo tulipano”
“Ti sei innamorato stavolta,
confessa!” lo punzecchio Jigen con un sorriso malizioso in viso
mentre dava dei colpi di gomiti all’amico, che
avvampò.
“Non mi sono innamorato, quindi
è inutile che mi prendete in giro voi due.” se sperava con
questo di disilludere i suoi amici si sbagliava di grosso.
“Chi è?”
“Ci siamo allenati alla stessa scuola”
“Va bene, ma chi è?”
“Ve la farò conoscere, un giorno. Adesso è meglio se andiamo a dormire. Buonanotte”
“Ehi, Goemon!”
“Si?”
“A quanto le sospirate nozze?”
“Jigen, ti ci metti anche tu?”
“Scherzavo, stavo scherzando!”
“Banda di matti” sbuffò Goemon con un piccolo sorriso
“Solo una curiosità”
“Si?”
“Ti è cara?”
“Molto cara”
“Okay, buonanotte Goemon!”
“Anche a voi”
I due uomini uscirono dalla stanza
lasciando solo il samurai, che solo a quel punto sorrise più
ampiamente e sussurrò ciò che non avrebbe mai ammesso
davanti a suoi amici: “Mi è cara quanto voi”. Nella
loro stanza intanto Jigen e Lupin parlavano tra di loro, “Secondo
te finirà bene?” chiese Lupin all’amico, il quale
capì a che cosa si riferisse la domanda “Non lo so, spero
di si. Goemon è già finito male parecchie volte, una
volta era proprio ad un passo dallo sposarsi e poi si sono lasciati,
rammenti?” “Si, Lady Murasaki.” “Oppure quando
si innamorò di Isabella? Quella che aveva inventato il Virus
Beta.” “Me la ricordo, Goemon era innamoratissimo di lei e
non posso dargli torto: era una bellissima donna” “Ti
ricordi come andò a finire?” a quelle parole la mente di
Lupin si riempì involontariamente di flashback, pezzi di ricordi
riguardanti i pochi minuti che precedevano la morte di Isabella: lei
,seduta su quel trono con il SuperEgg in mano,che luccicava talmente da
rendere nonostante il buio perfettamente visibile il viso della donna,
luccicante di sudore per lo sforzo psichico appena sostenuto e lui,
Jimmy, quel bastardo approfittatore, che non appena si era reso conto
che Isabella non gli serviva più si era avvicinato a lei, le
aveva strappato il diamante di mano e l’aveva pugnalata,
lasciando che lei rotolasse giù per i gradini e morisse
lì, come se si fosse trattato di un oggetto ormai inutile.
“Lupin?” “Eh? Oh, si Jigen mi ricordo ,purtroppo,
come andò a finire. E il povero Maichel..”
“Si,annuì un po’ commosso Jigen, si è visto
morire la madre tra le braccia proprio quando finalmente l’aveva
trovata. Che sfortuna!” “Comunque,noi per quello che
è possibile aiuteremo Goemon, questo è certo”
“Ovviamente” “Va bene, pensiamo a dormire
adesso.”
“Buonanotte”.
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