Il Figlio Della Prof- Capitolo 14 (new)
Il Bacio E’ Un Dolce
Scherzo Che La Natura Ha
Inventato
Per Fermare I Discorsi
Quando Le Parole Diventano Inutili
Ingrid Bergman
Capitolo 14: Punto Di
Non Ritorno
La caviglia non mi dava
più alcun fastidio ed era
passata una settimana dall’ultima volta che avevo rivolto la
parola a Massi, da
quando ero fuggita via dalla sua stanza dopo aver sentito la sua
conversazione
con Delia. Dopo una settimana una cosa era chiara nella mia mente:
quella situazione
mi stava distruggendo! Ormai stentavo seriamente a riconoscermi. Non
era da me
restare sveglia tutta la notte a pensare ad un ragazzo, non era da me
immaginarmi ogni momento insieme a lui, e non era da me desiderare la
lenta e
dolorosa morte di una ragazza che come unica colpa aveva quella di
essere la
fidanzata del ragazzo che amavo. Non potevo andare avanti in quel modo.
Prima o
poi sarei dovuta cadere da una parte o dall’altra di quel
filo su cui restavo a
malapena in equilibrio. A mio avviso potevo scegliere tra due opzioni:
confessare i miei sentimenti a Massi e togliermi quell’enorme
peso che mi
gravava sullo stomaco- e già a pensarci mi veniva un ictus-
oppure continuare a
non rivolgergli la parola nella speranza che le circostanze
continuassero a
tenerci lontani. Ovviamente scelsi la seconda ipotesi, era molto meno
imbarazzante e molto più semplice da seguire- almeno in
teoria.
Questa era la conclusione a
cui ero giunta
mentre, come ogni, mattina sfrecciavo verso casa di Amy. Quella notte
avevo
dormito talmente male che mi ero alzata prima delle sei e
così mi accingevo ad
arrivare a casa della mia amica alle sette. Sapevo che
l’avrei trovata in piedi
ma di sicuro non era ancora pronta per andare a scuola. Avrei
aspettato, tutto
pur di non stare sola con i miei lugubri e deprimenti pensieri.
Come avevo previsto, quando
suonai il
campanello mi aprii una Amy vestita ma con ancora i capelli spettinati
e senza
neanche una minima traccia di trucco.
-Che ci fai qui?- mi chiese
sorpresa.
-Scusa, mi sono svegliata
presto e ho deciso
di venire prima-, risposi entrando in casa. –Finisci con
calma io ne approfitto
per fare colazione qui.-
In effetti, non avevo
mangiato nulla e dato
che in quei giorni il cibo non mi aveva attratta più di
tanto a causa del mio
pessimo umore in quel momento avvertii come un’enorme
voragine al posto del mio
stomaco che reclamava per essere riempita.
Così mentre Amy
sfrecciava in bagno per
continuare il suo rito quotidiano io mi organizzai una colazione
decente, con
latte caldo e cereali.
I genitori di Amy, entrambi
infermieri,
avevano il turno di notte e sarebbero tornati verso le otto. Roberto e
Caterina
stavano ancora dormendo di certo: il primo aveva lezione in
Università nel
pomeriggio mentre la seconda frequentando la scuola elementare poteva
permettersi di dormire ancora un po’ visto che
l’entrata era alle otto e mezzo.
Quello che mi stupiva era che Luca non fosse già in piedi,
in genere anche lui
cercava di alzarsi presto per sistemarsi i capelli, ero certa che un
giorno
avrebbe scritto un libro sull’uso del gel ed affini: passava
ore davanti allo
specchio per avere un look da strafigo (almeno secondo il suo parere,
io
dissentivo la maggior parte delle volte).
Proprio come se lo avessi
chiamato il fratello
minore della mia amica fece il suo ingresso in cucina, vestito, lavato
e pettinato- in base ai punti di
vista.
Pronto per affrontare un’altra giornata scolastica.
Appena mi vide
impallidì e l’avvenimento mi
fece ricordare che io e il principino
avevamo un discorso in sospeso risalente al nostro incontro al Living.
-Buongiorno-, dissi
fulminandolo con gli occhi
in modo che non gli venisse in mente di svignarsela senza provare a
darmi una
spiegazione.
Lui distolse lo sguardo e
mormorando un
“Buongiorno” di risposta si diresse in cucina per
prepararsi la colazione.
Pochi minuti dopo
tornò in sala da pranzo e si
sedette di fronte a me insieme alla sua tazza di latte e alle fette
biscottate
con la
Nutella.
-Allora…-,
cominciai incatenandolo con lo
sguardo mentre lui cercava di ingoiare un boccone di fetta biscottata.
–Che ne
dici di approfittare di questo piccolo, quanto fortuito, momento di
privacy per
riprendere la conversazione che avevamo lasciato in
sospeso…-
-Di…Di cosa stai
parlando?- mi chiese cercando
di fingersi indifferente.
Principiante! Avevo a che
fare con Massi da
mesi ed io stessa ero una maga nel riuscire a cambiare argomento, non
sarebbe
stato di certo un ragazzino spocchioso a mettermi KO con i suoi magri
tentativi
di distogliere la mia attenzione dal filone principale del discorso.
-Lo sai, è da un
po’ che tua sorella non mi
parla di te forse dovrei menzionare per caso quello che ho visto alla
festa di
Giacomo al Living mentre la tua povera sorellina era relegata a letto
con la
sola compagnia di fazzolettini sporchi e sciroppo per la tosse. Penso
che non
sarà troppo contenta di sapere che cosa facevi tu nel
frattempo, probabilmente
te la ritroverai attaccata al sedere giorno e notte… Povero
te…-
-E va bene, ti
dirò tutto-, si arrese lui con
un sospiro di sconfitta.
Abbassò la voce
talmente tanto che mi sforzai
non poco per riuscire a sentire quello che stava dicendo, o per meglio
dire, per
riuscire a leggere il suo labiale.
-Quella sera ero al Living
per suonare con il
mio gruppo.-
-Fin là
c’ero arrivata anche da sola-, dissi
con tono d’ovvietà. –Ma voglio sapere
perché sei entrato in un gruppo se sai
che tua sorella diventa peggio di un generale dell’esercito
quando si tratta di
te. Pensi che ti permetterà di andare in giro per i locali
di mezza regione a
suonare per poi tornare a casa ad orari impensabili?-
-E’ proprio per
questo che non le ho detto
nulla. Mi piace stare in quel gruppo… Sono tutti miei amici
e poi…-
Mi si accese come una
lampadina nel cervello e
d’un tratto capii come mai Luca
d’improvviso si era tanto interessato alla musica che prima
considerava solo un
hobby.
-E’ per quella
ragazza vero? La biondina con
gli occhi azzurri che era con te quella sera.-
Luca arrossì di
colpo, segnale piuttosto
chiaro che ogni tanto anche il mio istinto femminile dava prova di
esserci e di
non essere così impedito come al suo solito.
-Ma di cosa st-stai
parlando?- cercò di
svicolare di nuovo, evidentemente il ragazzino non aveva ancora capito
chi era
la sua interlocutrice.
-E’ inutile che
provi a negare, si vede
lontano un chilometro che quella ragazza ti interessa e oserei dire che
t’interessa parecchio.-
Abbassò lo
sguardo imbarazzato mentre le
orecchie gli si tingevano di un rosso piuttosto acceso. Faceva sempre
il duro
dal carattere impenetrabile eppure in fondo era solo un ragazzo
innamorato che
cercava di conquistare l’amore di una bella donzella.
-Lei…
Lei… E’ lei che ha avuto l’idea della
band e io non ho potuto non appoggiarla. Vuole diventare una cantante
contro la
volontà della sua famiglia e per questo quando ha saputo che
sapevo suonare la
tastiera mi ha chiesto di darle una mano. Non ce l’ho fatta a
dirle di no e
così mi sono ritrovato a mettere su una band per offrirle la
possibilità di
farsi conoscere… E’ brava, e merita di realizzare
il suo sogno… e io non posso
permettere che qualcuno la ostacoli. Per favore, non dire niente a mia
sorella
altrimenti manderà tutto all’aria… Ti
prego.-
Come potevo rifiutarmi di
aiutare un ragazzo
così galante e innamorato? Sarei stata davvero perfida se
gli avessi rifiutato
una mano. Dopotutto mi stava solo chiedendo di omettere un piccolo
dettaglio
della sua vita a quella pazza di Amy, non era una cosa così
complicata e
difficile come poteva sembrare. Non parlavo mai di Luca con Amy, al
massimo era
lei che parlava a raffica di lui e io che annuivo scocciata. Bastava
che mi comportassi
come se niente fosse accaduto.
-Okay, tua sorella non
verrà a sapere niente
da me. Ma lo sai che prima o poi questa storia verrà fuori
comunque, quindi
cerca di stare attento.-
-Grazie, davvero. Sei una
grande!- rispose lui
con gli occhi che gli brillavano.
Va bene, farsi elogiare da
un quindicenne non
era esattamente l’ambizione massima della mia vita ma mi
sentivo davvero bene
sapendo che forse avevo contribuito alla realizzazione di un sogno
d’amore. Almeno
qualcuno avrebbe avuto più fortuna di me in fatto di
faccende di cuore.
-Di che state parlando voi
due?- chiese Amy
entrando all’improvviso nella stanza.
-Oh, ehm… Mi
aveva chiesto se per caso avevo
un libro interessante da prestargli…-, prima scusa che mi
era saltata in mente
ma visto che io e Luca aveva in comune la passione per la lettura-
forse
l’unica cosa che avevamo in comune- poteva risultare
più che plausibile.
-Non voglio sapere i
particolari-, rispose Amy
infilandosi il giubbotto. –Lo sai che i libri mi annoiano.-
Sì, lo sapevo
perfettamente… Ecco un altro
motivo per cui quella scusa risultava più che perfetta.
-Bene-, dissi alzandomi e
indossando la mia
giacca, -direi che è proprio ora di andare a scuola.-
Amy non fece altre domande
riguardo suo
fratello, segno che aveva creduto alla mia patetica scusa e che quindi,
almeno
per il momento, il piccolo segreto di Luca era al sicuro. Non dubitavo
del
fatto che prima o poi, in un modo o nell’altro, la mia amica
avrebbe sentito
puzza di bruciato e avrebbe scoperto ogni cosa ma di certo da me non avrebbe saputo mai nulla. Anche
perché mi avrebbe uccisa
se avesse scoperto che io ero al corrente di tutto e che non le avevo
detto
neanche una parola. Quando c’erano di mezzo i suoi fratelli
minori diventava
peggio di una leonessa che protegge i propri cuccioli. Se Freud fosse
stato
ancora in vita avrebbe scritto un libro sul “complesso di
Amelia”, ne ero
sicura.
Arrivammo a scuola quando
mancava ancora un
quarto d’ora al suono della campanella e come al solito mi
ritrovai davanti la
solita scena da volta stomaco: Massi e Delia seduti su una panchina
mentre si
tenevano la mano come due tenere colombe in piena fase di
accoppiamento…Bleah!
Da quando eravamo tornati da
Cascia, Massi si
era attaccato a Delia come una ventosa, sembrava che tutto quello che
avevamo
passato insieme fosse stato spazzato via dal vento invernale. La cosa
avrebbe
dovuto rallegrarmi, dopotutto era un modo come un altro per provare
seriamente
a togliermelo dalla testa una volta per tutte ma era da immaginarsi il
fatto
che quella situazione non mi risultava per niente piacevole. Per quanto
la mia
volontà consisteva nel dimenticarmi di Massi il
più in fretta possibile si
trattava comunque del ragazzo di cui ero innamorata e vederlo
così affiatato
con la sua fidanzata era una vera tortura. Avevo sentito parlare
qualche volta
di quel detto secondo cui se ami veramente una persona devi essere
felice se
lei è felice… Tutte baggianate! Se vedi la
persona che ami felice con qualcuno
che non sei tu non ne puoi essere contenta. E’ biologicamente
e
psicologicamente impossibile! Sarebbe più facile chiedere ad
un pinguino di
attraversare l’Atlantico in volo…
-Buongiorno!-
Quel saluto entusiastico
giunse al mio
orecchio destro così all’improvviso che non potei
evitare di sussultare.
-Sei più euforico
del solito Iovine…-, osservo
Amy indispettita.
-Quando saprai
perché sono così contento
abbasserai la cresta, mia cara Amelia, e sarai euforica anche tu-,
disse Marco
tirando fuori qualcosa da sotto la giacca.
-Ed ecco a voi la mia opera
d’arte-, esclamò
mettendoci davanti agli occhi una fotografia. No, non una
fotografia ma la
fotografia, quella che Marco aveva scattato a me e a Massi sul pullman,
la
stessa foto in cui io me ne stavo tra le sue braccia profondamente
addormentata.
-Che dolci!-
osservò Amy con un tono di voce
un po’ troppo alto e mieloso per i miei gusti.
-Sei impazzito!- esclamai
strappandogliela
dalle mani e mettendola al sicuro nella tasca dei miei jeans.
–Hai forse voglia
di morire! Non puoi andartene in giro con questa e sventolarla sotto il
naso di
tutti!-
-Ti piace?- mi chiese con un
sorriso idiota.
-Smettila di fare il
cretino! Ti rendi conto
che se Delia vedesse questa foto Massi passerebbe dei guai per una
sciocchezza!?-
-Tu la chiami sciocchezza,
io lo chiamo
amore…-
A volte Marco sapeva proprio
farmi uscire
fuori dai gangheri.
-Che sta succedendo qui?-
chiese una voce alle
mie spalle, voce che, ovviamente, apparteneva alla persona di cui
stavamo
parlando.
Mi voltai e ancora una volta
i miei occhi
trovarono quel mare verde che erano le iridi di Massi. Pensavo di
essere avvezza
all’effetto che avevano sul mio cuore ma a quanto pareva non
mi risultava
facile abituarmi a Massi e a qualsiasi cosa lo riguardasse.
-Noto con piacere che alla
fine hai deciso di
lasciar respirare Delia e di ricominciare a parlare con persone che
hanno un
minimo di intelligenza.-
-Se cominci la mattinata con
tutta questa
acidità diventerai uno yogurt prima che suoni la quinta
ora-, rispose Massi con
uno dei suoi sguardi taglienti.
-Guarda che sei tu quello
che per una settimana
non si è azzardato a rivolgermi la parola senza un motivo e
adesso pretendi
anche che io ti accolga a braccia aperte… Te lo puoi
scordare!-
-A quanto mi risulta neanche
tu ti sei degnata
di venirmi a parlare dopo che sei praticamente sparita dalla mia camera
la sera
del nostro piccolo incidente.-
I toni stavano cominciando a
diventare
terribilmente seri ma non potevo fare a meno di rispondergli come mio
solito,
era davvero più forte di me.
-Avevo di meglio da fare che
stare a sentire te
e quell’ochetta che vi scambiavate effusioni da vomito per
telefono!-
-Mi hai spiato?!- chiese a
dir poco indignato.
-No, ti stavo solo portando
una coperta e ho
sentito un paio di parole ma tanto mi è bastato per decidere
di dileguarmi…-
-Quindi è per
questo che te ne sei andata-,
cominciò con uno dei suoi sorrisi sghembi che in genere mi
facevano battere il
cuore ma in quel momento ebbero lo stesso effetto di una pianta di
ortica. –Eri
gelosa…-
-Oh, sì
guarda… Ero assolutamente gelosa-, il
mio tono trasudava ironia da ogni parte. –Ero così
gelosa… Perché in realtà io
sono innamorata pazza di te! Ti amo talmente tanto che in questo
momento vorrei
che un meteorite ti arrivasse addosso e ti facesse sprofondare
direttamente nel
centro della Terra.-
Ma perché mi
sentivo così infuriata…
frustrata… delusa… e tradita…? Non ci
stavo capendo più nulla. Continuavo ad
aggredirlo però non riuscivo a capire cosa mi stesse
prendendo.
In quel momento la
campanella suonò ponendo
finalmente fine a quel duello verbale.
-Comincia a pregare-, mi
sussurrò lui in un
orecchio –magari presto sarò davvero vittima di
una catastrofe. Così sarai
contenta almeno…-
Mi sorpassò
urtandomi la spalla e io sentii la
rabbia ribollirmi dentro. Avevo come l’impressione che tutti
i passi avanti che
avevo fatto con Massi, tutti i discorsi, tutti i gesti, tutto quello
che era
accaduto a Cascia… tutto si fosse volatilizzato per lasciare
solo il vuoto.
Anzi, non il vuoto ma l’odio. L’odio che
c’era all’inizio, l’odio e
l’astio che
ci avevano portato sempre a litigare come dannati. Cosa diavolo stava
succedendo?!
-Si può sapere
che ti è preso?- mi chiese Amy
sconvolta. –C’è mancato poco che gli
saltassi al collo per azzannarlo.-
-Io… Non lo
so…-, mi passai una mano sul viso
in un gesto di stanchezza. Ero davvero esausta, non ne potevo
più di sentirmi
così triste e amareggiata.
-Siete
incredibili…-, mormorò Marco con uno
strano sorriso sulle labbra. –Possibile che non lo abbiate
capito?-
-Di che stai parlando,
Iovine?- il tono di Amy
era sempre più irritato quando si rivolgeva a Marco, la mia
amica si stava
innamorando di lui ogni secondo di più.
-Be’, non so cosa
sia successo nella stanza di
Massi quella sera ma dovete esservi avvicinati molto perché
la tensione
sessuale tra voi due è quasi palpabile…-
Spalancai gli occhi
allibita.
-La cosa?!-
-Avete litigato come due
matti ma solo per non
rischiare di saltarvi addosso, e non sarebbe stato un corpo a corpo in
stile
Wrestling, te lo assicuro.-
-Marco smettila di dire
cretinate. Era un
litigio come un altro-, risposi cominciando ad avviarmi verso
l’entrata. Ci
mancava soltanto Marco con al seguito le sue teorie strampalate per
rovinarmi
definitivamente la giornata. Tensione sessuale? Sì, come
no…
La prima ora con la Bianchi
trascorse in una
lenta agonia. Era ormai arrivato dicembre e questo per la nostra cara professoressa significava una cosa
sola: interrogare a tutto spiano. Quando arrivava la fine del
quadrimestre-
anche se mancavano più di due mesi, per lei era
già la fine del quadrimestre-
diventava diretta come un treno e con la sua fedele agendina
contribuiva ad aumentare
la sfilza di due e tre che molti di noi vantavano tra le loro schiere.
Una
carneficina vera e propria, in pieno stile latino!
Come al solito era entrata
in classe
mormorando solo un “Buongiorno” e dopo aver firmato
il registro aveva tirato
fuori la sua agendina color marroncino chiaro- anche se molti lo
consideravano
un color pelle, come se fosse stata fatta con la pelle dei suoi stessi
alunni
passati, presenti e futuri. Quell’agendina era la stessa di
quando la
Bianchi aveva cominciato
ad insegnare vent’anni prima. Ogni anno, alla fine del
secondo quadrimestre,
apriva i piccoli anellini dorati e toglieva i fogli con le tracce di
quello che
restava degli alunni che erano passati sotto il suo torchio e li
sostituiva con
altri fogli nuovi e pronti ad iniziare un nuovo anno scolastico.
Qualsiasi
ragazzo avesse avuto la Bianchi come
professoressa ricordava perfettamente la voglia
che gli cresceva dentro di prendere quella maledetta agendina e
gettarla in un
camino acceso.
Aprì il suo
strumento di tortura e cominciò a
sfogliare le pagine con una lentezza assurda. L’attesa era
snervante, quel
grosso peso sullo stomaco che premeva fino a quando sentivi o non
sentivi il tuo
nome era a dir poco opprimente. Avvertivi tutti i succhi gastrici
scivolare
lungo le pareti dello stomaco per riuscire a fuggire via, persino loro
non
volevano avere nulla a che fare con la Bianchi.
Anche se nella stanza
c’era una temperatura normale all’improvviso un
freddo glaciale ti avvolgeva e
sentivi la vista annebbiarsi. E poi cominciava la tortura vera e
propria…
-Giordano.-
Perfetto essere interrogati
con la
Giordano era come sfilare
in passerella accanto a Naomi Campbell: una figuraccia assicurata
nonostante
non fossi poi così da buttare.
-Zilli.-
Davide tendeva a non
spiccicare parola alle
interrogazioni della Bianchi quindi se mi avesse chiamata almeno ci
sarebbe
stato uno peggio di me.
-Corradi.-
Ancora meglio! Christian non
apriva bocca
neanche sotto tortura, visto che probabilmente non sapeva nemmeno come
fosse
fatto il nostro libro di letteratura latina.
-Uhm… Va
be’, basta così.-
Quelle era la frase che
pronunciata dalle
labbra della Bianchi suonava come una vera sinfonia.
Il mio cuore riprese a
battere e tutte le
funzioni vitali tornarono normali. In quei giorni a causa della
depressione
dovuta a quell’imbecille di Massi non avevo studiato
granché quindi se la Bianchi mi avesse
chiamata
la mia media sarebbe crollata vertiginosamente.
-Allora, Sara…-, la Bianchi
era davvero
strana. Quando ci doveva chiamare per interrogarci usava il cognome,
invece una
volta che stavamo seduti vicino alla cattedra tornava ad usare il nome,
una
persona davvero incomprensibile.
La Giordano
si sedette più dritta sulla sedia per ascoltare bene
la domanda.
-Parliamo del Satyricon di
Petronio?- chiese la Bianchi guardandola
dritta
negli occhi.
-Sì.-
Ecco che stava per partire
uno dei monologhi
della Giordano.
-Il Satyricon, unico scritto
attribuito a
Petronio, è un’opera narrativa in forma
prosimetrica, che cioè alterna prosa e
versi. Vi è tutt’oggi il problema della datazione
del romanzo ancora priva di
elementi incontrovertibili. Unici punti certi sono l’evidente
ambientazione di
età imperiale e la menzione di un passo dell’opera
effettuata da parte di un
grammatico del secolo III d.C. Verso la datazione di età
neroniana convergono
numerosi indizi…-
Potevo seguire parola per
parola dal libro
come se quella fanatica lo avesse davanti agli occhi e lo stesse
leggendo. Ma
si poteva imparare a memoria tutto quel popò di roba?
Evidentemente la mia
teoria riguardo il prototipo di robot era esatta, non vedevo altra
spiegazione.
Quando la Giordano
terminò, la Bianchi fece qualche
domanda agli altri due martiri, domande a cui, ovviamente e come era da
prevedersi, nessuno dei due rispose.
Marti al mio fianco stava
fremendo per la
preoccupazione. Vedere il suo amato
Christian messo sotto torchio dalla Bianchi doveva farla sentire
impotente. Stavo
cercando di accettare la loro relazione con tutte le mie forze ma
continuavo ad
avere uno strano presentimento che proprio non ne voleva sapere di
lasciarmi in
pace. Marti continuava a non volermi fornire i dettagli su quello che
stava
accadendo, diceva solo di essere innamorata di lui, che finalmente
aveva
trovato un ragazzo in grado di comprenderla ma secondo la mia modesta
opinione
Christian era solo riuscito ad abbindolarla. Mi sorprendeva solo il
fatto che
la mia amica ci stesse cascando come una pera.
Finalmente la campanella
suonò e appena la Bianchi uscì
dall’aula
potemmo rilassarci un attimo in attesa che arrivasse Longo per scendere
e affrontare
l’ora di educazione fisica. Traduzione: partita di pallavolo,
sport per cui ero
assolutamente portata e che mi piaceva davvero tanto.
La nostra scuola non era
dotata di una
palestra- a mala pena avevamo banchi a sufficienza per tutti,
pretendere di
avere una palestra era troppo. Qualche anno prima c’era una
specie di palestra
che era stata la mensa della scuola materna che si trovava al posto del
Virgilio, molti ma proprio molti anni prima. Però anche
quella stanza era
diventata sede di una classe, esattamente la stessa fine che avevano
fatto il
laboratorio di scienze e la sala video. Prima o poi avrebbero messo
classi di
studenti anche negli sgabuzzini per le scope.
Perciò ci
arrangiavamo a fare educazione
fisica nel cortile adiacente alla scuola, quello dove c’era
il piccolo
obelisco.
In quel cortile erano
presenti due porte da
calcio e anche una rete da pallavolo che però stava proprio
in mezzo alla
delimitazione del campo di calcio: perciò o i ragazzi
giocavano a pallone
oppure tutti insieme a pallavolo. Ovviamente quest’ultimo era
lo sport più
gettonato dai professori e anche in quell’occasione Longo ci
ordinò di formare
due squadre e di giocare.
Stavamo per cominciare
quando qualcosa
distrasse la mia attenzione, qualcosa di molto spiacevole. Serrano
stava
andando verso Longo e dietro di lui c’era tutta la 3F
al gran completo- Massimiliano
Draco compreso.
-Ragazzi, uscite dal campo e
venite qua-,
disse Longo richiamandoci.
Lasciai il pallone a terra e
insieme ai miei
compagni ci dirigemmo verso i due prof e, mio malgrado, verso i
componenti
della 3F.
-Che ci fate qui?- mormorai
a Marco quando fui
abbastanza vicina.
-Manca quella
d’inglese e Serrano ci sta
facendo supplenza…-, mi rispose con un filo di voce.
Possibile che la mia
sfortuna arrivasse a
certi livelli!
Non pensai neanche per un
istante di rivolgere
il mio sguardo verso Massi, ci mancava solo che
s’indispettisse ancora di più e
che iniziassimo a litigare davanti a Longo e Serrano, che come minimo
ci
avrebbero spediti dalla preside senza tanti complimenti.
-Faremo una partita tutti
insieme-, cominciò
Serrano. –Mischieremo 3C
e 3F,
voglio proprio vedere che siete in grado di fare…-
Alzai gli occhi al cielo
esasperata: qualunque
cosa ma non in squadra con Massi, non avrei mai potuto sopportarlo.
-Draco, tu sei il capitano
della squadra 1 e…-,
Serrano ci passò in rassegna per un attimo,
-…Ferrari, tu sarai il capitano
della squadra 2.-
Almeno qualcosa per il verso
giusto stava
andando.
Il resto dei componenti
delle squadre fu
deciso dai professori. Così nella mia squadra mi ritrovai
Marco- che dicevano
fosse un bravo attaccante-, Amy, la migliore alzatrice del mondo, Marti
non
molto forte in difesa ma il suo servizio era micidiale, Andrea, il
rappresentante di classe, muro più invalicabile di lui non
esisteva, e Sabrina
che mi sorrideva contenta con l’espressione di chi non sapeva
neanche come
fosse fatto un campo di pallavolo. Avevo capito subito che doveva
essere negata
ma non c’erano problemi, l’attacco era
responsabilità di Andrea e Marco, mentre
io avrei pensato alla difesa facendo anche la parte di Sabrina. In quel
frangente
non avevo mai avuto difficoltà.
Nell’altra squadra
c’erano Massi, la sua fama
di schiacciatore imbattibile era arrivata alle mie orecchie
già da qualche
anno, Christian, irruento e fuori controllo, respingeva i palloni con i
pugni
facendoli arrivare nello spazio, perciò difficilmente
avrebbe segnato un punto,
Davide, che se la cavava piuttosto bene, ed altre tre ragazze della 3F
che giravano intorno a Massi
come tanti avvoltoi con gli occhi a forma di cuoricini. La colazione di
quella
mattina stava cominciando a ritornarmi su alla vista di quella scena
disgustosa…
-Bene-, disse Serrano
mettendosi in postazione
per arbitrare, - a quanto ne so la difesa di Ferrari è
invalicabile e gli
attacchi di Draco sono imprendibili, perciò non vedo proprio
l’ora di assistere
a questa sfida tra Titani.-
Il mio sguardo raggiunse
immediatamente quello
di Massi che rispose con altrettanto odio.
I suoi tiri erano
imprendibili? Questo era
tutto da vedere!
-Per la palla-,
urlò Longo lanciando la palla a
terra e facendola rimbalzare all’interno del campo.
Massi era già
balzato in aria pronto ad
effettuare la schiacciata ma per me fu facile intuire dove stesse
puntando: il
suo bersaglio era la parte di campo occupata da Sabrina, esattamente
alla mia
destra. Spostai il peso del corpo sul piede destro per prepararmi allo
scatto e
proprio quando Massi schiacciò con forza la palla io ero
già in posizione. La
presi senza difficoltà con un bagher perfetto ma dovevo
ammettere che quel tiro
era micidiale ed ero riuscita a controllarlo solo mettendoci tutto il
mio
impegno. Amy ricevette la palla e la alzò a Marco che
schiacciò ed ottenne il
punto per la palla.
Massi mi fissò
dritto negli occhi e nonostante
ci fossero diversi metri tra noi riuscii ad intuire il significato del
suo
sguardo: non gli era per niente piaciuto il fatto che fossi riuscita a
batterlo
così facilmente. Illuso! Quello era solo l’inizio,
come aveva detto Serrano la
mia difesa era impenetrabile. Se voleva davvero sfondarla si doveva
impegnare
molto di più.
Evidentemente anche Massi
aveva preso quella
sfida sul serio perché per tutta la durata del set i suoi
attacchi si fecero
sempre più aggressivi e potenti, tanto che non sempre
riuscivo a controllare
bene la palla e a tenerla in campo.
Dopo diversi minuti di gioco
il punteggio era
praticamente pari, venticinque-ventiquattro per la mia squadra, ma per
vincere
ci serviva uno scarto di due punti e quindi il servizio di Marti in
quel
momento era davvero fondamentale.
Marti batté un
servizio impeccabile ma quel
rompiscatole del suo ragazzo riuscì a riceverlo, Davide
aveva alzato per Massi
che si stava preparando a schiacciare e in quel momento sottorete
c’ero io, ed
ero l’unica che poteva fermare il suo attacco. Saltai con
tutta la forza che
avevo nelle gambe e quando Massi schiacciò, la palla
trovò la strada sbarrata
dalle mie mani e ricadde immediatamente nel loro campo senza che
riuscissero a
prenderla.
Nel momento
dell’atterraggio però, qualcosa
non andò per il verso giusto. Appena il mio piede destro
toccò il suolo una
fitta lancinante mi attraversò la caviglia…
-Non
ti metterò la fasciatura ma devi
promettermi che almeno per dieci giorni non fari sforzi inutili e
terrai la
caviglia a riposo.-
-Certo,
dottore lo farò.-
Possibile che quei tre
giorni in meno di
riposo per la mia caviglia portassero a tutto questo, erano solo tre
giorni.
Avevo promesso al dottore di stare a riposo per dieci giorni e invece
dopo una
settimana mi ero messa a giocare a pallavolo. Che idiota patenta! Se ci
fosse
il Nobel per la stupidità lo vincerei io senza ombra di
dubbio!
La fitta che mi aveva
attraversato la caviglia
si fece più intensa e a quel punto non riuscii
più a restare in piedi. Con un
gemito di dolore mi accasciai in ginocchio tenendomi la parte
dolorante.
Nessuno sembrava essersi
accorto di quello che
mi stava accadendo: la mia squadra festeggiava, la squadra avversaria
litigava
e i professori erano distratti da quello che stavano facendo i miei
compagni
mentre io non avevo neanche la forza di parlare per chiedere a qualcuno
di
aiutarmi.
Ad un certo punto a causa
del dolore la vista
cominciò ad annebbiarsi e avevo come la sensazione di essere
sul punto di
svenire quando sentii il terreno mancarmi sotto i piedi e uno strano
calore
avvolgermi.
-Sei un’idiota,
spero che tu te ne renda
conto…-
Quella voce meravigliosa,
calda e accogliente
che mi fece battere il cuore. Era la voce del mio Massi. La vista
cominciò a
tornare e mi accorsi che mi aveva presa tra le braccia e mi fissava con
sguardo
di rimprovero.
Aveva capito tutto, me lo
sentivo!
-Professore-, disse rivolto
a Serrano, -credo
che la caviglia di Ferrari abbia ancora qualche problema, non riesce a
reggersi
in piedi.-
-Ferrari!-
esclamò Serrano guardandomi. –Per
quanto tempo dovevi stare a riposo?-
-Dieci giorni…-,
mormorai con un filo di voce,
mentre cominciavo a chiedermi come mai Massi
non si stesse stancando di tenermi in braccio, mi ero
ripresa e poteva anche rimettermi giù.
-Dieci giorni! Sai contare,
Ferrari!? Non sono
ancora trascorsi dieci giorni dall’incidente non avresti
dovuto giocare. Si può
sapere perché non mi hai detto nulla?-
-Mi scusi-, abbassai lo
sguardo mortificata,
-mi… mi era passato di mente.-
Era vero, l’idea
di una sfida con Massi mi
aveva talmente elettrizzata da farmi dimenticare qualsiasi altra cosa
estranea
a quel momento.
-Visto che ci sei, Draco,
portala nella sua
classe. Nel frattempo chiamerò i suoi genitori
perché vengano qua e
l’accompagnino in ospedale, è meglio che faccia
qualche radiografia. Dì ad Alberto
che vi faccia usare l’ascensore, sono sicuro che la preside
non avrà nulla in
contrario.-
-Sì-, rispose
Massi senza battere ciglio.
Si voltò e con
passo svelto si diresse verso
l’entrata della scuola.
Non disse una sola parola
mentre io me ne stavo
completamente ammutolita tra le sue braccia. Mi sentivo in imbarazzo e
allo
stesso tempo avrei voluto non raggiungere mai l’interno
dell’edificio per poter
stare così vicina a lui il più a lungo possibile.
Una volta entrati
incontrammo subito il signor
Alberto. Era il tecnico della sala computer ma era anche una specie di
tuttofare come la signora Giovanna. Un uomo gentile e simpatico,
dall’aria
molto paterna. Con i suoi capelli bianchi e gli occhiali dava
l’aria di essere
una persona che avrebbe aiutato il suo prossimo in qualsiasi
circostanza, e in
effetti, cercava sempre di risolvere i problemi di tutti noi studenti
quando ne
aveva la possibilità.
-Alberto…-,
cominciò Massi chiamandolo.
-Che è successo,
Valeria?- il suo tono era
preoccupato.
Alberto ed io eravamo molto
amici. Durante il
viaggio d’istruzione dell’anno prima si era
parecchio affezionato alla mia
classe dato che la preside lo avevo designato come nostro responsabile,
e
quindi conosceva i nomi di tutti nella mia classe e ci voleva bene.
-E’ una stupida-,
disse subito Massi.
-Ehi!- esclamai indignata
dandogli un pugno
sul petto, ovviamente senza troppa forza.
Lui si rivolse ad Alberto.
-Dimmi se una a cui
è stato detto di non
sforzare la caviglia per dieci giorni e poi si mette a giocare a
pallavolo
prima che il termine sia scaduto non è una stupida?-
-Ha ragione lui-, rispose
Alberto divertito e
consolandomi con il suo sguardo dolce.
Incrociai le braccia
scocciata. Mi sentivo
come una bambina a cui era stato detto di non fare qualcosa e che
adesso tutti
volevano rimproverare facendole capire il suo errore. Che pizza!
-Serrano ha detto di farci
usare l’ascensore
per riportare Vale in classe.-
-Certo, non ci sono
problemi.-
L’ascensore era il
mezzo che la preside usava
quelle poche volte che decideva di salire al piano superiore. In cinque
anni di
scuola l’avevo vista salire al massimo in un paio di
occasioni, quella donna
tendeva a stare semplicemente chiusa nel suo ufficio dando ordini senza
muoversi da lì.
Per gli studenti
l’ascensore era assolutamente
offlimits, quindi mi sentivo un po’ privilegiata nel poterlo
usare…
Alberto si
avvicinò all’ascensore e dopo che
ebbe inserito la chiave, le porte di metallo si spalancarono davanti ai
nostri
occhi, ponendoci davanti un piccolo spazio in cui sì e no ci
poteva entrare la
preside da sola e non avanzava neanche un centimetro quadrato.
-Come vedete dovrete salire
da soli, anche
volendo non c’è spazio per tutti e tre.-
-Lo avevamo notato-, disse
Massi ironico.
-Allora, vi aspetto su-.
Alberto ci sorrise e
si diresse con calma verso le scale.
Mi voltai di nuovo a
guardare l’ascensore
aperto, mentre, senza volerlo, stringevo la maglietta di Massi, a cui
mi ero
aggrappata. Quell’ascensore non mi convinceva per niente.
-Che
c’è?- chiese lui guardandomi. –Adesso
non
ti fidi neanche di un ascensore.-
Lo fissai a dir poco
imbestialita. Il suo tono
non mi era piaciuto per niente, non ci voleva troppo a capire che
quello
stupido aveva ancora voglia di litigare.
-Non è colpa mia
se l’aspetto di questo
aggeggio non mette per niente a proprio agio chi ci deve salire.
Preferirei che
prendessimo le scale…-
-Non dire stupidaggini. Non
puoi salire le
scale e di certo non ti posso portare io fin al piano di sopra: se non
lo sai,
sei pesante.-
La sua voce era sempre
più irritata e questo
mi fece indispettire ancora, come se già non mi sentissi
abbastanza nervosa.
-Allora, mettimi
giù. Non sono stata io a
chiederti di prendermi in braccio, me la sarei cavata benissimo anche
da sola.-
-Sì, come
no… Se non fossi intervenuto, tu
saresti stesa sotto la rete da pallavolo priva di sensi. Certo che hai
uno
strano modo di ringraziare chi viene in tuo soccorso.-
Fissò i suoi
occhi nei miei, ma questa volta
la rabbia non venne meno: era come se quegli occhi si stessero
prendendo gioco
di me. Mi scrutavano come se conoscessero perfettamente i miei
sentimenti e si
stessero divertendo a calpestarli senza alcuna esitazione. La rabbia mi
montò
dentro come l’onda di uno tsunami, con la potenza di un
uragano portando via
tutte le buone intenzioni che potevo aver avuto fino a quel momento.
Avrei voluto prendere Massi
a schiaffi ma
decisi che era meglio ignorare quella strana ira che si era
impossessata del
mio corpo.
-Guarda che non ti stavo
ringraziando-,
risposi distogliendo lo sguardo per evitare che i miei occhi stessero
un
secondo di più in contatto con quelli di Massi.
-Che razza di educazione-,
mormorò lui alzando
gli occhi al cielo ed entrando nell’ascensore.
Con delicatezza mi
posò a terra continuando a
sorreggermi da dietro la schiena, tenendo il braccio intorno al mio
bacino
mentre io mi aggrappai alla sua spalla.
Premette il tasto 1 e le
porte dell’ascensore
si chiusero.
Nella nostra scuola
c’erano solo due piani
quindi l’ascensore non doveva fare troppa strada e di
conseguenza le porte si
sarebbero dovute riaprire quasi immediatamente, eppure qualcosa non
quadrava:
non si sentiva alcun rumore, non sembrava che ci stessimo muovendo,
però le
porte si erano chiuse.
Subito alzai lo sguardo
verso Massi e quello
che vidi mi gelò il sangue nelle vene: il suo volto era
serio e fissava con
impazienza le porte come se stesse pregando che si spalancassero.
Avevo il presentimento che
quelle porte non si
sarebbero aperte tanto presto e questo stava cominciando ad agitarmi,
anzi mi
stava mandando letteralmente in panico.
-Massi…-,
mormorai con tono preoccupato.
-Sta tranquilla-, rispose
lui cercando di
mantenere un tono sicuro. –Ci tireranno fuori subito.-
Chissà
perché non mi fidavo troppo delle sue
parole.
Passarono un paio di minuti
e a un certo punto
sentii una voce ovattata che doveva arrivare dall’esterno.
-Ragazzi. State bene?-
Era Alberto!
-Sì, ma cosa
è successo?- urlò Massi per
riuscire a farsi sentire. –Perché le porte si sono
bloccate?-
-Non lo so. Ma tra poco vi
tireremo fuori.
Stanno chiamando il tecnico e i Vigili del Fuoco, e tra poco anche i
genitori
di Vale saranno qui, perciò non preoccupatevi, sarete fuori
subito è solo
questione di qualche minuto.-
Tirai un sospiro di
sollievo, per un attimo
avevo temuto che saremmo rimasti intrappolati in
quell’ascensore, morendo per
mancanza d’ossigeno. Non avevo alcuna voglia di fare la fine
di Aida e Radames.
-Certo che devi aver pregato
parecchio-, disse
Massi con tono giocoso.
-Come scusa?- non avevo
capito per niente
quello che stava cercando di dirmi.
-Nel senso che alla fine sei
riuscita a fare
in modo che io fossi vittima di una disgrazia solo che ci sei andata di
mezzo
anche tu. Chi lo sa, forse avevano finito le meteoriti.-
-Ma quanto sei spiritoso-,
mormorai irritata.
Passammo qualche secondo in
silenzio poi
stanca del fatto di dover dipendere da Massi mi staccai da lui,
lasciandolo
parecchio sorpreso, e mi appoggiai alla parete dell’ascensore
stando attenta a non
poggiare il piede destro a terra- ci mancava solo che ricominciasse a
farmi
male come pochi minuti prima anche se il dolore continuava a persistere
e
sembrava persino che la caviglia si stesse gonfiando.
Massi si appoggiò
alla parete di fronte alla mia,
come per allontanarsi il più possibile- non che fosse
semplice in un buco di un
metro per uno- e mi fissò quasi offeso.
-Che
c’è?- chiesi scocciata.
-Ti sto proprio antipatico,
eh…-
Sussultai a quelle parole.
Se solo avesse
saputo la verità, probabilmente sarei stata io ad essere
antipatica a lui.
-Non mi sei antipatico,
però ho i miei motivi
per starti lontana. E credimi, è per il bene di entrambi se
preferisco non
essere tua amica.-
-Ma ti senti quando parli?
Che significa “per
il bene di entrambi”? Mica sei una bomba pronta ad esplodere
da un momento
all’altro…-
Possibile che dovesse essere
sempre così
pignolo?! Che importava il perché, dovevo
e volevo stargli lontana, non
c’era
bisogno di dare ulteriori spiegazioni.
-Non voglio avere a che fare
con te punto e
basta, non mi sembra di doverti altri tipi di motivazione-, sentivo le
lacrime
pungere dietro gli occhi ma non potevo di certo lasciare che uscissero,
in caso
contrario avrebbero decretato la mia condanna.
I toni della conversazione
stavano cominciando
ad infervorarsi ma non avevo idea di cosa fare per distendere
l’atmosfera.
-Per me
c’è qualcosa sotto…-,
cominciò Massi
con tono di sospetto. –Prima mi critichi, poi dici di
odiarmi, alla fine sembra
che riusciamo a comportarci come persone civili, e adesso ci rimettiamo
a
litigare come due deficienti! Io non ci sto capendo più
niente ma sento che la
soluzione di questo problema ce l’hai tu, quindi parla!-
-Tu non ci stai capendo
niente? E io cosa
dovrei dire?! Passi dall’irritato al gentile con la stessa
velocità della luce.
Quella confusa dovrei essere io. Per di più il tuo rapporto
con Delia mi incasina
ancora di più la situazione!-
Mi resi immediatamente conto
di aver parlato
troppo, non avrei dovuto chiamare in causa la sua ragazza. Accidenti a
me e
alla mia linguaccia!
-E adesso che
c’entra Delia?- chiese lui
stupito.
-Tutto!- esclamai
esasperata. –Possibile che
tu non riesca a capire?!-
Non era colpa mia se io ero
troppo codarda per
confessargli la verità e lui troppo idiota per afferrare il
nesso di tutti i
segnali che li avevo mandato inconsapevolmente.
-Di che diavolo stai
parlando?!- esordì
confuso. –Stavamo parlando di te e me, non di Delia. Lei non
ha niente a che
fare con i tuoi sbalzi di umore.-
-Sì, invece-,
insistetti abbassando lo
sguardo.
-Perché?- il suo
tono era sempre più confuso
ed esasperato.
Alzai lo sguardo di scatto.
Ormai era inutile
continuare a fingere, prima o poi i miei sentimenti sarebbero venuti a
galla ed
io non ne potevo più di tenermeli dentro, stavano corrodendo
il mio cuore e la
mia anima.
-Vuoi davvero sapere
perché?- cominciai con
tono calmo ma i miei occhi fissi in quelli di Massi avrebbero potuto
incenerirlo in un attimo tanto erano pieni di rabbia.
Lui rispose al mio sguardo e
capii che voleva
davvero sapere cosa stesse succedendo.
Presi un lungo respiro prima
di dire:
-Perché la
invidio.-
-Cosa?- aggrottò
la fronte sempre più confuso.
-Io invidio Delia Barton, e
ti assicuro che
non è per la sua bellezza o per i suoi soldi. Quindi fatti
un paio di conti e
cerca di capire questa volta!-
Massi continuava a fissarmi
con la stessa
faccia di uno che aveva appena saputo che Serrano e Longo si erano
messi
insieme: era a dir poco confuso ed incredulo.
Forse era stato il suo
sguardo spiazzato, che
mi appariva così dolce e tenero, o forse la consapevolezza
che ormai avevo
raggiunto il punto di non ritorno e che niente sarebbe stato
più come prima ma
senza che me ne rendessi conto avevo preso il viso di Massi tra le mani
e avevo
unito le nostre labbra. Probabilmente così avrebbe capito
ogni cosa una volta
per tutte e sarebbe stato contento!
Avevo immaginato che le
labbra di Massi mi
sarebbero risultate così calde ed invitanti, come avevo
immaginato che baciarle
mi avrebbe portata dritta in Paradiso, quello che non avevo previsto
era la
reazione di lui. Pensavo mi avrebbe respinta, magari anche schifato dal
mio
gesto, e invece quello che fece mi lasciò completamente
disorientata. La sua
bocca si era schiusa rendendo il bacio più profondo e le sue
mani si erano
posate sulla mia schiena attirandomi a lui, facendo aderire
completamente i
nostri corpi, imprigionandomi in quella gabbia ardente e piena di
passione.
Speravo con tutto il cuore che qualcuno si fosse preso il disturbo di
buttare
via la chiave di quella gabbia! Volevo che quel momento non finisse
mai, che le
nostre labbra continuassero a toccarsi e a cercarsi. Persi
completamente la
cognizione del tempo e dello spazio, a malapena ricordavo il mio nome.
Non esisteva
nulla! Solo Massi, le sue labbra e le sue mani che continuavano a
tenermi
saldamente ancorata al suo corpo.
In diciott’anni di
vita non mi ero mai sentita
così completa e felice come in quel momento.
Sapevo che Massi amava Delia
e che
probabilmente stava ricambiando il mio bacio solo per un basso istinto
maschile- quell’istinto che era situato a sud
dell’ombelico- ma non me ne
importava un bel niente. Avevo desiderato quel bacio per mesi e avevo
tutte le
intenzioni di godermelo fino in fino, o almeno fino a quando mi sarebbe
stato
permesso.
Evidentemente qualcuno aveva
deciso che il mio
piccolo istante di follia doveva giungere al termine perché
Alberto da fuori
gridò:
-Ragazzi, i Vigili del Fuoco
stanno per aprire
le porte.-
Fu come svegliarsi da uno
strano sogno. Mi
staccai lentamente da Massi guardandolo negli occhi mentre lui
ricambiava il
mio sguardo. Avrei voluto possedere il dono di leggere nel pensiero per
capire
cosa gli stesse passando per la testa. Aveva capito tutto? Oppure aveva
preso
il mio gesto come una specie di gioco? Si stava domandando quali
fossero le mie
intenzioni?
Un rumore deciso provenne
dalle porte e subito
ci separammo tornando a poggiarci sulle pareti opposte
dell’ascensore, puntando
i nostri sguardi ovunque tranne che verso l’altro.
Avevamo entrambi uno strano
fiatone come se
avessimo corso la maratona di New York, e in un certo senso avevamo
fatto
attività fisica anche se non era proprio uno sport lecito in
un luogo pubblico
e soprattutto scolastico.
Le porte cominciarono ad
aprirsi lentamente e
due uomini con indosso la divisa da Vigili del fuoco ci sorrisero con
fare
rassicurante. Non fecero in tempo a parlare che una cascata di capelli
biondi
si fiondò all’interno dell’ascensore
saltando addosso a Massi.
-Delia!- esclamò
lui colto alla sprovvista.
-Come stai?- chiese lei
praticamente
stritolandolo. –I ero so preoccupata…-
Ma che razza di lingua era?!
Giocava a fare
una parola in italiano e una in inglese…?
Ero a dir poco sconcertata.
Qualunque lingua
quell’oca parlasse, però, era
e rimaneva la fidanzata di Massi e lui la stava abbracciando senza
lamentarsi e
soprattutto senza guardarmi perciò avevo capito
l’antifona: non avevo chance
contro di lei, e non avevo alcuna intenzione di sentirmelo dire proprio
da
Massi. Perciò in quel momento presi una
decisione… Non avrei mai più rivolto la
parola a Massi neanche sotto tortura…! A costo di passare
per una bambina
fifona, avrei evitato Massi per il resto dei miei giorni, che
praticamente
equivalevano almeno alla fine di quell’anno scolastico.
-Vale!- una voce familiare
mi destò dai miei
pensieri lugubri.
Un uomo stava davanti
all’entrata
dell’ascensore. I capelli neri e il pizzetto dello stesso
colore, gli occhi
così simili ai miei, e indossava un paio di occhiali senza
montatura. Era
arrivato il mio vero eroe!
-Papà!- esclamai
con le lacrime agli occhi
buttandomi ad abbracciarlo. Fortuna che mio padre aveva appena
quarant’anni
altrimenti gli avrei di sicuro incrinato qualche costola.
Lui mi abbracciò
preoccupato e poi mi prese in
braccio sollevandomi in modo che non rischiassi di poggiare il piede a
terra. Non
lo avevo notato prima ma la caviglia si era gonfiata in modo
preoccupante.
-Andiamo in
ospedale…- mormorò lui con tono
rassicurante, mentre io mi aggrappavo al suo collo e piangevo senza
farmi
vedere dagli altri.
Era bello stare tra le
braccia di mio padre,
lui mi aveva sempre protetta e aveva sempre cercato di lenire il mio
dolore, ma
questa volta sarebbe stato diverso… Neanche lui poteva
placare l’enorme fitta
che sentivo all’altezza del cuore. C’era una sola
persona al mondo che avrebbe
potuto farlo, la stessa che lo aveva causato, ma lui era troppo
impegnato a
rassicurare la ragazza che amava per potersi preoccupare di
un’insignificante
stupida come me.
***L'Autrice***
Lo so, può sembrare che le cose si stiano
complicando un
po'- okay, forse si stanno davvero complicando...^^- ma vi assicuro che
è normale, quando posterò i prossimi
capitoli tutto vi apparirà più chiaro, e
tutte le domande che
vi siete e che mi avete posto in tutto questo tempo troveranno la loro
risposta... Perciò dopo aver letto questo capitolo non
saltate a
conclusioni affrettate...^^
Immagino che la scena del bacio abbia scatenato un putiferio
e adesso sono proprio curiosa di sapere che cosa ne pensate... xD
Ovviamente
ricordo che potete trovare altre informazioni su questa
storia visitando il forum,
il gruppo su
facebook, la pagina
su
Facebook, e anche il mio profilo su Facebook (Scarcy Novanta)
aggiungetemi se volete...^^
P.S. Ho risposto alle recensioni con la nuova funzione di
EFP... ^^ Spero che siano arrivate... xD
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