Capitolo 2- It’s the end of the World as we
know it (and I feel fine)
L’aria della città era marina e satura di
peccato, e Tyki Mikk vi si gettò a pesce.
Era
riuscito a trovare delle città dove ci fossero più locali, pub e bordelli che
alberghi, il che gli andava benissimo, visto che nel suo piano erano comprese
bettole ed ostelli, non certo ricchi saloni e ristoranti.
Aveva
rifiutato il consiglio datogli da Trànsito Soto di esercitarsi un po’ prima di
lanciarsi nelle vere sfide e, in treno, aveva fatto piazza pulita dei soldi di
due uomini che avevano accettato di giocare.
<< Ovviamente ora come ora mi rendo
conto che quei tipi non sapevano molto, anzi, oserei dire quasi nulla del poker, altrimenti non li avrei
mai battuti. Se solo fossero stati un pelo più attenti,
esorcista, avrebbero visto che mi sfilavo le carte dalla manica. Ingenui, no?
>>
L’esorcista,
sempre steso supino a terra, non risponde; non che abbia molto da commentare,
comunque, visto che quella non è la sua storia. Una farfalla si posa leggiadra
sul suo petto, e l’uomo trasale. Tyki Mikk, che benché
guardi la scena di sottecchi non si lascia sfuggire un dettaglio, schiocca le
dita. La farfalla si allontana.
<<
Niente golem dentro di te, esorcista.>> spiega guardando la farfalla che
si allontana.
<<
Più tardi, magari, ma ora devi ascoltare. Non ho intenzione di parlare ad un
morto come uno sciocco. L’idea che i morti possano ascoltare fa parte delle
vostre stupide convinzioni, non certo delle mie.>>
Lo
dice con tono imperioso, superiore; e l’esorcista, dal canto suo, difenderebbe
sicuramente le sue convinzioni se non stesse rischiando di soffocare con il suo
stesso sangue.
Sentendo
i gorgoglii, Tyki Mikk deforma il viso in una smorfia che è un misto di
disgusto ed impazienza e, senza alzarsi dal suo posto, gli tira un calcio
perché si giri di lato.
Sentendo
i colpi di tosse, si rilassa e distende le spalle, che si riassestano con uno
scricchiolio.
<<
Dov’ero arrivato?>> chiede quindi accendendosi una terza sigaretta, la
terza ormai.
<<
Ah, sì, poker e bordelli.>>
Con il tempo, Tyki Mikk si era fatto più audace: sfidava
damerini ed ingenui creduloni, ma anche esperti marinai e giocatori
professionisti, più per orgoglio che per necessità.
Spesso
vinceva, a volte perdeva, rarissimamente – per fortuna sua- veniva scoperto
mentre barava e, se succedeva, doveva abbandonare la città in cui si trovava in
fretta e furia.
Più
saliva a nord, aveva imparato, più freddo era la notte, soprattutto se si
trovava in città vicine all’odioso Oceano Pacifico ed
alle sue correnti d’aria gelida; così aveva imparato a dirigersi verso
nord-est, spesso a confine con il territorio spagnolo: lì l’aria era quasi
sempre calda come al centro del Portogallo.
Aveva
imparato che ciò che è poetico non sempre è comodo (anzi, quasi mai), e che tra
il poetico ed il pratico preferiva il pratico.
E,
in conclusione, un classico della praticità era nascondersi sotto ai letti delle prostitute, se grossi omaccioni nerboruti lo
cercavano per rifargli i connotati dopo che lui li aveva spennati; dopo qualche
anno Tyki Mikk poteva vantare conoscenza e fiducia della maggior parte delle
prostitute della parte nord-est del paese. Raramente gli uomini inferociti
trovavano la forza per mettere a soqquadro le stanze delle ragazze per stanarlo
e queste ultime, per buona parte, si difendevano con strilli isterici o risate
tonanti, proclamando la loro innocenza e che non c’era nessuno, tantomeno un
ragazzo in fuga, che ci dovrebbe fare poi, e di uscire immediatamente perché
l’orario di lavoro era finito, e che un ragazzo alto con i capelli neri era
solo uno tra mille e che né quella sera né quella prima lo aveva visto, sempre
posto che esistesse e che non fosse una scusa per un lavoretto fuori servizio,
e non lo era, vero? E tante grazie.
Tyki
rimpiangeva con nostalgia puramente professionale la sua vecchia amica Trànsito
Soto, che certamente se la stava cavando egregiamente nella sua attività.
Spesso, nascosto sotto ad un materasso o ad una pila di vestiti, ricordava la
tranquillità della sua stanza semibuia: gli uomini non osavano neanche entrare
in quella stanza senza bussare. La rispettavano troppo.
Molto
diverso da quello che succede qui, pensò una sera ironicamente Tyki Mikk mentre
la prostituta di turno metteva alla porta l’omaccione della serata, dopo
scongiuri, maledizioni e promesse.
<<
Paghi solo per non dormire per strada o per nasconderti.>>
Disse
la ragazza con
tono lamentoso, mentre lui nuotava faticosamente fuori da un mucchio di abiti,
con una calza di seta incastrata tra i ricci.
<<
Non dovrebbe essere un problema per te.>>
Ribattè,
togliendosi la calza dalla testa.
<<
Vi lamentate perché vi usano come oggetti, e quando arriva uno che la maggior
parte delle volte paga solo per dormire, vi lamentate perché vi occupa metà letto. Galline senza cervello.>>
La
ragazza, che si chiamava Irène Fèrula ed era abituata a trattare con successo
con uomini certo più minacciosi di Tyki Mikk, incassò l’insulto senza badarci
e, vedendo il ragazzo particolarmente irritato, gli mise entrambe le mani sulle
spalle.
<<
Volevo solo dire che se cerchi rifugio ci sono le chiese, e lì non devi certo
pagare! Né per dormire, né per nasconderti. Diritto d’asilo,
si chiama.>>
Tyki
Mikk alzò la testa guardandola attentamente. Quello sì che era interessante.
<<
In cosa consiste?>>
Domandò
posando le mani sopra quelle di Irène, ancora posate
sulle sue spalle.
Lei
le tolse malamente portandosele alle anche e scosse la massa invidiabile di
capelli castani prima di rispondere.
<<
Basta che entri dentro ad una chiesa e dici al primo prete che incontri “Invoco
diritto d’asilo”>>
Tyki
inarcò un sopracciglio, dubbioso, ma Irène Fèrula si
legò i capelli annuendo con convinzione.
<<
Invoco diritto d’asilo.>> ripeté soddisfatta, annuendo per buona misura.
<< Ed è inutile che fai quello sguardo scettico,
è la verità. Sono
obbligati ad ospitarti finchè non decidi di andartene.>>
<<
Sono religiosi>> obbiettò lui con l’unica argomentazione che conosceva
<< Possono denunciarti quando gli pare.>>
Irène
fece un segno sdegnato con la mano
<<
Non capisci nulla. E tanto più non lo faranno perché sono religiosi.>>
A
quest’ultima affermazione Tyki Mikk strinse le labbra, contrariato, senza dire
nulla. Non voleva rimanere a discutere tutta la notte.
<<
Hai soldi?>> gli domandò infine Irène Fèrula mentre si ammirava allo
specchio, ritornando in un istante l’immagine dell’efficienza lavorativa,
nonostante indossasse solo un corpetto intrecciato ed una gonna di seta
semitrasparente. Tyki Mikk, sempre contrariato, scosse il capo, e lei gli indicò
semplicemente la porta.
<<
E puoi scommetterci, esorcista, che ho preso e l’ho mollata lì. Lei mi aveva
dato l’idea, ed io volevo sfruttarla al meglio… Non fraintendermi, non ammiravo
Irène Fèrula. Era frivola, volgare e stupida, e parlava sempre come se la
ragione fosse stata da una parte sola… la sua. >>
Tyki
Mikk dice tutto questo con le sopracciglia aggrottate, infastidito al ricordo,
masticando tra i molari il filtro della sigaretta come se fosse stato un
delizioso bastoncino di liquirizia. Aspira una generosa boccata di fumo, e
questo sembra calmarlo.
<<
Dentro di me sapevo che non era una buona idea, ma che alternative avevo? Non ero più stupido a quel tempo di quanto
non lo sia ora… Ed io non sono stupido, vero, esorcista?>>
Anche
senza che si muova, si evince che Hamlet Elliott è certamente d’accordo. In un
universo in cui non è riverso su un fianco per non soffocarsi con il suo stesso
sangue, probabilmente avrebbe qualcosa da obbiettare, ma così va.
Tyki
Mikk sembra non badarci e continua
<<
La chiesa, giusto? Questa ti piacerà, esorcista! Giuro su… Dio!>>
Una chiesa di campagna, per un ragazzo che non c’era mai
entrato, era strabiliante: alti soffitti con vetrate colorate che illuminavano
la pavimentazione del corridoio come se fosse stata dipinta, marmi e ombra.
Il
crocifissi, imponente e pesante, dominava l’abside con il suo sguardo
sofferente. Tyki Mikk vide la targhetta sopra la sua testa e si avvicinò.
“INRI”, lesse lentamente, scandendo le lettere. Che significava? In un posto così
mistico e misterioso, tutto sembrava avere un significato speciale.
Il
senso di nausea che aveva provato entrando si stava acuendo, e la testa gli
pulsava fastidiosamente. Doveva dormire.
Si
guardò attorno, ma non vide preti scalpitanti per accoglierlo, quindi si
rivolse all’unico presente nella sala.
<<
Diritto d’asilo.>> disse al crocefisso, quindi si distese su una scomoda
panca di legno e si assopì, un sonno leggero e disturbato da incubi in cui il
Cristo morente, appeso alla sua croce, abbassava lo sguardo travolto dalla
sofferenza per guardarlo.
<< Quando
mi svegliai, il mattino seguente, la nausea non se
n’era andata per niente. Immagino che
già da allora avrei dovuto sospettare qualcosa. Intendo dire, un Noah che cerca
rifugio in una chiesa! C’è nulla di più assurdo? Certo che no. Ovvio che mi
sentissi male.>> Allunga lo sguardo verso l’esorcista, Tyki Mikk, e si
sorprende di vederlo ancora vivo. E’ un uomo d’acciaio, ma non certo un degno
avversario. Semplicemente rifiuta di lasciare che la vita gli scivoli via dalle
dita: non sarebbe meglio per lui se abbandonasse tutta la sofferenza?
<<
Stupidi uomini.>> sibila tra sé e sé Tyki Mikk, disgustato, prima di
ricominciare a parlare.
<< Svegliati, ragazzo! Svegliati!>>
Tyki
Mikk venne sempre strappato dalle braccia del sonno in modo violento, scrollato
come un toro al maneggio.
Imprecando
si alzò in piedi, maledicendo il vecchio che lo svegliava alle prime luci
dell’alba. Quante ore poteva aver dormito… due, quattro? Di certo, pensò
sbadigliando, non abbastanza.
<>
cominciò l’uomo, gonfiando il petto con aria autoritaria << Che cosa ci
fai qui dentro?>>
Tyki
si grattò il naso prima di rispondere
<<
Ero venuto a… Dormire?>> concluse esitante.
“Dormire” sembrava una buona idea.
Il
prete, un uomo basso e tarchiato con un’incolta barba che cresceva a ciuffi
grigi sul viso rubizzo, sbuffò dal naso.
<<
Non sei un novizio.>>
Non
era una domanda, per cui Tyki Mikk non rispose.
<<
Neanche un catecumeno.>>
Questa
volta Tyki fece un cenno di diniego.
<<
Speravo di poter avere ospitalità per la notte.>> spiegò. Il prete scosse
la testa, contrariato.
<<
Qui diamo asilo solo ai rifugiati politici.>> spiegò con foga. Tyki annuì
rassegnato, e si avviò per l’ampio corridoio centrale, dove la luce riflessa
sulle vetrate formava suggestivi giochi di colore sul pavimento.
Tyki
Mikk li osservò con scarso interesse, dato che il suo mal di testa peggiorava
di minuto in minuto. Dopo tutta una notte di cova, era diventata un’emicrania
lancinante.
<> sbuffa ancora Tyki Mikk, crogiolandosi nella sua antica
ingenuità. L’esorcista tace, ma se potesse parlare
saprebbe cosa dire: direbbe di piantarla di rimuginare su uno sbaglio del
passato, che ai tempi non sapeva neanche cosa fosse un Noah, che non ne avrebbe
potuto neanche immaginare il nome, per cui che la piantasse di brontolare e
continuasse la storia, grazie.
Hamlet
Elliott non lo dice, ma Tyki Mikk lo avverte comunque; si accende l’ennesima
sigaretta strofinando il fiammifero sull’unghia del pollice, e aspira il fumo
tossico beandosi di quel momento.
Una
notte stellata e silenziosa, sigarette a sufficienza per giorni e qualcuno… Qualcosa, fermo lì ad ascoltare.
Era
l’ennesima
prova del fatto che non ci si poteva fidare né delle prostitute, né dei preti.
<<
Hanno un’etica tutta loro.>> brontolava Tyki Mikk, allontanandosi dalla
chiesa con passo pesante.
Camminava
curvo, imbronciato, con le mani cacciate fino in fondo alle tasche dei
pantaloni, che gli cadevano sui fianchi: li aveva vinti a poker qualche mese
prima (un bene, perché i pantaloni che aveva prima erano ricoperti di sporco
incrostato ed impossibile da lavare, e dove non era sudiciume erano buchi) ma
gli stavano a dir poco giganteschi. La camicia che indossava, anche questa non
sua, era sbottonata all’altezza dei pettorali, e quando c’era vento gli volava
intorno al busto come una vela.
Fumava
di rabbia e sentiva che la vita era ingiusta: lui sapeva fare praticamente
tutto ciò che era utile saper fare, cacciare, pescare, barare, raccogliere i
frutti della terra a mani nude, curare i campi, pulire, trasportare pesi senza
lamentarsi, tutto, ed era ridotto a
fuggiasco, cacciato persino dalle chiese, indossando abiti scomodi e leggeri,
inadatti alle condizioni climatiche notturne. Uno come lui, uno capace, avrebbe
dovuto avere tutto quello che si meritava, senza resti.
Ma
cosa si merita in realtà un uomo che ha di suo solo una
rabbia cieca che non lo lascia mai andare?
Un
uomo – perché ormai, a vent’anni, non sei altro che uomo- che si accontenta di
vivere giorno per giorno senza mai mettere da parte
nulla per il futuro perché filosoficamente e profondamente convinto che il
futuro non c’è?
Più
Tyki Mikk ci pensava, più si arrabbiava; più si arrabbiava,
più gli piaceva tornare con il pensiero a quegli argomenti che alimentavano la
sua collera.
E,
man mano che pensava, trovava i suoi colpevoli: Irène Fèrula, quello stupido
prete? No di certo. Loro erano gli ultimi, inutili gradini nella scala delle
sue accuse. Mirava più in alto: la società, l’iniquità del mondo, quel Dio che
tanto odiava. Focalizzò su quella presenza evanescente ed adorata tutta la sua
ira, ed infine seppe cosa doveva fare.
<quanto ero arrabbiato!
Quasi c’era da non crederci!>>
E più
sassi
raccoglieva, più sentiva di avere forza sulla schiena, e più erano pesanti, più
gli era facile trasportarli.
Ne
raccolse tanti da formarne una montagnola che gli arrivava alla vita – e le sue
gambe non erano certo corte- e si fermò ansimando ad ammirare il proprio lavoro.
Sentiva un doloroso cerchio alla testa dovuto al lavoro eseguito senza mangiare
neanche un boccone, e si sedette a terra con la testa tra le mani, gemendo per
la sofferenza e la rabbia.
Tyki, puoi?
Chiedeva,
speranzosa, la voce che alimentava la sua collera, ed il cerchio alla testa si
fece più ferocemente acuto.
Tyki, puoi?
Si
piegò su sé stesso in posizione fetale, sapendo che se avesse aspettato che il
dolore passasse avrebbe perso la forza che aveva ottenuto grazie alla rabbia.
POSSO!
Poteva!
Perché se non avesse potuto sarebbe ricaduto nel suo
immobile mondo senza emozioni, e anche se quella sensazione era cattiva e lo
consumava dentro, se non altro era qualcosa…
E qualcosa è meglio di nulla, sempre.
<fu cattivo, esorcista?>>
Dapprima
prese tra le
mani un sasso poco più grande del suo palmo, e lo scagliò con forza contro la
vetrata colorata; che la sera prima gli fosse piaciuta non aveva nessuna
importanza, perché ora era lui ad avere il controllo, ed
il piacere che provò nel vedere il volto della Madonna prima incrinarsi e poi
sparire in mille cocci all’interno della struttura lo travolse, e non era nulla
di sessuale o paragonabile a qualsiasi altro piacere mai provato in vita sua
prima di allora, oh no!, era un qualcosa di nuovo ed inebriante che gli
scorreva nelle vene come il sangue, che pompava nel suo cuore, che brillava nei
suoi occhi spenti.
Il
secondo sasso, un po’ più pesante, distrusse la mano protesa di Gesù; il terzo,
un po’ più pesante, il seno della Vergine. Il quarto, il quinto, il sesto… Chi
lo ricorda?
Tutte
le vetrate della parete di destra furono distrutte in meno di dieci minuti,
senza che nessuno dall’interno arrivasse per protestare.
<<
Vengano pure.>> sibilava Tyki Mikk, pregustando come sarebbe stato
l’incontro tra il masso spigoloso ed il viso del prete.
<<
Vengano pure, porci schifosi.>>
Ma
non venne nessuno.
Finiti
i massi, distrutta la facciata, Tyki Mikk si lanciò all’interno e, dopo pochi
calci, riuscì a far cadere a terra il massiccio crocifisso.
Anche
a terra lo sguardo del Cristo puntava verso l’alto, e questo fece infuriare
Tyki.
<<
Guarda a terra! Guarda noi!>> gridò mentre, con un candelabro dorato,
frantumava il viso del crocifisso, senza rendersi conto che le schegge gli
penetravano nella carne facendolo sanguinare, senza accorgersi che mentre il
viso di legno si frantumava piangeva. Quando fu distrutto, le lacrime di Tyki
Mikk erano ormai asciutte ed il ragazzo riemerse sconvolto dal suo stato di
rabbiosa frenesia. Corse fuori sentendosi leggero, e sempre correndo
raggiunse gli immensi campi di grano che si trovavano nella campagna vicina.
Si
lasciò cadere a terra ansimando; era stato terribile. Era stato meraviglioso!
Voleva rifarlo subito! Non voleva rifarlo mai più.
Steso
sul grano che gli pungeva la schiena, Tyki Mikk rivolse la sua risata folle al
sole ed al cielo, gli unici che potessero ascoltarlo.
<<
Non mi ero ancora risvegliato, ma penso che quello fu un
punto chiave della mia vita. Distruggere una chiesa… Oh, cielo.>>
Lo
ricorda con nostalgia e con nostalgia lo racconta all’esorcista, Tyki Mikk,
perché ora non ha più tempo di farlo, e se lo facesse
non avrebbe senso. Ha incarichi più importanti a cui badare.
Ma,
oh, la poesia di quel gesto.
Scettro dell’Autrice
Salve carissimi ^^
Torno
dopo un tempo da scandalo per aggiungere questo capitolo, più lungo del primo,
che mi sono divertita moltissimo a scrivere. Tyki praticamente impazzito dalla
rabbia l’abbiamo visto, ma non in questo senso… Credo. Spero che mi sia venuto
bene, perché è molto difficile scrivere di questi stati d’animo e risultare
convincenti.
Voi che mi dite?
Spero
in qualche recensione che mi critichi/consigli per
migliorarmi ancora :)
Spero
comunque di avervi allietato questi dieci minuti che ci avrete messo a leggere,
magari anche meno. Spero che vi piaccia, e per qualsiasi errore nella trama,
nella grammatica o in qualsiasi altra cosa mi scuso ;) Aggiornerò più in fretta
la prossima volta, promesso, soprattutto se vi piace :)