capitolo 1
Eccomi qua. Finalmente, direte voi! Eh si, finalmente. Sono tornata a
casa con questa storia, credo lo sappiate già. Ho scritto tutto oggi di getto,
ma metto le mani avanti, non potrà sempre essere così. Sono impegnatissima con
l'uni e la pausa che mi sono presa oggi per scrivere non potrò prendermela
sempre. Però farò il possibile. Chiedo scusa per la intro banale e frettolosa,
come la trama buttata giù in fretta giusto per pubblicare con la promessa di
arrangiarla meglio al più presto.
Non mi perdo più in ciance e vi lascio
all'atteso sequel di "Photos, love
vips and kisses. When a photo changes your life"
Buona
lettura!
1
Ritardo e
ritorno
- rispondi, rispondi, rispondi-
- informazione gratuita. L’utente da
lei chiamato non è al momento raggiungibile. La preghiamo di riprovare più
tardi. Grazie-
- dannazione!-
- mamma…-
- si, tesoro?-
- sta iniziando-
Con stizza spengo il telefono e lo
metto in borsa. Nemmeno il silenzioso. Spento, direttamente.
Irraggiungibile.
- mamma…-
- dimmi amore-
- ma papà quando viene?-
- presto, tesoro. È in aereo-
La verità è che non so se è in aereo.
La verità è che non so nemmeno se è in aeroporto o se ci sarà nelle prossime
ore.
La verità è che non so mai come
rispondere alle domande dei miei figli quando mi chiedono quando il loro papà
deciderà di farsi vivo a casa.
Osservo il viso della mia bambina, gli
occhi puntati sul campo, fissi sulla figura immobile di Matt. Non commenta, ma
so benissimo cosa le passa per la testa. Lui le manca.
Manca anche a me.
Manca anche a Matt.
Ma per Arianne è diverso. Adora, ama
suo padre. Ha una spiccata predilezione per lui.
Io e Matt abbiamo imparato a farne a
meno in certi casi, abituati alle sue continue partenze e ai suoi improvvisi
ritorni. Ma lei no.
Ed è per lei che sono così
amareggiata. La mia piccola.
Anche ieri sera, come ogni sera, l’ho
spiata dalla porta socchiusa della sua camera tentare di leggere da sola il
libro di favole che Robert le ha portato di ritorno dal suo ultimo viaggio. Ho
provato a leggerglielo io, qualche volta, ma mi ha categoricamente vietato di
farlo. Era il loro libro quello.
Peccato che su venti fiabe Arianne ne
avesse ascoltata solo una.
La faccio alzare e sedere sulle mie
ginocchia per sentirla più vicina e farmi sentire lì con lei.
Immergo il viso nei suoi capelli
biondi e il suo profumo dolce mi invade.
Non saprei descrivere il profumo della
mia bambina. Non è solo di pesca, lo shampoo che più le piace, e non è solo di
fragola, profumazione del bagnoschiuma racchiuso in una bamboletta di plastica
di Mulan, che pretende di trovare sempre in bella vista sul bordo della vasca da
bagno.
Il profumo della mia bambina è
qualcosa di particolare. Così come quello di Matt.
O forse sono solo le mamme a sentirlo.
- mamma! La partita sta per
cominciare!- si ribella ridendo e cercando di sciogliere il mio abbraccio.
L’arbitro fischia e i giocatori
iniziano a muoversi correndo per il campo. Arianne è riuscita a sciogliersi
dalla mia presa e a scendere i gradoni delle sedute per andare a incollarsi alla
rete.
Non posso non sorridere. È legatissima
a suo fratello, e così lui a lei.
Quando ho scoperto di essere incinta,
ho temuto per Matt. La gelosia per i fratelli più piccoli, così comune nei
bambini, non rende mai la vita facile ai fratelli maggiori. Ma Matt è stato
bravissimo.
Aveva solo quattro anni quando Arianne
ha deciso di venire al mondo. Un puro caso perché non l’abbiamo propriamente
cercata, né per noi né per Matt. È semplicemente arrivata, mostrandosi con una
faccina rosa sorridente sul cartoncino di un test di gravidanza.
Anche per Robert è arrivata così dal
nulla. Tanto per cambiare, il suo volo era in ritardo. Arrivò a casa nel cuore
della notte, e io e Matt stavamo dormendo insieme nel nostro letto perché fuori
diluviava e Matt aveva paura dei tuoni. Mi raccontò che trovò la scatola vuota
del test di gravidanza nel bagno della nostra camera da letto. Io ricordo solo
che riuscii ad addormentarmi profondamente solo quando lo sentii stringermi nel
letto e dirmi che mi amava.
Da quella notte ho sempre pensato che
mia figlia avesse un modo tutto suo di fare le cose. Indipendente e spiccio.
Come me. E poi è briosa e sempre allegra. Come suo padre.
La osservo saltellare sul posto e
battere le mani gridando forte il nome di suo fratello che sta correndo dritto
verso la porta, non permettendo a nessuno di interrompere la sua fuga.
Non ha mai amato veramente il calcio.
Si è solo trovato con quella dote.
Un giorno a scuola il suo insegnante
di ginnastica gli ha insegnato le regole del gioco del pallone e, improvvisando
una partita nella palestra della scuola, ha scoperto il talento di Matt.
È molto bravo, e su questo non ci sono
dubbi. Ma resto comunque perplessa dal fatto che giochi senza avere la passione
per questo sport. Anche a casa, tifa Manchester United solo perché è la squadra
di suo padre; non un poster appeso alla parete, il suo pallone autografato da
Beckham fermo sul suo piedistallo sulla mensola della libreria.
È l’opposto di Arianne. Spesso è
taciturno, abbastanza solitario. Casa nostra è un via vai di bambini che entrano
ed escono, tutti compagni di scuola, ma non lo vedo mai veramente felice. Forse
solo quando gioca con sua sorella. Da lei si fa fare di tutto. Quando siamo
tutti a casa, solo allora riesco a vedere mio figlio come vorrei, sorridente e
sereno. Non so come mai sia così, posso solo immaginarlo, ma è probabile che, al
contrario di Arianne, abbia preso tutto da me. Non è un gran chiacchierone ma è
molto recettivo al mondo esterno. Estremamente sensibile.
Non lo ammetterebbe mai perché ormai,
alla veneranda età di dieci anni, si sente grande, ma sono la sua mamma. Certe
cose le so e basta.
- tutto suo zio, non c’è che dire! È
tutto me!-
Il vocione di Kellan arriva alle mie
spalle, alto e orgoglioso.
- ciao Kell. È appena iniziata,
siediti- gli dico spostandomi sul lato di Arianne che tanto non tornerà mai ad
occupare il suo posto.
- Grazie, Ale. Ti ho portato del
caffè- mi risponde sorridente tendendomi un enorme bicchiere di cartone dello
Starbucks. - Ancora zero a zero?-
- è iniziata solo da pochi minuti,
Kell -
- ma il mio figliastro è un
centravanti da sfondamento! Dovrebbe già aver messo in rete almeno una palla!-
Nemmeno a dirlo che Matt, con
un’azione di cui non saprei dire il nome ma che sembra parecchio complicata, va
in rete in mezzo ai festeggiamenti dei suoi compagni di squadra.
- lo sapevo, io! Lo sapevo che
qualcosa da me doveva aver preso!- gridò Kellan alzandosi in piedi per
applaudirlo e salutarlo mentre correva verso gli spalti.
Mi ritrovo a sorridere guardando
Kellan. È pazzo di Matt e prende molto sul serio il suo ruolo di padrino. Non è
per niente cambiato con gli anni, eccetto quella leggera brizzolatura che lui
dice faccia molto George Clooney. Sempre imponente e in formissima, sempre alla
ricerca della sua anima gemella che ancora non ha capito non troverà mai nei
backstage delle sfilate di moda. Sempre imprevedibile, grintoso e infantile.
Quarantuno anni portati come se fossero trenta, e un grado di serietà che non
sorpassa i diciassette.
- Zio Kell! Mi hai visto?- gli grida
Matt mettendosi le mani davanti alla bocca per amplificare il suono.
- certo che ti ho visto, campione!-
Il suo vocione fa girare di scatto
Arianne, che finalmente sembra essersi resa conto del suo arrivo. Tempo due
secondi, che si è già catapultata tra le sue braccia riempiendogli la faccia di
baci.
- ecco Ale, la donna della mia vita
sarà così. Dove ne trovo un’altra che mi da tutto quest’affetto, vero Kolly?-
Kolly da Koala. Quando era più
piccola, Arianne aveva il vizio di appendersi letteralmente al braccio di
Kellan. Una sera si era addormentata aggrappata al suo braccio mentre era seduto
sul divano a parlare con Robert e da quel momento è diventata Kolly per lui.
Kellan è parte integrante della mia
famiglia, così come Jackson, Beckie e Maicol. Una famiglia non legata dal sangue
ma semplicemente dall’affetto profondo che nutriamo l’uno per l’altro. Affetto
che non è cambiato assieme al cambiare delle nostre vite.
Kellan ormai si è ritirato a vita
privata dal mondo delle scene, preferendo lavorare dietro le quinte come
commediografo per il teatro. Di tutte le possibili vie che mi aspettavo
prendesse Kellan, quella dello scrittore di commedie teatrali era l’ultima che
mi aspettavo avrebbe mai intrapreso. Jackson, invece, aveva scelto una via già
più prevedibile, visti e considerati i suoi talenti. Dopo aver fatto ancora
qualche film in costume, decise che era ora di cambiare vita, svolta che prese
del tutto quando venne lasciato da Ashley per via della sua gelosia smodata. Che
io sappia, lei continua ancora a calcare le scene del mondo del cinema e
qualcuno dice sia diventata la nuova Kim Basinger, per via di qualche film in
cui la ricordava vagamente. Lui è diventato un discografico abbastanza
importante. Ha iniziato alla EMI prima di aprirsi una casa discografica tutta
sua che ha faticato un po’ a partire, ma che ora va alla grande. Proprio in
questi giorni è impegnatissimo a lanciare una nuova cantante che sembra
abbastanza promettente. Per me è solo la brutta copia di Britney Spears, ma se
lui ci vede del talento chi sono io per dire il contrario??
Beckie ha aperto una scuola di make up
e hair style a Manhattan, ma ogni suo momento libero lo passa andando a fare
terapia di coppia con Luke. Lysa, ormai quindicenne, è esasperata dai suoi
genitori. Un po’ litigano, poi si amano di nuovo, poi si lasciano, poi vanno in
terapia… per non sentirli litigare durante il “periodo no” si trasferisce
direttamente a casa mia, cercando un po’ di tranquillità per i suoi studi. È
diventata una bellissima adolescente, ormai. Una capo cheerleader intelligente e
brillante contro ogni cliché che bolla le agitatrici scatenate di pon-pon come
delle squinternate deficienti. Ha già deciso che andrà ad Harvard e che
diventerà un chirurgo. A volte penso solo che veda troppi telefilm med, ma se
quella è davvero la sua strada lo scoprirà non appena metterà piede in ospedale
per il tirocinio. Tra molti anni.
Quanto a me… io e Maicol siamo ancora
li, nel nostro studio a realizzare foto per la Dantey West. Per noi nulla è
cambiato, così come per Rob, ancora ad andare avanti e indietro per il paese,
con una residenza speciale negli aeroporti e la tessera fedeltà negli alberghi
di tutto il mondo.
I suoi impegni sono sempre più
numerosi e ogni volta più pesanti. Un colossal in costume su un personaggio
storico svedese, tale Birger Magnusson, qualche commedia romantica, qualche film
tratto dai classici (l’ennesimo Orgoglio e Pregiudizio, con lo scontatissimo
ruolo di Mr Darcy, ma in versione moderna) e ora pare sia diventato il nuovo
Clive Owen dei film d’azione. Certo, se anche lui prendesse a fare sesso con la
Bellucci durante una sparatoria gli direi di cambiare mestiere, ma finché fa la
parte di un giornalista a caccia di uno scoop sul narcotraffico può avere ancora
una qualche sorta di credibilità.
Ha appena finito di girare un film con
Leonardo di Caprio, roba di spionaggio, e teoricamente dovrebbe essere di
ritorno oggi dal Giappone, ma non risponde al telefono. Non so se sia già
sull’aereo o no, sta di fatto che doveva essere qui stamattina, ma sono le sette
di sera e di lui nemmeno un piccione viaggiatore esausto per il lungo viaggio.
Per essere sicura che non ci sia,
perlustro le finestre di casa, non appena mettiamo piede nell’appartamento, non
si sa mai che il suddetto piccione si sia schiantato contro una portavetro.
- mamma, vado a farmi una doccia- mi
grida Matt mollando come suo solito il borsone esattamente al centro del salotto
allontanando da sé in maniera definitiva l’incombenza di svuotarsela da solo.
Appesa la giacca di Arianne
all’attaccapanni, mi preparo mentalmente alla tortura di dover sopportare
l’odore nauseabondo che accompagna ogni borsone sportivo che si rispetti. Quasi
ho pietà per quell’ecosistema che sta nascendo tra una maglietta umida e i
calzini un po’ puzzolenti, ma imperterrita svuoto il borsone mettendo tutto a
stendere sulla terrazza in attesa di un carico più pesante per poter fare la
lavatrice.
- zio Kell, ti va di vedere la mia
nuova Barbie?- cinguetta Arianne, varcando la porta di casa assieme a Kellan.
Aveva insistito per farsi accompagnare a casa da lui, la monella, e siccome
l’orso non sa dire di no, me lo trovo a camminare piegato quasi a novanta gradi
per mettersi all’altezza di mia figlia.
- certo tesoro, corri a prenderla- le
risponde guadagnandosi un sorrisone sdentato da parte della bambina.
- notizie del disperso?- mi chiede
tirandosi su e massaggiandosi la schiena dolorante.
- è disperso, l’hai detto. I dispersi
non danno notizie, sono dispersi- ribatto stizzita cacciando il borsone ormai
vuoto nello sgabuzzino.
Appena finisco di parlare, il suo
telefono prende a suonare insistentemente.
- toh! Parli del diavolo…- dice
guardando il display del suo cellulare.
- pronto?- risponde premendo il
tastino per il vivavoce.
- Kell dimmi che sei a casa mia- parla
la voce gracchiante di mio marito dall’altro capo del telefono.
- sono a casa tua-
- bene, puoi dire a quella vipera di
mia moglie di accendere il telefono?! È un’ora che cerco di chiamarla!-
Kellan mi lancia uno sguardo divertito
mentre mi giro dall’altra parte pur di non rispondere al telefono. L’ho chiamato
e richiamato, aspettato e aspettato e aspettato ancora. Dormo con il telefono
acceso e in ogni caso quello fisso è perfettamente funzionante. Io non mi sono
persa la prima di campionato di mio figlio questo pomeriggio.
- qualcosa mi fa intuire che non sia
disposta a parlarti, Rob-
- ma che novità. Comunque, verresti a
prendermi all’aeroporto? Pare che tutti i tassisti di New York siano andati in
sciopero e l’unica cosa che vedo qui sono file e file di auto che non danno
l’impressione di essere dei taxi travestiti da macchine normali-
- ok… va bene. Arrivo.-
- fai presto, ho già ritirato la
valigia!-
- ti sembra che io abbia un jet?-
- no, ma hai un suv! Sono praticamente
la stessa cosa-
- e su questo hai anche ragione -
- dai omone, muoviti-
Non lo saluta nemmeno e chiude la
chiamata.
- vado a prenderlo- sospira Kellan
recuperando le chiavi dell’auto dalla tasca del giubbotto.
- puoi anche lasciarlo li- commento
acida già tirando fuori ingredienti dal frigo per preparare la cena e preparando
già mentalmente tutta la serie di improperi che gli scaglierò contro non appena
varcherà la soglia di casa.
- su Ale, non essere così acida. È il
suo lavoro-
- il suo lavoro principale è fare il
padre e il marito, Kellan. Se tarda, chiama. Come tutte le persone normali-
Kellan alza gli occhi al cielo e mi
saluta con un bacio sulla guancia, prima di gridare ad Arianne e a Matt che sta
andando via e loro, a loro volta, gridano il loro “ciao” rispettivamente dalla
mansarda e dal bagno.
- Kell, resti a cena?- riesco a
chiedergli prima di vederlo sparire dietro la porta.
- No, Ale. Ho un appuntamento stasera-
mi risponde guardandomi con un sorrisetto furbo stampato sul viso da eterno
ragazzino.
- e quanto porta di reggiseno
l’appuntamento?-
- Ale, non essere sempre così
prevenuta. Ha una normalissima seconda!- mi risponde ancora ridacchiando mentre
chiude il portoncino alle sue spalle.
È sempre lo stesso, non c’è niente da
fare.
Per un attimo lascio vagare lo sguardo
per l’intera sala, valutando quante altre cose siano rimaste le stesse oltre a
lui. A parte i soggetti nuovi delle foto appese alla parete e nelle cornici sul
pianoforte, tutto è rimasto uguale, con l’aggiunta di una nuova consolle di
videogiochi sotto al tv, una cesta di giochi vicino all’ingresso e un tutù da
ballerina fresco di lavanderia appeso al gancio della porta aperta dello
sgabuzzino.
Casa mia è diventata casa nostra a
tutti gli effetti qua a New York, così come casa di Robert è diventata casa
nostra a Los Angeles. Il via vai è continuo, in qualsiasi stagione. Non
importano le quasi cinque ore di volo. Ci piace Los Angeles, piace ai bambini.
Non riesco mai a farli entrare in casa dalla spiaggia prima del tramonto,
qualsiasi sia la temperatura all’esterno. Li hanno anche più spazio per loro,
ognuno una cameretta tutta per sé, mentre qui dividono la mansarda che avevo
sempre usato da ripostiglio prima del loro arrivo.
In bella mostra al centro del piano,
la mia foto preferita attira la mia attenzione. Cornice spessa scura, sfondo
bianco, stampa in bianco e nero. Io e Robert all’altare il giorno del nostro
matrimonio sotto alberi carichi di petali rosa. Ci teniamo le mani, guardandoci
sorridenti negli occhi. Dietro di noi, coprendo quello che doveva essere il
prete, un’intensa luce bianca, una sagoma.
Mi è sempre piaciuto pensare che sia
Matt quella luce. Eravamo felici quel giorno. Avevamo tutto quello che potevamo
desiderare al mondo.
Non che ora le cose siano veramente
cambiate, però… non è più come prima. La vita vera è entrata nel sogno. Ora
siamo stressati. Siamo spesso lontani. Fisicamente, ma anche mentalmente. Sembra
quasi che abbiamo iniziato a volere cose diverse, senza renderci veramente conto
di quando tutto questo sia cominciato.
Tutte le volte che torna a casa dopo
un tour pubblicitario per un film, inizio a tremare ad ogni squillo del suo
telefono. Sentire la sua voce entusiasta che risponde al suo manager mi spacca
dentro, perché so che se lo porterà di nuovo via. Dai bambini… da me.
Questa volta non dovrò tremare. So già
che nel giro di due settimane al massimo sarà con la valigia alla porta per
andare a Buffalo per un nuovo lavoro. Più vicino, week end a casa, ma comunque
lontano durante la settimana.
Sto ancora preparando la cena quando
Matt mi chiama per farsi portare la roba pulita in bagno perché l’ha dimenticata
di sopra, proprio come suo padre.
Quante volte gli ho passato la tuta
dallo spiraglio aperto della porta per poi finire tirata dentro a quel bagno,
sotto la doccia, perché lo scroscio dell’acqua non ci facesse sentire dai
bambini? Non accadeva più da un po’ di tempo ormai.
Espletato il mio compito da mamma e
sorvegliato Matt perché si asciugasse i capelli e non andasse in giro con la
testa bagnata, decido di riaccendere il telefono. Mentre apparecchio il tavolo,
lo squillo ripetuto dei messaggi per chiamata senza risposta risuona un numero
pressoché infinito di volte prima che io mi decida a metterlo a tacere andando a
leggere i messaggi.
Stranamente trovo una chiamata senza
risposta di Kellan. Sto giusto per richiamarlo quando a suonare è il telefono di
casa.
- pronto?- rispondo incastrando il
cordless tra l’orecchio e la spalla mentre continuo a disporre piatti e
bicchieri.
- Ale! Pensavo avessi acceso il
telefono!- grida la voce di Kellan sopra l’autoradio acceso.
- ho acceso ora, stavo per
richiamarti. Che succede?-
- succede che sono imbottigliato nel
traffico, che ho dovuto tirare pacco alla mia seconda di reggiseno e che sono
ancora troppo distante dall’aeroporto. A quanto pare c’è davvero sciopero dei
taxi!-
- ok, Kellan, non ti preoccupare… anzi
scusa, sarei dovuta andare a prenderlo io-
- non ti preoccupare, dai. Lei mi
perdonerà, so sempre come farmi perdonare. Tu dai pure la cena ai bambini, io
cercherò di fare il prima possibile-
- d’accordo, Kell, grazie-
- di nulla, da un bacio ai bambini-
- ok, ciao-
Perfetto. Senza dire una parola tolgo
il piatto per Robert e lo ripongo nel pensile assieme al bicchiere e alle sue
posate.
- Bambini, andate a lavarvi le mani
che è pronto!- grido alzando il viso verso la porta spalancata della loro
cameretta.
- Matt! Dammelo!!!!-
- Dai Ary, voglio solo vederlo!-
- Mamma!!!!! Matt non mi vuole dare il
mio libro!!!!!!!-
- Matt dalle quel libro e
scendete!!!!-
Un rumore di passi doppio e qualche
tonfo sulle scale mi avvisa che i miei figli hanno deciso finalmente di
obbedire, richiamati forse dal profumo del pollo con le patatine.
Seduti a tavola e coi piatti pieni
attaccano a parlare a voce molto alta di tutti i loro piccoli problemi
quotidiani: Arianne del fatto che non ha molta voglia di andare a scuola
l’indomani perché certamente Pansy Perkins passerà metà della lezione a tirarle
i capelli, Matt a lamentarsi della verifica di geografia che non è stata ancora
consegnata, nonostante sia passata una settimana.
Li ascolto distrattamente, guardando
di continuo l’orologio a parete, osservando i minuti scorrere lenti mentre la
porta d’ingresso resta chiusa.
Divorata anche la loro consueta
coppetta di gelato post-cena, si aiutano a sparecchiare, dividendosi a metà la
superficie del tavolo perché chi finisce prima potrà scegliere il cartone
animato prima di dormire. Ovviamente Matt vincerebbe a occhi chiusi tutte le
volte, ma spesso lascia gentilmente vincere sua sorella sottoponendosi
volontariamente all’ascolto e alla visione di tutte le canzoni di “Barbie, lago
dei cigni” compreso di tutti i contenuti speciali del dvd. Certo, di tanto in
tanto si vendica con ore di litigate e bisticci vari, ma le vuole bene.
Stasera però non sembra dell’umore
adatto per sopportare una bambolina di plastica che balla per un’ora e mezza in
mezzo a fate e farfalle, e si sbriga a passarmi i piatti da mettere nella
lavastoviglie. Mi guarda e mi indirizza un sorriso stanco dopo aver guardato
anche lui la porta ed essere rimasto deluso dal fatto che non si fosse ancora
aperta.
- arriverà, tesoro. Zio Kell è andato
all’aeroporto a prenderlo ma è imbottigliato nel traffico- cerco di
rassicurarlo. Gli scompiglio i capelli corvini, unica mia eredità chiaramente
visibile, e lo stringo per un attimo prima che si divincoli un po’ imbarazzato,
come normale per i bambini della sua età. Troppo grandi per le coccole della
propria mamma.
Annuisce silenzioso, e altrettanto
silenzioso va alla cesta dei dvd per prendere “Cars – motori ruggenti” per
infilarlo nel cassetto del lettore.
Una volta su questo divano ci
mettevamo sempre io e Rob a guardare film fino ad addormentarci, coccolandoci di
tanto in tanto. Ora ci sono solo io a guardare cartoni animati con i bambini.
Prima di far veramente partire il
cartone li spedisco a lavarsi i denti, già convinta del fatto che si sarebbero
addormentati durante la visione e mi sarebbe toccato portarli in braccio fino ai
loro letti, come infatti accadde a circa metà cartone.
Prima Arianne, e subito dopo Matt,
decisamente più pesante, li porto nei loro letti, e come sempre passo un quarto
d’ora a guardarli dormire.
Matt rigorosamente supino con le
braccia fuori dalla coperta e Arianne una massa informe e rosa sotto la quale so
benissimo sarebbe stata appallottolata con il sedere per aria. I miei cuccioli.
Chiudo la porta e scendo di sotto,
cercando al buio il tasto dell’interruttore che avevo spento per il film.
My love, leave
yourself behind
Beat inside me, leave
you blind
My love, you have
found peace
You were searching
for release...
Una cuffietta nel mio orecchio. Una
mano calda sulla mia vita. Un respiro fresco sulla pelle del mio collo. Una
superficie solida alle mie spalle.
- scusa il ritardo- sussurra la sua
voce all’orecchio ancora libero.
...You gave it all,
into the call
You took her dancing
and
You took a fall for
us…
Un brivido involontario mi percorre la
schiena e mi fa rovesciare la testa indietro. Le note della nostra canzone che
continuano a suonare in un orecchio.
- avresti dovuto avvertire- rantolo
travolta dallo sconvolgimento che sentirlo così su di me mi aveva sempre
provocato. Le sue mani calde vagavano in circolo sul mio ventre al di sotto
della mia maglia sbrindellata.
- lo so, scusami- sussurra ancora
iniziando a farci muovere in un ballo lento.
- cos’è successo stavolta?- bisbiglio
lasciandolo fare, completamente travolta dal suo profumo e dal suo contatto
troppo intensi per non farmi dimenticare ogni passato proposito di litigio.
- il solito. Ritardo dell’aereo. Era
troppo presto per avvisarti, non volevo svegliarvi. E quando sicuramente eravate
già in piedi, sono decollato-
- avresti potuto mandarmi un
messaggio. Quando mi sarei svegliata l’avrei letto-
- dormi con la suoneria accesa, amore.
Ti avrei svegliata lo stesso-
...You came
thoughtfully, loved me faithfully
You taught me honor, you
did it for me
to late you will slip
away
You will wait for me my
love ...
- la prossima volta fallo lo stesso,
per favore. Preferisco mandarti a quel paese per cinque minuti che non per
l’intera giornata-
...Now I am strong (Now
I am strong)
You gave me all
You gave all you had and
now I am whole ...
- e se lo facessi apposta? Mi eccita
molto trovarti arrabbiata sulla porta di casa- mi provoca mordicchiandomi il
lobo dell’orecchio e accarezzandomi la curva del collo con le labbra.
...My love, leave
yourself behind
Beat inside me, leave
you blind
My love, look what you
can do
I am mending, I'll be
with you ...
- se spunti dal buio così, portando la
nostra canzone e queste carezze come offerta di pace, come faccio ad essere
arrabbiata?- trovo la forza di rispondergli nonostante il lento risalire delle
sue mani sotto il mio seno che mi hanno portato via molta della mia capacità
polmonare.
...You took my hand
added a plan
You gave me your heart
I asked you to dance
with me...
- sarebbe meglio se mi facessi trovare
nudo sul pianerottolo offrendoti del sesso sporco sul pavimento davanti casa?-
Voce roca, suadente. Sapeva come farmi
dimenticare persino il mio nome e tutto il mio risentimento quando voleva. E
voleva praticamente sempre.
...You loved honestly
Did what you could
release ...
- certo, come no. Sarebbe un ottimo
spettacolo per Ary. Così capirebbe da dove vengono i bambini- cerco di
ironizzare per mantenere un minimo di lucidità mentale. La maggior parte se l’è
già presa.
- potremmo sempre farne un altro per
essere del tutto chiari-
- magari poi, eh?-
- mm-mmm. Dobbiamo tenerci in
allenamento per “poi” allora-
Facendo attenzione a non portarmi via
la cuffietta dell’Ipod dall’orecchio, lascia che mi giri e ritrovi i suoi occhi
azzurri, chiarissimi nonostante la poca luce che filtra dalle tapparelle già
abbassate.
Il suo volto conta giusto una o due
rughe d’espressione a testimonianza del fatto che il tempo è passato anche per
lui. Ma il suo fisico solido è ancora perfetto, maturo. Non è più quello di un
ragazzo poco più che smilzo, è quello forte e vigoroso di un uomo nel suo
massimo splendore.
Capelli perennemente in disordine,
barba lunga di qualche giorno… labbra leggermente screpolate dal freddo. Quel
lieve sentore di tabacco che gli aleggia attorno a completare il suo profumo
buonissimo. Eccitantissimo.
...Now I am strong (Now
I am strong)
You gave me all
You gave all you had and
now I am whole
My love, beat inside
me...
- tenerci in allenamento, dici?-
sussurro completamente rapita dalla vista delle sue labbra schiuse.
- un bel modo di fare pace, non
credi?- risponde osservandomi famelico.
Non rispondo. Poso direttamente le
labbra sulle sue, lasciandomi travolgere completamente da lui. Dapprima lento e
cauto, poi sempre più profondo, mi abbandono a quel contatto che ci scambiamo
ormai da più di quindici anni ma che riesce sempre a togliermi il respiro come
la prima volta.
Quindici anni di lui. Un battito di
ciglia a pensarci in questo momento, un po’ di più quando le sue labbra non sono
sulle mie, quando non percorrono con tale brama il mio collo.
- mi sei mancato, Robert- sussurro
stringendo le mani nei suoi capelli quando mi sento sollevare da terra.
- anche tu mi sei mancata, amore mio-
mi risponde iniziando a salire le scale per andare in camera da letto.
E pace sia.
...My love, leave yourself behind
Beat inside me, I'll be with you.
My love- Sia
canzone di Ale e Rob
Ale e
Rob
Kellan
Matt e
Arianne
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