Attenzione: Il seguente scritto ha come protagonisti
persone vere e personaggi inventati. Le vicende narrate sono puro
frutto della
fantasia dell'autrice. Non c'è alcuna pretesa di
veridicità o verosimiglianza.
Nessun intento offensivo, nessun diritto legalmente tutelato s'intende
leso e
tutti i diritti riservati spettano ai rispettivi titolari.
Scritta per il «Dodici Mesi
di Fedeltà»
contest
Anno
Zero
“Tutto si apre con un temporale. Ma
non un
temporale qualsiasi! Deve essere come se il mondo intero si stesse
sciogliendo
dentro il cielo...”
Non è
che facesse ancora fatica a
crederci.
Non dopo tutto quel tempo, quando il dolore era ormai una costante
sorda in
sottofondo e sulla pelle non restavano cicatrici se non minuscole
strisce
bianche troppo sottili anche per poter essere distinte. Seguirne ancora
il
corso sarebbe stata una follia, per cui sapeva bene di non potersi
concedere
quelle divagazioni.
Un
routine nuova e snervata aveva sostituito lo slancio di un tempo, e lo
aveva
fatto così rapidamente da indurlo a credere non ci fosse mai
stato un prima, ma solo l'attuale e
desolante dopo che viveva con
l'ostinazione di
un'amara consapevolezza e di una vendetta gelida. Il punto di svolta,
poi, non
era neppure coinciso con il suo “anno zero”,
perché dopo quello c'era stato
tutto un lungo momento in cui aveva creduto che il sangue gli avrebbe
scaldato
le vene e l'anima abbastanza da trasformare tutto il mondo in un unico
rogo.
Una pira funebre alta quanto le sue convinzioni, alimentata dalle
illusioni
sfiancate di un giocatore perdente - in partenza - contro la vita e
destinata
ad inghiottire nel proprio fuoco le disillusioni nuove che nascevano
dalla
perdita e dall'abbandono.
A lungo temuti ed ora, alla fine,
sperimentati.
Poi
anche quel primo rigoglio di forze e rabbia si era stemperato nella
compulsiva
ricerca della distruzione fine a se stessa. Aveva lasciato che fossero
altri a
riempire di sé le idee che ancora vomitava sotto forma di
parole o, più spesso,
di semplici inseguimenti di note lungo traiettorie irrequiete quanto i
pensieri
che le generavano. O i tempi che le
accoglievano in vesti “profetiche”. Lui
da profeta aveva continuato a
rifiutare di vestirsi, consapevole di come tutto si stesse riducendo
alla sola
celebrazione dei suoi lutti personali, ma non aveva avuto il coraggio -
ed
all'inizio, egoisticamente, neppure l'intenzione - di privare della
propria
voce le masse informi che ribollivano sottoterra. E se al principio
loro avevano
servito al suo scopo, dando al suo rancore un mezzo concreto per
trasformarsi
in azioni, adesso tutto si riduceva al gelo che provava - come una
sensazione
di stolido ottundimento - quando ripensava ai motivi primi per cui
aveva
accettato di piegarsi a tutto quello e poi abbassava lo sguardo a
contemplarne
gli effetti.
Londra
pioveva in gocce di pioggia acida, che bruciavano tutto ciò
che era vivente ma
senza la grazia misericordiosa di una rapida fine. La guerra dei benpensanti - usare quel termine lo
faceva sorridere - imponeva ufficiali scuse di correttezza, cui
seguivano
subdolamente strumenti di morte perversa. Gli effetti di ciò
che il Governo
usava per ridurre all'impotenza il grosso di un popolino
riottoso tardavano a manifestarsi, ma quando lo facevano -
carestia, malattie, intossicazioni e morti innaturali - avevano la
definitività
di un colpo ben orchestrato, magistralmente diretto, eccezionalmente
efficace.
E,
quindi, Londra pioveva. E sotto le sue gocce i fili d'erba tra i
palazzi si
piegavano e morivano, e nuove strisce sottili - cicatrici invisibili -
scivolavano sulla pelle nuda delle braccia di Matthew.
Era
iniziato tutto in sordina. All'epoca non ci aveva nemmeno fatto troppo
caso,
non quello giusto quanto meno. Tanto che aveva dovuto essere Brian a
richiamare
la sua attenzione su una circostanza che lui aveva liquidato con meno
di una
scrollata di spalle ed un sorriso quasi soddisfatto.
Le
Leggi di Protezione Nazionale erano state approvate solo da qualche
mese, i
loro effetti immediati e diretti erano stati così ineffabili
che la gran parte
della gente aveva fatto fatica ad accorgersi della loro entrata in
vigore. Dopo
che per mesi le piazze di buona parte dell'Inghilterra avevano
brulicato di
folle di manifestanti, la prima delle conseguenze era stata il
ristabilirsi di
una perfetta pace sociale. A fronte degli attentati degli ultimi due
anni, del
resto, la buona parte dei cittadini dell'Unione Europea si era detta
disponibile a cedere ai governi nazionali poteri maggiori per
affrontare la
crisi mediorientale. Lo zoccolo duro di una borghesia estremista e
spaventata
aveva dotato di legalità la scelta di un sempre maggior
numero di Stati di
dotarsi di un nucleo forte di leggi che derogassero parzialmente ai
principi
liberali e costituzionali a favore di una maggiore sicurezza e di un
più
accurato controllo ad ogni livello della società.
Non
era stato troppo difficile nemmeno accattivarsi il favore degli strati
più
bassi della popolazione. Le Leggi di Protezione avevano sottoposto a
“tutela” -
come veniva definito il controllo e l'ingerenza del Governo nei vari
settori
delle attività economiche e sociali - anzitutto i capitali
privati, con lo
scopo dichiarato di tagliare alla fonte i finanziamenti che arrivavano
da tali
canali alle organizzazioni terroristiche internazionali e, in generale,
di
verificare l'effettivo impiego degli stessi. I gruppi operai e le
organizzazioni sindacali erano arrivati fino ad assumere la decisione -
miope - di applaudire la posizione
governativa e di appoggiarla apertamente, guadagnando ulteriore
consenso al
Governo.
Già
allora Matt aveva cominciato a storcere il naso, inorridendo alla sola
idea che
la gente potesse essere
così cieca ed
ottusa da non accorgersi di come si trovassero sull'orlo di decisioni
irreversibili
dalle conseguenze assolutamente catastrofiche. Giustamente indignato,
era stato
solo felice di vedere accostate le proprie canzoni alla voce di chi,
sempre più
spesso e soprattutto nel loro ambiente, criticava apertamente le
decisioni
assunte a livello politico.
Di
mezzo, comunque, c'era stata la riforma delle istituzioni scolastiche
ed
universitarie e solo dopo, quando ormai la buona parte dell'opinione
pubblica
era distratta dai comunicati ufficiali di una stampa coalizzatasi nel
fornire
uno scudo compatto di informazione “coordinata”, i
mass media e tutto il
settore di arte e spettacolo erano stati sottoposti ad una
regolamentazione
così drastica e capillare da rendere impossibile qualsiasi
forma lecita di
dissenso.
Allora
erano cominciate a fiorire anche le radio
“dissidenti” – “radio
pirata”, in
onore di più libertini anni ’70 in cui la rivolta
era stata un gioco colorato e
non un massacro sofisticato del libero pensiero – emittenti
fuori legge che
passavano musica considerata, inizialmente, sconveniente e poi, con
molta più
onestà, messa all’indice da un Comitato di
Censura. L’invito ai distributori
del prodotto musicale era stato nel senso di evitare determinati lavori
considerati poco in linea con la politica di uniformità e
coesione portata avanti
dal Governo; nei confronti degli artisti, invece, i
“suggerimenti” arrivarono
fin dall’inizio sotto forma di esplicite richieste di
modifica e di veti alla
pubblicazione dei lavori ritenuti pericolosi. Quanti avevano rifiutato
di
aderire alle indicazioni fornite erano stati zittiti in modo via via
più
repressivo e violento ed a coloro che ancora cercavano nella musica una
bandiera a cui associare idee fuori dagli schemi non era rimasto che
rivolgersi
a ciò che sopravviveva della musica
“indipendente”.
Era
stato allora che Brian, ridendo, gli aveva fatto notare quanto spesso
le radio
pirata passassero “Assassin”. Matthew ne era stato
orgoglioso. Aveva scrollato
le spalle più che altro per allontanare
quell’intimo moto di soddisfazione,
mascherandolo dietro il mezzo sorriso sghembo con cui aveva accolto le
parole
dell’altro. I Muse continuavano ad ostinarsi lungo una strada
palesemente
collidente con la posizione governativa ed i toni della loro polemica
diventavano sempre più aspri con il passare del tempo.
Nessuno stupore che i
movimenti più giovani – quelli che
nell’arte e nella musica avevano sempre
trovato lo strumento più semplice per esprimere
ciò che pensavano – potessero
aver deciso di eleggere una loro canzone ad “inno”
di un’ideale rivoluzione di
pensiero.
Brian,
però, ne era spaventato. I suoi consigli arrivavano sotto
forma di battutine
sottolineate da risate nervose, concesse in situazioni in cui lui
avrebbe
preferito dedicarsi ad altro – tra
le
lenzuola sfatte che odoravano ancora di sesso e di loro, avrebbe voluto
solo
abbracciarlo e dormire, riposare con la sua testa contro la spalla e
scacciare
così il freddo di quella realtà che si
allontanava da loro – non riusciva a
nascondere del tutto il tremito sottilissimo della voce nel chiedergli
con
sempre maggiore insistenza una “prudenza” che non
riempiva mai di significati
concreti. Solo quel susseguirsi di richieste, che lui scacciava con
prepotenza
beffarda, avvolgendolo stretto tra le braccia e pretendendo un bacio
ancora per
cancellare la sua ansia e farla sciogliere nella propria arroganza
intransigente. Matthew non riusciva ad avere paura, aveva rabbia da
vendere e
convinzioni di cui nutrirsi, la paura era fatta per chi sperimenta
sulla pelle
e lui sperimentava solo il calore della preoccupazione di un altro. Se
poi non
avesse conosciuto Brian così bene come era arrivato a fare,
avrebbe anche
creduto che fosse solo un gioco e trascurarlo – come poi
aveva fatto davvero,
colpevolmente – sarebbe stato ancora più semplice,
fingere che non stesse
succedendo niente e che tutto si riducesse allo sghignazzare infantile
di un
artista anticonformista quando, passando davanti ad una finestra
aperta,
afferrava al volo i versi della propria opera messa al bando.
Ma
non era così. Ed il tempo aveva dato ragione alle paure di
Brian e torto al suo
desiderio di autoaffermazione.
-Immagino
che suggerirti l’uso di un ombrello sarebbe completamente
inutile.
Matthew
rise e scosse la testa, liberando i capelli da un sottilissimo strato
di gocce
traslucide. La pelle appariva rossa ed irritata nei punti in cui la
pioggia
aveva battuto con insistenza e la ragazza gli rivolse
un’occhiata critica,
storcendo il naso a quella vista ed ingollando a fatica tutte le
ulteriori
recriminazioni che – si vedeva – avrebbe voluto
rivolgere al suo comportamento.
La
gran parte di quei consigli erano sprecati, lo sapeva, aveva
già provato in
passato a fargli entrare in testa quanto poco opportuno fosse per lui
girare a
zonzo da solo per la città e quanto poco saggio, in
generale, fosse farlo
quando, come quel pomeriggio, era stato programmato un coprifuoco con
tanto di “irrorazione”
di pioggia acida a ribadire il concetto. Matt non la ascoltava. Ogni
volta che
qualcuno di loro diceva qualcosa per inculcargli in testa un
po’ di buon senso,
Matt smetteva di ascoltare. Le ragioni di quella scelta erano
conosciute solo a
pochi intimi, in gran parte quegli stessi che erano presenti quando
– quasi un
anno e mezzo prima – aveva deciso di unirsi alla Resistenza e
di diventarne, in
qualche modo e controvoglia, il leader ed il portavoce.
Eliza,
che della Resistenza era stata una fondatrice, apparteneva a quella
ristrettissima cerchia di persone, anche se per un caso fortuito.
Semplicemente
era successo che Matt non avesse nessuno con cui parlare dei motivi per
cui a
volte si svegliava nel cuore della notte piangendo e gridando e lei era
stata
lì una di quelle notti. Confessarsi alla luce di una
candela, come bambini
spaventati dal buio, era stato facile e liberatorio per tutti e due: in
fondo le
loro storie non erano così dissimili ed il loro modo di
reagire alla solitudine
era stato, almeno in principio, lo stesso. Poi in Eliza il desiderio di
vendetta aveva lasciato spazio alla necessità di fare qualcosa di concreto, lì
dove in Matthew si era semplicemente
trasformato in un bisogno irrazionale di rincorrere una facile
autodistruzione.
I loro interessi continuavano a coincidere solo nella misura in cui lui
si
prestava ai loro scopi, dando volto e voce alla loro rivoluzione.
-A
lungo andare non serve a nulla comunque.- ci tenne a precisare Matthew,
lasciandosi cadere a sedere sulla prima sedia disponibile e continuando
a
gocciolare sul pavimento una scia disomogenea di acqua contaminata.- Le
esalazioni ti uccidono lo stesso.
Eliza
si voltò verso la postazione di regia.
-E’
per questo che, di solito, si evita proprio di uscire.-
osservò secca prima di
allungare le dita verso la consolle.
Il
brano in sottofondo scivolò in un oblio lento quando la
ragazza abbassò
progressivamente il volume, infilando le cuffie. Matthew si
zittì, lasciandole
modo di aprire il microfono e sostituire la propria voce a quella di
Pete
Doherty.
-E
questi erano i Babyshambles di “You Talk”.-
annunciò rapida – Qui è sempre
“KillJoys
Radio” ed io sono sempre la vostra Urban Symphony che vi
tiene compagnia in
questa piovosa serata di coprifuoco. Notizie dal “mondo di
sopra”? Per gli
amanti degli aggiornamenti, sappiate che i nostri eroi
hanno varato l’ennesima legge contro
l’associazionismo
religioso. Fate a tempo ad iscrivervi ad una delle Chiese Ufficiali o a
decidere di scendere in piazza, con noi della Resistenza, per un
pacifico
sit-in davanti all’Abbazia di Westminster. I dettagli della
protesta nei
prossimi giorni tramite i soliti
canali.- Pausa ad effetto, Matt ridacchiò ed Eliza gli
scoccò uno sguardo
divertito da sopra la spalla prima di avvicinare le labbra al microfono
e
sussurrare sensuale – Capito, voi del Governo in ascolto?-
Lui le fece cenno
che era pazza e lei sogghignò riportando lo sguardo sul
monitor di regia.-
Bene! con mio sommo dispiacere siamo giunti al termine di questa
serata.
Concedetemi di salutarvi a modo mio, ovvero... facendo quanto
più casino
possibile! Questa è “Na na na” e loro
sono i My-Chemical-Romance!-
scandì alzando il volume mentre il file
audio, sparato direttamente nell’etere via web, partiva con
la forza di una
scarica di adrenalina giù per le braccia e le gambe.
Eliza
si liberò delle cuffie e buttò indietro le
spalle, prendendo a dondolare sulla
sedia come una bambina gioiosa, a tempo con la musica. Matt sorrise.
Sentirla
trascinare quel nome con tutta la meraviglia di una
“sacralità” diversa, fatta
di convinzione ed ideali, lo lasciava piacevolmente sorpreso. Eliza
poteva
sembrare, a chi non la conosceva, una creatura fredda e razionale, ma
la forza
della sua ribellione passava anche attraverso le note della musica che
amava,
quella stessa musica di cui era capace di parlare per ore ai propri
ascoltatori, avidi di note tanto quanto di notizie.
Mentre
il “mondo di sopra” – come chiamavano
crudelmente quello strato di ipocrisia
che era diventato la realtà ufficiale
dell’Inghilterra odierna – riprendeva a
dormire un sonno tranquillo, spegnendo il segnale
dell’ennesima radio
dissidente, la Resistenza cominciava la propria nottata, preparandosi
alla
lotta silenziosa e violenta della rivolta armata.
Eliza
si alzò dalla sedia girevole, muovendosi in un profluvio
ondoso di capelli
color caramella – un rosa shocking
che
faceva impallidire il rosso fuoco dei tempi migliori di Matthew!
– lui la
seguì distrattamente con lo sguardo ma rinunciò
quando lei gli sfilò di fianco
per perdersi da qualche parte alle sue spalle. Si sentiva stanco.
Probabilmente
la ragazza aveva avuto ragione a rimproverargli di essere uscito a quel
modo. O
magari, le sue sensazioni non erano così
legate ad un fattore fisico, quanto ad una sua condizione mentale.
-Ci
sono novità.- gli fece sapere intanto la voce di Eliza,
richiamandolo con forza
all’attualità dei propri compiti
“istituzionali”.
Matt
annuì, ripetendo il gesto con maggiore vigore quando si
accorse di avere
bisogno di un ulteriore sollecito per alzarsi davvero dalla sedia e
seguirla
nella stanzetta adiacente. Eliza lo aspettava ad un tavolo quadrato su
cui era
stata spiegata la mappa dettagliata del Palazzo di Westminster. Ad
eccezione
del tavolo e della quattro sedie che lo circondavano, la stanza era
completamente spoglia e buia, l’unica luce scendeva offuscata
da un lucernaio
all’altezza della strada e la pioggia continuava a battere
ritmicamente sul
vetro scheggiato che lo chiudeva. Era il più brutto, umido e
disagevole
seminterrato di cui Matthew avesse memoria. Quando Eliza accese una
vecchia
lampadina appesa al soffitto, lo sprazzo di chiaro li
abbagliò, riflettendosi
sulla superficie lucida della carta su cui era realizzata la mappa.
-Ho
parlato con Steve,- proseguì la ragazza, senza alzare lo
sguardo a sincerarsi
della sua presenza, ma strattonando il foglio per spostarlo da sotto la
fonte
diretta di illuminazione e renderlo più leggibile. Matt si
appoggiò con
entrambe le mani al piano del tavolo, in una posizione speculare a
quella della
sua interlocutrice e fingendo un interesse che sapeva di non provare.-
sembra
che dovremo anticipare la cosa. Qualcuno ha fatto la spia e si
aspettano una nostra
mossa.
-…quindi
ci andiamo prima, così da essere sicuri di non deluderli?-
interrogò perplesso
Matt.
Eliza
gli scoccò uno sguardo gelido e Matthew capì che
non aveva apprezzato la
sottile ironia.
-Quindi
ci andiamo prima perché dopo che avranno rinforzato la
sorveglianza sarà
impossibile anche avvicinarsi.- ritorse freddamente lei. –
Useremo il sit-in
davanti all’Abbazia come diversivo per la Polizia. I dettagli
ce li farà avere
quanto prima.
L’altro
si limitò ad un cenno di assenso e non parlò.
-Lo
sai, vero, che finirà male…- sussurrò
invece, fissando la cartina come dovesse
trovarci dentro le risposte a tutti i dubbi che ancora provava.
Fu la
volta di Eliza di non rispondere. Dopo quasi due anni di silenzio e di
piccole
azioni, la Resistenza era pronta a fare un passo decisivo, quel salto
di
qualità che tutti
– da una parte e
dall’altra – si aspettavano. Il Governo per
ufficializzare la loro
etichettatura come “forza terroristica e pubblico
nemico”, così da giustificare
la feroce repressione che già, di fatto, attuava da tempo; i
loro affiliati per
trovare, finalmente, nella lotta armata uno strumento concreto di
ribellione e
non un semplice palliativo alla frustrazione di quei giorni. Come fosse
andata
non potevano davvero prevederlo, sapevano che i mezzi a loro
disposizione erano
scarsi – “tanta buona
volontà non ti
porta da nessuna parte”, ripeteva Chris da quando
Steve aveva esposto loro
quell’idea – e sapevano allo stesso modo che
restare in un limbo fatto di
proclami e buoni propositi non era più accettabile.
Eliza,
concreta come sempre, diceva che le rivoluzioni passano prima dai
martiri e poi
dagli eroi.
-Finirà
come deve finire.- affermò stavolta, scrollando leggera le
spalle.
Nel
chiarore ugualmente innaturale
della
pioggia e della luce artificiale i suoi capelli impossibili, i vestiti
pacchiani ed eccessivi e quel trucco pesante da bambola plastificata la
facevano sembrare incredibilmente finta. Eppure la sua voce vibrava
degli
accenti più veri che Matt riuscisse a ricordare da tempo,
Eliza – Urban Symphony, come la
personificazione di
quella voce che Londra aveva deciso di soffocare e relegare nelle fogne
–
era dolorosamente viva, quanto lui non pensava di poter essere. Mai
più.
Ma
qualcosa da offrire, lo aveva.
Infilò
la mano nella tasca del soprabito che teneva ancora addosso contro il
freddo
umido dello scantinato, porgendole sul palmo della mano una chiavetta
USB.
-Questa
è l’ultima che abbiamo inciso. Ci ho messo un
po’ a mixarla, ma ora è a posto.
- le disse davanti al suo sguardo interrogativo.- Mandala in radio
domani, e
rendila disponibile in rete.
Eliza
si illuminò come se le stesse consegnando un autentico
tesoro e Matt rise,
schernendosi.
-Come
ci riuscite?!- sbottò la ragazza, afferrando la chiavetta
con una bramosia
evidente.
Matt
liquidò la cosa con un gesto noncurante.
-Ho
ancora degli amici che mi devono dei favori.- confessò.
Il
sapore di Brian si impastava ai suoi respiri nel cuore della notte.
Diventava
qualcosa di tangibile, morbido e cremoso nella bocca che affondava tra
i cuscini.
La sua pelle era velluto sotto le dita, era sempre stata
incredibilmente liscia
per essere quella di un uomo e Matt adorava trovare sotto i
polpastrelli le
imperfezioni infinitesimali che lasciava al mattino la barba rada. Per
questo
si ostinava a svegliarlo con una carezza quando, all’alba, si
infilava nel
letto al suo fianco dopo una notte passata al pianoforte o si svegliava
per
primo quando dormivano assieme dopo aver fatto l’amore. Brian
ci aveva fatto un’abitudine
talmente radicata che non si arrabbiava nemmeno, socchiudeva gli occhi
nella
penombra della stanza, recepiva la sua presenza ed il tocco di quelle
dita
bellissime e poi tornava a chiudere lo sguardo in un sospiro paziente,
riaddormentandosi sotto la sua carezza ed il profumo del suo fiato sul
viso.
Lui era così, incredibilmente domestico
con coloro che amava. In qualsiasi altra situazione non avrebbe
tollerato
nemmeno l’idea che un’altra persona potesse
invadere i suoi spazi, ma quando
permetteva a qualcuno di entrare in quegli stessi spazi, diventava
malleabile,
accorto e generoso in un modo che, all’inizio, aveva lasciato
Matthew basito.
Ai
tempi in cui loro due si tolleravano appena, si ignoravano alle feste e
si
odiavano nelle occasioni ufficiali, Matthew non avrebbe mai sospettato
in Brian
una simile capacità di adattamento o un tale spirito di
sacrificio. Lo aveva
sempre pensato come la creatura arrogante e dispotica a cui si
atteggiava, per
scoprire poi che tra i due quello più intransigente,
più difficile e macchinoso
era lui. Brian era di una semplicità che incontrava il
proprio limite
esclusivamente nella complessità ed enormità dei
suoi sentimenti. E per
difendere quella stessa complessità ed enormità
si rivestiva di una corazza
così sopraffina da diventare indistruttibile.
La
sua era sempre stata la voce di un’individualità
raffinata, attenta al prossimo
ma decisa a non lasciarsi calpestare dal mondo, Brian dava agli altri
tutto il
rispetto che esigeva per se stesso, e le sue canzoni - i suoi versi e
la sua
musica – parlavano di questo: il bisogno di ciascuno di
essere amato, protetto
e guarito, prima da se stesso e poi dagli altri. Man mano che la loro
relazione
andava avanti, Matthew arrivava a scoprire dietro le nenie dei Placebo
–
liquidate in fretta in altri momenti in cui la Musica esigeva tutta la
sua
attenzione – un variegato mondo fatto di due colori, nero e
bianco, soffusi in
una luce aranciata che li ricopriva di tutto il calore delle sensazioni
e dei
pensieri che evocavano. Era stato allora che aveva iniziato ad amare di
Brian
molto più che non il suo aspetto o la sua voce, ugualmente
accattivanti, era
stato scoprire nella creatura desiderata un motivo concreto per
trasformare il
desiderio in passione e la passione in amore.
Ma il
mondo dei Placebo non poteva andare bene ad una realtà che
viaggiava nel senso
opposto. La massificazione del pensiero, la totalitarizzazione dei
sentimenti
non potevano accettare l’esistenza di una musica che avesse
il suono di una
ribellione intellettuale e spirituale, elevata a livelli che la
rendevano
praticamente inattaccabile. Brian parlava ad un popolo di individui
disposti ad
esistere con una tale forza che
nessun credo politico o religioso avrebbe potuto più
metterli in discussione.
Di
fronte a questo, inevitabilmente, il nuovo mondo non poteva che
perseguirne la
distruzione.
…si
svegliò in un bagno di sudore. Il sapore che aveva sognato
ancora nella bocca e
la sensazione tattile di quella pelle sotto le dita. Faceva male al
petto ed
alle ossa, un dolore fisico che partiva dai nervi, tesi e rigidi sulle
spalle e
le braccia, e si diffondeva attraverso il cervello a tutto il corpo. Voleva morire. Non avrebbe saputo dirlo
in altro modo, non avrebbe saputo usare altre parole o altri pensieri
per
definirsi in quell’istante. E come quello, centinaia di altri
istanti prima e
dopo.
Il
sospiro che si lasciò sfuggire dalle labbra aveva la
consistenza dello sfiatare
di una bestia agonizzante. Rotolò su un fianco, cercando
inutilmente una
posizione confortevole in un groviglio contorto di braccia, gambe e
lenzuola.
Mai
come ora aveva desiderato non essere solo in un luogo. Dom e Chris
erano
tornati a casa. Si preannunciava il più grosso disastro cui
la Resistenza
potesse offrire le teste dei propri “capi”
– o la più grande
vittoria, a voler credere all’esistenza di un Qualcosa
che dall’alto dei propri Cieli stabilisse in Terra una
Giustizia in-umana –
ed ovviamente, coloro che ancora avevano qualcuno
da perdere, non potevano che aver deciso di trascorrere altrove il
tempo
rimasto a disposizione. Gli aveva chiesto di pazientare fino a che non
avessero
inciso un’ultima canzone. Non la migliore, non la
più significativa,
semplicemente l’ultima. Poi aveva dovuto lasciarli liberi,
scacciando con un
sorriso spento i loro tentativi di riportarlo indietro con
sé. Aveva
abbandonato Londra una volta e, tornandoci, l’aveva trovata
vuota ed
inospitale, adesso che programmava di riprendersela – con il
sangue e con l’anima
– non avrebbe permesso che quella sgualdrina mutasse ancora
mentre era
distratto.
Si
sollevò sulle braccia, mettendosi seduto sul materasso
scomodo e scalciando via
le coperte quando divennero un ingombro eccessivo. Il respiro faticava
a
tornare regolare e lui si impose, semplicemente, di trattenere il fiato
finché
il silenzio prese a fischiargli nelle orecchie. A quel punto tutto
assunse una
dimensione accettabile. Posò i piedi nudi a terra,
muovendosi con accortezza
per non svegliare coloro che dormivano nelle altre stanze dello
scantinato, si
mosse al buio con la sicurezza di chi, in un anno e mezzo di
oscurità, ha
imparato a distinguere ogni anfratto del luogo che si è
scelto come prigione.
Nella stanzetta di fianco alla sala di regia la mappa era ancora
distesa sul
tavolo; in quella successiva un vecchio portatile accesso mandava un
ronzio
costante e mostrava il logo dei Muse su una pagina nera, con un invito
agli
utenti a cliccare di lato per scaricare la nuova traccia audio, sulla
parete di
fondo campeggiava uno striscione blu e rosso, che aveva realizzato solo
qualche
giorno prima, aspettando anche lui che arrivasse il giorno di un
riscatto
paziente. Matthew lo degnò di uno sguardo appena, la sua
stessa calligrafia
rotonda, da adolescente mai cresciuto, recitava blanda “war
is overdue”, accennando idealmente
all’incipit di un inno che
voleva diventare “di battaglia”.
L’indicazione, nemmeno troppo velata, era ad
armarsi per combattere quella stessa guerra ed insieme a gridare ad una
voce
sola il piano – lineare – della loro rivoluzione. A
ripensarci freddamente si
disse che in lui c’era sempre stata la medesima carica
distruttiva che
avvertiva adesso.
Qualcuno
aveva raccolto in giro la posta indirizzata alla Resistenza ed ai suoi
membri.
Avevano sistemi alquanto elaborati per comunicare tra loro e con quanti
restavano
nel “mondo di sopra”, la gran parte di questi
metodi falliva piuttosto spesso e
gli altri venivano intercettati con una tale facilità da far
dubitare della
loro efficienza. Ogni tanto, comunque, qualcosa arrivava.
Spulciò pigramente le
buste ed i pacchetti, cominciando ad avvertire un freddo pungente alle
mani ed
ai piedi; arrotolandosi su un divano, cercò un po’
di calore nel sottrarsi al
pavimento umido. C’erano due lettere indirizzate a lui, una
era di Steve e,
presumibilmente, gli forniva i particolari dell’attacco a
Westminster; Matthew
la mise da parte appoggiandola in bilico su una gamba. Aprì
la seconda perché
riconobbe la calligrafia di Dominic, da dentro la carta scivolarono
mollemente
tre foto ed un biglietto stringato di poche righe che dettava il giorno
dell’arrivo
del batterista e di Chris nel codice che avevano stabilito tempo prima.
Le
fotografie erano tutte di Kelly e dei bambini di Chris ma in una
c’erano anche
il loro papà insieme con Dominic. Dovevano averle fatte in
quei giorni…
Matthew
si accorse del pacchetto solo perché rotolò
giù dal divano quando si spostò per
mettersi più comodo e leggere la lettera di Steve. Era
rotondo, non troppo
spesso e rigido, c’erano su talmente tanti bolli postali e
timbri da far
credere che avesse girato tutto il mondo prima di approdare fino a lui,
la
grafia elegante che aveva vergato il suo nome gli era completamente
sconosciuta, ma non sembrava particolarmente ostile. Forzò i
sigilli che
chiudevano il pacchetto, strappando la carta spessa che lo copriva, e
scoprì un
dvd nuovo di zecca, lucente e privo di qualsiasi iscrizione diversa da
un
laconico “per Matthew Bellamy”.
Note dell'autrice:
Alzino la mano tutti coloro che mi vogliono
linciare per i - fin troppo - espliciti richiami all'opera ispiratrice.
Ebbene
sì, «1984» è stata la fonte
prima di questa storia.
Per il resto è delirio.
Un delirio a cui ho voluto un mondo di bene
mentre lo realizzavo e, come sempre, molto meno dopo averla terminato,
e che
spero che, in qualche modo, possa suscitare la vostra
curiosità o il vostro
interesse.
Molteplici le «influenze
musicali»
utilizzate. Oltre a quelle citate ne troverete dei Placebo, almeno
un'altra dei
Muse e perfino dei Linkin Park...chissà se siete in grado di
scovare di quali
canzoni si tratta! XD
Infine, un ringraziamento anticipato: ad
Erisachan, per l'aiuto che mi ha dato e, soprattutto, per Eliza.
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