TriggerHappy
avverte:
Al
fine di non farvi diventare pazzi mentre leggete, vi dico solo che la prima
parte è ambientata nel presente, mentre invece le parti che cominciano con scritte in grassetto sono ambientate
nel passato.
Avevo
provato a mettere tutto il presente in corsivo, ma mi sembrava molto peso da
leggere ^^
1.
Son of Mother Earth
< Bom dia, exorcista.>>
L’uomo con il
cappello elegante, da gran signore, saluta educatamente l’esorcista che,
riverso miseramente a terra, solleva con sguardo stravolto gli occhi. Le sue
pupille, una volta vista la carnagione cinerea e le iridi color topazio
dell’uomo, si dilatano. Ha compreso, lo ha riconosciuto, e a quel punto l’uomo
si concede un sorriso così ampio e smagliante, così diverso dalla smorfia
scomposta che solitamente gli deforma il viso mentre massacra il nemico, da
farlo apparire quasi angelico.
L’uomo cerca di
reprimere il sorriso e, con un gesto fluido, si sfila il copricapo.
<< Il mio nome
è Tyki Mikk. Ma questo lei, mi sembra, lo sa già.>>
Tyki Mikk si
accovaccia tranquillamente accanto all’esorcista agonizzante e si accende una
sigaretta. Sa che c’è tempo, e che quell’esorcista sta per morire.
Soffia il fumo della
sigaretta e ne assapora un altro tiro, prima di rivolgersi all’uomo.
<< Il tuo nome,
esorcista?>>
Il pover’uomo ha un
sussulto, ed inizialmente non risponde.
<< Su,
su>>, lo esorta fiaccamente Tyki Mikk, al che
l’esorcista deglutisce rumorosamente.
<< Hamlet
Elliott.>> balbetta lui, e Tyki Mikk sospira scontento, scostandosi i ricioli
neri dalla fronte e spingendoli all’indietro.
<< Non sei
sulla lista.>>, dice seccato, come se fosse colpa di Hamlet Elliott. Come
se Hamlet Elliott avesse anche una vaga idea di che cosa sia, la lista. Come se al
momento gli importasse.
<< Signor Elliott>>
Riprende Tyki Mikk
come se nulla fosse
<< Ha già
conosciuto Tease? E’ un interessante golem cannibale…>>
E via, con quella
storia che aveva già raccontato a cento altre persone, se non di più; la sua
mente vaga mentre il discorso esce come automatico, e dai palmi delle sue mani
sbocciano farfalle nere come petrolio, che paiono fatte di carta.
L’esorcista, ormai
allo stremo ed alla fine della sua corsa, si sforza di
parlare
<<
Pietà.>> esala a fatica. Tyki Mikk corruga le sopracciglia, quindi scoppia
a ridere.
<< Pietà? Che
motivo avrei di concedertela, la pietà? Cosa dovrebbe impedirmi di strapparti il cuore dal petto
mentre ancora batte, esorcista?>>
Un bisbiglio troppo
debole per essere udito, anche da orecchie non umane. Tyki Mikk, si vede, si sta
irritando.
<<
Ripeti.>> esorta iroso, chinandosi sull’uomo morente.
<< Fu anche lei
umano. Da qualche parte lo è ancora.>>
Il Noah, sentendo
queste parole, sospira seccato.
<< Una frase
poetica ma inesatta, esorcista. Non c’è più nulla di umano in me ma, indovina?
La cosa mi piace.>>
<< Lei fu
umano.>> insiste Hamlet Elliott, con una cocciutaggine che, seppur debole
al momento, di sicuro l’ha accompagnato in vita. Usa
le sue ultime forze per strappare al Noah il privilegio di una morte dignitosa.
Tyki Mikk, che ovviamente
l’ha intuito, decide di stare al gioco. Ha ancora molte sigarette ed una notte
intera: nessuno sta cercando quell’esorcista, almeno per ora.
<< Fui
umano>> concede Tyki Mikk, sedendo composto a terra ed
accendendosi un’altra sigaretta
<< Ma fu molto
tempo fa. Tu non eri ancora un pensiero nella testa di tua madre, esorcista,
anche se ora come ora il tuo aspetto da umano è più
vecchio del mio.>>
L’esorcista, disteso
a terra, tace, ma non è ancora morto. Tyki Mikk aspira fumo dalla sigaretta e
comincia a parlare.
Se da
bambino Tyki Mikk avesse
potuto parlare, avrebbe detto che la vita faceva schifo.
Era figlio di un
minatore e di una contadina, e fino a cinque anni non spiccicò parola, perché
nessuno parlava con lui.
Sua madre era una
presenza evanescente, che appariva saltuariamente durante la giornata per
cucinare o sistemare la casa; la sera mangiava in silenzio, e poi andava a
dormire senza guardare in faccia nessuno.
Il padre di Tyki,
invece, era un uomo bellissimo: era alto e solido, con i capelli folti e lucidi
e gli occhi profondi come pozzi neri. Cosa più importante, era un gran
lavoratore, responsabile ed instancabile: lavorava in miniera ogni giorno per
estrarre stagno dalla terra, e si spaccava la schiena dalle dieci alle dodici
ore al giorno. A volte rimaneva in miniera giornate, altre volte settimane
intere, per poi tornare a casa stanco e di
cattivo umore; Tyki, già da bambino, aveva deciso che sarebbero andati bene
tutti i lavori del mondo tranne quello.
Non voleva, per colpa
del suo lavoro, odiare la sua famiglia, quando mai ne avesse avuta una.
Tyki parlò per la
maggior parte dell’infanzia (almeno, quando si decise a parlare) solo con i
ragazzini che, come lui, passavano le giornate a giocare in strada: imparò
quindi ad imprecare, a scappare dopo aver rubato le mele al fruttivendolo,
imparò a conoscere tutti gli angoli e le strade della sua città finchè non fu
sicuro di conoscerli tutti a menadito. La sera tornava a casa, si sedeva alla tavola
dove la sua famiglia consumava una cena frugale e silenziosa e poi andava a
dormire.
Passò così tutta
l’infanzia fino a che, a dieci anni, convinto di essere più figlio della strada
che di sua madre e suo padre, decise che gli bastava così.
<< Così presi
le mie cose e partii. Non erano tante, non riempivano neanche una borsa da
viaggio. Avevo una mappa del territorio che era tutta macchiata e che,
comunque, segnava i terreni sbagliati, una coperta ed un paio d’abiti, e non
avevo bisogno d’altro, almeno finchè non fossi stato in grado di rubare… E
credimi, esorcista, lo ero. Lo ero.>>
Tyki Mikk abbassa lo
sguardo per controllare che l’esorcista sia ancora vivo: il suo petto si alza e
si abbassa impercettibilmente. Almeno per ora, potrà continuare ad ascoltare;
tra un po’, invece, Tyki Mikk parlerà a vuoto.
All’età
di sedici anni, Tyki Mikk
vagava senza meta per le aride terre del Portogallo centrale: passava di treno
in treno senza sapere dove andava, e non gli interessava affatto saperlo. Nord
o sud che fosse, si trovava sempre immerso in paesaggi di campagne e di città
che erano tanto drammaticamente uguali tra loro da fargli venire l’emicrania;
spesso, steso su un letto d’albergo (o, molto più probabile, raggomitolato
sotto la sua coperta) si chiedeva se non stesse per caso girando in tondo. Non
potevano esistere così tante città talmente simili l’una con l’altra.
Per mantenersi
lavorava saltuariamente nei campi dei grandi proprietari terrieri, guadagnando
poco o niente e spaccandosi la schiena dalla mattina alla sera curando la
terra, con il sole che gli bruciava implacabile la nuca ed il sudore che
scorreva a rivoli, talmente tanto che a fine della giornata aveva la camicia
zuppa. Cominciò a togliersi la camicia per lavorare, fregandosene delle
bruciature provocate dal sole, ed il suo fisico si irrobustì.
La sera, sporco e di
cattivo umore, spendeva tutti i soldi guadagnati in
giornata in cibo, o alcolici o, quando fu abbastanza grande per permetterselo,
donne; le trattava rudemente, senza gentilezza, perché pensava di non dovergliela
visto che le ragazze facevano il loro lavoro, non di certo un piacere a lui, e
mentre era con loro si chiedeva se suo padre si sentiva come lui quando tornava
dalla miniera in una casa calda dove c’erano una famiglia silenziosa ed una
moglie che non l’amava. Si convinse che probabilmente era così, e lo comprese
un po’ di più.
Le prostitute, dal
canto loro, ammiravano la bellezza del ragazzo e la sua prestanza e spesso,
mentre lui fumava imbronciato una sigarette guardando
ostentatamente davanti a sé, parlavano del più e del meno, coprendo i suoi
gelidi silenzi. Dopo anni di lavoro erano abili nel capire la differenza tra un
uomo che passava per una toccata e fuga prima di tornare a casa dalla famiglia ed un
ragazzo che non parlava perché nessuno parlava mai con
lui.
La più utile per
Tyki, tuttavia, fu una certa Trànsito Soto, prostituta di un locale di Leira. Era una prostituta a stampo classico, di
un’età variabile tra i ventotto ed i trentatrè anni, con una cascata di
riccioli neri che le ricadevano sulla pelle olivasta, che si vestiva con abiti
così succinti da coprire a malapena le sue forme più che floride. Aveva un neo
appena sopra le carnose labbra dipinte di rosso, fumava almeno venti sigarette
al giorno ed aveva una risata tonante che si sarebbe sentita da una parte
all’altra di un teatro.
Le forme sinuose di
Trànsito Soto erano lontane dall’idea di bellezza che, con il tempo, si erano
formate nella mente di Tyki Mikk, ma Trànsito aveva
una qualità che nessun’altra donna aveva: era un’abilissima giocatrice di
poker.
Era inoltre una donna
intelligente, nonostante la sua rudezza. Tyki aveva passato mesi cercando la
sua compagnia e spendendo tutti i suoi soldi per lei, finchè non aveva imparato
tutti i trucchi del poker che lei poteva offrirgli.
Per prima cosa gli
aveva insegnato a contare, perché Tyki non era mai andato a scuola e sapeva
scrivere a malapena il suo nome; poi, una volta superato l’ostacolo più grande
rappresentato dalla sua ignoranza, gli aveva insegnato a contare le carte.
Dopodichè era passata a tutto il resto.
<< Quando
nascondi le carte, capo, non metterle dove le metto io.>>, sogghignò una
sera Trànsito, tirando fuori un asso di picche dal corpetto intrecciato. Tyki
deglutì ed abbassò lo sguardo, e Trànsito Soto rise.
<< Penso che li
metterò all’interno della manica.>>
Commentò lui,
girandosi le carte di mano in mano. Trànsito annuì
<< O
all’interno dei pantaloni. Capo, da qualsiasi parte le metti, basta che non ti
fai beccare mentre le tiri fuori. Mano lesta ed occhio
veloce.>>
Tyki annuì,
concentrato sul mazzo.
Se fosse riuscito a
diventare così bravo da non poter mai perdere, pensava, non avrebbe mai più
dovuto lavorare la terra.
Mai più pelle
ustionata, mai più sudore, mai più quella sensazione di
sporco che pareva non andarsene mai via.
Continuò a vedere
Trànsito Soto per mesi e mesi, finchè lei non decise che era abbastanza bravo
da potersi esercitare da solo
<< Eri portato,
capo.>>
Gli disse l’ultima
sera che si videro, nella stanza semibuia del secondo piano.
<< Ormai devi
solo allenare l’occhio e velocizzare la mano. Sai tutto quello che potevo insegnarti. Non
l’avrei mai pensato, ma penso che mi mancherai. Perché
ora partirai, vero, capo?>>
Tyki annuì,
abbassando lo sguardo. Doveva molto a Trànsito Soto, ma voleva che, una volta
sul treno per la sua nuova vita, restasse un avvenimento del passato.
<< Non posso
fregare quelli che mi vedono da mesi girare in città>>, spiegò,
<qui da te
solo per il poker. Nessuno accetterebbe una partita con me, con questi
presupposti… Soprattutto considerando che tu li hai spennati tutti prima di
me.>>
Trànsito Soto, in
effetti, quando ancora non era famosa per le sue forme sinuose e le sue danze
sensuali, aveva sfidato e derubato con l’imbroglio buona parte della
popolazione maschile di Leira e dintorni.
<< Andrò verso
nord.>>
Aggiunse Tyki, mentre
Trànsito sogghignava.
<< Non hai mai
fatto un discorso così lungo da quando ti conosco,
capo.>>
Tyki si strinse nelle
spalle senza aggiungere nulla.
Il giorno dopo, Tyki
Mikk si trovava alla stazione dei treni, con la sua sacca da viaggio
impolverata buttata malamente sulla spalla ed il mazzo di carte incastrato tra
l’anca e la cintura.
<< Fu un
viaggio lungo fino al nord, esorcista.>> Tyki
soffia il fumo verso l’alto, pensieroso.
<< Era più
freddo e più ventoso, e l’aria odorava talmente di mare che dopo un po’ l’odore
ti rimaneva addosso e non c’era doccia che potesse togliertelo.
Ma lì non fu
male.>>
Nota dell’autrice
Salve
^^
Ho deciso
di cominciare questa fic per raccontare la storia di Tyki da prima che
diventasse Noah. Non durerà molto, ma era una fiction che da tempo avevo voglia
di scrivere.
Spero
che il personaggio di Tyki sia IC… Nel caso non lo fosse, avvertitemi, per
favore xD non vorrei mai renderlo OOC proprio in questa ambientazione.
Se
mai vi preoccupaste per il personaggio di Trànsito Soto (il cui nome, e ahimè
non solo, è stato rubato dallo splendido libro di Isabel Allende, La casa degli Spiriti) e pensate che sia
una Mary Sue, allora buttate via le vostre preoccupazioni, perché non la
vedremo più. Mi sono resa conto rileggendo che può sembrare un personaggio
principale, ma per quanto sia a suo modo “importante”, non lo è.
Spero
che abbiate voglia di commentare, perché scrivere una fanfiction, per quanto
bella o brutta sia, almeno per me, è sempre un lavoro che va fatto con
pazienza, volontà e impegno, ed è bello veder apprezzati i propri sforzi ^^
Grazie
mille per aver letto e/o recensito, spero che questo primo capitolo vi sia
piaciuto.