Twisted Souls

di bluemary
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-Capitolo 3: Mizar-

Nonostante quello che i suoi uomini potevano pensare, Mizar era umano. C'era stato un tempo, impossibile da quantificare in mesi o anni, in cui il crudele comandante della legione più forte degli Oscuri aveva combattuto a fianco dei ribelli, in una delle poche cittadine ancora pervase da un ideale di libertà.
Stanco della dittatura e dei soprusi dei Cinque Re, si era offerto volontario, assieme ad altri due uomini più vecchi di lui, per infiltrarsi nel castello di Daygon, scoprire dove si nascondeva e poi ucciderlo; nessuno sapeva se il mago fosse effettivamente mortale, ma rischiare la vita era sembrato un prezzo più che accettabile per ottenere l’indipendenza.
Era stato catturato subito, senza aver avuto nemmeno la possibilità di difendersi.
Le guardie l’avevano portato in una cella buia e umida che sapeva di sangue, e lì era rimasto, con le mani incatenate al soffitto ed i polsi circondati da due anelli di metallo stretti abbastanza da corrodergli la pelle; non sapeva quanti giorni avesse trascorso in quella tortura, temendo la morte e poi invocandola a gran voce dentro di sé, anche solo per porre fine al supplizio di quell’attesa lacerante e tormentosa.
Poi, quando la sete l’aveva indebolito a tal punto da farlo sprofondare nell’incoscienza ogni poche ore, un uomo con un lungo mantello grigio era entrato nella sua cella. Senza nemmeno rivelare il suo volto, oscurato da un cappuccio, aveva ordinato ai carcerieri di togliergli le catene e condurlo nella sala degli interrogatori.
Lì Mizar aveva visto torturare fino alla morte i due compagni che si erano infiltrati con lui nel palazzo.
Nonostante il suo sangue freddo, il giovane non aveva retto che qualche minuto, prima di accasciarsi a terra scosso dai conati di vomito e con le mani premute contro le orecchie in un futile tentativo di cancellare quelle terribili urla di dolore ed agonia che gli stavano lacerando lo spirito.
Quando aveva riaperto gli occhi, non c’erano più né le guardie né i cadaveri dei due ribelli.
Era stato allora che l’uomo avvolto nel lungo mantello gli aveva parlato per la prima volta, sollevando il cappuccio per rivelare gli occhi blu scheggiati di rosso e la pupilla bianchissima.
- Questo è quello che succede a chi osa sfidarmi.
Mizar era rimasto a terra, tremante, il suo sguardo vuoto fisso in quello dell’Oscuro ed il volto pallidissimo contratto per la sofferenza e la paura. Nuovamente la nausea l’aveva assalito al pensiero di quello che avrebbe dovuto subire prima della morte; nonostante fosse stato pronto a sacrificarsi pur di riuscire nel suo intento, infatti, ciò che aveva visto era bastato a dissolvere tutto il suo coraggio.
- Hai paura, Devil? - lo aveva schernito il mago, apostrofandolo con quello strano nome che richiamava i demoni del passato.
Il ragazzo si era alzato barcollante, ricercando i brandelli della sua dignità nell’alone di panico che lo avvolgeva.
- Almeno sii rapido a darmi la morte. - aveva mormorato, la voce tremante e spenta in totale contrasto con gli occhi chiari che si sforzavano di mantenere uno sguardo fiero.
Nel volto dell’Oscuro era apparso uno strano sorriso, mentre si avvicinava al suo prigioniero con un movimento tanto rapido da non dargli la possibilità di reagire.
- Non sarà la morte ciò che riceverai da me.
Lo aveva appena toccato sulla spalla sinistra, vicino al cuore, mentre con l’altra mano aveva tirato fuori da una tasca interna del suo mantello un piccolo ciondolo di cristallo, dentro il quale pulsava una strana luce azzurra.
Daygon aveva mormorato qualche parola in una lingua sconosciuta, poi, senza preavviso, aveva chiuso il pugno frantumando il cristallo, e la luce azzurra era passata dalle sue mani a Mizar. Un potere incredibile aveva attraversato il giovane ribelle, come una fiamma indolore che aveva rinfrancato il suo spirito; le sue ferite sui polsi si erano richiuse come se non fossero mai esistite, il suo stesso corpo era tornato scattante e riposato, quasi non avesse subito quelle dure giornate di prigionia, ed una voce aveva sussurrato nella sua mente un’unica, trionfante certezza.
Adesso possedeva la magia.
Attingendo a questa nuova forza si era concentrato sulla sua rabbia e sul suo dolore, finchè una palla incandescente era comparsa nella sua mano destra, pronta ad essere lanciata contro l’Oscuro che lo stava fissando con uno sguardo impenetrabile. Poi, senza che qualcuno rompesse il pesante silenzio della stanza, Mizar aveva lentamente ritirato il braccio, annullando la magia.
Daygon aveva sorriso nuovamente, quasi avesse previsto la reazione del suo prigioniero.
- Adesso ti ho dato il potere. - aveva fatto una pausa, lanciandogli uno sguardo sardonico con quegli occhi così terribilmente inespressivi - Hai intenzione di attaccarmi o ti schiererai con me?
Mizar l’aveva fissato in silenzio, l’odio che gli bruciava nel cuore gli stava corrodendo la gola come un acido, e, nonostante il suo corpo fosse guarito alla perfezione dalla prigionia, si sentiva ancora nauseato con l’eco di quelle terribili urla di agonia che gli tormentavano le orecchie.
Poi, lentamente, si era inginocchiato di fronte a quel mago che aveva torturato e ucciso i suoi compagni.
- Sono ai tuoi ordini.
Non aveva mai rimpianto la sua scelta.
In un primo momento, prostrato su quel pavimento ancora umido del sangue dei due uomini, aveva creduto davvero di ingannare Daygon per poi tradirlo una volta diventato abbastanza abile e forte per eliminarlo.
Sarebbe stato il suo fedele generale, cercando di proteggere la sua città e contemporaneamente guadagnandosi la fiducia dell’Oscuro, fino a quando avrebbe potuto pugnalarlo alle spalle con il potere che lui stesso gli aveva fornito.
Ma la magia l’aveva cambiato più in profondità di quanto si aspettasse.
La sicurezza, la possibilità di rimanere in vita e la consapevolezza di essere scampato ad una morte orribile non erano nulla in confronto all’immenso potere che gli era stato regalato e adesso stuzzicava la sua ambizione, di cui solo in quel momento sembrava essersi reso conto.
Comandare un piccolo reparto nell’esercito di Daygon, essere rispettato e temuto dalla maggior parte della gente, quando nella sua vita passata era semplicemente un ragazzo qualunque, gli regalava un’inebriante sensazione di onnipotenza.
L’aveva capito una sera di qualche mese più tardi, steso sul suo letto, avvolto dalle lussuose lenzuola che nella sua città d’origine non avrebbe mai potuto permettersi, mentre una prostituta gli dormiva a fianco, pronta ad esaudire ogni suo desiderio.
La libertà della sua cittadina non aveva alcuna importanza di fronte alla possibilità di guadagnare sempre più potere.
Sconvolto da questo pensiero fin troppo fastidioso ed insistente si era recato da Daygon, pronto a quel confronto finale che lo avrebbe portato infine a vendicare i suoi due compagni.
L’Oscuro non si era nemmeno voltato quando lui aveva fatto il suo ingresso nella stanza.
- Ti aspettavo.
Mizar aveva fatto qualche passo in avanti, la mano tesa a raccogliere quella magia che nei giorni passati aveva imparato ad usare tanto bene.
- Sono qui per ucciderti.
- Davvero? - aveva chiesto il mago con un’educata curiosità, portando alla luce con quella singola parola tutti i laceranti dubbi che si agitavano dentro l’animo del suo guerriero e gli impedivano di rispondere.
Infine si era voltato a fissarlo, per la seconda volta dopo quel lontano giorno in cui gli aveva risparmiato la vita, i suoi occhi dalla bianca pupilla avevano trapassato l’iride azzurra del giovane uomo, arrivando a illuminare le oscurità più profonde della sua coscienza. La sua voce era risuonata come un’inesorabile certezza.
- Io ti ho visto, ho letto nella tua anima. Tu desideri il potere e lo seguirai fino in fondo al mio fianco, senza curarti di diventare un angelo o un demone. - aveva fatto una pausa, sorridendo tra sé – Per questo ti ho donato la magia.
- Non è vero! - aveva urlato con rabbia il soldato, per negare la verità nascosta in quelle parole.
I secondi erano trascorsi lenti in quella stanza, senza che lui si fosse deciso a cominciare lo scontro.
- Perché non mi attacchi, Mizar? - aveva chiesto l’Oscuro, utilizzando per la prima volta il suo vero nome invece del minaccioso appellativo con cui l’aveva chiamato tanti giorni prima.
Ancora una volta nel giovane uomo si era scatenato un conflitto, il vecchio idealismo che si scontrava con questa nuova divorante ambizione. Aveva rivisto i suoi compagni morire in modo orribile, sentendosi stranamente indifferente a quel ricordo, ormai soverchiato dalle numerose battaglie da cui era sempre uscito vincitore, e dall’esaltante sensazione della magia nelle proprie mani.
Le due strade si erano stagliate nitide di fronte ai suoi occhi, e lui aveva dovuto scegliere, senza più ipocrisie o scappatoie, tra il potere e la giustizia.
Un lieve sorriso, privo di alcun calore, era comparso poi sulle sue labbra, mentre facendo volteggiare il mantello dava le spalle all’Oscuro e usciva dalla sua camera.
- Il mio nome è Devil.
Il giorno dopo aveva armato i suoi soldati e distrutto la sua città.

Mizar entrò nella sua camera dopo aver congedato i due soldati di guardia, un sorriso crudelmente indifferente sul volto gelido e perfetto.
La ragazza si era infine svegliata e lo sguardo impaurito con cui si guardava le mani incatenate assieme alla testiera del letto gli regalava la tipica soddisfazione di un cacciatore che è riuscito ad intrappolare la sua preda ed ora si gode l’attesa di sferrare il colpo di grazia.
Si fece avanti senza preavviso, strappando un sussulto alla figura ancora distesa che non si era resa conto del suo ingresso nella stanza.
Gli occhi dilatati dalla paura della sua prigioniera saettavano dalla porta chiusa a lui, in un vano tentativo di trovare una speranza di fuga.
Era terrorizzata.
L’uomo si accomodò sul letto e le toccò una spalla, bloccando sul nascere il suo tentativo di muoversi, prima di allentare le catene quel tanto che bastava per lasciarla libera di muovere le mani e mettersi a sedere. Come se si fosse scottata, la ragazza si rannicchiò il più lontano possibile da lui. Mizar le sorrise, una piega delle labbra appena accennata che non raggiungeva gli occhi gelidi.
Un senso di soddisfazione pervase l'alto comandante: aveva il diritto di vita e di morte su di lei e lo sapevano entrambi.
- Come ti chiami?
La giovane non rispose.
- Non mi piace ripetere due volte le mie domande. - la avvertì con un tono appena più tagliente del normale.
La ragazza deglutì a vuoto, inumidendosi le labbra riarse dalla sete.
- Kysa.
- Kysa... - ripeté l'uomo, pronunciando quel nome come se ne rivendicasse la proprietà. - Sai chi sono?
Lei scosse la testa, lo sguardo fisso nei gelidi occhi del suo carceriere.
- Mi chiamano Devil.
Quelle cinque lettere colpirono la ragazza come un pugno allo stomaco.
Conosceva di fama quel generale crudele e privo di pietà, un guerriero più simile ad un demone che a un uomo, capace di distruggere un intero villaggio con le sue sole forze e non risparmiare né donne né bambini se quelli erano gli ordini a cui aveva scelto di obbedire. Molti tra i ribelli più coraggiosi tremavano al solo pensiero di ritrovarsi vivi nelle sue mani, ma, ciò che terrorizzava la ragazza tanto da renderle difficile perfino respirare, era la consapevolezza di essere prigioniera del più fedele servitore di Daygon.
Deglutì a stento, toccandosi la gola, nell’istintivo tentativo di spegnere quel terribile bruciore che la tormentava da quando aveva ripreso conoscenza.
Il suo gesto non sfuggì all’uomo, che, senza il minimo cambiamento d’espressione, le porse un bicchiere colmo d’acqua.
Kysa bevve avidamente, sentendo che a poco a poco il dolore diminuiva ed anche il suo corpo pareva riacquistare parzialmente le forze. Con lo stomaco ancora stretto da un’intensa sensazione di panico, si guardò attorno, aspettandosi di veder comparire l’Oscuro da un momento all’altro, pronta a combattere una battaglia che non avrebbe vinto.
- Dove sono? - domandò, una volta capita l’inutilità della sua attesa.
- Nei miei appartamenti.
Alla dura risposta dell’uomo, la ragazza si rilassò impercettibilmente.
La consapevolezza di essere nella stanza di quel generale crudele non era certo una consolazione, eppure ancora non riusciva a capire per quale motivo Devil non l'avesse portata dall’Oscuro.
- Cosa vuoi da me? - chiese ancora, temendo come non mai per la risposta. Sapeva fin troppo bene quale importanza lei potesse rivestire per i Cinque Re.
Un sorriso freddo e minaccioso si stese sulle labbra dell’uomo, facendola rabbrividire.
- Al momento non ti deve interessare.
Mizar alzò la mano; la ragazza si tese ma, sorprendendolo, non si mosse e continuò a guardarlo con il viso sempre più pallido.
Lentamente le sfiorò una guancia, sentendola tendersi a quel contatto che pure non sfuggì, per poi ritirare il braccio senza staccarle gli occhi di dosso.
Era una ragazza così fragile…
Ormai non ricordava neanche più l'ultima volta che si era trovato di fronte ad un essere umano così palesemente indifeso, che amplificava in maniera esponenziale il suo senso di potere.
Seguendo l'impulso del momento le poggiò la mano sulla fronte quasi rovente rispetto alle proprie dita gelide, poi le sollevò la maglia fino a pochi centimetri sopra l’ombelico, con l'intenzione di controllarle la ferita appena rimarginata.
Subito la ragazza si agitò, cercando invano di liberarsi dalle sottili catene strette ai suoi polsi.
Mizar le lanciò un'occhiata meno gelida del solito, mentre la sua mano tracciava con leggerezza i contorni della pelle sottile che si era creata al posto della ferita.
- Non voglio farti del male. - le disse senza addolcire minimamente il suo tono abituale.
Non provava tenerezza o pietà per quella figura che lo guardava con gli occhi spalancati dal terrore, quelli erano sentimenti che aveva volontariamente abbandonato per seguire la via del potere e adesso nessun rimorso o esitazione lo turbava.
Kysa aveva smesso di dimenarsi, giaceva rigida, respirando appena, in attesa che l'uomo finisse il suo esame. Con il volto contratto dalla paura a Mizar sembrava quasi una bambina.
- Quanti anni hai?
- Venti.
Il generale la guardò sorpreso, non le avrebbe dato più di sedici anni, eppure in realtà non era molto più giovane di lui.
Kysa infine si decise a domandare ciò che la stava torturando in un’attesa insopportabile, preferendo la nera certezza della propria fine piuttosto di quegli angosciosi minuti pervasi dal dubbio.
- Quando mi porterai dal tuo re?
- Cosa ti fa pensare che Daygon abbia del tempo per te? - la irrise Mizar, lasciandola in preda ad una grande confusione - Tu adesso sei mia prigioniera e rimarrai qui finchè lo deciderò io. - continuò con voce minacciosa.
La vide trasalire, poi, con sorpresa, riconobbe l’emozione che per un attimo le illuminò lo sguardo e cancellò parte della propria soddisfazione. Tutto si sarebbe aspettato dopo quelle parole, tranne quel fuggevole lampo di sollievo che pareva averle attraversato il viso.
Le afferrò con forza il mento, i suoi occhi di ghiaccio si specchiarono in quelli chiari di lei; solo in quel momento si accorse che erano azzurri.
- Pensi davvero che sia meglio essere prigioniera mia piuttosto che di Daygon?
La ragazza sostenne il suo sguardo, causandogli un fugace accenno di irritazione.
- Tu mi hai salvato la vita. - mormorò incerta, ancora incredula di essere stata graziata per merito di un uomo temuto da tutti quasi quanto gli Oscuri.
Lui rise, lasciando che il suono crudele echeggiasse nella camera per qualche secondo, prima di rivolgere la sua attenzione verso la giovane.
- Non ti ho salvata per pietà. Quando vedo qualcosa che mi piace me la prendo.
Kysa sentì le sue labbra gelide premere contro le proprie, poi la mano che le tratteneva il mento la lasciò libera di allontanarsi, con il cuore che le batteva all’impazzata ed il volto pallidissimo. Convinta di essere stata catturata per ordine degli Oscuri a causa di ciò che nascondeva dentro di sé, non le era neanche passato per la testa che avrebbe potuto destare interesse nei suoi nemici anche per altri motivi.
Con un sogghigno, Mizar si accorse del lampo di panico che le aveva attraversato gli occhi azzurri.
- Ti consiglio di riposarti finchè puoi.
Kysa sollevò lo sguardo, mordendosi un labbro per l’angoscia della sua situazione. Non erano solo le intenzioni del suo carceriere a terrorizzarla: sapeva che ormai era solo una questione di tempo e, anche se per ora non si era interessato a lei, Daygon avrebbe presto avvertito la sua presenza nel proprio castello, decretando così la fine delle sue labili speranze di potergli sfuggire.
- Ti prego, lasciami andare. - mormorò con un accenno di implorazione nella voce.
Mizar aggrottò la fronte, senza capire se fosse sorpresa o irritazione quella fuggevole sensazione che l'aveva colto al sussurro della sua prigioniera, ma rimase in silenzio.
Le coprì nuovamente il fianco con la maglietta, per quanto la ferita si fosse rimarginata a dovere grazie alla magia, la ragazza era ancora troppo debole per tentare la fuga, ma scelse comunque di lasciarla incatenata al letto.
Si girò appena prima di uscire dalla camera, un pallido sorriso privo di alcuna pietà stampato sul volto.
- Tu ora sei mia.




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