A place in the world

di MedOrMad
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A/N: seconda parte del capitolo su Nick... Ringrazio di nuovo Cla per la splendida e utilissima recensione che mi ha lasciato. Sono ogni volta lusingata dalle tue parole e dal tempo che dedichi alle mie storie. Rendi la scrittura un vero piacere e mi viene voglia di aggiornare ogni volta che ti leggo.

Come sempre, due righe su quello che pensate sono sempre ben accolte.


I'm better breathing on my own-2



 
“Mi chiedevo se potessi venire a darci una mano per un po’ al ristorante.”
 
Fu questa la non troppo gradita sveglia che costrinse Nick ad aprire gli occhi la mattina seguente quando Aiden, suo fratello maggiore e decisamente quello con la lingua più lunga in famiglia, marciò dritto dentro la sua camera da letto, accendendo le luci e sollevando la calda e soffice coperta che, fino a pochi istanti prima, proteggeva il suo corpo ancora intorpidito dal sonno.
 
Doveva ricordarsi di farsi restituire le chiavi di scorta che suo fratello gli aveva fregato il mese prima.
 
Nick si sollevò sul letto, mettendosi a sedere, con un’espressione stizzita a rabbuiargli il volto, e si strofinò gli occhi nel tentativo di liberarsi della sonnolenza che gli rallentava i sensi.
 
Aiden se ne stava in piedi in fondo al letto con le braccia incrociate sul petto e un ghigno spocchioso a decorare le sue labbra sottili.
 
“Ce l’ho già un lavoro.” Fu tutto ciò che si limitò a borbottare in risposta Nick, prima di scendere dal materasso e dirigersi verso la cucina.
 
Sfortunatamente per lui, suo fratello lo seguì senza esitazione.
 
“ Oh avanti, amico! Tu fai fotografie che tieni nascoste a tutti e fai video montaggi di matrimoni! Non partecipi neanche a quei matrimoni… Non è che corri il rischio che qualcuno ti licenzi se molli per un po’. Tu sei il capo di te stesso!” protestò Aiden sedendosi al tavolo della cucina e allungando la mano verso Nick, in una silenziosa richiesta di una buona dose di caffè.
 
“Io non ho bisogno di mostrare tutte le mie fotografie agli altri. Solamente quelle che so mi faranno guadagnare qualcosa. E non partecipo a quei matrimoni perché, come hai giustamente sottolineato tu, io faccio montaggi video. Non sono un cameraman. È per questo che mi sono trovato un partner che fa il lavoro sporco.” Rispose Nick con voce piatta, ignorando la mano di Aiden ancora tesa in attesa di una tazza di caffè e riempiendosi un bicchiere di latte freddo.
 
“Ma ti pagano anche per quella roba?”
 
“Veramente mi pagano profumatamente.” Rispose Nick con voce stanca, senza nascondere il fatto che ne aveva già abbastanza delle domande di suo fratello, oltre che della sua presenza fisica.
 
“Sul serio? Ma non è neppure un vero lavoro!”.
 
Le proteste di Aiden gli stavano lentamente facendo venire il mal di testa e l’unica cosa a cui Nick riusciva a pensare era di sbattere il suo curioso fratello fuori dal suo appartamento e ritornarsene alla magica quiete della propria camera da letto.
 
Non aveva bisogno di questi momenti di creazione di legami fraterni.
 
Aveva passato gli ultimi venticinque anni della sua vita ad evitarli ed era lapalissiano che aveva fatto un ottimo lavoro.
 
Aiden era sempre alla ricerca di un modo per trascinarlo nella gestione del ristorante che i suoi due fratelli avevano aperto tre anni prima con l’aiuto del padre.
 
Certo, unirsi a loro gli avrebbe risparmiato la fatica di cercarsi dei clienti, ma avrebbe implicato tanto, troppo contatto umano. Avrebbe significato dover sorridere alla gente. Parlare con loro. E tutto ciò non rientrava tra i più grandi desideri di Nick.
 
Per non parlare del fatto che i suoi fratelli avevano la tendenza a trovare frustranti i suoi silenzi e il suo atteggiamento. Ma non li si poteva certo biasimare per questo. In genere i fratelli si parlano. Era lui quello non ordinario nel trio.
 
“Hai finito? Perché non sono proprio dell’umore per discutere con te della mia vita professionale.” Ribattè lui secco, allontanandosi da Aiden e alla disperata ricerca di una via di fuga da questa conversazione.
 
“No. Quello che intendo è che tu non hai un superiore e non farebbe alcun danno alla tua carriera prenderti una pausa dai matrimoni degli altri. Nessuno se ne accorgerebbe.”  Insistette lui, alzandosi dalla sua sedia e camminando verso Nick.
 
“Io non voglio prendermi una pausa, Aiden! Non.. non puoi… assumere qualcuno?!” tentennò Nick, cercando una scusa per uscire dall’angolo in cui cominciava a sentirsi schiacciato: era in trappola e la cosa non gli piaceva affatto.
 
“Ho bisogno che tu lavori per me, Nick.”
 
La supplica nella voce di Aiden era evidente, ma il disagio che avvinghiava le viscere di Nick era senza dubbio più forte e più convincente.
 
“Vuoi davvero me per un lavoro che richiede gentilezza e capacità di relazione con i clienti?” Rilanciò Nick, inarcando un sopracciglio e lanciando a suo fratello uno sguardo incredulo e dubbioso.
 
“Non hai tutti i torti.”
 
“Lo so. C’è una ragione per cui ho scelto un lavoro che mi risparmiasse la parte del faccia a faccia con gli esseri umani.” Sospirò Nick, certo che questa ultima affermazione fosse ciò che serviva per scoraggiare Aiden.
 
Ci fu un lungo silenzio tra i due, entrambi i fratelli persi nei loro pensieri e nelle loro considerazioni.
 
Poi, senza proferire parola, Nick iniziò a camminare lungo il corridoio di casa sua, togliendosi la maglietta, conscio dei passi di suo fratello che lo seguivano rapidi. Proprio mentre stava per entrare nel bagno, un lungo e profondo sospiro lo costrinse a bloccarsi e, pochi attimi dopo, Aiden riprese a parlare.
 
“Solo per poco. Non sarà per molto, te lo assicuro.”
 
“No.” Rispose Nick senza voltarsi.
 
“Ti pagherò tantissimo.” Propose suo fratello e il suo tono era così disperato che Nick avrebbe voluto scoppiare a ridergli in faccia.
 
“No!”
 
“Avanti, amico! Sono il tuo fottuto fratello!”
 
Quello era un colpo molto basso, e lo sapevano entrambi. E per quanto Nick volesse sbarazzarsi di Aiden, la carta della “famiglia” funzionò.
 
Era un fratello terribile per la maggior parte del tempo. Il minimo che potesse fare era cedere alle preghiere di suo fratello e accettare.
 
“Un mese. Part time. È tutto quello che ti concedo. E sarà meglio che tu mi paghi quanto mi avrebbero pagato i miei clienti.”
 
“Ma…”
 
“E continuerò a fare il mio lavoro. E non chiamarmi amico!”
 
Le sue parole suonarono pericolosamente simili ad una minaccia mentre Nick lanciò un ultimo tagliante sguardo al fratello maggiore prima di chiudergli la porta in faccia, segnalando la fine della conversazione e di qualunque altro tipo di interazione e di rinchiudersi nella pace della sua solitudine.
 
-x-
 
Era un martedì sera quando, guidando per le strade di South Williamsport, Nick si imbattè in due ragazze piuttosto fastidiose.
 
Stava andando verso uno dei suoi bar preferiti, alla ricerca di un buon drink e nessuna compagnia. Oddio, non era esattamente corretto: non gli sarebbe dispiaciuta la compagnia, ma solo nel caso in cui si fosse trattato di una bellissima, e soprattutto, muta donzella.
 
Se la sarebbe spassata un po’ e poi avrebbe felicemente ignorato la suddetta, per tornare a dedicarsi al suo drink.
 
Ma qualcosa gli mise i bastoni tra le ruote. E quel qualcosa fu il viso iracondo di una ragazza che Nick ricordava aver frequentato il suo liceo. Non che si fosse mai preso la briga ed il tempo di studiare i lineamenti dei suoi compagni abbastanza a lungo da memorizzarli, ma era abbastanza sicuro di averla vista prima di quel momento.
 
E così, quello che cominciò come un giorno piuttosto ordinario, si trasformò in uno molto strano.
 
Non aveva in programma molte interazioni con esseri umani: tutto quello che avrebbe detto ad alta voce sarebbe stato “Rum” e forse, se fosse stato dell’umore giusto, “Ce ne andiamo da qualche parte?”.
 
Ma nell’istante in cui entrò nel parcheggio del Black Sheep, capì che le cose erano in procinto di assumere una piega ben diversa da quella da lui pianificata.
 
Non notò neppure la macchina che sfrecciava in direzione dello stesso posto libero verso il quale stava conducendo la sua macchina.
 
E quello fu probabilmente il primo errore della serata.
 
Come spense il motore, un clacson impazzito dietro di lui cominciò a suonare, facendolo sussultare e molestando le sue orecchie, tanto abituate al silenzio e alla quiete.
 
“Quello è il mio posto, brutto stronzo!” gridò a pieni polmoni una ragazza, chiaramente malata di mente secondo Nick, seduta al posto di guida, prima di spalancare lo sportello della sua auto e dirigersi con passo nervoso verso di lui, fino a giungere accanto al suo finestrino.
 
“Incantevole.” Borbottò lui sarcasticamente, raccogliendo le sue cose dal sedile del passeggero e uscendo dal suo SUV e, nel processo, quasi scaraventò la ragazza per terra.
 
Circumnavigò la sua macchina nel tentativo di evitare quella persona fastidiosamente rumorosa e, senza neppure guardarla, richiuse lo sportello e si allontanò con nonchalance.
 
“Hey! Hai sentito quello che ti ho detto?” protestò lei, apparendo ora estremamente irritata dal fatto che lui si stesse comportando come se lei non ci fosse.
 
“Sì.” Urlò distrattamente lui in risposta alle sue spalle, senza smettere di camminare; la sua voce priva di qualsiasi emozione.
 
Nick si voleva solamente allontanare da quella ragazza e dalla sua silenziosa –stupenda qualità, secondo la sua opinione- amica. Voleva solo una piacevole e tranquilla serata. Niente drammi.
 
Aveva lavorato tutto il giorno su uno stupido e disgustosamente smielato video di un matrimonio e ora era davvero stanco. Tutto quello che chiedeva era qualcosa da bere e un po’ di tempo per e con se stesso.
 
“E…?” insistette la morettina che lo stava ora caparbiamente seguendo mentre lui si avvicinava all’entrata del pub.
 
Si fermò e si voltò lentamente verso la furia dietro di lui e, sollevando una mano in direzione dell’auto di lei, affermò distrattamente:
 
“E immagino che dovrai cercarti un altro posto ora.”
 
Nick le lanciò uno sguardo prima di allontanarsi nuovamente da lei.
 
La sentì soffocare un respiro di sdegno, ma non gliene poteva fregare di meno. Quindi proseguì sui suoi passi verso la sua meta, ignorando tutto quello che stava succedendo alla sue spalle.
 
“Kathy, lascia stare. Andiamo, dai.” Sussurrò la binda e silenziosa ragazza che accompagnava la giovane che inveiva contro di lui, nel disperato tentativo di calmare la sua amica e evitare problemi.
 
Ragazza molto saggia, se qualcuno volesse il suo parere.
 
“Col cazzo che ce ne andiamo, Becky. Quel cretino l’ha fatto apposta. Ha rubato il mio posto di proposito.” La morettina, che a quanto pare rispondeva al nome di Kathy, protestò e, subito dopo, Nick sentì i suoi passi avvicinarlo velocemente.
 
“E adesso mi ignora!” aggiunse lei: la rabbia evidente nella sua voce.
 
“Key, ti prego. Possiamo parcheggiare da un’altra parte.” Supplicò Becky per l’ultima volta, ma ogni suo sforzo si rivelò inutile. La riccia psicopatica che lo stava infastidendo non avrebbe accettato un no come risposta.
 
“No invece, non possiamo.”
 
In un lampo si catapultò accanto a lui, bloccando l’entrata del Black Sheep con il suo corpo.
 
“Ti spiace? Avevo in programma di entrare.”  Chiese Nick indicando la porta con un semplice movimento del mento e fissandola con occhi intensi e sicuri.
 
“Sposta la tua macchina.” Ordinò la ragazza furibonda, piazzando entrambi i palmi delle mani sul suo petto e spingendo con tutte le forze, cercando –invano- di muoverlo dalla sua attuale posizione.
 
I suoi occhi blu scuro scintillavano per l’ira, le guance arrossate per il nervoso. Era bassina (per lo meno rispetto a lui), eppure il suo sguardo determinato non vacillò mai e non si spostò neppure per un secondo dal suo, più duro e buio, ma altrettanto sicuro e certo di non voler cedere.
 
Nick era quasi divertito dall’energia rabbiosa che sembrava animarla.
 
Ma il contatto fisico? Beh, quella era tutta un’altra storia. E al momento non era di suo gradimento.
 
Il corpo a corpo era apprezzabile solo se rientrava nelle sue richieste e, soprattutto, se lui era preparato. E questo non era il caso.
 
Le avvolse le dita attorno ai polsi e, con delicatezza, allontanò le mani di lei dal suo petto.
 
“Giù le mani, dolcezza.” Nick ammiccò e, nel momento in cui la sua voce si abbassò di un’ottava, trasformandosi in quella voce per cui lui famoso, la sentì rabbrividire sotto il suo tocco.
 
Sollevò lo sguardo, incontrando i suoi occhi, e una profonda confusione gli si dipinse sul viso mentre cercava di comprendere da cosa fosse derivata quella reazione.
 
Ma con la stessa rapidità con cui la sua perplessità affiorò, si dissolse con la realizzazione che, probabilmente, questa ragazza sapeva con chi stava cercando di discutere e, senza dubbio, tutta questa scena dipendeva proprio dalla sua reputazione.
 
“Kathy…” sussurrò Becky e Nick era quasi certo di poter percepire una nota di paura nella sua voce.
 
La brunetta di fronte a lui non fiatò, non abbassò lo sguardo, ma Nick ebbe quasi l’impressione che il suo respiro si fosse fatto più faticoso, probabilmente a causa dell’irritazione che elettrizzava ogni sua cellula.
 
Stanco della discussione si limitò ad indietreggiare di un passo e affermare con voce calma e sicura:
 
“Senti, non sono in vena di litigare, okay? Non ho intenzione di spostare l’auto, ma sposterò senza problemi te dalla porta se non mi lasci in pace e non mi fai entrare, d’accordo?”
 
“Ah, davvero? E come pensi di farlo, esattamente?” lo sfidò la ragazza caparbia, ma Nick scosse solamente il capo e incrociò il suo sguardo un’ultima volta, prima di spingerla delicatamente di lato e scomparire dietro l’entrata del bar.
 
Quando stava per chiudere la porta, sentì la ragazza di nome Becky mormorare con voce nervosa e un po’ spaventata:
 
“Che cavolo ti è saltato in testa? Ma sai chi è quello?”
 
Nick non riuscì a impedire a se stesso di bloccare la porta con il piede per sentire cosa aveva da dire in risposta la pazza dai capelli mossi che aveva ritardato il suo ingresso nel bar:
 
“Si, lo so. Nick qualcosa. E allora?”
 
Le labbra di Nick vibrarono nel tentativo di sopprimere un sorriso. Quindi questa ragazza sapeva chi era e, nonostante ciò, sembrava voler litigare con lui. Come se l’idea di finire in una discussione con Nick Willard fosse quasi affascinante.
 
“Allora?! Allora non si provoca lo psicolabile della città, Kay!”
 
La risposta di Becky fu quasi offensiva. Quasi. Certo, Nick sapeva quello che la gente diceva di lui, ma sentirle pronunciare ad alta voce la paura che lui sapeva provocare, lo fece sentire a disagio.
 
Perché tutti pensavano che fosse pericoloso? Non lo era, giusto?
 
“Perché no? Ha comunque rubato il mio parcheggio.”
 
Di nuovo, Nick non potè combattere il sorriso spocchioso che prese vita sulle sue labbra. Questa Kathy era testarda. Perché diavolo quello stupido posto auto era così importante?
 
“Tesoro, non era tuo… Eri semplicemente in cerca di una lite perché ti annoiavi.”
 
All’affermazione di Becky, Nick scosse la testa. Sentì i loro passi sull’asfalto allontanarsi, probabilmente le due stavano tornando verso la loro macchina e, proprio mentre chiudeva finalmente la porta del bar, sentì in lontananza Kathy rispondere alla sua amica:
 
“Si, come vuoi. Ora entriamo. Ben penserà che ti ho rapita solo per terrorizzarlo.”
 
 
-x-
 
Seduto al grosso bancone del bar Nick stava pigramente sorseggiando il suo terzo bicchiere di rum, lasciando volteggiare lo sguardo in giro per il locale senza troppo interesse.
 
Ogni sera lo stesso scenario: dozzine di idioti che molestavano ridacchianti ragazze ugualmente intossicate.
 
La piccola area del bar adibita a pista da ballo era affollata e buia, illuminata solo dalla flebile luce di vecchie lampade poste ai quattro angoli del pub.
 
La foschia provocata da sigarette fumate solo a metà avvolgeva l’intero bar.
 
Alla sua sinistra una coppia stava vivendo senza troppe inibizioni un attimo di passione, persi nel loro bacio e per nulla disturbati dal caos attorno a loro. Il ragazzo mordicchiava con insistenza e lussuria il labbro inferiore della ragazza, mentre lei gli accarezzava la schiena.
 
Nick sospirò quando, perduti nel loro momento di intimità, i due gli si sedettero quasi in braccio e trangugiò in un solo sorso il suo drink, prima di appoggiare il bicchiere e spostarsi un paio di sgabelli più in là.
 
Guardandosi attorno, sentì l’impulso di alzarsi e andarsene da quel posto, lasciandosi alle spalle la mandria insulsa che popolava il locale.
 
Ma ,prima che avesse la possibilità di muoversi, incrociò gli occhi scuri e provocanti di una bionda che, con passo sicuro, si dirigeva verso di lui.
 
La fissò, cercando di intuirne la personalità e le intenzioni, mentre lo avvicinava, ancheggiando con grazia nel tentativo di sedurlo. Un sorriso pericoloso sul suo viso e un’espressione vuota nel suo sguardo vitreo.
 
Quando finalmente la bionda giunse a destinazione, Nick aveva già preso una decisione.
 
Questa ragazza era la prova vivente della sua teoria: questa città era il centro della superficialità. Ma Nick non aveva bisogno di profondità morale per fare una sveltina. E questa tizia gli si stava gettando tra le braccia, forse ignara di chi lui fosse. O forse no.
 
Non avrebbe comunque fatto differenza.
 
“Ciao.” Gli sorrise lei, leccandosi le labbra e accarezzandogli una coscia.
 
Lui seguì la sua mano con lo sguardo e non emise neppure un suono. Le dita di lei sfioravano seducenti i suoi jeans e l’unica cosa che gli venne in mente fu quanto odiasse le unghie tinte di rosso.
 
“Sono Melanie.” Gli sussurrò lei in un orecchio, non notando apparentemente il fatto che lui fosse completamente immobile e che non rispondesse a nessuno dei suoi segnali.
 
“Allora, ce l’hai un nome?” proseguì la ragazza nel suo piano di conquista, regalandogli il suo miglior sorriso e muovendo la mano un po’ più in alto sulla sua coscia. Nick si mosse sullo sgabello, ponderando se questa ragazza valesse anche solo lo spreco di benzina per andare a casa di lei.
 
Dalle sue labbra non uscì nulla. Di nuovo. Nessuna risposta.
 
“Ti ho guardato per tutta la sera. Sembravi piuttosto solo. Ho pensato avessi bisogno di un po’ di compagnia….” Mormorò Melanie a pochi millimetri dal suo viso e ammiccò prima di aggiungere:
 
“…la mia.”
 
Faceva sul serio? Guardato tutta la notte? Inquietante!
 
Nick scosse le spalle e chiuse gli occhi per un secondo, prima di tornare a fissarla. Il suo viso immobile come una maschera di pietra.
 
“Zucchero, ma parli?”
 
Nell’istante in cui udì il nomignolo, Nick capì che ne aveva abbastanza e, togliendo gentilmente la mano di lei dal suo corpo, si alzò dalla sua posizione e fece un passo indietro.
 
La sua bionda ammiratrice aggrottò la fronte confusa e separò le labbra, pronta a protestare per l’improvviso allontanamento, ma Nick la battè sul tempo, rispondendo:
 
“Solo quando sono interessato.”
 
E con questa semplice frase, si voltò e si allontanò il più in fretta possibile.
 
Nick non sapeva però che, da lì ad un paio di minuti, quello si sarebbe dimostrato essere il secondo errore della serata.
 
Perché, mentre si dirigeva verso i bagni del pub, un lampo scuro catturò la sua attenzione, e quel preciso movimento cambiò ogni cosa.




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