Note dell’autrice:
Buona sera a
tutti i miei amati lettorucci! Ok,, questo
NON e’ il primo capitolo vero e proprio della storia, ma è solo un
prologo.
Tanto per darvi la certezza che questa ficcy la sto scrivendo sul serio XD
Detto questo, posso
solo gridare al mondo che…MI SIETE MANCATI *__* da impazzire!
Prometto che cercherò
di non deludere le vostre aspettative, e di fare in modo che anche
Winter Time
vi prenda e vi appassioni come Summer Time.
Spero davvero di
riuscire a creare un capolavoro, questa volta. Mi impegnerò al massimo,
quindi
seguitemi, mi raccomando <3.
Detto questo: buona
lettura, e buon divertimento J
Winter Time.
Prologo: what i’m waiting for?
Sapeva di doversi alzare.
Sapeva che là, fuori da quella stanza disordinata,
giù in
cucina, sua madre stava preprando il caffè.
Anzi, stava bruciando
il caffè.
E poi si lamentava se lui non sapeva farsi neanche
un piatto
di ramen.
Ok, in quel caso era diverso, perché nel ramen
dovevi
ficcarci solo l’acqua calda e aspettare tre minuti, ma non era colpa
sua se
ogni volta era così affamato da non badare minimamente al tempo.
Certo, poi il ramen veniva fuori che era tutto
annacquato e
schifoso, ma del resto, Sora era famoso per non essere particolarmente
schizzinoso.
“SORA! E’ la quinta volta che la mamma ti chiama!”
Suo padre, affacciato alla porta della camera,
lanciava
sguardi glaciali al figlio, di cui l’unica parte del corpo visibile era
il
piedi destro, mentre il resto era completamente avvolto dal.piumino.
Aspettando che Sora rispondesse, il signor Mayumi
ne
approfittò per guardarsi intorno.
Oh, fantastico.
Quello scemo di suo figlio aveva sistemato solo
tre giorni
prima, eppure sembava che fosse passato un uragano, lì dentro.
Gli cadde subito alla
vista una pila disordinata sul pavimento
di dvd accanto alla tv, da un lato della
quale pendevano, in bella mostra, un paio di mutande grigie con
disegnati…cos’erano, supereroi quelli?
Mentre cercava di capire se si trattasse di Batman
o de
L’uomo Torcia, sentì un mugolio
infastidito provenire da sotto quell’ammasso di coperte, e un leggero
movimento.
“Sora, se non scendi subito e con la divisa già
addosso tua
madre ti lancerà il microonde” abbassò lo sguardo, pensieroso “…o
probabilmente, con la vista che si ritrova, lo lancerà a me.”
“Mmmmmscì, allivo.” Bisbigliò Sora, tirando poco a
poco il
visino fuori da sotto le coperte come una tartaruga che si guarda
impaurita
dopo un colpo sulla corazza.
Il signor Mayumi sbuffò, mostrando disappunto:
“Oh,
figliolo, andiamo! Smettila di fare la vittima! Anche io alla tua età
ero
traumatizzato all’idea di tornare a scuola dopo aver passato delle
splendide
vacanze che…”
“Papà, non devi andare a lavoro?!” lo interruppe
bruscamente
il figlio, sapendo che i ‘racconti di gioventù’ di suo padre duravano
per tempi
variabil tra i quindici e i settantacinque minuti.
E, sinceramente, già la prospettiva di dover
tornare tra i
banchi era a dir poco nauseante.
…ehy, che parolone! ‘Nauseante’!
Da quando era diventato così colto?!
Preso dall’ammirare la scelta di una parola così
da
intellettuale, neanche notò che suo padre era uscito dalla stanza
mandandolo
a…beh, in un luogo dove di solito i padri non mandano i figli.
Si stiracchiò placidamente come un gatto, sentendo
le ossa
che piano piano tornavano a muoversi come sempre, e uno squillo
martellante lo
fece alzare tutto d’un botto dalla sorpresa.
“Ma porca…cellulare del cavoloooo!” esordì,
nervoso,
prendendo il telefonino illuminato dal comodino e chiedendosi chi fosse
quel
pazzo che gli rompeva le palle alle sette di mattina del primo giorno
di
scuola.
Nonostante le sue intenzioni omicide, però, Sora
si ritrovò
a sorridere come un idiota quando lesse il mittente del messaggio.
Ehy, principessa su ‘sto
cazzo, ci vediamo alle sette e trentacinque
all’angolo di casa mia. Altrimenti per me puoi pure fartela a piedi.
Bacio,
Riku.
…ok, come al solito il romanticismo di Riku
sembrava essersi
andato a fare una passeggiata, ma tant’è.
Ormai avrebbe dovuto essersi abituato a quel
carattere di
merda che si ritrovava ( e alla sua delicatezza verbale), eppure ogni
volta che
gli mandava un messaggio del genere restava impalato dieci minuti a
guardare il
vuoto davanti a sé, chiedendosi cosa gli piacesse in lui.
Ovviamente la risposta era eloquente:gli piaceva
tutto, di
Riku.
Che poi fosse il ragazzo più irritante, egoista,
vanitoso e
presuntuoso sulla faccia della Terra…beh, era solo un dettaglio.
Spinto unicamente dalla voglia di rivedere Riku,
cacciò
indietro il pensiero di dover affrontare otto ore di scuola e si avviò
verso il
bagno, sperando che quell’anno scolastico non sarebbe stato un totale
disastro.
**
“Good-morning, cuginetto!”
Roxas, nonostante si fosse svegliato circa
quindici minuti
prima, dopo due sole fermate di metropolitana già stava di nuovo
sonnecchiando
appoggiato al vetro.
Kairi, notando che non l’aveva sentita, un pò per
il sonno
un po’ per il volume alto (decisamente troppo)
delle cuffiette, gli si avvicinò di
soppiatto e, urlando, gli mise le mani su entrambe le spalle.
“AAAAAAH, SI’, SONO SVEG..uh? Kairi, ma che cavolo
fai?!”
grugnì il ragazzo, che aveva ovviamente attirato
su di sé tutti gli sguardi dei passeggeri.
Compreso, tra l’altro, quello di una vecchina più
bassa di
un gremlin con le orecchie decadenti e il viso pieno di rughe rivolto
verso di
lui, in un’espressione invimperita.
Roxas borbottò un “Mi
scusi” poco convinto, mentre davanti a lui la cugina rideva come un
bambino che
guarda una scimmia in bikini.
“Grazie per la bella figura, Kacchan” disse poi
lui,
guardandola offeso.
Kairi, il cui viso fu per un attimo illuminato dal
sole che
entrava caldo dai vetri della metro, gli diede un bacio sulla guancia e
sorrise, raggiante.
“Scusami, Rox. E’ stato più forte di me.”
Roxas, suo malgrado, si ritrovò a sorridere.
“Chissà come mai, mettermi in situazioni
imbarazzanti sembra
essere il principale hobby di tutte le persone che mi conoscono.”
“Ti sbagli, il nostro hobby è offendere Sora.
Diciamo che
spaventare te è una libertà unicamente mia.”
Roxas inarcò un sopracciglio biondo.
“E di Axel.” Puntualizzò.
“Già…anche sua” esclamò Kairi, concedendogli
almeno questo.
“A proposito…com’era la casa che ha visto Venerdì?”
Roxas, a quella domanda, alzò gli occhi al cielo.
“…stendiamo un velo pietoso. Non gli è andata bene
neanche
questa. Se non si sbriga a trovare un appartamento entro la fine del
mese, la
Todai se la vede giusto in cartolina!”
“Beh, ma non dice sempre che vuole stare a
Shibuya? Perché
non cerca direttamente lì?” chiese la ragazza, facendo ondeggiare la
gonna
corta della divisa scolastica.
Roxas alzò le spalle, mentre il sonno pian piano
cominciava
ad allontanarsi.
“Che vuoi farci, Kacchan? Gli affitti lì sono
troppo alti, e
se quel baka non decide a trovarsi un lavoro serio…” la frase fu
interrotta
dalla suoneria del cellulare.
Roxas lo cacciò fuori dalla tasca e rispose, senza
neanche
guardare il nome sul display.
Sapeva che era Axel.
Gli aveva promesso che lo avrebbe chiamato in quel
preciso
istante tutto l’anno sin dal primo giorno di scuola, e
nonostante Roxas lo avesse avvertito che
probabilmente le risposte non sarebbero state abbastanza educate,
quello scemo
la promessa già la stava mantenendo.
Ignorando bellamente la cugina che, legandosi i
capelli,
sghignazzava verso di lui, si senti
espoldere nell’orecchio una specie di tuono da mille watt.
“BUONGIORNOOOOOOOOOOOOOOOO piccolo
Roku-chaaaaaaaaaan!”
Roxas, saltando tre metri per aria e ritrovandosi
con un
timpano traforato, cercò di reprimere l’istinto di urlare parolacce,
non per
altro perché si trovava su un mezzo di trasporto pubblico (e la
vecchietta di
prima, davanti a lui, ancora lo stava osservando sconcertata,
visibilmente
tentata di dargli la borsetta di pelle di coccodrillo in testa e
sbatterlo
fuori dal finestrino. Rompendo il vetro, se necessario.).
“Demyx, ma che diavolo ci fai con il cellulare di
Axel?! E
soprattutto…perché devi urlare di prima mattina, porca vacca??!”
Demyx, dall’altra parte dell’apparecchio, sorrise
raggiante:
“Axel sta litigando con il letto richiudibile, solo che voleva esser
puntuale
e…”
Una voce a poca distanza da quella di Demyx urlò
un “Non è
vero! Brutto chitarrista del…”
Il timpano di Roxas fu notevolmente danneggiato
per la
seconda volta nell’arco di un minuto di telefonata, stavolta da qualche
parolaccia e un rumore simile a quando cade la linea.
Dopo pochi secondi, la voce di Axel lo salutò con
un serio:
“Bonjour, mi corazon.”
Roxas, invece di essere rapito da tale
romanticismo, sollevò
un sopracciglio, impassibile.
“Ax, non puoi mischiare due lingue nella stessa
frase. E’
patetico.”
“…è bello sapere che apprezzi i miei sforzi di
fare il
fidanzato perfetto, Rox.” Ribattè Axel, offeso.
Roxa non potè reprimere una risata: “Dài, sto
scherzando.
Buongiorno, fidanzato perfetto.”
Axel, sdraiato sul divano, assunse un’espressione
così da
ebete che Demyx rischiò di vomitare l’avanzo di pizza che stava
mangiando.
“Allora, come si preannuncia questo primo giorno
di scuola?”
“Una palla unica, come tutti gli anni. E giuro che
se sto in
classe con Sora mi dò al suicidio”
Kairi, accanto a lui, gli diede una botta in testa
con il
libro di inglese, e il cugino in tutta
risposta le mostrò la lingua.
Scherzava, ma non del tutto. Sora era il suo
migliore amico,
si volevano un gran bene e tutto il resto…ma averlo come compagno di
banco
dalla terza elementare aveva fortemente influenzato il suo equilibrio
psicologico.
Danneggiandolo, ovviamente.
“Beh, almeno tu non devi vivere in un appartamento
di cinque
centimetri per due con un coinquilino stonato, un angolo cottura che
sembra
uscito dal camper di Barbie e un solo bagno senza finestra.”
“…Axel, il bagno ha
la finestra”.
Momento di silenzio.
“…oh, bèh, dall’odore che c’è in quel buco credo
che Demyx
l’abbia rotta, o robe simili.”
Roxa sentì la colazione tornargli sullo stomaco come un vortice.
“E’ bello parlare di merda con te al mattino
presto.” Disse,
ironico.
La voce meccanica della metro annunciò il nome della fermata, e Kairi
fece
segno a Roxas di chiudere la telefonata.
“Emh…Ax, devo andare, la prossima fermata è la
nostra. Ti
mando un mesaggio in pausa pranzo, così ci accordiamo per oggi.”
“Va bene, piccolo. Buona scuo…DEMYX, CAZZO, CHE CI
FA LA
CARTA IGIENICA SOTTO AL CUSCINO DEL DIVANO?!”
Roxas, notando che c’era stato un piccolo
contrattempo,
chiuse la conversazione e ricacciò il cellulare in tasca, sbuffando.
Kairi, da sotto la frangetta rosso chiara, lo
studiò
apprensiva.
“Preparati. Temo che ci sarà il panico, in quel
bilocale.”
Roxas sorrise di rimando, come a scacciare anche
solo il
pensiero di come sarebbe andata a finire la convivenza di quei due
pazzi in uno
spazio di quelle dimensioni.
Le porte della metro si aprirono, e uscendo dal
vagone
afferrò la cugina per mano, assicurandosi che non scivolasse.
“Non so, Kacchan” esclamò, aggiustandosi la
cravatta “…ma ho
la sensazione che, comunque vadano le cose, questo sarà un anno
moooolto
lungo.”
***
“Il mio o-bento, quest’anno, sarà di soli due
piani!”
Tidus, bellamente sdraiato sull’erba del cortile
esterno,
guardò l’orologio dell’edificio centrale, sperando che la campanella
non
suonasse mai, mentre Yuna, accanto a lui, lo tirava per la manica,
cercando
attenzione come un gattino a cui non è stata data la razione quotidiana
di
latte.
“Ticchan, mi ascolti?! Guarda, guarda come sono
stata brava!
Ho cucinato tutto io!”
Il ragazzo osservò il cestino del pranzo della gal, dove un miscuglio
di cibi
non specificabili invadeva il suo campo visivo, e fece un sorriso poco
convinto.
“E’…è fantastico, Yucchan. Bravissima.”
Yuna, fortunatamente, dissolse subito lo sguardo,
dandosi il
cinque con Rikku, e Tidus potè reprimere i conati di vomito con tutta
la calma
del mondo, quando le sagome lontane di Sora e Riku iniziarono a
distinguersi
tra la folla di studenti.
“Ehy, Socchan! Da questa parte!” gridò, saltando
in piedi.
Sentendosi chiamare, Sora, che fino a quel momento
era
rimasto mano nella mano con Riku, mollò la presa, arrossendo di botto,
gesto
che diede a Riku un motivo in più per incupirsi.
“Io…scusami.” Sussurrò Sora, abbassando lo sguardo.
Riku sospirò, e con tutta la pazienza del mondo
non ribadì;
si limitò a carezzargli la testa e precederlo, avvicinandosi al resto
del
gruppo.
Il ragazzo rimase un istante lì, sbattutto di qua
e di là
dai primini che correvano verso i banchi di orientamento, e osservò la
schiena
di Riku allontanarsi da lui.
…avevano un anno davanti.
Come avrebbe fatto a gestire la cosa?
Una parte del cervello, quella che di solito non
funzionava,
gli diceva di continuare in quella direzione, che stare con Riku era ciò che voleva, e che Kairi avrebbe
capito, quando sarebbe stato il momento.
Eppure, l’altra zona della sua testa gli diceva…di
non
farlo.
|