Come naufraghi

di Feel Good Inc
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Mentre la sera siamo davanti al telegiornale, a sentire di nuove, emozionanti conquiste in qualche terra lontana, perdiamo i veri drammi che si vivono intorno a noi. È un peccato, perché lì c’è più coraggio che da ogni altra parte.

Torey L. Hayden, Una bambina

 

 

 

 

Prologo

 

 

 

 

Twilight Town, marzo

 

La ragazza senza nome guarda la vita scorrere nella nuova città in cui si è ritrovata a vivere.

Guarda i volti, i sorrisi, i passi, la gente, e tutto le appare irrimediabilmente estraneo.

Lei ha rifiutato quel mondo, perché ha rifiutato se stessa.

Da molto tempo ha deciso di cedere, di abbandonare la propria forza di volontà a quella ben più inflessibile del corso delle cose che hanno già deciso tutto per lei. Ha ceduto, ma non ha accettato. Anche il fatto di essere seduta qui, in questo momento e in questo posto pieno di sorrisi sconosciuti, è qualcosa cui ha ceduto, ma che non ha accettato.

Semplicemente, è la sua esistenza.

Non la sua vita, no. Perché quella è finita molti anni fa, quando le hanno tolto tutto e tutti.

E allora e ancora si limita a guardare e a chiedersi se qui potrà dimenticare o smettere di piangere o almeno dormire di sonni senza sogni.

Ma purtroppo conosce già le risposte a quelle domande.

Ancora una volta, la ragazza senza nome non può fare altro che ciò che le è rimasto: guardare, ricordare e piangere.

 

 

 

 

 

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Questa storia è un’incognita indefinita. L’ho scritta forse due anni fa, nel corso di un’estate particolarmente ispirata; poco più di due mesi, per la precisione. Mi entusiasmava un bel po’, tanto che a un certo punto, dopo averla riletta e risistemata per non so quante volte, mi dissi che, se fossi stata abbastanza brava da presentarla sotto una buona luce, sarebbe potuta diventare un romanzo. Perché, vedete, era probabilmente la cosa più lunga e più articolata che avessi mai scritto. Se mi impegnavo, poteva valere qualcosa. Se.

Avete notato quanto i ‘se’ condizionino la vita delle persone?

Il punto è semplicemente questo: a distanza di due anni, di infinite riletture e di innumerevoli tentennamenti, devo ammettere che questa storia non è abbastanza per essere definita un vero e proprio libro. Probabilmente perché manca di quella parte di esperienza personale che ogni vero scrittore riversa in ogni suo vero libro: io mi sono limitata ad immaginare le cose, senza sapere se corrispondessero ad una realtà oggettiva. Non ho idea di come funzioni un commissariato di polizia americana e non so nulla sulla malavita vera.

Pertanto ho capito che, se io per prima non ne sono convinta, è giusto fermarsi in partenza.

Però mi dispiaceva richiudere per sempre nel cassetto un lavoro che all’epoca mi soddisfaceva parecchio. Ci ho riflettuto a lungo, ho valutato pro e contro. Mi sono detta che riproporla come fanfiction, così com’era nata, non mi costava nulla. E, anzi, forse un po’ mi avrebbe consolata della decisione presa.

Il prologo che avete appena letto è volutamente breve e oscuro, ma mi auguro che a qualcuno faccia venir voglia di seguirmi. Chissà che il parere dei lettori non mi faccia nuovamente cambiare idea sul destino di questa storia.

E poiché è già completa, e da un bel pezzo direi, gli aggiornamenti saranno piuttosto regolari. So, see ya soon.

Aya ~





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