first trench
Titolo:
Schützengraben, Capitolo 1 – First Trench
Fandom:
Axis Powers Hetalia
Personaggi:
Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), Germania (Ludwig)
Genere:
Storico, Drammatico
Rating:
Nc17, Arancione
Avvertimenti:
Yaoi, Angst, Death, AU
Parole:
4,510 con Windows Office
Disclaimer:
I personaggi della fanfiction provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a
Hidekaz Himaruya
Note: 1.
Questo capitolo non è da rating arancione, ma ho preferito segnalare già da
subito che, col preseguire della storia, i capitoli acquisteranno più violenza
e conterranno anche alcune scene di sesso. Inoltre vi è la presenza di
linguaggio scurrile.
2. Il contesto storico è la Prima guerra mondiale; quello geografico è
certe cittadine francesi dove si sono svolte alcune delle battaglie durante
l’invasione tedesca. Gli anni vanno dal 1914 al 1916.
3. La fiction è basata su una puntata del programma City of the Underworld: Hitler’s trench. Tuttavia per ricreare un ‘ambientazione
adatta a far quadrare questi avvenimenti romanzati ho dovuto compiere delle
ricerche e per questo ho anche dovuto prendermi qualche licenza in modo da far
svolgere tutto in maniera che la storia risultasse di gradimento. In poche
parole possono esserci alcune inesattezze storiche.
4. Non so nulla né di francese nè di tedesco (e credo di essere scadente
persino in italiano) perciò sorvolate sugli errori di traduzione.
5. Poiché è la prima volta che scriviamo in questo fandom vorremmo
specificare che, come avrete capito, condividiamo un account e anche le
fanfiction di nostra produzione, tuttavia, poiché questa proviene da una
malsana idea di Yuri, lei ha preferito parlare al singolare in modo da
assumersi la totale responsabilità delle reazioni di disgusto che questa storia
susciterà in voi :P
First Trench:
Be alive
Arras, settembre-ottobre 1914
Era
un’insignificante cittadina francese, ma si trattava comunque del luogo più
inglese che avesse mai visitato dall’inizio della guerra, e ciò gli fece
avvertire un debole calore nel petto, dopo lungo tempo trascorso al gelo.
Lasciò che gli altri soldati lo sorpassassero per godersi un istante di quel
tenue sole che scaldava la terra.
La
piazza principale della città era racchiusa in un anello di case tutte uguali,
dalle facciate rosso mattone e le falde del tetto molto spioventi, gli
architravi bianchi intaccati da mesi di conflitti e incurie.
Il
cielo mostrava timidamente una tinta
azzurra. Allora… quel colore così puro esisteva ancora, da qualche parte.
“Caporal
Maggiore Kirkland.” La voce del Maresciallo lo riportò dolorosamente coi piedi
per terra. “Avrà tempo per trastullarsi quando le truppe saranno state
alloggiate. Ora si rechi di sotto ad ascoltare le istruzioni del Maresciallo
francese.”
Arthur
annuì in silenzio e riprese a seguire gli uomini in divisa che scendevano le
anguste scale in fondo all’ambiente – quella che forse era stata una locanda,
un tempo.
Seguire
le istruzioni di un francese, pensò con stizza. Erano stati gli inglesi a
organizzare quell’operazione, erano stati loro a decidere di utilizzare quelle
cave di gesso sotterranee per attaccare di sorpresa i tedeschi. Quei mangia
baguette non erano nemmeno stati in grado di mettere insieme un piano per
sfruttare a proprio vantaggio il loro territorio. Avevano la fortuna di avere,
nascosta sotto terra, la chiave per vincere la battaglia – e, perché no, magari
anche per rimandare a casa quei maledetti crucchi – e invece che darsi da fare
ci avevano costruito sopra un ristorante.
La
stanza sotterranea in cui giunse poco dopo si rivelò meno affollata del
previsto; probabilmente avevano organizzato la sistemazione dei soldati in
diversi gruppi – sicuramente era stata un’idea inglese.
Qualcuno
stava già parlando, davanti a tutti. Arthur sospirò. Lui era un Caporal
Maggiore: praticamente niente. Ecco perché se ne doveva stare dietro a tutti ad
allungare il collo per cercare di capire chi fosse a parlare. In ogni caso non
dovette sforzarsi troppo per intuire che il discorso provenisse dalla bocca di
un francese: l’accento e il fastidioso modo in cui lasciava scivolare via le
parole in un inglese appena accettabile erano inconfondibili. Dato che erano
venuti in loro soccorso potevano almeno sforzarsi di imparare decentemente la
loro lingua.
Ed
ecco apparire, tra una testa e l’altra dei suoi compagni d’armi, il
Maresciallo. Che diamine, e quello avrebbe dovuto essere un soldato? Sembrava
più un parrucchiere. Come si faceva a tenere dei capelli come quelli in periodo
di guerra? I suoi erano sempre secchi e spettinati, e di certo non era uno che
non tenesse alla sua persona! Ma in un momento del genere chi aveva il tempo o
i mezzi per stare a sistemarsi i capelli o a radersi quel ridicolo pizzetto?
Ci
volle meno di un istante per fargli destinare quel francese a una delle sue
categorie mentali: incompetente.
Gli
era del tutto passata la voglia di ascoltare le chiacchiere del soldato, ma se
poi il suo Maresciallo fosse saltato fuori a richiedere
un resoconto delle istruzioni, ribadendo improvvisamente il suo inutile titolo
di Caporal Maggiore, allora sarebbero stati guai e avrebbe perduto anche quello
sputo di prestigio che si era guadagnato. Così si costrinse ad ascoltare quella
che sperava fosse la fine di quell’interminabile sproloquio.
“Occuperete
la parte oscidentale delle gallerie
che stanno ultimando si essere scavate in questi giorni. La sistemasione dei giacigli è a vostra discresione, a patto che rimaniate nella
zona assegnata. A partire da oggi inisieranno
ad arrivare altri vostri connasionali,
pertonto è obbligatorio mantenere
l’ordine e la disciplina. E’ tutto. Au revoir!”
Arthur
strinse il proprio fucile con entrambe le mani per evitare di imprecare. Che
razza di modo era quello di congedare le truppe! Inaudito. E poi lo sapevano tutti
che erano gli inglesi a coordinare lo scavo delle gallerie. Poco importava se a
lavorare erano i neozelandesi. Facevano comunque parte del territorio
britannico.
Il
rumore prodotto dallo spostamento degli uomini gli impedì di arrivare a pensare
a insulti peggiori. Si decise ad evitare totalmente quella sorta di
“Maresciallo”.
Si
mise in coda per raggiungere gli alloggi. Quelle gallerie non erano per niente
accoglienti e l’idea di doverci trascorrere dentro un tempo indeterminato –
settimane, mesi! – lo metteva parecchio a disagio.
“Caporal
Maggiore!” Arthur sospirò pesantemente. Il suo Maresciallo gli si avvicinò non
appena lui si fu girato e gli ebbe rivolto il saluto militare.
“Agli
ordini” disse, forse con un tono non sufficientemente convinto.
“Voglio
subito un aggiornamento su tutti i plotoni di cui è programmato l’arrivo ad
Arras. Di quanti uomini si tratta e per che giorno è previsto il loro arrivo.
Inoltre, raccolte tutte queste informazioni, dovrà andare a riferirle
direttamente al Maresciallo Bonnefoy.”
Arthur
guardò altrove per un istante, per evitare di rivolgere al suo superiore
un’occhiataccia. Bonnefoy… persino il nome ricordava tutto fuorché quello di
una persona affidabile. Non riusciva proprio a scacciare dalla mente l’immagine
di quel cicisbeo che acconciava i capelli alle signore.
“Signorsì,
signore” fu costretto a rispondere. Ovviamente non era possibile che l’unico
proposito di quella giornata – mantenersi alla massima distanza possibile da
quell’individuo ambiguo – potesse essere portato semplicemente a compimento.
Andando
avanti e indietro per raccogliere le informazioni che gli erano state
richieste, Arthur ebbe modo di conoscere, almeno in parte, la zona d’entrata
dei tunnel. Si estendevano ovunque, i neozelandesi avevano dotato gli incroci
di segnali che riportavano il nome di località del loro Paese per riuscire a
orientarsi. Dopotutto quello era un lavoro enorme: i tunnel si sarebbero
protesi lungo tutta la terra di nessuno,
fino ad arrivare in faccia ai tedeschi. Quei crucchi… avrebbero pagato
duramente la loro arroganza.
Ora
che aveva raccolto tutte le informazioni che gli servivano, lo attendeva il
compito più difficile.
“Devo
fare rapporto al Maresciallo” annunciò a un soldato francese evitando
accuratamente di comunicare quel nome che non ricordava già più. Probabilmente
l’uomo non sapeva pronunciare una sola parola in inglese, perché si limitò a
indicare oltre la sua spalla sinistra.
Trovò
il “parrucchiere” seduto coi piedi su una vecchia scrivania in quella che
sembrava in tutto e per tutto una grotta – c’erano persino delle sottili
stalattiti sul soffitto che la luce di una lanterna illuminava di un giallo
cupo.
“Dis
moi, soldat” fu la prima frase che quell’individuo gli
rivolse. Davvero incoraggiante.
Arthur
non si sforzò di eseguire un saluto militare convinto. “Sono inglese. E sono un
Caporal Maggiore.”
“Oui, oui. Lo so. Voi inglesi siete
riconoscibili a chilometri di distanza.”
Sapere
a cosa si stava riferendo gli avrebbe solo fatto saltare i nervi, per cui
Arthur strinse i denti e andò avanti.
“Ho i
dati sugli arrivi delle altre truppe” disse piazzando i fogli sulla scrivania
senza troppa grazia.
“Vedo”
fu ciò che replicò il francese, fissandoli. Davvero molto acuto. “Merci, Caporale. So che il vostro non è
stato un viaggio breve, quindi se vuole posso farle strada fino al suo
alloggio.”
Arthur
inarcò un sopracciglio. “Mi pareva di aver capito che la sistemazione era a
discrezione di ogni uomo.”
“Scertamente, ma poiché si è attardato a
svolgere il suo dovere ho provveduto io ad assegnarle una sistemazione per la
notte. Prego, mi segua.”
Sinceramente
Arthur non vedeva l’ora di lasciar giù quello zaino che si portava dietro da
giorni, ma l’invito del Maresciallo aveva lasciato in lui un inspiegabile
disagio.
Mentre
lo seguiva, il francese riprese a blaterare. “Vuole sapere perché gli inglesi
sono così riconoscibili?”
No, avrebbe prontamente risposto Arthur se
non si fosse ricordato all’ultimo momento della distanza di grado che c’era tra
i due. Tacque, ma per l’altro questo non rappresentò un problema.
“Perché
avete sempre l’aria di chi si è appena scottato la lingua con del tè bollente,
ma fa di tutto per mantenere il controllo.”
Arthur
strinse i pugni. Decise che per una volta avrebbe fatto un favore ai tedeschi e
avrebbe risparmiato loro la fatica di ammazzarlo.
“Voi
francesi date sempre l’impressione di avere una piuma nelle mutande che vi
solletica il culo.”
Il
Maresciallo si voltò con un’espressione che Arthur non focalizzò – poiché
continuava a fissare deciso di fronte a sé – ma che si divertiva a immaginare.
Il
babbeo non impiegò molto a interrompere il silenzio che era calato con una
fastidiosa risatina.
“Voi
inglesi! Adoro sempliscemonte il
vostro humour!”
Si
fermarono di fronte a una pesante porta che si apriva su una stanza non troppo
spaziosa. Il soffitto era a botte e i letti a castello erano allineati lungo le
due pareti più lunghe.
Arthur
notò subito qualcosa di strano.
“Perché
i letti sono così grandi?”
L’altro
lo guardò come se avesse fatto la più idiota delle domande. “Ma è ovvio, perché
sono doppi. E’ per risparmiare spazio.”
Arthur
sbuffò. Solo i francesi potevano inventarsi una scusa simile per dormire tutti
ammassati in una grotta. Si avvicinò a quello che il Maresciallo aveva indicato
come il suo letto.
“E’
già occupato da qualcuno” notò Arthur, senza troppo entusiasmo.
“Oui, da me!”
Lo
zaino che Arthur si stava accingendo a togliere gli scivolò dalle mani e
precipitò a terra con un tonfo e un rumore di pentolame. Perché diamine aveva
lasciato il suo fucile all’armeria! L’avrebbe ammazzato con un solo colpo e
nessuno ne avrebbe sentito la mancanza!
“WHAT THE..!”
“Si
ritenga fortunato, Caporale. Dormirà negli alloggi dei Sottufficiali, nonostante
il suo infimo grado.” Rise. Ma come aveva fatto a sfuggire ai tedeschi fino a
quel momento?!
La
lingua di Arthur era paralizzata dalla rabbia. L’unico fattore positivo era che
almeno avrebbe avuto l’occasione di strangolarlo nel sonno.
Così
perso nell’immaginarsi il modo migliore per nascondere un cadavere, sobbalzò quando
si trovò la mano del Maresciallo di fronte alla faccia.
“Tra
compagni di letto ci si dovrebbe presentare.”
Arthur
lo guardò storto. “Siamo soldati, non amici che si incontrano al pub.”
“Ma
per diventarlo occorre prima conoscere i propri nomi. E siccome mi sembra il
tipico inglese che si dà un sacco di arie, inizierò io. Francis Bonnefoy, enchanté.”
“Arthur
Kirkland.” Dannazione! L’aveva fatto di riflesso. In fondo, era un gentiluomo,
lui!
“Fantastico.
Il prossimo passo è darsi del tu.”
“Credo
che mi fermerò qui dove sono.”
“Arthùr, non preferiresti insultarmi
senza badare alle formalità?”
Arthur
lo prese come un invito. “Prova ancora ad importunarmi e troverò il modo di
spedirti di fronte alla corte marziale.”
Francis
rise di nuovo. “Magnifique! Non vedo l’ora di
scoprire di cosa mi accuserai.”
Non
aveva mai immaginato di potersi permettere una simile confidenza con un suo
superiore, ma quando si trovava costretto a parlare con quel damerino gli
insulti non mancavano mai. Era più forte di lui, non riusciva a trattenersi. E
sicuramente l’altro non faceva nulla per evitarlo: pareva che provasse un
insano divertimento nel stuzzicarlo. La vita in Francia doveva essere molto
noiosa se per loro quello rappresentava il miglior passatempo. O semplicemente
era quel Bonnefoy ad avere avuto un’infanzia difficile. Sì, aveva sicuramente
ricevuto parecchi colpi in testa per ridursi in quello stato.
Arthur
si maledì per la terza volta. Pensava troppo e questo gli impediva sempre di
dormire bene. Non gli avrebbero certamente permesso di attardarsi sotto le
coperte perché lui non finiva di arrovellarsi il cervello in viaggi mentali
senza fine. Così si impose nuovamente di mettere a tacere i pensieri e dormire.
Ovviamente
anche la situazione in cui si trovava non lo aiutava a prendere sonno. Sebbene
voltasse le spalle a Francis non si sentiva per nulla a suo agio… anzi. Ma non
osava più muoversi da parecchio tempo. Finalmente si era zittito e aveva
interrotto i suoi sproloqui sulle bellezze della Francia e dei francesi e sulla
frigidità degli inglesi, se l’avesse svegliato non avrebbe sopportato un altro
minuto di quelle idiozie.
Chiuse
gli occhi. C’era troppo freddo per dormire. Era incredibile come l’umidità si
raccogliesse sotto terra. Di giorno era quasi soffocante, ma di notte, quando
calava la temperatura, tutta l’acqua che si era depositata sulla pelle e sui
vestiti di raffreddava e Arthur iniziava a tremare. Per lo meno le coperte
erano singole.
Si
alitò nelle mani per riscaldarsi un po’, ma il risultato fu effimero.
Sospirando nascose la testa sotto la coperta. Aveva capito che sarebbe stata
una lunga notte.
“Hai
trovato pace, petit Arthùr?”
Quelle
parole sussurrate all’improvviso nel suo orecchio per poco non gli provocarono
un infarto.
“Tais-toi!”
“Oh!
Ma allora conosci un po’ della mia lingua.”
“Ho
dovuto per forza imparare qualche parola per farvi chiudere quella boccaccia. E
ora lasciami in pace.”
Si
rannicchiò per trattenere un po’ di calore e si spinse sul bordo del letto, ma
una mano gli si posò sul fianco.
“Hai
freddo? Mon dieu, sei tutto bagnato.”
“What the fuck!! Che idiozie vai
dicendo?!”
“E’
colpa dell’umidità, stupido inglesino frigido. Mi deluderesti se ti eccitassi
per così poco.”
Arthur
si girò di scatto, ritrovandosi inaspettatamente a pochi centimetri dal naso di
Francis. “Ora chiudi quella dannata bocca e piantala con questi discorsi da bordello da quattro soldi!”
Si
girò nuovamente, deciso a non rivolgergli più la parola. Non trascorsero che
pochi minuti quando il braccio di Francis spuntò dall’oscurità a stringergli i
fianchi.
“Mi
sembrava di averti detto di finirla! Vuoi che ti tagli una mano?” minacciò
Arthur su tutte le furie.
“E
tu vuoi congelare, stupido ragazzino? Chiudi quella bocca acida e dormi.”
Poiché
era la prima volta che veniva zittito da Francis, Arthur non replicò. Rimase
solo a tormentarsi il cervello con mille pensieri che si sovrapponevano
confusamente.
Francis
non parlò più. Poco male. Dopo un po’ Arthur pensò che si fosse addormentato,
così chiuse gli occhi a sua volta.
Quella
notte fece un sogno strano: aveva dei bellissimi capelli lunghi e Francis
glieli tagliava senza pietà. Maledetto parrucchiere.
La
prima settimana trascorse tra la frenesia dei preparativi al combattimento, ma
Arthur e l’intero plotone non impiegarono molto per comprendere che l’attacco
a sorpresa che avevano a lungo preparato
avrebbe dovuto aspettare ancora. Ogni giorno continuavano ad ammassarsi sempre
più soldati e la convivenza in fondo alle gallerie stava iniziando a diventare
problematica.
Sebbene
fossero state scelte truppe conosciute per la loro affidabilità, i soldati
diventavano sempre più impazienti e le liti scoppiavano di frequente.
L’inattività rendeva gli uomini irritabili e indisciplinati.
Arthur
non poteva partecipare ai consigli di guerra ma Francis ogni tanto era invitato
a prendervi parte e la sera gli riferiva ciò che era venuto a sapere. La loro
era diventata una relazione fatta di paradossi. Ogni istante che Arthur
trascorreva con lui lo portava sempre più vicino alla rabbia cieca e al
desiderio di farlo fuori una volta per tutte, ma l’aspettativa di notizie
dall’esterno lo costringeva ad attendere con leggera impazienza i colloqui
intrattenuti con lui nello stesso letto.
Dalla
seconda settimana iniziarono le esercitazioni. Arthur aveva già preso parte ad
alcune missioni di carattere alquanto insignificante, ma quella che si
accingeva a intraprendere era, di fatto, la sua prima battaglia. Combattere per
la patria, sconfiggere il nemico. Questi erano gli ideali che i Capi di Stato e
l’esercito imprimevano con forza nella mente di ogni soldato, e Arthur ci aveva
fermamente creduto.
Alla
terza settimana aveva l’impressione che quei pensieri, così fortemente radicati
in lui, non gli appartenessero. Iniziava a domandarsi il vero motivo per cui si
trovasse a vivere come una talpa da quasi un mese e con l’unico obiettivo di
una battaglia imminente.
Quando
i suoi incarichi lo portavano in giro per le grotte, si ritrovava
inevitabilmente a fissare quelle interminabili scale che avrebbero condotto
tutti loro verso l’inferno della terra di
nessuno. Un giorno sarebbe sbucato fuori dalle gallerie e si sarebbe
trovato faccia a faccia con un tedesco. E in quello stesso istante avrebbe
dovuto premere il grilletto.
Quella
lunghissima scala che si perdeva nell’oscurità simboleggiava la sua corsa verso
l’ignoto.
Non
poteva accettare che il suo domani rimanesse avvolto dalle tenebre.
Francis
colse il suo stato d’animo quella notte.
“Sei
più arrabbiato del solito” notò, senza degnarsi di indagare prima di fare
affermazioni impudenti.
“L’oggetto
della mia rabbia è sempre lo stesso” rispose Arthur, tentando di essere
laconico e non degnandolo di uno sguardo. Dopo tutte quelle notti trascorse a
voltargli le spalle aveva il fianco e la spalla sinistri tutti indolenziti.
“Il
fatto che la mattina non ci siano mai dei croissant decenti? Sappi che mi sono
già lamentato per questo.”
“Idiot. Parlo di questa guerra, di questo
buco, dei tedeschi e dei francesi.”
“Concordo
sulle prime tre, ma purtroppo nessuna di loro dipende da me, quindi non vedo
perché mai dovresti essere in collera con i francesi” disse Francis in un tono
conciliante che Arthur aveva sentito raramente uscire da quella boccaccia
altezzosa.
“Non
dovrei essere qui.”
“Secondo
il buon senso nessuno di noi dovrebbe.”
Arthur
fu assalito da un’ondata di collera: Francis si ostinava a non capire o
semplicemente si divertiva a stuzzicarlo. Si voltò trovandoselo appiccicato al
naso.
“Finiscila
di fare l’imbecille. Sono incazzato perché non capisco il motivo che mi ha
spinto ad essere qui, ora, a combattere una guerra che non è mia! Perché dovrei
stare qua a rischiare la pelle per voi?! E’ il vostro insulso Paese ad essere
stato attaccato e se non siete in grado di difendervi sono problemi vostri!”
Per
una volta, Francis rimase serio. “Ragioni da moccioso.”
Arthur
digrignò i denti e si voltò di nuovo. Un’altra parola e lo avrebbe coperto di
insulti svegliando tutti i presenti. Francis non batté ciglio.
“Se
i tedeschi prendono la Francia arriveranno sicuramente anche in Inghilterra,
ancor prima che ve ne accorgiate. Siamo tutti nella stessa situazione.”
Era
inutile negarlo: Arthur non era uno sprovveduto, sapeva benissimo che Francis
aveva ragione, tuttavia non lo avrebbe mai ammesso.
“Non
stai combattendo per il mio Paese, ma per il tuo, anche se adesso ci ritroviamo
nello stesso letto.”
Francis
si faceva odiare sempre di più, perché aveva sempre più ragione. In ogni caso,
che stessero combattendo per il proprio Paese o per qualunque altro, loro non
c’entravano niente.
“Lo
so bene” rispose Arthur a bassa voce. “Se il mio Paese è in pericolo io
combatterò per lui, perché non c’è nessuno più inglese di me. Ma proprio per
questo non ho alcuna intenzione di buttare la mia vita in una trincea, perché
solo restando vivo posso fare qualcosa per scacciare i crucchi.”
Francis
gli accarezzò la testa ma Arthur lo scacciò immediatamente.
“Mi
fa piacere che la pensi così” disse il francese, ormai avvezzo all’irritabilità
di Arthur, “perché voglio poter ascoltare ancora la tua vocetta acida che sputa
insulti a qualunque cosa respiri.”
L’inglese
gli lanciò un’occhiata disgustata. “Sarà anche per piantarti una pallottola in
faccia che sopravvivrò, ricordatelo.”
E
Arthur sapeva come fare. Non vi erano molte alternative per restare in vita,
evitando il campo di battaglia: disertare o trovare il modo di mandarci altra
gente, e quest’ultimo metodo lo attirava parecchio. Scalare il potere e
giungere ai vertici, ecco qual era il miglior sistema per poter vedere la fine
di quella guerra.
Stava
osservando le piccole stalattiti sul soffitto quando Francis invase il suo
campo visivo e depositò un bacio sulle sue labbra. Arthur, colto di sorpresa,
impiegò qualche istante per comprendere cosa stesse accadendo, ma quando se ne
rese conto allontanò quel peso morto con un sonoro schiaffo. Si alzò a sedere
di scatto facendo volare via le coperte.
“Ma
che cazzo pensi di fare?!”
I
due che dormivano sul letto di sopra si mossero e Arthur si morse la lingua. Ma
non poteva fare finta di niente!
Francis
ripartì all’attacco senza esitare. “Arthùr,
domani avrà inizio l’operazione, potremmo anche non vederci più e io sono stufo
di accontentare i tuoi capricci da adolescente, quindi ora preparati perché
posso sopportare tutti gli schiaffi da femminuccia che mi infliggerai.”
Allungò
le braccia ma Arthur fu più veloce ed estrasse il coltello che teneva sotto il
cuscino. A quello Francis non poté restare indifferente, dato che la lama ora
premeva sulla sua giugulare. Guardò il coltello con una punta di
preoccupazione. “Sei proprio un bastardo” disse ghignando. Riusciva a
divertirsi anche in situazioni del genere, quel perverso.
Premendo
la lama sulla sua pelle, Arthur lo costrinse a tornare sdraiato.
Lui
non era come Francis. Diavolo, Arthur stravedeva per le tette, più grosse erano
più era contento e l’idea di scoparsi Francis era semplicemente repellente.
Tuttavia, il pensiero di averlo in pugno, in quel momento, si avvicinava alla
sensazione di trovarsi di fronte a un seno taglia quinta.
Lo
guardò a lungo prima di decidersi a fare la prima mossa, ma il pensiero di
fargliela finalmente pagare – nell’unica lingua che il francese conosceva – gli
diede la spinta sufficiente a chinarsi su di lui, non senza una certa irruenza.
Il coltello premeva ancora sulla sua gola, perciò quando Arthur gli aggredì la
bocca, la reazione di Francis fu limitata.
Le
sue labbra cercarono nuovamente quelle dell’inglese quando si furono separate,
ma Arthur non aveva alcuna intenzione di accontentarlo. Lo fece restare al suo
posto mentre comprendeva, finalmente, il piacere perverso che si provava nello
stuzzicare qualcuno.
Decise
di sperimentare nuovi approcci, così la sua lingua accarezzò dapprima la
guancia, poi l’orecchio, rubando al francese gemiti sommessi. Quando questi
tentò di voltarsi per far incontrare le labbra, Arthur lo bloccò affondando i
denti nella carne del suo lobo e Francis gemette di nuovo.
“Maudit perverti” bisbigliò irritato.
“Almeno ammetti che tutto questo ti piace.”
“Mi
piace vederti sottomesso, Maresciallo.”
Con
un movimento improvviso, il francese gli afferrò contemporaneamente la mano che
stringeva il coltello e la testa, così Arthur perse la presa e si ritrovò in
bocca la lingua di Francis. Tentò di ritrarsi, poiché non era questo ciò che
aveva pensato. Non avrebbe concesso niente a quel pazzo, voleva insegnargli a
stare al suo posto, ma ora che rifletteva di nuovo la situazione volgeva
totalmente a suo svantaggio.
Ora
Francis gli teneva stretti entrambi i polsi e Arthur dovette appoggiarsi
completamente su di lui. Quando il Maresciallo tentò di nuovo di insidiarsi
nella sua bocca, lui gli morse la lingua e Francis si ritrasse talmente in
fretta da sbattere contro la testiera in ferro del letto. Approfittò del
momento per rotolare giù dal corpo di Francis, ma questi fu veloce: era già
sopra di lui con un sorriso trionfante.
“Ci
hai provato, piccolo bastardo. Ora è il mio turno.”
Questa
volta fu il collo di Arthur ad essere invaso da baci e morsi, solo che i suoi
non erano gemiti di piacere, bensì di rabbia. Sentiva che Francis si stava
eccitando e ciò gli fece provare un istante di panico. Senza rifletterci oltre
sferrò una ginocchiata in mezzo alle gambe dell’altro che soffocò
un’imprecazione e si lasciò cadere sul materasso.
La
lotta li aveva lasciati entrambi stremati a ansanti.
“Però…
te la sei cercata” disse Francis, ridendo tra le smorfie di dolore.
“Sei
tu… che sei un maiale” ribatté Arthur col fiatone.
“Riesci
a capire fin dove mi sarei spinto?”
Arthur
rabbrividì. “Non farmici pensare.”
Rimasero
in silenzio. L’inglese aveva già chiuso gli occhi quando sentì delle dita
accarezzargli la guancia e sussultò. Le labbra di Francis erano pochi
millimetri da lui.
“Da
domani cambierà tutto. Qualunque cosa accada, restiamo in vita.”
Quando
Arthur ebbe la certezza che non sarebbe più stato aggredito, si lasciò andare
al sonno, ma non ebbe il coraggio di scacciare quel braccio che gli cingeva le
spalle.
Perché
sarebbe cambiato tutto.
Il
giorno seguente Francis fu trasferito a Vauquais.
“Ci
sono delle mine! Le mine…”
Le
orecchie di Arthur fischiarono e l’esplosione gli rimbombò fin nelle viscere.
Terra, legno, arti gli piovvero addosso, ma anche questa volta si ritrovò
illeso. In quei tre giorni di battaglia i tedeschi avevano fatto esplodere
delle mine sotterranee per tentare di fermare l’avanzata nemica, e fino ad
allora Arthur le aveva mancate tutte. I tedeschi si ritiravano lentamente ma la
battaglia infuriava.
“Tenersi
pronti alla carica! Preparate i fucili!”
Arthur
si aggrappò alla sua arma, rannicchiato nella trincea assieme agli altri
uomini. Strinse forte la presa, focalizzò i movimenti che avrebbe compiuto:
correre, puntare il nemico, sparare, sdraiarsi, sparare, sparare, sparare.
“All’attacco!”
Cazzo.
Quel dannato zaino lo tirava per terra e gli impediva di correre bene. Il
soldato al suo fianco scivolò nuovamente nella trincea, colpito a morte da un
proiettile. Arthur si arrampicò e fu fuori. In lontananza si udivano i colpi di
cannone. Il suo obiettivo era la trincea nemica che i tedeschi avevano
abbandonato indietreggiando. In tre giorni avevano conquistato dieci metri di
terra. In quel momento la sua vita si riduceva a un solo scopo: quel fossato.
Iniziò
a correre. Alcuni nemici opponevano l’ultima resistenza da dietro dei sacchi di
sabbia poco più in là della trincea e sapeva che altri si nascondevano tra gli
alberi alla sua destra, ma stavano venendo sterminati dagli alleati.
Una
testa priva dell’elmetto fece capolino dal riparo dei sacchi, Arthur mise un
ginocchio a terra, mirò, sparò. Mancato, ma il crucco si era abbassato. Aveva
guadagnato qualche istante per proseguire la sua corsa.
Per
quanto ne sapeva, sotto di lui poteva celarsi una mina, oppure un ultimo
tedesco sarebbe potuto spuntare dalla trincea e freddarlo con un unico colpo.
Entrò nel fossato con un salto e atterrò su un cadavere carbonizzato dai
lanciafiamme. Si guardò attorno alla ricerca di nemici nascosti, ma non ne
vide. Riprese a respirare appoggiandosi al fucile e riparandosi dai proiettili
vaganti, attendendo che gli altri soldati lo raggiungessero.
Rimase
all’erta: non aveva nessuno che gli coprisse le spalle. Se Francis fosse stato
lì, sicuramente non si sarebbe mai allontanato dalle sue spalle… e dal suo
fondoschiena.
Arthur
chiuse gli occhi, aveva solo pochi istanti prima di dover riprendere la sua
corsa verso la morte.
Dal
bosco provennero delle grida.
“À l’aide!”
Arthur
avvertì un brivido serpeggiargli lungo la colonna vertebrale. Era francese…
Sentì
un proiettile fischiargli a pochi centimetri dalla testa. Cazzo! Si era
dimenticato del crucco là davanti e si era alzato troppo oltre il bordo della
trincea.
Altre
grida dagli alberi e l’inconfondibile rombo del lanciafiamme. Il tedesco sparò
di nuovo.
“Adesso
basta!” urlò Arthur furibondo. Saltò fuori dal fossato e corse verso la
barriera di sacchi di sabbia. Piantò i piedi per terra e si inginocchiò. Un
proiettile lo superò, un altro dovette aver fatto centro perché sentì un vago
bruciore al fianco, ma non si mosse. Prese la mira e fece fuoco. Dalla barriera
non giunsero più altri spari.
Arthur
ansimò, scosso dai brividi. Sentì del sangue bagnargli la giacca all’altezza
della cintura.
“À l’aide!” Il disperato richiamo si fece
più vicino e Arthur non attese oltre e si gettò tra gli alberi. Seguì il suono
della voce, ma più che altro fu attratto dall’odore di bruciato. Lingue di
fuoco si fecero strada tra i rami… no, era un uomo in fiamme. Corse verso
l’inglese invocando aiuto con quell’accento ormai familiare, ma Arthur sapeva
bene di non poter far niente, anzi, se fosse rimasto lì sarebbe finito anche
lui preda del fuoco. Si scansò di lato, ma fu incauto. Da dietro un tronco
carbonizzato un tedesco puntava l’arma contro di lui.
“Fuck!”
Arthur
sollevò il fucile, ma fu più lento del nemico.
Continua
Bene,
il primo capitolo è concluso e siamo entrambe pronte ad essere lapidate
pubblicamente. Non è la prima fiction hetaliana che scriviamo, ma sicuramente è
la prima che pubblichiamo.
Speriamo che il primo impatto sia stato gradevole perchè ci piacerebbe davvero
tanto proseguire questa storia, possibilmente accompagnate dai vostri commenti
e dai vostri consigli! Siate spietati, ma anche comprensivi, siamo due povere
menti perverse....
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