- Città del Cielo
Minacciava, certe volte, di fare con lui quello che aveva fatto con tutti gli altri.
- Fa' attenzione a come ti comporti... - diceva. - … perché se dovrò averti drogato, per averti felice
di essere qui, ti avrò drogato, questo non dubitarlo. -
Era una minaccia che Elwyn prendeva sempre molto sul serio: impallidiva - oh, sì, anche sulla pelle
bianchissima e trasparente di Elwyn il pallore si vedeva - e restava molto silenzioso, poi, molto
tranquillo.
Murad lo minacciava, certe volte, e poi gli offriva regali, doni per farsi perdonare e per
ingraziarselo e per vedere se un giorno o l'altro gli sarebbe riuscito di vederlo sorridere, magari,
perché doveva essere molto meglio avere intorno un Elwyn appagato, in pace con sé stesso, in pace con
la sua situazione, in pace con Murad, soprattutto con Murad. Non era mai riuscito a comprarsi un
sorriso di Elwyn, ma insisteva, ancora e ancora, sperando di riuscire ad indovinare la giusta offerta,
il giusto prezzo per quel sorriso.
Perché Murad lo minacciava, sicuro: ma, poi, conosceva una verità diversa.
Prendete una massa di cristallo e metallo bronzeo racchiusa in un anello di motori ad energogramma;
lavoratela in una semisfera dalla superficie superiore di mille e duecentocinquanta chilometri
quadrati e sospendetela a tremila metri dal suolo; dotatela di tutto quello che può esservi di bello e
di prezioso agli occhi dell'uomo, parchi e giardini sospesi racchiusi in serre dov'è sempre estate,
sempre primavera, laghi d'acqua piovana più pura del cristallo, palazzi come castelli e palazzi come
templi, e avrete una Città del Cielo.
Erano stati tutti umani, una volta. Avevano tutti lavorato la terra, nutrito il bestiame. Avevano
viaggiato, navigato, nuotato. Erano morti di malattia e morti in guerra. Avevano tutti camminato sulla
superficie – la vera superficie, quella là sotto – ma adesso ai Celestiali non faceva più
piacere ricordare che così fosse stato. Era passato troppo tempo.
Murad l'aveva trovato, Elwyn, in mezzo alla folla caotica e variopinta che infestava i piani inferiori
della Città del Cielo: tecnicamente i piani inferiori erano chiusi a tutti, perché ospitavano i motori
e i sistemi vitali, e non molto altro. Non si vedeva il cielo, laggiù, e l'aria chiusa era calda,
afosa, appiccicosa. Non era un bel posto, ma la gente che vi viveva era lì per graziosa pietà
dell'Enclave, veniva da là sotto, e tutto andava bene per loro. Nelle Città del Cielo la guerra
non arrivava. Le radiazioni non arrivavano, l'acqua velenosa non arrivava, non arrivavano i cumuli di
immondizia accumulati in secoli e secoli di sfacelo né i residui tossici che un tempo - quando la
Terra s'era creduta grande, e potente, e destinata a non terminare mai - erano stati buttati dove
capitava perché tanto, s'era pensato, c'era spazio. C'era tempo.
Quando il tempo era finito, erano arrivate le Città del Cielo: e tutti quelli che erano rimasti
indietro... be', erano rimasti indietro.
Tutto qui.
Anche Elwyn veniva da là sotto. Sui suoi documenti c'era stato scritto Elwyn Shaw Marmaduke
Coleridge. Era stato il suo nome, ma adesso non lo era più, aveva detto Murad. Adesso Elwyn era solo
Elwyn: e, quando Murad l'avesse voluto, avrebbe avuto un altro nome ancora, scelto nella sua lingua,
che sarebbe stato quello al quale avrebbe risposto fino al giorno della propria morte.
Murad aveva, presso l'Enclave, un potere comprato nei quattrocento anni in cui la sua famiglia aveva
costruito, espanso, favorito e rinnovato la Città del Cielo; e così nessuno aveva trovato niente da
ridire quando aveva chiesto che il gruppetto di girovaghi che lanciavano coltelli e camminavano su
cavi tesi e inghiottivano palle di fuoco e fazzoletti annodati per racimolare qualche soldo, nel bel
mezzo dei piani inferiori, fosse fermato per un controllo. La famiglia di Murad aveva costruito quella
Città del Cielo. Murad era ricco, era giovane. Avrebbe seduto presto nell'Enclave. La sorveglianza era
stata lieta di poter fare qualcosa che gli fosse gradito: dopotutto, i girovaghi erano gente di là
sotto. A nessuno importava. Erano lì per servire.
A Murad i girovaghi non interessavano. Potevano continuare a fare il loro piccolo spettacolo e
chiedere la loro piccola elemosina. Potevano portare avanti la loro piccola vita come avevano fatto
finora. A Murad non interessava: ma aveva chiesto lo stesso che venissero fermati, e che dal controllo
sui loro documenti risultasse che c'era qualcosa che non andava. Che erano clandestini, che erano
arrivati lì illecitamente, che non avevano fatto rinnovare il permesso per soggiornare negli intestini
della Città del Cielo. Non ci sarebbe stato neanche bisogno di trafficare troppo: gran parte di quelli
che vivevano così giù venivano da là sotto; e avevano tutti, o quasi, qualcosa da
nascondere.
Venne fuori che il lanciatore di coltelli il permesso per soggiornare non ce l'aveva. C'era
l'espulsione, per una cosa del genere, e una mezza dozzina d'anni di carcere per soprammercato. Il
vecchio a capo del gruppo di girovaghi era sbiancato: espulsione era una brutta parola di per
sé, ma accoppiata a carcere diventava potenzialmente letale. Irrimediabile.
Il lanciatore di coltelli poteva ottenere un nuovo permesso, spiegò Murad, generosamente. Un vero
permesso, firmato dall'Enclave. A tempo indefinito. Tutto quel che Murad voleva in cambio, per
dimenticare l'irrisoria questione del permesso che non c'era, era la graziosa, piccola ragazza che
aveva estratto topolini vivi dalle maniche troppo larghe della sua maglia, che aveva tirato fuori
un'enorme bandiera dalle pieghe del corpetto - prima di inghiottirla così com'era, intera - e che
aveva fatto ridere la folla dei piani inferiori facendo boccacce e saltando da una parte all'altra,
con la sua faccia impiastricciata di improbabile trucco.
Il vecchio girovago era apparso perplesso. Murad voleva il pagliaccio?
La ragazza pagliaccio, sì, era quel che Murad voleva.
Ma non c'era nessuna ragazza pagliaccio, aveva detto il vecchio, stupito. C'era un pagliaccio, però.
Un ragazzo pagliaccio. Era lui che Murad voleva?
Il ragazzo pagliaccio aveva occhi grigi e una pelle chiarissima, ora che il trucco si era sciolto.
Aveva labbra sottili, viso sottile, corpo sottile. Con il corpetto e i larghi pantaloni sembrava una
ragazza, androgina come un efebo, priva di sesso.
Non sorrideva e non faceva più boccacce. Sembrava irritato, stanco e infelice, pieno di rancore e di
amarezza mentre Murad raccoglieva i suoi documenti e li osservava con attenzione.
Si chiamava Elwyn, Elwyn Shaw Marmaduke Coleridge.
Murad gli aveva detto, poi, che i suoi documenti erano stati strappati e bruciati. Che Elwyn non aveva
più un nome, né un'identità, che se avesse provato a scappare la sorveglianza l'avrebbe ritrovato e,
senza documenti, sarebbe stato prima arrestato e poi espulso. Avrebbero potuto anche rimanere ucciso,
chi lo poteva dire? I clandestini senza documenti erano pericolosi.
Ma invece li aveva conservati, quei documenti: e neanche lui sapeva perché.
Elwyn Shaw Marmaduke Coleridge era stato portato nel palazzo di Murad come un pacco regalo, depositato
nelle sue nuove e bellissime stanze.
- Se c'è qualcosa che non ti piace... - aveva detto Murad. - … si può cambiare. Se preferisci altre
camere, se vuoi un altro letto, altri mobili. Se c'è qualcosa che vuoi, puoi chiederlo. Se è
ragionevole, lo avrai. -
La graziosa, piccola circense – il pagliaccio – non era apparso particolarmente raddolcito
dall'offerta; tutto ad un tratto, anzi, era sembrato nauseato.
Drogarlo era impossibile. Murad sentiva che anche solo pensarlo era sbagliato.
Se l'avesse drogato, Elwyn sarebbe diventato come tutti gli altri. Non avrebbe pensato. Sarebbe
diventato felice. Se l'avesse drogato, sarebbe diventato come tutti gli altri. Non gli sarebbe più
piaciuto, poi.
Non ci sarebbero stati più occhi rancorosi, grigi come il ferro, grigi d'alba e d'acqua nuvolosa e
della luna pallida del pomeriggio, in quelle stanze.
Se l'avesse drogato, sarebbe diventato come tutti gli altri.
Note: Questa storia ha partecipato al
concorso L'Harem... e il
Pagliaccio indetto da Eylis,
classificandosi seconda.
Per trovare tutte le storie partecipanti potete andare a sbirciare in questo angolino qui, sul solito sito degli Original Concorsi di Eylis.
Ringrazio ancora la giudiciA e faccio tutti i miei complimenti alle altre autrici: ho avuto il tempo
di sbirciare le loro storie, e vale la pena di fermarsi a leggerle!
Mi affretto a pubblicare malgrado l'ora perché due settimane fa si è conclusa L'ultima
fermata, scritta anch'essa per i concorsi di Eylis. Per cui, volevo in qualche modo
mantenere la tradizione. xD
Due note sulla storia:
- conosceva una verità diversa: ho scritto questa frase avendo in mente il knows better
inglese, assolutamente intraducibile, con una sfumatura che mi sembrava perfetta. Spero di aver reso
l'idea.
- questa storia presenterà più avanti, all'altezza del quarto capitolo, una descrizione piuttosto
sanguinosa; e tratta di temi decisamente pesanti. Lettore avvisato, scrittore salvato!
x°D |